Novelle cinesi tolte dal Lung-Tu-Kung-Ngan/Novella VII
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Traduzione dal cinese di Carlo Puini (1872)
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VII.
LA PALLA D’AVORIO.
E’ fu già un tempo quel ch’io dirò. Era nella capitale della Cina, di nobile ed illustre lignaggio, un uomo ricco nominato Fan-Yuen-lieu, che la gente chiamava, per fargli onore, Cang-ce, il venerando. Aveva egli un figliuolo, a cui pose nome Sieu, vago e gentil giovanetto, il quale, giunto all’età di diciannove anni, s’era acquistato nel collegio il grado di baccelliere.
Cadeva la festa dei morti,1 e Gang-ce preparatosi pei sacrifici da farsi alle anime dei defunti, s’avviò con ricche offerte al luogo ove erano le tombe della famiglia. Fra le ricchezze di casa v’erano due palle d’avorio rosso, squisitamente lavorate, che erano le più preziose cose che mai fossero nel regno: l’avolo della famiglia le aveva ricevute in dono dai suoi antenati, e rimontavano a tempi molto antichi. Dopo un pezzetto che Gang-ce fu uscito di casa, il figliuolo Sieu uscì pur esso, e presa una di quelle palle d’avorio, s’avviò giuocherellando con essa, alla funebre cerimonia. Aveva fatto pochi passi fuori di casa sua, allorchè s’accorge che nell’abitazione del signor Lieu, che era in faccia alla casa paterna, il balcone era stato di fresco tinto d’un bel color rosso. E guardando, vede sotto le persiane di bambù, mezzo calate, la parte inferiore d’una gonnella di seta, che lasciava scoperti due piedini... i più piccoli e graziosi piedini che si possano immaginare. Il giovane Sieu dimenticò la festa dei morti, le anime dei defunti, l’esequie e i sacrifici; e tutto assorto in quella vista, rimase là incantato, con gran desiderio di vedere quel che ancora si nascondeva ai suoi occhi, dietro la modesta gelosia. E stando così, uno scioperone che era in sulla porta di quella casa, con modi garbati e voce rispettosa: «Potrei domandare a vostra signoria, gli disse, che cosa sta ella qui aspettando?» — E Sieu gli dice qual’era l’oggetto che tanto stuzzicava la sua curiosità. — «Se desiderate vedere quella fanciulla, riprese costui, niente di più facile. Io v’insegnerò un’astuzia: giuocate colla vostra palla, come facevate poco fa; e così giuocando gettatela entro il balcone, come se la vi fosse caduta a caso: andatevene poi su in casa, colla scusa di cercare la vostra palla e ripigliarla. Allora avrete agio di vedere quel che vi pare e piace.» — Il giovanotto fece a quel modo che gli si diceva; gettò la palla in sul balcone, dove era la donna; poi andò in casa per riaverlo. E vide la fanciulla, che di viso era bella quanto il sole, e nella persona sì gentile che non v’aveva la pari. Il garzone le fece riverenza; e la fanciulla, che aveva nome Hoa— hien, gli disse: «Perchè, signor mio, siete venuto qui?» Al che il garzone rispose: «Giuocaudo, la palla m’è andata sul vostro balcone, e son venuto a riprenderla. Non vorrei che credeste, ch’io lo abbia fatto apposta per reccarvi offesa: mai no; ve ne chieggo scusa, e spero che non me ne vorrete aver mal’animo.» — Quella fanciulla, visto che la figura del giovane era piacevole, ne fu presa d’amore in cuor suo; e sorridendo soggiunse: «Gran ventura, o signore, è la mia d’incontrarvi. Mio padre e mia madre sono andati alla festa dei morti, ed io sarei rimasta qui sola sola. Vuo’ che rimaniate a bere una tazza di vino, intanto che c’intratterremo un poco in piacevole conversazione.» — A quel parlare Sieu, dubitando che la fanciulla non dicesse da senno, non osava risponder verbo, e stavasene muto e confuso; per lo che essa presolo per le falde dell’abito, e tenutolo forte, gli disse: «Se non acconsentite, vi meno subito da messer lo giudice, e gli narro come voi osaste venire in casa d’una fanciulla:» — A Sieu piacque meglio d’esser condotto nei reconditi ed