Orlando furioso (1928)/Canto 36

Canto trentesimosesto

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Canto 35 Canto 37

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CANTO TRENTESIMOSESTO


1
     Convien ch’ovunque sia, sempre cortese
sia un cor gentil, ch’esser non può altrimente;
che per natura e per abito prese
quel che di mutar poi non è possente.
Convien ch’ovunque sia, sempre palese
un cor villan si mostri similmente.
Natura inchina al male, e viene a farsi
l’abito poi difficile a mutarsi.

2
     Di cortesia, di gentilezza esempii
fra gli antiqui guerrier si vider molti,
e pochi fra i moderni; ma degli empii
costumi avvien ch’assai ne vegga e ascolti
in quella guerra, Ippolito, che i tempii
di segni ornaste agli nimici tolti,
e che traeste lor galee captive
di preda carche alle paterne rive.

3
     Tutti gli atti crudeli et inumani
ch’usasse mai Tartaro o Turco o Moro,
(non giá con volontá de’ Veneziani,
che sempre esempio di giustizia fôro),
usaron l’empie e scelerate mani
di rei soldati, mercenarii loro.
Io non dico or di tanti accesi fuochi
ch’arson le ville e i nostri ameni lochi:

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4
     ben che fu quella ancor brutta vendetta,
massimamente contra voi, ch’appresso
Cesare essendo, mentre Padua stretta
era d’assedio, ben sapea che spesso
per voi piú d’una fiamma fu interdetta,
e spento il fuoco ancor, poi che fu messo,
da villaggi e da templi, come piacque
all’alta cortesia che con voi nacque.

5
     Io non parlo di questo né di tanti
altri lor discortesi e crudeli atti;
ma sol di quel che trar dai sassi i pianti
debbe poter, qual volta se ne tratti:
quel dí, Signor, che la famiglia inanti
vostra mandaste lá dove ritratti
dai legni lor con importuni auspici
s’erano in luogo forte gl’inimici.

6
     Qual Ettorre et Enea sin dentro ai flutti,
per abbruciar le navi greche, andaro;
un Ercol vidi e un Alesandro, indutti
da troppo ardir, partirsi a paro a paro,
e spronando i destrier, passarci tutti,
e i nemici turbar fin nel riparo,
e gir sí inanzi, ch’al secondo molto
aspro fu il ritornare, e al primo tolto.

7
     Salvossi il Ferruffin, restò il Cantelmo.
Che cor, duca di Sora, che consiglio
fu allora il tuo, che trar vedesti l’elmo
fra mille spade al generoso figlio,
e menar preso a nave, e sopra un schelmo
troncargli il capo? Ben mi maraviglio
che darti morte lo spettacol solo
non poté, quanto il ferro a tuo figliuolo.

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8
     Schiavon crudele, onde hai tu il modo appreso
de la milizia? In qual Scizia s’intende
ch’uccider si debba un, poi che gli è preso,
che rende l’arme, e piú non si difende?
Dunque uccidesti lui, perché ha difeso
la patria? Il sole a torto oggi risplende,
crudel seculo, poi che pieno sei
di Tïesti, di Tantali e di Atrei.

9
     Festi, barbar crudel, del capo scemo
il piú ardito garzon che di sua etade
fosse da un polo a l’altro, e da l’estremo
lito degl’indi a quello ove il sol cade.
Potea in Antropofágo, in Polifemo
la beltá e gli anni suoi trovar pietade;
ma non in te, piú crudo e piú fellone
d’ogni Ciclope e d’ogni Lestrigone.

10
     Simile esempio non credo che sia
fra gli antiqui guerrier, di quai li studi
tutti fur gentilezza e cortesia;
né dopo la vittoria erano crudi.
Bradamante non sol non era ria
a quei ch’avea, toccando lor gli scudi,
fatto uscir de la sella, ma tenea
loro i cavalli, e rimontar facea.

11
     Di questa donna valorosa e bella
io vi dissi di sopra, che abbattuto
aveva Serpentin quel da la Stella,
Grandonio di Volterna e Ferrauto,
e ciascun d’essi poi rimesso in sella;
e dissi ancor che ’l terzo era venuto,
da lei mandato a disfidar Ruggiero,
lá dove era stimata un cavalliero.

