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canto, di aspirare il profumo del fazzoletto di trina che la marchesa teneva sempre in mano, morsecchiandolo.

Ma Elena continuava a stare vicina al tavolo, prendeva colle morsette d’argento i pezzettini di zuccaro e li lasciava cadere nella tazza di Kaul, sempre continuando a guardarlo.

— Basta, marchesa, grazie, disse il conte.

Elena gli porse la tazza e le pastine.

Quello del thè, continuò Raul, è un vizio che ho preso a Londra, non ne posso far senza, il vostro è eccellente, marchesa.

— Caro quel vizio, rispose Elena, saettandolo cogli occhi, che mi procura il piacere di servirvi, Raul.

Gastone impallidì, e vide dinanzi agli occhi un abbarbaglio rosso; Raul s’inchinò di nuovo freddamente, con calma:

— Marchesa, siete sempre gentile, troppo gentile con un orso come sono io.

— Stiamo a vedere se l’orso non sa darmi qualche notizia del mondo.

— Ne dubito, marchesa.

— La principessa Forloff ha già dato il ballo di clôture dei suoi mercoledì?

— No, sarà per l’ultimo mercoledì del mese.

— Ah! vedete che lo sapete.

— Non volete che un orso s’occupi della Russia?

— Con voi non posso dirla, mi battete.

— Precisamente come voi battete gli altri, disse Gastone secco.

Elena rise senza rispondere.