odorati appartamenti della giovanetta,2 dove allegramente per più fiale si riempirono le tazze; e già i giovani spiriti dei due garzoni erano non poco esilarati dalle copiose libazioni di generoso vino, allorchè la fanciulla domandò al giovane baccelliere: «Quanti anni avete, signor mio?» — «Diciannove primavere sono già scorse da che io nacqui:» rispose Sieu. — E la fanciulla di nuovo: «Fate voi all’amore con qualche damigella?» — «No, non son per anco fidanzato:» replicò il baccelliere. — «Ed io nemmeno conobbi uomo ancora, continuò Hoa-hien. Se a voi non dispiace un matrimonio fatto senza altre cerimonie che ’l piacer che n’avremo, senza altri testimoni che l’amore,3 io sono tutta disposta a fare il piacer vostro» — Sieu ognor più maravigliato rispose: «Già abbondantemente fui regalato di vino; ed ora voi volete colmarmi di piacere, coll’offerta di voi stessa! Ma, dite, se i vostri genitori lo verranno a sapere, che sarà di me e di voi? — «Non dubitate, nè vi pigliate pensiero di ciò, replicò la giovanetta; nessuno osa violare gli appartamenti d’una fanciulla; qui siamo al sicuro e segreti: mio padre e mia madre non sapran nulla.» — Sieu veduto che la giovanetta aveva forte desiderio di lui, ripieno com’era di commozione e d’amore, s’assise con lei su d’un soffice letto: ed una serica cortina nascose alla luce del sole la felicità dei due amanti.4
Era già tempo di separarsi: il garzone, riprese ed indossate le vesti, diceva addio alla fanciulla, quando essa, trattenutolo, gli parlò così: «Dopo quanto è passato fra noi, il mio onore e il mio avvenire è ora nelle vostre mani. La felicità di cui oggi godemmo, non si darà un’altra volta, che io creda. Io non fui promessa in moglie ad alcuno, nè voi a sposo di nessuna fanciulla: perchè dunque fra le nostre famiglie non si fa un parentado, che ci leghi entrambi coi vincoli del matrimonio?»
Sieu approvò molto l’idea della fanciulla; e i due garzoni alzate le mani al cielo, chiamandolo a testimonio dei loro voti, giurarono che giammai, qualunque cosa succeder potesse, nessuno dei due avrebbe infranta la promessa che essi facevano, di serbarsi fede per tutta la vita.
Il baccelliere ritornò a casa; ma dopo quel giorno, egli non faceva che pensare agli istanti felici, che aveva passati assieme alla giovanetta. Egli era come ebro, come pazzo; l’immagine di lei stavagli sempre innanzi agli occhi; sicchè ne cadde in tanta malinconia e tristizia, che i genitori temendo per la sua salute, erano di continuo a domandargli la causa di sì grande afflizione. Egli, in principio non osava dirla loro: finalmente un giorno fatto più ardito narrò i suoi amori colla figlia di Lieu, e il desiderio che egli aveva d’ottenerla in isposa. I genitori impietositi mandarono subito dal padre della fanciulla per concertare il matrimonio dei due giovanotti. Ma il padre rispose, che, non avendo maschi, egli non avrebbe maritata la diletta sua Hoa-hien, se non a condizione che lo sposo andasse ad abitare in casa di lei. Dall’altra parte Fan Yuen-lieu, riflettendo, che egli pure non aveva altra prole che quel figliuolo, non poteasi indurre ad allontanarlo da sè, nè voleagli permettere che andasse a stare col suocero; e ricusò d’acconsentire a un matrimonio fatto a tali condizioni. Per la qual cosa l’unione dei due amanti divenuta impossibile, il giovane Sieu se ne affliggeva fortemente, e il padre lo consolava spesso, dicendogli: «A che affliggerti? Perchè Lieu non acconsente a darti sua figliuola, hai tu forse timore di rimaner senza moglie? Qui nella capitale sono tante nobili ed illustri famiglie! Datti pace, chè io farò tutto il possibile per trovarti una sposa che ti renda contento.» — Il giovinotto, per quanto addolorato, pur finalmente si sottomise alla volontà del padre; e rompendo la fede promessa alla fanciulla Hoa-hien, consentì a sposarsi colla figliuola di certo Sin.
