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Diana e la baronessa Torre parlavano sottovoce di Napoli, dove la baronessa voleva andare a passare l’inverno dopo. Attilio s’era rivolto a Raul; tutti e due intavolarono un discorso di scienza, la discussione si fece animatissima, nè l’uno nè l’altro cedevano d’un palmo il terreno, Attilio era un eccellente parlatore, l’altro incideva la sua ragione con frasi pacate; era una di quelle scaramuccie deliziose fra due uomini d’ingegno, e soltanto Diana, sempre parlando, ne rilevava parola per parola, tutto lo spirito e la profondità.

— Bravi, ora basta, disse ad un tratto Elena, chi ha la ragione se la tenga, e l’altro abbassi le armi, le signore non vogliono essere dimenticate.

— È vero, scusate, ci eravamo infervorati, disse il duca.

Diana si era alzata, e s’aggiustava i ricci sulla fronte dinanzi allo specchio.

— Mi volete lasciare?

— È tardi, cara mia.

— Ma tu che hai, Diana?

— Io? nulla.

— Sei così pallida.....

— Fa caldo nella tua sala, cara.

— E il caldo t’impallidisce?

— Il caldo m’impallidisce.

Strano! mormorò Elena allontanandosi.