Capo III

../Capo II ../Capo IV IncludiIntestazione 17 ottobre 2024 100% Da definire

Capo II Capo IV

[p. 44 modifica]

CAPO III.

La marchesa Elena Malaspina versava tranquillamente il the dal cogomo d’argento, colla sua bella grazia di donnina elegante, tutte curve gentili, colle maniche cortissime ornate di merletti neri che facevano spiccare la mano piccola, bianca, ingemmata. Diana era in un angolo, accanto al duca San Pietro. Quei due non si parlavano, che a monosillabi, raramente, guardandosi invece con una intensità profonda ed appassionata, rievocando il passato con un sorriso cancellato appena comparso, per convenienza, con una parola susurrata, due sguardi che s’incontravano baciandosi per via. Attilio da quella prima sera in cui l’avea rivista in casa della marchesa, non aveva più osato dirle apertamente che l’amava ora davvero, più di prima, con una passione profonda, acre, morbosa; che sentiva di diventar debole, piccino accanto a lei che l’aveva soggiogato. Non diceva nulla, e Diana capiva tutto e si abbandonava sognando all’ebbrezza divina di sentirsi amata e di amare.

Miriadi di fantasmi bianchi e soavi le passavano dinanzi in quei momenti di obblío, e le danzavano avanti agli occhi con cadenze gentili, intrecciandosi vagamente, formando un grande [p. 45 modifica]riparo che per un momento non le lasciava più vedere la realtà.

Il conte Gastone di Spa guardava Elena, e si sentiva riafferrato da quello strano turbamento che aveva provato accanto a lei lungo l’Arno, quel giorno in cui l’aveva trovata.

— Dunque il matrimonio del conte Raul è stabilito, disse la marchesa.

— Davvero? sclamò Diana per interessarsi al discorso.

— Davvero. Sposa la contessina Costanza Santelmo; è un amore vecchio. La conoscete voi baronessa Torre? disse volgendosi ad una signora ch’era accanto a Gastone, piccola, elegantissima, piena di brio, e tanto convinta d’essere bella che finiva per parerlo.

— Io no, forse l’ho vista, ma non me ne ricordo, è bella?

— Gli uomini dicono di sì. E una bellezzina borghese, da figlia di droghiere, nè bionda, nè bruna, cogli occhi sporgenti senza esser grandi, una vitina piccola, ma un corpo meschino, le mani smorte, non bianche, Raul l’adora, e lei si lascia adorare, fa delle toelette splendide che non le figurano addosso, e si fa corteggiare dai giovanotti per conservare il piccante nella salsa d’amore del conte Raul.

— La dicono un’anima dolce, buona, serena, ha il nome fatto d’essere un angiolo, disse ridendo la Torre.

— Aspettate che l’angelo abbia accanto il demonio e le tentazioni..... Non è vero conte di Spa? [p. 46 modifica]

Gastone si scosse. Da un poco s’era distratto a guardare Elena; sentiva ad un tratto una voglia irresistibile, prepotente, pazza, di baciare il braccio di Elena, baciarlo li sopra all’attaccatura del polso, dove il braccio s’allargava dolcemente, spezzato dal cerchio d’oro scintillante.

— Nevvero, conte, ch’è difficile fuggire le tentazioni? ripetè lei.

— Impossibile, marchesa, impossibile, rispose Gastone, chiudendo gli occhi per non vederla, per liberarsi da quel pensiero ch’era una sciocchezza.

Ma l’ambiente caldo della stanza, il profumo del thè fumante, il scintillío dei lumi, gli appesantivano la testa; involontariamente sognava un altro salotto più piccolo, più tepido, con un divanetto nascosto nella penombra, su cui Elena posasse col braccio nudo, inarcato sotto la testa.

Gastone diventava poeta, raffinava il sentimento ed il cuore, per porgere il suo omaggio d’ammirazione e di desiderio alla marchesa.

— Il conte Raul è un uomo di spirito, colto e gentile, disse la Torre storditamente, senza pensare che Gastone era il suo avversario.

Ma il conte di Spa era troppo educato e troppo furbo per non approvare vivamente, rispose subito alla baronessa:

— Il conte Raul è un perfetto gentiluomo, ed è una fortuna essergli amico, è un uomo superiore per ingegno.