Arrivato il giorno delle nozze la casa Fan-sieu, ripiena di festosa brigata, risuonava di canti, suoni e grida gioiose. La fanciulla Hoa-hien era affacciata al balcone, sperando di veder l’amante; e udendo tutti quei suoni e quei canti, domandò ad una sua fantesca, per qual cagione nella casa dei Fan si facesse tanto strepito e tanta allegria. — «Il figliuolo si fa sposo con la fanciulla dei Sin, riprese la fantesca; ed oggi si celebrano le nozze.»
A queste parole Hoa-hien, rimembrando quel che era passato tra lei ed il giovanetto Sieu, e il giuramento che egli aveale fatto, dette in un pianto dirotto. La vergogna del fallo commesso ritornavale viva alla memoria: sentissi mancare gli spiriti, serrarsi il cuore; e cadde morta pel duolo. Il padre e la madre sua versarono molte lacrime e furono afflitti da grave dolore, nè seppero mai la causa della sua morte. Finalmente dopo che furono fatti i funerali, i genitori della fanciulla ordinarono a due domestici di portare il cadavere della figliuola al cimitero, fuori della porta meridionale della città. E così fu fatto.
Li-sin, uno dei due servi che avevano portata al cimitero la fanciulla, terminato che ebbe il suo ufficio, ritornossene in sul far della notte alla casa dei suoi. Ma egli non potea lasciar di pensare alla fanciulla che aveva seppellita. Stavagli sempre innanzi agli occhi la vaga immagine di lei, nè il suo cuore potea staccarsi da quella visione. Laonde non trovando riposo, disse ai parenti che un affare importante lo costringeva a uscir di quell’ora; che andava via, e che non sarebbe tornato innanzi d’aver terminata ogni sua bisogna. Parte e va al cimitero.
Era la seconda ora di notte: al chiarore della luna, che faceva piovere una pallida e fioca luce su quel triste soggiorno, Li-sin ricerca la tomba della fanciulla; ne scava la fossa, apre la bara, e contempla quel corpo sì bello, che parea dormisse un placido sonno. Preso da acerbo rammarico di vederla morta, e da un forte desiderio di possederla, ne abbraccia il rigido e freddo cadavere, e pensa di passare la notte in quel sepolcro. — «Ella è morta questa fanciulla, diceva egli, e sopporterà di buon animo i miei baci e le mie carezze.» — Le toglie le vesti funebri che la coprivano, e si giace nella tomba accanto al corpo esanime della giovinetta. Non andò guari, che un leggero movimento scosse le membra della donna, già contratte dalla morte: gli occhi di lei a poco a poco s’aprirono; poi un soffio di vita animò il suo corpo: l’anima risvegliossi, e con fievole voce potè domandare: «Chi sei tu che osi giacerti meco?» — «Io sono Li-sin, il servo di casa vostra, rispose l’uomo spaventato. A me il padrone ordinò di seppellirvi in questo luogo, dopo che foste morta. Ma non mi dette l’animo d’abbandonarvi, e venuta la notte, aprii la tomba vostra e la bara; vi vidi e... d’improvviso ecco che tornate di nuovo alla vita. Sia lodato il cielo che ci concesse tanta felicità.» La fanciulla, che aveva già riconosciuto il servo, ricordossi subito di quel che era accaduto nei giorni passati in casa sua, e gli disse: «Or ben mi sovvengo che io morii di dolore e d’angoscia, a causa di quello spergiuro di Lieu. Oggi il cielo mi ridona l’anima. Questo fortunato evento sembra opera del destino: fu certo il destino che vi condusse a riaprirmi la tomba e a ridarmi la vita. Il beneficio che mi avete fatto non ha ricompensa bastevole. Io non ritornerò dunque da mio padre, ma sarò vostra moglie, e voi a me sarete consorte. Tutto quel che v’ha di prezioso nel mio sepolcro è vostro; prendetelo e andiamo.»
