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trentesimosesto 87


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     — Dunque baciar sí belle e dolce labbia
deve altra, se baciar non le poss’io?
Ah non sia vero giá ch’altra mai t’abbia;
che d’altra esser non déi, se non sei mio.
Piú tosto che morir sola di rabbia,
che meco di mia man mori, disio;
che se ben qui ti perdo, almen l’inferno
poi mi ti renda, e stii meco in eterno.

33
     Se tu m’occidi, è ben ragion che deggi
darmi de la vendetta anco conforto;
che voglion tutti gli ordini e le leggi,
che chi dá morte altrui debba esser morto.
Né par ch’anco il tuo danno il mio pareggi;
che tu mori a ragione, io moro a torto.
Farò morir chi brama, ohimè! ch’io muora;
ma tu, crudel, chi t’ama e chi t’adora.

34
     Perché non déi tu, mano, essere ardita
d’aprir col ferro al mio nimico il core?
che tante volte a morte m’ha ferita
sotto la pace in sicurtá d’amore,
et or può consentir tormi la vita,
né pur aver pietá del mio dolore.
Contra questo empio ardisci, animo forte:
vendica mille mie con la sua morte. —

35
     Gli sprona contra in questo dir, ma prima:
— Guardati (grida), perfido Ruggiero:
tu non andrai, s’io posso, de la opima
spoglia del cor d’una donzella altiero. —
Come Ruggiero ode il parlare, estima
che sia la moglie sua, com’era in vero,
la cui voce in memoria sí bene ebbe,
ch’in mille riconoscer la potrebbe.