Novelle cinesi tolte dal Lung-Tu-Kung-Ngan/Novella VI
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Traduzione dal cinese di Carlo Puini (1872)
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VI.
IL PESCE D’ORO
o
LA FANCIULLA DALLE CAMELIE
Io vi vo’ raccontare una novella, che intervenne a Yang-ceu, d’un licenziato in lettere, per nome Lieu-cen.
Abitava alla porta orientale della città di Yang-ceu un giovane letterato, di pronto e svegliato ingegno, chiamato Lieu-cen, e soprannominato Tien-gen. Non aveva per anco stretto legame di matrimonio, e passava la vita in mezzo ai libri e allo studio1. Di buon animo sopportava il modesto stato, nel quale la natura lo aveva posto; e il solo desiderio che facesse palpitare il suo cuore, era quel della fama che con verace merito onestamente s’acquista.
Era il terzo anno Oang-yen dell’imperatore Gen-zung, della dinastia dei Sung2, allorchè un pubblico editto rese noto che si aprivano gli esami di laurea pei baccellieri. Il nostro giovane Lieu, preparata una valigetta, si dispone ad andare alla città di Tong-king a pigliar l’esame. Carico del suo leggero bagaglio, chè non aveva proprio che il necessario, si mette in via. E cammina cammina, dopo lungo e faticoso viaggio arriva finalmente alla capitale. Ma, ohimè! gli esami erano terminati. Il povero Lieu-cen tutto dolente: «Oh destino crudele! esclama sospirando, perchè mi sei cotanto avverso? perchè ti opponi così ai miei desideri?» Riposatosi alquanto, e raccolte le poche sue robe, ripigliò la strada di Yang-ceu; ma quando fu arrivato al tempio e convento di He-yuen fece sosta; e allettato dalla quiete del luogo e dai libri della biblioteca del convento, chiese ospitalità a que’ frati buddisti, e là s’intrattenne, attendendo con molto ardore agli studi.
Il tempo vola come freccia che parte dall’arco; i giorni e i mesi si succedono colla celerità della spola mossa dal tessitore. Era giunta la sera della festa delle lanterne3: per le vie della capitale cominciava a brulicare un numero infinito di gente e di rificolone d’ogni foggia e colore.
Ora è da sapere che in quel tempo, nella terra detta di Pei-yen, a trenta li dalla città, alla quale si giunge dopo aver traversata per acqua molto paese, v’era un laghetto; ove alla profondità di dieci mila cang4, viveva già da mille anni un bellissimo pesce d’oro. Questo pesce d’oro era una fata molto potente, la quale d’ordinario la notte trasformavasi in una fanciulla, ed andava passeggiando lungo le sponde del fiume, per sedurre ed ingannare i viaggiatori che di la passavano colle loro barche. Quella sera il pesce d’oro era apparso alla superficie del lago; ed avendo inteso che alla città si faceva la festa delle lanterne, subitamente sputò dalla bocca una perla piccioletta, che trasformossi in una fanciulla bellissima di diciott’anni; la quale, presa in mano una rificolona accesa, s’avviò pian piano alla città. Ivi giunta si mischiò alla folla; e tutti quelli che la vedevano non potevano fare a meno d’ammirarla, tanto era vaga e gentile. Già cominciava in cielo verso oriente il barlume del giorno; allorchè la fata, veggendo che la festa continuava ancora, e che molte erano le persone che percorrevano la città con le loro lanterne accese; temendo si conoscesse l’esser suo, colta così d’improvviso dalla luce del sole, andò a rifugiarsi nel lago che ornava il giardino del ministro di stato Kin.
Il giorno solenne passò, e il pesce-fata non si curò di tornare al natìo laghetto.