Li-sin colmo di gioia, raccolse gli abiti diversi, gli ornamenti e le altre preziose cose, che erano state deposte nella tomba; e con quelle, e assieme alla fanciulla Hoa-hien, s’avviò a casa.
Non era ancora spuntata l’alba, quando vi giunsero, e batterono alla porta. Venne ad aprire la madre di Li-sin; la quale veduto il figliuolo ritornarsene a casa con una donna, maravigliossene molto, e lo domandò chi ella fosse. — «Questa fanciulla, rispose Li-sin, stava coi miei padroni al servizio della loro povera figliuola, onde noi ci conoscevamo già da molti anni. Ora essendo morta la padroncina, ha approfittato di questa circostanza, per lasciare quella casa e unirsi meco in matrimonio. Ecco perchè così di buon mattino ve l’ho condotta qui, affinchè ella conosca i suoi nuovi parenti, e voi altri lei. La madre credendo alle parole del figliuolo, riceve in casa sua la fanciulla; la quale vivevasene con Li-sin, come se la fosse proprio sua moglie.
A questo modo, amandosi di reciproco amore, i due sposi passavano i loro giorni; nè la gente avrebbe mai pensato, che quella fanciulla fosse Hoa-hien, la figlia del nobile Lieu. Intanto Li-sin, che era povero assai, vendette tutte le ricche vesti e gli ornamenti preziosi, che i pii genitori avevano posto nella tomba della figliuola, e che ella avevagli regalati; e mise così assieme un certo peculio, che bastava a far fronte ai bisogni della vita. Eran già sei mesi che Hoa-hien stava nella casa del suo antico servitore, quando una notte d’inverno, a cagione del molto fuoco che facevasi per vincere il rigore del freddo, s’appiccò un incendio alle case contigue a quella di Li-sin. L’incendio propagossi in poco d’ora, e la casa stessa di Li-sin fu anch’essa preda delle divoratrici fiamme. Hoa-hien spaventata e confusa, senza pensare ad altro che alla propria salute, colle sole vesti che aveva indosso fugge via, per campare la vita dal fuoco, perdendo nel trambusto il marito ed ogni sostanza. Aveva percorse in quella notte buia e fredda già molte strade della città, traversate piazze e viuzze, in cerca d’un rifugio, e non trovando luogo ove posare lo stanco e intirizzito suo corpo. Ecco si ferma d’improvviso: le sembra riconoscere nell’oscurità le case che le stavano innanzi: sì, quella è la casa sua; là abitano suo padre e sua madre. Corre, e picchia finalmente alla porta della casa paterna.
— «Chi è là che bussa»: domanda dall’interno la voce d’un servo.
— «Son io; Hoa-hien che torna a rivedere il padre e la madre sua; aprite per pietà.»
— «Hoa-hien! riprende dall’interno la voce spaventata del servo. Hoa-hien è morta da sei mesi; come può ella venire a picchiare a questa porta? — Ah! comprendo; tu sei lo spirito crucciato di lei. Quietati; domani verremo alla tua tomba a placarti. Tuo padre e tua madre ti sacrificheranno con molto pianto e vesti e cibo, e bruceranno incensi sul tuo sepolcro. Và via, và via, ritorna nella tua tomba, spirito crucciato.» E in così dire il servo fuggì senza nemmeno osare d’aprire un momento l’uscio di casa.