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12
     Ruggier tenne lo ’nvito allegramente,
e l’armatura sua fece venire.
Or mentre che s’armava al re presente,
tornaron quei signor di nuovo a dire
chi fosse il cavallier tanto eccellente,
che di lancia sapea sí ben ferire;
e Ferraú, che parlato gli avea,
fu domandato se lo conoscea.

13
     Rispose Ferraú: — Tenete certo
che non è alcun di quei ch’avete detto.
A me parea, ch’il vidi a viso aperto,
il fratel di Rinaldo giovinetto:
ma poi ch’io n’ho l’alto valore esperto,
e so che non può tanto Ricciardetto,
penso che sia la sua sorella, molto
(per quel ch’io n’odo) a lui simil di volto.

14
     Ella ha ben fama d’esser forte a pare
del suo Rinaldo e d’ogni paladino;
ma, per quanto io ne veggo oggi, mi pare
che val piú del fratel, piú del cugino. —
Come Ruggier lei sente ricordare,
del vermiglio color che ’l matutino
sparge per l’aria, si dipinge in faccia,
e nel cor triema, e non sa che si faccia.

15
     A questo annunzio, stimulato e punto
da l’amoroso stral, dentro infiammarse,
e per l’ossa sentí tutto in un punto
correre un giaccio che ’l timor vi sparse,
timor ch’un nuovo sdegno abbia consunto
quel grande amor che giá per lui sí l’arse.
Di ciò confuso non si risolveva,
s’incontra uscirle, o pur restar doveva.

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16
     Or quivi ritrovandosi Marfisa,
che d’uscire alla giostra avea gran voglia,
et era armata, perché in altra guisa
è raro, o notte o dí, che tu la coglia;
sentendo che Ruggier s’arma, s’avisa
che di quella vittoria ella si spoglia
se lascia che Ruggiero esca fuor prima:
pensa ire inanzi, e averne il pregio stima.

17
     Salta a cavallo, e vien spronando in fretta
ove nel campo la figlia d’Amone
con palpitante cor Ruggiero aspetta,
desiderosa farselo prigione,
e pensa solo ove la lancia metta,
perché del colpo abbia minor lesione.
Marfisa se ne vien fuor de la porta,
e sopra l’elmo una fenice porta;

18
     o sia per sua superbia, dinotando
se stessa unica al mondo in esser forte,
o pur sua casta intenzïon lodando
di viver sempremai senza consorte.
La figliuola d’Amon la mira; e quando
le fattezze ch’amava non ha scorte,
come si nomi le domanda, et ode
esser colei che del suo amor si gode:

19
     o per dir meglio, esser colei che crede
che goda del suo amor, colei che tanto
ha in odio e in ira, che morir si vede,
se sopra lei non vendica il suo pianto.
Volta il cavallo, e con gran furia riede,
non per desir di porla in terra, quanto
di passarle con l’asta in mezzo il petto,
e libera restar d’ogni suspetto.

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20
     Forza è a Marfisa ch’a quel colpo vada
a provar se ’l terreno è duro o molle;
e cosa tanto insolita le accada,
ch’ella n’è per venir di sdegno folle.
Fu in terra a pena, che trasse la spada,
e vendicar di quel cader si volle.
La figliuola d’Amon non meno altiera
gridò: — Che fai? tu sei mia prigioniera.

21
     Se bene uso con gli altri cortesia,
usar teco, Marfisa, non la voglio,
come a colei che d’ogni villania
odo che sei dotata e d’ogni orgoglio. —
Marfisa a quel parlar fremer s’udia
come un vento marino in uno scoglio.
Grida, ma sí per rabbia si confonde,
che non può esprimer fuor quel che risponde.

22
     Mena la spada, e piú ferir non mira
lei, che ’l destrier, nel petto e ne la pancia:
ma Bradamante al suo la briglia gira,
e quel da parte subito si lancia;
e tutto a un tempo con isdegno et ira
la figliuola d’Amon spinge la lancia,
e con quella Marfisa tocca a pena,
che la fa riversar sopra l’arena.

23
     A pena ella fu in terra, che rizzosse.
cercando far con la spada mal’opra.
Di nuovo l’asta Bradamante mosse,
e Marfisa di nuovo andò sozzopra.
Ben che possente Bradamante fosse,
non però sí a Marfisa era di sopra,
che l’avesse ogni colpo riversata;
ma tal virtú ne l’asta era incantata.