Aveva il ministro una figliuola chiamata Kin-yuen, la quale seguita dalle sue damigelle, spesso andava a diporto pel giardino, e pigliavasi diletto alla vista dei fiori. Ora osservando quel giorno, in sul poggiuolo ad oriente, una fila di vasi di camelie mu-tang, vide che esse erano tutte belle e sbocciate e di così lieti e vari colori, che molto se ne rallegrò; e chiamò subito le sue donne che le venissero a vedere. E stando così a divertirsi, e facendo merenda nel padiglione che guardava il lago; affacciatasi la giovinetta alla ringhiera, vide il pesce d’oro che, agitando le sue pinne e boccheggiando, vagava qua e là sulla superficie dell’acqua. Allora Kin-yuen prese gli avanzi della merenda, e gli gettò nel lago; e il pesce-fata subito gli abboccò, e gli mangiò in un attimo. Rise la figliuola del ministro, e stette a guardare per lungo tempo il bel pesce; e poi ritirossi in casa, e andò nelle sue stanze. Il pesce-fata, accortosi che la figliuola del ministro amava molto i fiori delle camelie mu-tang, ogni notte col suo fiato incantato alitava su quelle piante, e le camelie crescevano sempre più belle e più fresche, e si tingevano dei più svariati colori. Per la qual cosa la figliuola del ministro ognor più lieta, tutti i giorni veniva sulle sponde del lago; dove s’intratteneva, deliziandosi nella vista di quelle piante.
La ridente e dolce stagione della primavera era in sul terminare, e già s’avvicinava l’estate. Il baccelliere Lieu da molto tempo abitava il convento; e consumate le provvigioni che aveva portate seco, e perduti gli amici che ivi s’era fatto, che tutti erano ritornati alle loro case, trovossi sprovvisto d’ogni cosa e senza aiuti. Laonde pensando tra sè stesso che far si dovesse, nè sapendo a che partito appigliarsi, si mise a scrivere in carattere corsivo alquanti esemplari di bella calligrafia; e fattili, se ne andò in città, offrendoli or nella casa di questo e quel magistrato, or negli uffici pubblici, per vedere di venderli e mettere assieme qualche quattrinello.5 A questo modo giunse anche al luogo, ove risiedeva il ministro Kin. Questi era uscito a fare una visita ad un concittadino ed amico; e nel ritornare, veduto il baccelliere Lieu che si teneva quelle sue scritture tra mano, gliele prese con indifferente noncuranza. Ma osservatele bene e più attentamente, e vista la bella mano di scritto, lodò molto il giovane e invitollo ad entrare nel suo ufficio. Quivi lo domandò d’onde venisse e dove andasse, e per qual ragione s’era mosso di casa sua. E così nel conversare accortosi che il baccelliere Lieu era d’un ingegno veramente raro, lo invitò a rimaner con lui, che lo avrebbe impiegato in una scuola a educare e istruire i giovanetti. Accettò di buon animo il giovane, che nulla di meglio cercava; e mandato subito a pigliare le poche sue robe, che aveva lasciate nel convento, si stabilì nella sua nuova dimora; la quale era al lato del padiglione orientale del giardino del ministro. Lieu-cen trovatosi per questo mezzo provvisto largamente del necessario a vivere, si pose di nuovo alacremente allo studio. Nell’ufficio del ministro era un continuo andare e venire di uomini di lettere; i quali conosciuta l’abilita del giovane, si servivano volentieri dell’opera sua in qualche loro affare; onde egli potè guadagnarsi la stima di molti, e la benevolenza e l’affezione dal ministro. Ora avvenne che, andando una sera a diporto, Lieu-cen entrò a caso nel giardino del palazzo Kin, mentre la figlia del ministro con due o tre damigelle, seduta sotto il poggiuolo delle camelie, ricreavasi alle fresche aure di quel delizioso soggiorno. Lieu-cen, veduta la fanciulla, che era di grande bellezza, fu ripieno di meraviglia e stupore, e disse tra sè stesso: «Già da molto tempo udii dire, che il ministro Kin aveva una figliuola vaga e bella quanto donna dei suoi tempi; ma ora posso assicurarmi con gli occhi miei propri, che non si diceva menzogna. Ah! s’io potessi in qualche modo procacciarmi fama nel mondo, e acquistarmi onori, ecco la creatura che farebbe paghi tutti i voti del mio cuore!» Così dicendo, per tema che qualcuno si accorgesse di lui, ritornò indietro; e nascosto sotto la balaustrata del padiglione, si mise a cantare certa canzone del poeta Tu-fu6, che parea fatta pel caso suo: egli voleva con quelle parole commuovere il cuore della fanciulla, suscitarle un po’ d’amoroso fuoco, e poterla piegare così alle sue voglie.
