Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/96

90 canto


44
     Urta il cavallo, e vien dietro alla pésta
tanto, ch’a un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua giunta ad ambi sia molesta,
chi vive amando, il sa, senza ch’io ’l scriva.
Ma Bradamante offesa piú ne resta,
che colei vede, onde il suo mal deriva.
Chi le può tor che non creda esser vero
che l’amor ve la sproni di Ruggiero?

45
     E perfido Ruggier di nuovo chiama.
— Non ti bastava, perfido (disse ella),
che tua perfidia sapessi per fama,
se non mi facevi anco veder quella?
Di cacciarmi da te veggo c’hai brama:
e per sbramar tua voglia iniqua e fella,
io vo’ morir; ma sforzerommi ancora
che muora meco chi è cagion ch’io mora. —

46
     Sdegnosa piú che vipera, si spicca,
cosí dicendo, e va contra Marfisa;
et allo scudo l’asta si le appicca,
che la fa a dietro riversare in guisa,
che quasi mezzo l’elmo in terra ficca;
né si può dir che sia colta improvisa:
anzi fa incontra ciò che far si puote;
e pure in terra del capo percuote.

47
     La figliuola d’Amon, che vuol morire
o dar morte a Marfisa, è in tanta rabbia,
che non ha mente di nuovo a ferire
con l’asta, onde a gittar di nuovo l’abbia;
ma le pensa dal busto dipartire
il capo mezzo fitto ne la sabbia:
getta da sé la lancia d’oro, e prende
la spada, e del destrier subito scende.