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24
     Alcuni cavallieri in questo mezzo,
alcuni, dico, de la parte nostra,
se n’erano venuti dove, in mezzo
l’un campo e l’altro, si facea la giostra
(che non eran lontani un miglio e mezzo),
veduta la virtú che ’l suo dimostra;
il suo che non conoscono altrimente
che per un cavallier de la lor gente.

25
     Questi vedendo il generoso figlio
di Troiano alle mura approssimarsi,
per ogni caso, per ogni periglio
non volse sproveduto ritrovarsi;
e fe’ che molti all’arme dier di piglio,
e che fuor dei ripari appresentârsi.
Tra questi fu Ruggiero, a cui la fretta
di Marfisa la giostra avea intercetta.

26
     L’inamorato giovene mirando
stava il successo, e gli tremava il core,
de la sua cara moglie dubitando;
che di Marfisa ben sapea il valore.
Dubitò, dico, nel principio, quando
si mosse l’una e l’altra con furore;
ma visto poi come successe il fatto,
restò maraviglioso e stupefatto:

27
     e poi che fin la lite lor non ebbe,
come avean l’altre avute, al primo incontro,
nel cor profundamente gli ne ’ncrebbe,
dubbioso pur di qualche strano incontro.
De l’una egli e de l’altra il ben vorrebbe;
ch’ama amendue: non che da porre incontro
sien questi amori: è l’un fiamma e furore,
l’altro benivolenza piú ch’amore.

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28
     Partita volentier la pugna avria,
se con suo onor potuto avesse farlo.
Ma quei ch’egli avea seco in compagnia,
perché non vinca la parte di Carlo,
che giá lor par che superior ne sia,
saltan nel campo, e vogliono turbarlo.
Da l’altra parte i cavallier cristiani
si fanno inanzi, e son quivi alle mani.

29
     Di qua di lá gridar si sente all’arme,
come usati eran far quasi ogni giorno.
Monti chi è a piè, chi non è armato s’arme,
alla bandiera ognun faccia ritorno!
dicea con chiaro e bellicoso carme
piú d’una tromba che scorrea d’intorno:
e come quelle svegliano i cavalli,
svegliano i fanti i timpani e i taballi.

30
     La scaramuccia fiera e sanguinosa,
quanto si possa imaginar, si mesce.
La donna di Dordona valorosa,
a cui mirabilmente aggrava e incresce
che quel di ch’era tanto disïosa,
di por Marfisa a morte, non riesce;
di qua di lá si volge e si raggira,
se Ruggier può veder, per cui sospira.

31
     Lo riconosce all’aquila d’argento
c’ha nello scudo azzurro il giovinetto.
Ella con gli occhi e col pensiero intento
si ferma a contemplar le spalle e ’l petto,
le leggiadre fattezze, e ’l movimento
pieno di grazia; e poi con gran dispetto,
imaginando ch’altra ne gioisse,
da furore assalita cosí disse:

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32
     — Dunque baciar sí belle e dolce labbia
deve altra, se baciar non le poss’io?
Ah non sia vero giá ch’altra mai t’abbia;
che d’altra esser non déi, se non sei mio.
Piú tosto che morir sola di rabbia,
che meco di mia man mori, disio;
che se ben qui ti perdo, almen l’inferno
poi mi ti renda, e stii meco in eterno.

33
     Se tu m’occidi, è ben ragion che deggi
darmi de la vendetta anco conforto;
che voglion tutti gli ordini e le leggi,
che chi dá morte altrui debba esser morto.
Né par ch’anco il tuo danno il mio pareggi;
che tu mori a ragione, io moro a torto.
Farò morir chi brama, ohimè! ch’io muora;
ma tu, crudel, chi t’ama e chi t’adora.

34
     Perché non déi tu, mano, essere ardita
d’aprir col ferro al mio nimico il core?
che tante volte a morte m’ha ferita
sotto la pace in sicurtá d’amore,
et or può consentir tormi la vita,
né pur aver pietá del mio dolore.
Contra questo empio ardisci, animo forte:
vendica mille mie con la sua morte. —

35
     Gli sprona contra in questo dir, ma prima:
— Guardati (grida), perfido Ruggiero:
tu non andrai, s’io posso, de la opima
spoglia del cor d’una donzella altiero. —
Come Ruggiero ode il parlare, estima
che sia la moglie sua, com’era in vero,
la cui voce in memoria sí bene ebbe,
ch’in mille riconoscer la potrebbe.