La fata che era nel lago del giardino, e che desiderava trovare un uomo dabbene da trascinare sulla via del vizio, non si lasciò scappare sì bella occasione. A notte inoltrata, e mentre Lieu-cen vegliava studiando, il pesce d’oro, cangiata forma e figura, si tramuta nella figliuola del ministro: si avvia verso la camera dello studente e picchia pian piano alla porta. Lieu-cen apre, e rimane stupefatto nel vedersi innanzi agli occhi la stessa fanciulla, che in quel giorno aveva cotanto ammirata nel giardino del ministro. — «Il signore studente non si turbi, disse la fata, nè si maravigli di vedermi qui. Io ho udito dire che ella è molto bravo, e spiega con mirabile chiarezza i libri; perciò ho aspettato che mia madre dormisse profondamente, e sono venuta apposta da lei a pigliar lezione». Lieu-cen, rimessosi dalla sorpresa, invitò la giovanetta ad entrare; e seduti, parlarono assieme lunga pezza. Finalmente la fanciulla, slacciatesi le vesti e spogliatasi, invitò il giovane Lieu a giacersi seco.
In sul far del giorno la fata, riprese le vesti, si alza, e detto addio al baccelliere: «Questa notte, gli aggiunse, al più presto possibile tornerò di nuovo a trovarvi.» Ciò detto fuggì via. D’allora in poi quella maliarda, sotto le forme della figliuola del ministro, andavasene ogni sera a visitare il giovane studente; lo regalava ancora di squisiti e delicati mangiari, e insieme se la passavano allegramente; per modo che Lieu-cen si ripeteva spesso, non potergli esser capitata più lieta e piacevole avventura. Una notte che, come al solito, la fata si era recata all’amoroso convegno, portando seco dei cibi e del vino, disse allo studente: «Questo soggiorno è certamente ameno e dilettevole; ma a lungo andare qualcuna delle mie donne potrebbe avvedersi di qualche cosa, e informarne mio padre. Allora, a me e a voi toccherebbe di certo la mala ventura. Se, ragunate le robe mie e quel che io ho nelle mie stanze, partissimo di qua, e andassimo a stare a Yang-ceu in casa vostra?... Là si potrebbe vivere al sicuro, e uniti proprio come marito e moglie». Rispose Lieu-cen: «E se il ministro ci fa inseguire, ci piglia e ci mena innanzi ai tribunali, che farem noi?» — «Non temete di ciò, rispose la fanciulla; mia madre mi vuol tanto bene!... e poi non son mica ancora fidanzata: perciò ancorchè giungessero a scoprìrci, che volete voi che ci facciano?»
Il giovane Lieu— cen si lasciò persuadere dalle parole della fanciulla, e fu stabilito d’amore e d’accordo il giorno e l’ora della partenza. — Era notte oscura: una barca, già pronta nel fiume, aspettava i due amanti. La fata, sempre sotto la figura dell’avvenente Kin-yueu, provvistasi di molt’oro e d’altri minuti oggetti di valore, vi scese bentosto, e fuggissene via con Lieu-cen a Yang-ceu, ove il nostro baccelliere aveva casa. Il ministro Kin saputa la partenza improvvisa di Lieu-cen, supponendo che urgente affare l’avesse costretto ad abbandonar quei luoghi, non fece indagine sul conto suo, nè si curò sapere ove fosse andato.