— Vi è dell’esagerazione, interruppe Elena, di spirito, di spirito! spirito di società, memoria e maldicenza. [p. 47 modifica]

Ha uno zio ministro ed uno ambasciatore, lui stando in mezzo e prendendo da una parte e dall’altra è diventato deputato, e verrà senatore. Credete a me, per brillare tutto sta mettersi sotto la luce buona; un diamante all’oscuro val meno d’un vetro al sole.

Elena parlava in fretta, vivacemente, con un piccolo sorriso che velava d’ironia le sue parole, e quasi le contraddiceva, come se intimamente la marchesa non dicesse proprio ciò che pensava, ed era vero. Elena capiva che Gastone in fondo al cuore le era profondamente riconoscente di quella cattiva insinuazione, e per un capriccio qualunque voleva soddisfarlo, - come per un altro capriccio, od una fine diplomazia, soggiunse subito:

— Del resto Raul è un giovane tanto simpatico, da far perdere la testa a qualunque donna seria.

Gastone si morse le labbra, Diana dal suo angolo sorrideva vagamente. Il duca Attilio si chinò un poco verso di lei:

— Diana suonate ancora quella rêverie di Blumenthal?

— No, non l’ho più suonata.

— Da quel giorno?

— Da quel giorno.

— Oh! Diana, mia povera Diana perdonatemi....

— Tacete, duca, disse la contessa con un soffio lievissimo di voce.

Era la seconda volta che Attilio le domandava il perdono, che ella gli aveva accordato da [p. 48 modifica]tanto tempo nel profondo del cuore. E non poteva, non doveva dirglielo; seguitava a tener la faccia rivolta dall’altra parte, con un sorriso inchiodato sulle labbra, fissando senza vedere Elena, suo marito, la baronessa Torre, sentendo una forza potente che la trascinava a voltarsi, a guardar Attilio, a narrargli con una parola tutto il romanzo del suo povero cuore.

— Credevo che certe donne sapessero ricordare! ripetè Attilio. La lasciò e venne vicino alla marchesa.

Diana era pazza di dolore e d’amore; stette un momento colla testa china, lasciando sanguinare la ferita, lacerandola colle proprie mani, poi si alzò adagio, s’avvicinò al piano ed incominciò la sublime melodia di Blumenthal: L’Amour. Alle prime note che si svolgevano lente, profonde, tutti tacquero. Attilio pallidissimo, tremando di passione la contemplava ricordando ad una ad una tutte le sensazioni di quel tempo d’amore, le parole, i sorrisi, le strette di mano lunghe, interminabili, elettriche, ricordando quel bacio, il primo, l’unico, sulla fronte di Diana.

Quando la melodia si spense, una lagrima cadde dal ciglio della contessa. Era tutta la rivelazione da tanto tempo nascosta, era la colpa, era il delirio del suo povero cuore ambasciato che si confessava in quel momento.

Attilio venne dietro di lei, e cogli applausi che Diana non sentiva, disse semplicemente: Grazie.

Il conte Raul entrò più tardi nel salotto della [p. 49 modifica]marchesa Malaspina. - Era un bel giovane, ma a prima vista non colpiva per nessuna qualità fisica particolare.

Aveva gli occhi nerissimi, ma un po’ nascosti sotto la fronte, la bocca ironica, le guancie d’un bruno pallido, una faccia scettica, più che melanconica. Era un uomo di grande ingegno, che aveva studiato profondamente, ambizioso di raggiungere il suo ideale ch’era nobile ed alto.

S’era innamorato di Costanza Santelmo, perchè quella fanciulla bellissima, mite, soave, quell’incarnazione della donna gentile, gli aveva fatto intravvedere il punto luminoso, lo scopo, il premio della sua vita studiosa e travagliata.

Raul non le aveva fatto la solita corte banale dei soliti vagheggini, le aveva preparato nel profondo del cuore un trono altissimo, l’aveva posta al disopra di tutte le cose, le aveva dedicato un culto divoto, sempre restando serio, sempre restando uomo vicino a lei, eppoi le aveva chiesto un giorno, colla voce commossa da un’emozione dolcissima, cogli occhi scintillanti di speranza e di passione:

— Costanza, volete accettare il mio amore, volete farmi felice, volete farmi grande? Vi giuro che per voi farò tutto.