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36
     Ben pensa quel che le parole denno
volere inferir piú; ch’ella l’accusa
che la convenzïon ch’insieme fenno,
non le osservava: onde per farne iscusa,
di volerle parlar le fece cenno:
ma quella giú con la visiera chiusa
venía dal dolor spinta e da la rabbia,
per porlo, e forse ove non era sabbia.

37
     Quando Ruggier la vede tanto accesa,
si ristringe ne l’arme e ne la sella:
la lancia arresta; ma la tien sospesa,
piegata in parte ove non nuoccia a quella.
La donna, ch’a ferirlo e a fargli offesa
venía con mente di pietá rubella,
non poté sofferir, come fu appresso,
di porlo in terra e fargli oltraggio espresso.

38
     Cosí lor lancie van d’effetto vòte
a quello incontro; e basta ben s’Amore
con l’un giostra e con l’altro, e gli percuote
d’una amorosa lancia in mezzo il core.
Poi che la donna sofferir non puote
di far onta a Ruggier, volge il furore
che l’arde il petto, altrove; e vi fa cose
che saran, fin che giri il ciel, famose.

39
     In poco spazio ne gittò per terra
trecento e piú con quella lancia d’oro.
Ella sola quel dí vinse la guerra,
messe ella sola in fuga il popul Moro.
Ruggier di qua di lá s’aggira et erra
tanto, che se le accosta e dice: — Io moro,
s’io non ti parlo: ohimè! che t’ho fatto io,
che mi debbi fuggire? Odi, per Dio! —

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40
     Come ai meridional tiepidi venti,
che spirano dal mare il fiato caldo,
le nievi si disciolveno e i torrenti,
e il ghiaccio che pur dianzi era sí saldo;
cosí a quei prieghi, a quei brevi lamenti
il cor de la sorella di Rinaldo
subito ritornò pietoso e molle,
che l’ira, piú che marmo, indurar volle.

41
     Non vuol dargli, o non puote, altra risposta;
ma da traverso sprona Rabicano,
e quanto può dagli altri si discosta,
et a Ruggiero accenna con la mano.
Fuor de la moltitudine in reposta
valle si trasse, ov’era un piccol piano
ch’in mezzo avea un boschetto di cipressi
che parean d’una stampa tutti impressi.

42
     In quel boschetto era di bianchi marmi
fatta di nuovo un’alta sepoltura.
Chi dentro giaccia, era con brevi carmi
notato a chi saperlo avesse cura.
Ma quivi giunta Bradamante, parmi
che giá non pose mente alla scrittura.
Ruggier dietro il cavallo affretta e punge
tanto, ch’al bosco e alla donzella giunge.

43
     Ma ritorniamo a Marfisa che s’era
in questo mezzo in sul destrier rimessa,
e venía per trovar quella guerriera
che l’avea al primo scontro in terra messa:
e la vide partir fuor de la schiera,
e partir Ruggier vide e seguir essa;
né si pensò che per amor seguisse,
ma per finir con l’arme ingiurie e risse.

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44
     Urta il cavallo, e vien dietro alla pésta
tanto, ch’a un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua giunta ad ambi sia molesta,
chi vive amando, il sa, senza ch’io ’l scriva.
Ma Bradamante offesa piú ne resta,
che colei vede, onde il suo mal deriva.
Chi le può tor che non creda esser vero
che l’amor ve la sproni di Ruggiero?

45
     E perfido Ruggier di nuovo chiama.
— Non ti bastava, perfido (disse ella),
che tua perfidia sapessi per fama,
se non mi facevi anco veder quella?
Di cacciarmi da te veggo c’hai brama:
e per sbramar tua voglia iniqua e fella,
io vo’ morir; ma sforzerommi ancora
che muora meco chi è cagion ch’io mora. —

46
     Sdegnosa piú che vipera, si spicca,
cosí dicendo, e va contra Marfisa;
et allo scudo l’asta si le appicca,
che la fa a dietro riversare in guisa,
che quasi mezzo l’elmo in terra ficca;
né si può dir che sia colta improvisa:
anzi fa incontra ciò che far si puote;
e pure in terra del capo percuote.