Le camelie mu-tang, che erano tanto belle e rigogliose, dopo la partenza della fata appassirono a poco a poco, e morirono. Questa cosa afflisse molto la fanciulla Kin-yuen, che amava grandemente quei fiori. Da mattina a sera non faceva che pensare a quelle povere piante, e tanto se ne dolse che cadde profondamente ammalata. Non valsero medicine a rianimar la fanciulla, non valsero le cure affettuose della madre, che con domande e preghiere cercava scoprire la causa di quel malore. Finalmente a forza di dire e di fare, la buona genitrice giunse a sapere che la cagione di tanta tristizia era la morte delle camelie mu-tang. Subito ne informò il marito. Ed esso tra sè pensando che questa specie di fiori non si trovavano che a Yang-ceu, immantinente provvisto un servo di molto denaro, dissegli: «Corri a Yang-ceu, e cerca dappertutto le camelie mu-tang. Sia che tu le veda in un giardino di qualche ricco magistrato, o sul balcone di una casa di povera gente, cerca d’averle, e non badare a spesa. Eccoti mille monete. Compra le camelie e torna subito.»
Il servo si pose in viaggio, e giunto a Yang-ceu, comincia a cercare per ogni luogo della città, perchè gli venisse fatto vedere qualche pianta di quella specie di camelie; ma non ne vide nessuna. Finalmente arrivato alla porta orientale della città, scorge una casetta, il cui giardino era in gran copia ornato di quelle piante: era la casa del baccelliere Lieu. Ad essa s’indirizza il servo, e giuntovi bussa alla porta. Lieu-cen era uscito. Il famiglio dopo poco vide comparire, mezza nascosta tra le gelosie di bambù, una fanciulla che domanda: chi è? — Il nostro uomo crede di sognare: all’aspetto, alla voce, alle maniere, gli par di riconoscere in quella persona la sua padroncina. S’avvicina; ogni suo dubbio sparisce, tanta era la somiglianza; anzi la fanciulla stessa si fece innanzi, e gli disse: «Ma non mi riconosci tu dunque? Sono proprio la figliuola del tuo padrone.» — In questo mentre Lieu-cen torna a casa; e il servo riconosce il baccelliere, che aveva veduto altre volte nella casa del ministro. Rimasero l’uno in faccia all’altro per un momento muti; e il povero servo credeva proprio d’impazzare. Finalmente Lieu-cen gli domandò, perchè egli fosse venuto a Yang-ceu. — «Avete da sapere, rispose il servo tutto confuso che madamigella, la mia padroncina, s’è ammalata, perchè le camelie del suo giardino si sono appassite, e il signor ministro, mio padrone, mi ha mandato qua a comprarne dell’altre.» — «La tua padroncina? rispose ridendo il baccelliere; essa è qui con me, da sei mesi.» — Il servo non sapea come spiegarsi questo stranissimo mistero. L’indomani riprese la via che aveva fatta, e senza neppure fermarsi a pigliar fiato, giunse a notte a Ton-king, e narrò al ministro l’accaduto. Il ministro non gli volle prestar fede, e inviò di nuovo a Yang-ceu un suo ufficiale, con ordine che gli conducesse innanzi quella fanciulla, che si diceva essere sua figliuola. Recatosi l’ufficiale ove abitavano la fata e il baccelliere, e fatta loro conoscere la volontà del ministro, gli invitò a seguirlo. La fata non si ricusò, e accompagnata da Lieu-cen, seguì l’ufficiale che gli ricondusse a Tong-king. Quando arrivarono alla residenza del ministro, questi rimase al sommo meravigliato nel vedere la fata, e credeva proprio di veder sua figlia. E mentre stava così perplesso e dubbioso, ecco pure sua moglie, la quale vista la fanciulla: «Come mai, esclama, la nostra figliuola può esser qui, se io l’ho lasciata or ora in camera sua, e che non s’era per anche alzata da letto?» Il ministro domandò a Lieu-cen spiegazione in proposito; e Lieu-cen, senza nulla nascondergli, narrò appuntino ogni cosa, fin da quando abitava presso di lui, e