Costanza rossa di pudore e di orgoglio, gli aveva offerto tutta la sua anima candida, in uno sguardo ch’era uno sprazzo di luce, ed aveva detto semplicemente:

— Accetto, Raul, perchè vi amo. [p. 50 modifica]

Ed in quei cuori nobili e schietti, il giuramento doveva essere sacro ed inviolabile.


La marchesa Elena gli venne incontro, offrendogli le mani da stringere:

— Caro conte abbiamo parlato di voi.

— Male? disse Raul sorridendo.

— Vi pare? ripetè Elena, gettandogli in faccia il sorriso umido e scintillante della sua bocca perfetta, che le illuminava tutta la faccia; abbiamo detto di voi ciò che merita il vostro ingegno ed il vostro cuore..... cioè vostro..... la marchesa si interruppe guardandolo cogli occhioni grandi.

Raul s’era abbujato subito in volto a quell’allusione, gli ripugnava che il suo amore fosse oggetto di scherzo, per la leggerezza d’una marchesa.

— Via, perdonatemi, riprese lei cogliendo a volo il malumore del conte e cercando subito di dissiparlo.

Raul s’inchinò a lei ed a tutte le persone del salotto, che non aveva ancora salutato, fermando un momento lo sguardo su Diana di Spa e su Attilio che si guardavano, dimenticandosi. - Gastone fissava Elena sempre più turbato; avrebbe voluto dirle qualche cosa di intimo, di confidente, e non sapeva bene che cosa fosse, probabilmente se si fosse trovato solo vicino a lei, le avrebbe detto ch’era bella, troppo bella, e aspettava con ansia il momento di parlarle, di sederlesi [p. 51 modifica]accanto, di aspirare il profumo del fazzoletto di trina che la marchesa teneva sempre in mano, morsecchiandolo.

Ma Elena continuava a stare vicina al tavolo, prendeva colle morsette d’argento i pezzettini di zuccaro e li lasciava cadere nella tazza di Kaul, sempre continuando a guardarlo.

— Basta, marchesa, grazie, disse il conte.

Elena gli porse la tazza e le pastine.

Quello del thè, continuò Raul, è un vizio che ho preso a Londra, non ne posso far senza, il vostro è eccellente, marchesa.

— Caro quel vizio, rispose Elena, saettandolo cogli occhi, che mi procura il piacere di servirvi, Raul.

Gastone impallidì, e vide dinanzi agli occhi un abbarbaglio rosso; Raul s’inchinò di nuovo freddamente, con calma:

— Marchesa, siete sempre gentile, troppo gentile con un orso come sono io.

— Stiamo a vedere se l’orso non sa darmi qualche notizia del mondo.

— Ne dubito, marchesa.

— La principessa Forloff ha già dato il ballo di clôture dei suoi mercoledì?

— No, sarà per l’ultimo mercoledì del mese.

— Ah! vedete che lo sapete.

— Non volete che un orso s’occupi della Russia?

— Con voi non posso dirla, mi battete.

— Precisamente come voi battete gli altri, disse Gastone secco.

Elena rise senza rispondere. [p. 52 modifica]

Diana e la baronessa Torre parlavano sottovoce di Napoli, dove la baronessa voleva andare a passare l’inverno dopo. Attilio s’era rivolto a Raul; tutti e due intavolarono un discorso di scienza, la discussione si fece animatissima, nè l’uno nè l’altro cedevano d’un palmo il terreno, Attilio era un eccellente parlatore, l’altro incideva la sua ragione con frasi pacate; era una di quelle scaramuccie deliziose fra due uomini d’ingegno, e soltanto Diana, sempre parlando, ne rilevava parola per parola, tutto lo spirito e la profondità.

— Bravi, ora basta, disse ad un tratto Elena, chi ha la ragione se la tenga, e l’altro abbassi le armi, le signore non vogliono essere dimenticate.

— È vero, scusate, ci eravamo infervorati, disse il duca.

Diana si era alzata, e s’aggiustava i ricci sulla fronte dinanzi allo specchio.

— Mi volete lasciare?

— È tardi, cara mia.

— Ma tu che hai, Diana?

— Io? nulla.

— Sei così pallida.....

— Fa caldo nella tua sala, cara.

— E il caldo t’impallidisce?

— Il caldo m’impallidisce.

Strano! mormorò Elena allontanandosi.