Hoa-hien voleva avvicinarsi di nuovo a quella porta: voleva allontanarsi di là; ma gli mancarono le forze, e cadde spossata, versando un torrente di lacrime. Un vento gelato soffiava con impeto; e il freddo penetrava le ossa della povera fanciulla, alla quale nessun schermo erano i leggeri vestimenti che indossava. Ove fuggire, ove rifugiarsi? Volgendo intorno gli occhi smarriti e velati di pianto, lo sguardo si volge verso le finestre della casa vicina, per le quali traluceva il chiarore tremolante delle interne lampade. Era la casa dei Fan: la famiglia pareva sedere tuttora a mensa. Rianimata alquanto dalla speranza Hoa-hien si alza, e va a picchiare all’uscio della casa dei Fan.
— «Chi è là che bussa?» domanda il portinaio meravigliato. E la fanciulla rispondendo alla voce che udiva venir dall’interno:
— «Sono Hoa-hien, dice, la figliuola di Lieu. Forse il signore della casa si ricorderà di me: tempo fa giuocando con una palla d’avorio, egli ebbe occasione di vedermi; e facemmo allora intima conoscenza. Ho da parlargli di una cosa che lo concerne: ditegli che son venuta apposta.»
Il servitore va via, e narra il caso a Fan-Lieu; e questi: «Come può essere la figliuola del mio vicino di rimpetto, esclama, se è più di sei mesi che è morta! Senza dubbio è l’anima sua irrequieta che vaga senza riposo.» E ordinò al servo d’accendere dei lumi, far qualche sacrificio, e bruciare un po’ d’incenso per la requie di quell’anima. Intanto egli armatosi d’una spada apre la porta, e si slancia fuori5, e vede infatti la fanciulla in ginocchio, piangente, che domanda pietà. — «Tuo padre e tua madre sono molto ricchi, và da loro, le dice Lieu; contentati di quest’incenso che io brucio per la salute dell’anima tua. Val via di qua: perchè annoiarmi con cotesti tuoi gemiti continui?» — Dopo aver detto ciò, e dopo bruciato alquanto incenso, ordina al servo di chiuder la porta.
Ma Hoa-hien seguitava a domandar pietà con voce straziante; nè voleva, nè poteva partirsi. Allora Lieu cieco di collera, riviene sopra i suoi passi, la spada sguainata, e vibra con tutta forza un colpo: quindi serrata la porta, se ne ritorna in casa, e vassene a letto.
È l’ultima ora di notte. La ronda, che percorreva le vie deserte della città, s’arresta spaventata innanzi alla casa dei Fan. Una donna colla testa mozza giaceva ivi sulla soglia della porta, in un lago di sangue. Si corre subito a farne consapevole il magistrato. Tutto il quartiere n’andò a romore: per le strade e le botteghe vicine non si parlava che del misterioso assassinio. La notizia giunse agli orecchi di Lieu, il quale rammentando quel che era successo la notte precedente, temette d’indovinare chi fosse la vittima uccisa. Passa egli nell’ansia il giorno, e stando in questa incertezza ha un sogno, nel quale gli appare la figliuola Hoa-hien, che gli dice: «Io fui uccisa da Fan-sieu. Vedete il mio cadavere alla porta di casa sua. Padre mio, e voi mia madre, vendicate la figliuola vostra innocente.» — Ciò detto, piangendo sparì.
Lieu svegliatosi narra il sogno alla moglie. E pensando a ragione che qualcuno avesse aperto il sepolcro di Hoa-hien, il domani appena giorno si reca al cimitero a visitare la tomba della figlia. Infatti riconosce che quella tomba era priva del cadavere, e vuota d’ogni cosa che v’aveva messo.