l’amorosa corrispondenza ch’egli ebbe colla fanciulla. — «Voi siete stato vittima dei raggiri di qualche fata;» disse il ministro al bacelliere; e quindi senza por tempo in mezzo, fatta preparare una portantina, vi salì entro, e si fece condurre all’ufficio del giudice supremo Pao-kung, e gli espose il fatto. Pao-kung ordinò che si facessero venire le due fanciulle, la fata cioè e la figlia del ministro, assieme a Lieu-cen, nella gran sala del tribunale. Giunti che furono innanzi al giudice, questi potè allora riconoscere che in verità non c’era differenza alcuna tra le due giovanette, e dopo aver ascoltato la narrazione particolareggiata dell’accaduto, ordinò che si prendesse lo specchio dell’imperatore Hien-yuen, nel quale si scorge chiara la verità d’ogni cosa, per poter decidere quale delle due fanciulle fosse la vera figliuola del ministro. Un ufficiale portò lo specchio, e lo sospese in mezzo all’aula; ma, mentre il giudice era intento ad osservarlo, per leggervi la verità, la fata aperta la bocca gettò un fiato nero nero che, riempita la sala, oscuro siffattamente la luce del giorno che non ci si vedeva più, e non si udiva il suono della voce di chi parlava. Quando l’oscura caligine si dissipò, le due fanciulle erano sparite, lasciando il giudice e il ministro stupefatti e confusi, e tutti gli astanti che riempivano l’aula, smorti dallo spavento. — «Per ora ritiriamoci di qua, disse Pao-kung al ministro Kin; io devo abbandonare per un momento il mio ufficio. Fra qualche giorno noi sapremo di certo il luogo, ove si nasconde vostra figlia, e la residenza della fata.» Il ministro lo ringraziò, e ritornò a casa sua.
Intanto Pao-kung ordinò al baccelliere Lieu-cen di starsene alla porta del tribunale con un’asta in mano, e sopravi un cartello, nel quale era scritto: «Colui che giungerà a conoscere la residenza della fata e della figliuola del ministro, avrà per ricompensa cinquanta mucchi di monete d’argento.» — L’indomani, di buon mattino, il giudice si recò al tempio del Dio Ceng-hoang7, con una tavoletta, ove era scritto lo strano caso da sciogliere. Dopo avere arso incensi e compite le cerimonie d’uso, il ministro dell’abisso ricevette la tavoletta e la porse al Dio Ceng-hoang; il quale accolte le supplicazioni del giudice, spedì subito le sue legioni infernali, perchè ricercassero in ogni luogo, e s’informassero quale spirito, qual genio o qual demonio aveva operato un siffatto prodigio. Le legioni infernali andarono, e ritornarono in un attimo, informando il Dio Ceng-hoang, che nel lago della terra di Pei-yen v’era un pesce d’oro, che viveva da mille anni, e che era un potente demonio. Allora il Dio Ceng-hoang ne informò il principe dei draghi, come colui che ha dominio sopra il regno delle acque, e lo pregò di voler far ricerca, e impadronirsi di quel pesce meraviglioso. Il principe dei draghi, informato di questo fatto, mandò le legioni acquatiche a inseguire per tutti i laghi questo terribile mostro. Ma il pesce-fata, che aveva una soprannaturale potenza, debellò e disfece le legioni acquatiche. Non sapendo a che partito appigliarsi, il principe dei draghi si rivolse rispettoso al sovrano signore del cielo; e il Supremo Signore spedì anch’egli le sue legioni celesti. Ma la fata sfuggì ad ogni investigazione, e si nascose nell’immensità dell’oceano. Come riuscire ad impadronirsene? — In questa alternativa il giudice Pao-kung, dalla mattina alla sera, era in continua relazione col Ceng-hoang, e questi sollecitato di nuovo il principe dei draghi, ottenne da lui che fossero chiuse ermeticamente le porte d’ogni mare, e si rincominciasse la ricerca del pesce portentoso. La fata inseguita per ogni verso, s’era intanto rifugiata nel mare meridionale.