47
     La figliuola d’Amon, che vuol morire
o dar morte a Marfisa, è in tanta rabbia,
che non ha mente di nuovo a ferire
con l’asta, onde a gittar di nuovo l’abbia;
ma le pensa dal busto dipartire
il capo mezzo fitto ne la sabbia:
getta da sé la lancia d’oro, e prende
la spada, e del destrier subito scende.

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48
     Ma tarda è la sua giunta; che si trova
Marfisa incontra, e di tanta ira piena
(poi che s’ha vista alla seconda prova
cader sí facilmente su l’arena),
che pregar nulla, e nulla gridar giova
a Ruggier che di questo avea gran pena:
sí l’odio e l’ira le guerriere abbaglia,
che fan da disperate la battaglia.

49
     A mezza spada vengono di botto;
e per la gran superbia che l’ha accese,
van pur inanzi, e si son giá sí sotto,
ch’altro non puon che venire alle prese.
Le spade, il cui bisogno era interrotto,
lascian cadere, e cercan nuove offese.
Priega Ruggiero e supplica amendue,
ma poco frutto han le parole sue.

50
     Quando pur vede che ’l pregar non vale,
di partirle per forza si dispone:
leva di mano ad amendua il pugnale,
et al piè d’un cipresso li ripone.
Poi che ferro non han piú da far male,
con prieghi e con minaccie s’interpone:
ma tutto è invan; che la battaglia fanno
a pugni e a calci, poi ch’altro non hanno.

51
     Ruggier non cessa: or l’una or l’altra prende
per le man, per le braccia, e la ritira;
e tanto fa, che di Marfisa accende
contra di sé, quanto si può piú, l’ira.
Quella che tutto il mondo vilipende,
alla amicizia di Ruggier non mira.
Poi che da Bradamante si distacca,
corre alla spada, e con Ruggier s’attacca.

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52
     — Tu fai da discortese e da villano,
Ruggiero, a disturbar la pugna altrui;
ma ti farò pentir con questa mano
che vo’ che basti a vincervi ambedui. —
Cerca Ruggier con parlar molto umano
Marfisa mitigar; ma contra lui
la trova in modo disdegnosa e fiera,
ch’un perder tempo ogni parlar seco era.

53
     All’ultimo Ruggier la spada trasse,
poi che l’ira anco lui fe’ rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse
Atene o Roma o luogo altro del mondo,
che cosí a’ riguardanti dilettasse,
come dilettò questo e fu giocondo
alla gelosa Bradamante, quando
questo le pose ogni sospetto in bando.

54
     La sua spada avea tolta ella di terra,
e tratta s’era a riguardar da parte;
e le parea veder che ’l dio di guerra
fosse Ruggiero alla possanza e all’arte.
Una furia infernal quando si sferra
sembra Marfisa, se quel sembra Marte.
Vero è ch’un pezzo il giovene gagliardo
di non far il potere ebbe riguardo.

55
     Sapea ben la virtú de la sua spada;
che tante esperïenze n’ha giá fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
l’incanto, o nulla giovi, e stia di piatto;
sí che ritien che ’l colpo suo non cada
di taglio o punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza:
ma perdé pure un tratto la pazienza;

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56
     perché Marfisa una percossa orrenda
gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo che ’l capo difenda
Ruggiero, e ’l colpo in su l’aquila pesta.
Vieta lo ’ncanto che lo spezzi o fenda;
ma di stordir non però il braccio resta:
e s’avea altr’arme che quelle d’Ettorre,
gli potea il fiero colpo il braccio tôrre:

57
     e saria sceso indi alla testa, dove
disegnò di ferir l’aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove,
a pena piú sostien l’aquila bella.
Per questo ogni pietá da sé rimuove;
par che negli occhi avampi una facella:
e quanto può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n’eri giunta!

58
     Io non vi so ben dir come si fosse:
la spada andò a ferire in un cipresso,
e un palmo e piú ne l’arbore cacciosse:
in modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
un gran tremuoto; e si sentí con esso,
da quell’avel ch’in mezzo il bosco siede,
gran voce uscir, ch’ogni mortale eccede.

59
     Grida la voce orribile: — Non sia
lite tra voi: gli è ingiusto et inumano
ch’alla sorella il fratel morte dia,
o la sorella uccida il suo germano.
Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
credete al mio parlar che non è vano:
in un medesimo utero d’un seme
foste concetti, e usciste al mondo insieme.

