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Gastone si scosse. Da un poco s’era distratto a guardare Elena; sentiva ad un tratto una voglia irresistibile, prepotente, pazza, di baciare il braccio di Elena, baciarlo li sopra all’attaccatura del polso, dove il braccio s’allargava dolcemente, spezzato dal cerchio d’oro scintillante.
— Nevvero, conte, ch’è difficile fuggire le tentazioni? ripetè lei.
— Impossibile, marchesa, impossibile, rispose Gastone, chiudendo gli occhi per non vederla, per liberarsi da quel pensiero ch’era una sciocchezza.
Ma l’ambiente caldo della stanza, il profumo del thè fumante, il scintillío dei lumi, gli appesantivano la testa; involontariamente sognava un altro salotto più piccolo, più tepido, con un divanetto nascosto nella penombra, su cui Elena posasse col braccio nudo, inarcato sotto la testa.
Gastone diventava poeta, raffinava il sentimento ed il cuore, per porgere il suo omaggio d’ammirazione e di desiderio alla marchesa.
— Il conte Raul è un uomo di spirito, colto e gentile, disse la Torre storditamente, senza pensare che Gastone era il suo avversario.
Ma il conte di Spa era troppo educato e troppo furbo per non approvare vivamente, rispose subito alla baronessa:
— Il conte Raul è un perfetto gentiluomo, ed è una fortuna essergli amico, è un uomo superiore per ingegno.
— Vi è dell’esagerazione, interruppe Elena, di spirito, di spirito! spirito di società, memoria e maldicenza.