Viveva allora, in prossimità della città, un povero vecchio molto pio, che aveva virtuosamente passata l’intiera sua vita, Aveva egli in grande onore e devozione un’immagine della dea Kuang-xi-yin, tracciata su della carta con semplice inchiostro nero; la quale immagine egli teneva appesa in una stanza di casa sua, ed ogni giorno non lasciava mai di tributarle la più grande venerazione. Ora il buon vecchio ebbe un sogno, nel quale gli apparve una donna che gli disse: «Và sulla sponda del fiume; là mi troverai. Conducimi dal giudice Pao-kung; e ti prometto che per tutta la tua esistenza avrai di che vivere agiatamente.» — Il vecchio si risveglio, e l’indomani prestamente andò sulla riva del fiume, e vide infatti una donna di mezza età, che tenendo in mano un cestello da pescatori, stava sotto un salice aspettando. Il vecchio andò a lei, ed ella gli disse: «Abitava già una volta nelle acque della terra di Pei-yen un pesce d’oro, potente mostro. Il principe dei draghi lo ha perseguitato con ogni sua forza, ma non riuscì a prenderlo; e il pesce d’oro fuggì nel mare meridionale, e si nascose sotto le foglie d’una pianta marina dai fiori di corallo. Ora, per la sola forza della mia voce, lo tengo qui in questo cestello, racchiuso per modo che non ha più potestà di fuggire. Il giudice Pao-kung mise fuori un bando, nel quale si prometteva una larga ricompensa a chi riuscisse a far noto, ove si nascondeva il pesce misterioso. Tu dunque mi condurrai da Pao-kung; ed egli avrà modo così di por termine alla strana avventura, che lo tiene agitato. Ottenuta pel mio servigio la ricompensa promessa, io te ne farò un presente.»
Il vecchio pieno di contentezza condusse subito la donna al tribunale, ove Pao-kung e il ministro stavano appunto insieme ragionando di quest’affare. Un ufficiale annunciò al giudice il loro arrivo; ed il giudice Pao-kung gli fece venire innanzi a lui, e domandò loro, quale era la causa che ve li conduceva; al che il vecchio rispose, esponendo al giudice tutto quello che la donna gli aveva detto. — «Questo è maraviglioso assai, disse Pao-kung; e ordinò che si liberasse quel pesce dal cesto, per udire dalla sua propria bocca tutta la spiegazione del come era andata la cosa. E quel demonio, che per la potenza di Fo8 era stato vinto e dominato, e rinchiuso in quella cesta, fu costretto a confessare le male arti che adoperava per traviare gli uomini; e da ultimo confessò pure che la figliuola del ministro l’aveva nascosta in una caverna, scavata in un precipizio, sui fianchi del monte che domina il lago e la terra di Pei-yen. Pao-kung udito il racconto che aveva fatto il pesce, voleva che si prendesse quell’animale e lo si arrostisse sul fuoco; ma la donna gli disse: «Questo pesce è stato formato per soprannaturale virtù a vivere mille anni, e non potrebbe esser tolto di vita nè pel fuoco, nè per altra forza umana. Io lo porterò meco, e lo terrò sempre presso di me.» — Allora Pao-kung ordinò al tesoriere di pagare alla donna i cinquanta mucchi di monete d’argento, promesse in ricompensa nel pubblico bando, e la mandò con Dio.
La donna uscita dal limitare della porta del tribunale, diede al vecchio il denaro, dicendogli. «Prendi questo denaro in ricompensa dello zelo e dell’assiduità, colla quale mi hai adorata, per lo spazio di tanti anni. Questo fatto sarà reso palese nel mondo intiero.» — Finite queste parole sparì. Il vecchio allora si ricordò della immagine di Kuang-yin, che teneva in tanta venerazione nella propria casa; e pensando che la dea stessa fosse quella che gli era apparsa sotto la figura della donna, arrivato a casa fece fare subito ad un pittore, con inchiostro nero, un’immagine di Kuang-yin, avente in mano una cestella da pesce. Tutti gli abitanti della città imitarono il suo esempio, e fecero fare di simili immagini, che furono sparse rapidamente per ogni luogo. Questa fu l’origine della Dea Kuang-yin dalla cesta del pesce, come oggi si chiama, e come oggi si venera.