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60
     Concetti foste da Ruggier secondo:
vi fu Galacïella genitrice,
i cui fratelli avendole dal mondo
cacciato il genitor vostro infelice,
senza guardar ch’avesse in corpo il pondo
di voi, ch’usciste pur di lor radice,
la fêr, perché s’avesse ad affogare,
s’un debol legno porre in mezzo al mare.

61
     Ma Fortuna che voi, ben che non nati,
avea giá eletti a glorïose imprese,
fece che ’l legno ai liti inabitati
sopra le Sirti a salvamento scese;
ove, poi che nel mondo v’ebbe dati,
l’anima eletta al paradiso ascese.
Come Dio volse e fu vostro destino,
a questo caso io mi trovai vicino.

62
     Diedi alla madre sepoltura onesta,
qual potea darsi in sí deserta arena;
e voi teneri avolti ne la vesta
meco portai sul monte di Carena;
e mansueta uscir de la foresta
feci e lasciare i figli una leena,
de le cui poppe dieci mesi e dieci
ambi nutrir con molto studio feci.

63
     Un giorno che d’andar per la contrada
e da la stanza allontanar m’occorse,
vi sopravenne a caso una masnada
d’Arabi (e ricordarvene de’ forse),
che te, Marfisa, tolser ne la strada;
ma non potêr Ruggier, che meglio corse.
Restai de la tua perdita dolente,
e di Ruggier guardian piú diligente.

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64
     Ruggier, se ti guardò, mentre che visse,
il tuo maestro Atlante, tu lo sai.
Di te senti’ predir le stelle fisse,
che tra’ cristiani a tradigion morrai;
e perché il male influsso non seguisse,
tenertene lontan m’affaticai:
né ostare al fin potendo alla tua voglia,
infermo caddi, e mi mori’ di doglia.

65
     Ma inanzi a morte, qui dove previdi
che con Marfisa aver pugna dovevi,
feci raccor con infernal sussidi
a formar questa tomba i sassi grevi;
et a Caron dissi con alti gridi:
— Dopo morte non vo’ lo spirto levi
di questo bosco, fin che non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna. —

66
     Cosí lo spirto mio per le belle ombre
ha molti dí aspettato il venir vostro:
sí che mai gelosia piú non t’ingombre,
o Bradamante, ch’ami Ruggier nostro.
Ma tempo è ormai che de la luce io sgombre,
e mi conduca al tenebroso chiostro. —
Qui si tacque; e a Marfisa et alla figlia
d’Amon lasciò e a Ruggier gran maraviglia.

67
     Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, et ella lui;
e ad abbracciarsi, senza offender quella
che per Ruggiero ardea, vanno ambidui:
e ramentando de l’etá novella
alcune cose: i’ feci, io dissi, io fui;
vengon trovando con piú certo effetto,
tutto esser ver quel c’ha lo spirto detto.

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68
     Ruggiero alla sorella non ascose
quanto avea nel cor fissa Bradamante;
e narrò con parole affettuose
de le obligazïon che le avea tante:
e non cessò, ch’in grand amor compose
le discordie ch’insieme ebbono avante;
e fe’, per segno di pacificarsi,
ch’umanamente andaro ad abbracciarsi.

69
     A domandar poi ritornò Marfisa
chi stato fosse, e di che gente il padre;
e chi l’avesse morto, et a che guisa,
s’in campo chiuso o fra l’armate squadre;
e chi commesso avea che fosse uccisa
dal mar atroce la misera madre:
che se giá l’avea udito da fanciulla,
or ne tenea poca memoria o nulla.

70
     Ruggiero incominciò, che da’ Troiani
per la linea d’Ettòre erano scesi;
che poi che Astïanatte de le mani
campò d’Ulisse e da li aguati tesi,
avendo un de’ fanciulli coetani
per lui lasciato, uscí di quei paesi;
e dopo un lungo errar per la marina,
venne in Sicilia e dominò Messina.

71
     — I descendenti suoi di qua dal Faro
signoreggiâr de la Calabria parte;
e dopo piú successioni andaro
ad abitar ne la cittá di Marte.
Piú d’uno imperatore e re preclaro
fu di quel sangue in Roma e in altra parte,
cominciando a Costante e a Costantino,
sino a re Carlo figlio de Pipino.