Senza por tempo in mezzo, rende informato il giudice Pao-kung della violazione della tomba di sua famiglia; e Pao-kung ordina che s’inviti Fan-sieu, su cui cadevano i sospetti d’un tale atto, a recarsi innanzi al suo tribunale. Non andò molto che l’ufficiale, mandato ad arrestare Fan— sieu, ritornò col giovane; e lo condusse nell’aula, ove era il giudice Pao-kung. Questi lo domandò intorno alla violazione del sepolcro, dal quale insieme al corpo della morta erano stati portati via tutti gli oggetti preziosi, che la famiglia vi aveva deposto, e intorno all’assassinio di quella fanciulla, che fu trovata uccisa innanzi alla porta della casa di lui. Ma Fan-sieu che non sapeva che la tomba di Hoa-hien fosse stata aperta, e come ne fosse stato tolto il cadavere, non aveva parole per rispondere alle interrogazioni del giudice: solamente, siccome Pao-kung si ostinava pur sempre a voler saper qualche cosa, confessò che nella notte passata aveva tagliato la testa all’anima d’un morto che era apparsa intorno casa sua.
Pao-kung dubitando, per la stranezza del racconto di Fan-sieu, della verità del fatto, e non avendo prove per decidere, lo fece chiudere in prigione, e scrisse in una carta, che ordinò si affiggesse a tutte le porte della città, la intera esposizione del caso. In essa carta, dopo aver narrato come fosse stato arrestato Fan-sieu accusateo d’omicidio e d’avere aperta la tomba di Hoa-hieh, e detto come fosse impossibile decidere la questione, inquantochè Fan-sieu si diceva innocente, si terminava finalmente promettendo una ricompensa di mille monete d’argento a colui che aveva aperto il detto sepolcro, e aveva fatto rivivere la fanciulla, se questi si portava al tribunale come testimonio, affinchè il giudice per suo mezzo potesse scoprire la verità.
Il servo Li-sin visto il bando, allettato dalla ricompensa, si recò al tribunale; narrò il caso occorsogli, e chiese l’argento promesso. A questo modo Pao-kung giunse a sapere la causa che aveva ricondotto alla vita la giovanetta Hoa-hien, supposta morta; e considerando che Li— sin, coll’aprire il sepolcro, era stato la cagione per la quale Fan-sieu aveva commesso quell’involontaria uccisione, condannò lo stesso Li-sin, come omicida, alla pena del capo; e che il corpo di lui venisse poi esposto in sulla pubblica piazza. In quanto a Fan-sieu lo mandò libero a casa sua, considerandolo irresponsabile dell’uccisione d’una persona che egli riteneva per morta.
Ma Fan-sieu pensando alla sorte di Hoa-hien, e ai suoi amori con lei, e alla fede che le aveva promesso; e che egli poi era stato, che l’aveva uccisa di propria mano; divorato dal rimorso e dal dolore, morì dopo lunga e crudele malattia. Così fu vendicato l’infelice fanciulla.
Note
- ↑ [p. 103 modifica]La festa dei morti, in Cinese Zing-ming, cade il ventitreesimo giorno della seconda luna, ossia il cinque d’Aprile.
- ↑ [p. 103 modifica]Gli appartamenti delle donne, o gineceo, sono chiamati dai Cinesi HIEN-KUEI, l’odorata dimora, ovvero XEN-KUEI, la remota o profonda dimora.
- ↑ [p. 103 modifica]In Cinese: PU-HIEN YIN-PEN-CI MING, se non vi ripugna il nome di matrimonio clandestino. Pen, to contract a marriage in an irregular hurried manner, withaut the necessary presents: Morrison, Dit. Cin. 2.a Ed. Vol. II. p. 194.
- ↑ [p. 103 modifica]In cinese: er’-gen tung-giu lo-hui kung-kiai yuen-liu yun-xeu yu-san: Le due persone entrarono assieme tra le cortine di seta e uniti entrambi come l’uccello Yuen e la di lui compagna, la nuvola riceveva, la pioggia cadeva. Per l’uccello Yuen, V. la nota (2) della Novella V. Yun-yu, nuvole e pioggia, è una frase che indica i piaceri sessuali.
- ↑ [p. 103 modifica]Secondo i cinesi il modo più efficace per scongiurare gli spiriti, le streghe, i fantasmi, e per renderli innocui agli uomini, è quello di tagliar loro la testa. Il mezzo è in vero abbastanza energico, ed è appunto quello che Lieu vuol fare sulla povera fanciulla che egli crede uno spirito.