Tornando ora al giudice Pao-kung, saputo egli ove era stata nascosta dalla fata la figliuola del ministro, subitamente mandò alcuni uomini a farne ricerca nella caverna della montagna. Là fu trovata come morta, e fu condotta alla residenza del giudice: non dava più segni di vita, ma dalla parte del cuore si sentiva un leggero tepore, che faceva nascere qualche speranza di salute. Molti medici furono per guarirla e per camparla; e tutti dissero d’accordo che solamente l’alito di un uomo che avesse colla fanciulla comuni destini, e al quale il fato l’avesse destinata a sposa, l’avrebbe potuta richiamare in vita. Per la qual cosa il giudice, colto da un’improvvisa idea: — «Chi mai può egli essere quest’uomo destinato dai fati a sposo di vostra figlia, disse risolutamente al ministro, se non il baccelliere Lieu-cen? Fatelo dunque ricercare, e acconsentite a maritare con lui la giovinetta, se volete salvarla dalla morte.» — Si chiamò infatti Lieu-cen, e questi col fiato suo alitò sul corpo della fanciulla; e di subito la fanciulla ritornò in vita. Tutte le persone, che si trovarono presenti al fatto, asserirono di non aver giammai veduto nulla di più maraviglioso.
Pao-kung al colmo della gioia, ordinò che si conducessero i giovani nella residenza del ministro; e la sera stessa si celebrarono le nozze tra Lieu-cen e la rinata fanciulla.
Lieu-cen coll’andare del tempo acquistossi gran fama appresso i letterati; ottenne un’onorevole magistratura, ed ebbe poi due figli, che divennero uomini di molto merito e di grande considerazione.
Note
- ↑ [p. 87 modifica]In Cinese: tu-ce Yun-cuang, letteralmente: costantemente voleva il profumo della pianta Yun e la finestra; questa locuzione vuol dire, egli desiderava star sempre tra i libri e lo studio. Abbiamo visto alla nota (2) della Novella IV. p. 50. come l’espressione stare alla finestra o sotto la finestra, significhi stare studiando. Imperciocchè la tavola ove uno scrive o legge è quasi sempre posta in prossimità della finestra nella stanza di studio. Il profumo della pianta Yun poi, stava a significare i libri, i quali per solito tramandano l’odore di tale erba. «Yun, dice il dizionario cinese di Kang-hi, è un’erba odorifera, il cui profumo fa fuggire gli insetti dalla carta; ed ecco perchè gli scaffali, che racchiudono i libri, si chiamano gli scaffali dell’erba Yun. Kang-hi se-tien. clas. 140 p. 10.
- ↑ [p. 87 modifica]L’imperatore Gen-zung della dinastia di Sung regnò dall’anno 1023 al 1066 d. c. L’anno Oang-yen di questo imperatore corrisponde al 1049 d. c.
- ↑ [p. 87 modifica]Questa festa cade il quindicesimo giorno del primo mese, ossia il 15 Gennaio. Si celebra in tutte le città della Cina con pompa e strepito maggiore ancora che non la solennità del primo dell’anno: e si accendono in questa circostanza più di duecento milioni di lanterne.
- ↑ [p. 87 modifica]Cang, misura di dieci ci o piedi cinesi.
- ↑ [p. 87 modifica]I Cinesi amano molto la calligrafia, e non è raro il vedere i loro salotti ornati di quadri contenenti saggi calligrafici, come da noi si ornano le pareti con litografie od altre stampe.
- ↑ [p. 87 modifica]Tu ze-mei, più comunemente conosciuto col nome di Tu-fu, è con Li-tai-pe, uno dei più celebri poeti della Cina, Tu-fu era nativo della provincia di Wu-cuang; Li-tai-pe della provincia di Secuen. Furono entrambi contemporanei, e fiorirono sotto il regno dei due imperatori della dinastia di Tang, Yuan-zung e Su-zung (713-762 d. c.)
- ↑ [p. 87 modifica]Ceng-hoang Miao, o Tempio del Ceng-hoang, è un tempio che si trova in tutte le città dell’impero, e contiene la divinità tutelare. Ad essa ricorrono i magistrati nelle difficoltà che incontrano nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche.
- ↑ [p. 87 modifica]Fo, nome cinese del Buddha. Kuan-xi-yin divinità buddhica.