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72
     Fu Ruggier primo e Gianbaron di questi,
Buovo, Rambaldo, al fin Ruggier secondo,
che fe’, come d’Atlante udir potesti,
di nostra madre l’utero fecondo.
De la progenie nostra i chiari gesti
per l’istorie vedrai celebri al mondo. —
Seguí poi, come venne il re Agolante
con Almonte e col padre d’Agramante;

73
     e come menò seco una donzella
ch’era sua figlia, tanto valorosa,
che molti paladin gittò di sella;
e di Ruggiero al fin venne amorosa,
e per suo amor del padre fu ribella,
e battezzossi, e diventògli sposa.
Narrò come Beltramo traditore
per la cognata arse d’incesto amore:

74
     e che la patria e ’l padre e duo fratelli
tradí, cosí sperando acquistar lei;
aperse Risa agli nimici, e quelli
fêr di lor tutti i portamenti rei;
come Agolante e i figli iniqui e felli
poser Galacïella, che di sei
mesi era grave, in mar senza governo,
quando fu tempestoso al maggior verno.

75
     Stava Marfisa con serena fronte
fisa al parlar che ’l suo german facea;
et esser scesa da la bella fonte
ch’avea sí chiari rivi, si godea.
Quinci Mongrana e quindi Chiaramonte
le due progenie derivar sapea,
ch’al mondo fur molti e molt’anni e lustri
splendide, e senza par d’uomini illustri.

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76
     Poi che ’l fratello al fin le venne a dire
che ’l padre d’Agramante e l’avo e ’l zio
Ruggiero a tradigion feron morire,
e posero la moglie a caso rio;
non lo poté piú la sorella udire,
che lo ’nterroppe, e disse: — Fratel mio
(salva tua grazia), avuto hai troppo torto
a non ti vendicar del padre morto.

77
     Se in Almonte e in Troian non ti potevi
insanguinar, ch’erano morti inante,
dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perché, vivendo tu, vive Agramante?
Questa è una macchia che mai non ti levi
dal viso; poi che dopo offese tante
non pur posto non hai questo re a morte,
ma vivi al soldo suo ne la sua corte.

78
     Io fo ben voto a Dio (ch’adorar voglio
Cristo Dio vero, ch’adorò mio padre)
che di questa armatura non mi spoglio,
fin che Ruggier non vendico e mia madre.
E vo’ dolermi, e fin ora mi doglio,
di te, se piú ti veggo fra le squadre
del re Agramante o d’altro signor Moro,
se non col ferro in man per danno loro. —

79
     Oh come a quel parlar leva la faccia
la bella Bradamante, e ne gioisce!
E conforta Ruggier che cosí faccia
come Marfisa sua ben l’ammonisce;
e venga a Carlo, e conoscer si faccia,
che tanto onora, lauda e riverisce
del suo padre Ruggier la chiara fama,
ch’ancor guerrier senza alcun par lo chiama.

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80
     Ruggiero accortamente le rispose
che da principio questo far dovea;
ma per non bene aver note le cose,
come ebbe poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo Agramante che gli pose
la spada al fianco, farebbe opra rea
dandogli morte, e saria traditore;
che giá tolto l’avea per suo signore.

81
     Ben, come a Bradamante giá promesse,
promettea a lei di tentare ogni via,
tanto ch’occasïone, onde potesse
levarsi con suo onor, nascer faria.
E se giá fatto non l’avea, non desse
la colpa a lui, ma ’l re di Tartaria,
dal qual ne la battaglia che seco ebbe,
lasciato fu, come saper si debbe.

82
     Et ella ch’ogni dí gli venía al letto,
buon testimon, quanto alcun altro, n’era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
da l’una e da l’altra inclita guerriera.
L’ultima conclusion, l’ultimo effetto
è che Ruggier ritorni alla bandiera
del suo signor, fin che cagion gli accada,
che giustamente a Carlo se ne vada.

83
     — Lascialo pur andar (dicea Marfisa
a Bradamante), e non aver timore:
fra pochi giorni io farò bene in guisa
che non gli fia Agramante piú signore. —
Cosí dice ella, né però devisa
quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenzia, al fin Ruggiero
per tornare al suo re volgea il destriero;

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84
     quando un pianto s’udi da le vicine
valli sonar, che li fe’ tutti attenti.
A quella voce fan l’orecchie chine,
che di femina par che si lamenti.
Ma voglio questo canto abbia qui fine,
e di quel che voglio io, siate contenti;
che miglior cose vi prometto dire,
s’all’altro canto mi verrete a udire.