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tanto tempo nel profondo del cuore. E non poteva, non doveva dirglielo; seguitava a tener la faccia rivolta dall’altra parte, con un sorriso inchiodato sulle labbra, fissando senza vedere Elena, suo marito, la baronessa Torre, sentendo una forza potente che la trascinava a voltarsi, a guardar Attilio, a narrargli con una parola tutto il romanzo del suo povero cuore.

— Credevo che certe donne sapessero ricordare! ripetè Attilio. La lasciò e venne vicino alla marchesa.

Diana era pazza di dolore e d’amore; stette un momento colla testa china, lasciando sanguinare la ferita, lacerandola colle proprie mani, poi si alzò adagio, s’avvicinò al piano ed incominciò la sublime melodia di Blumenthal: L’Amour. Alle prime note che si svolgevano lente, profonde, tutti tacquero. Attilio pallidissimo, tremando di passione la contemplava ricordando ad una ad una tutte le sensazioni di quel tempo d’amore, le parole, i sorrisi, le strette di mano lunghe, interminabili, elettriche, ricordando quel bacio, il primo, l’unico, sulla fronte di Diana.

Quando la melodia si spense, una lagrima cadde dal ciglio della contessa. Era tutta la rivelazione da tanto tempo nascosta, era la colpa, era il delirio del suo povero cuore ambasciato che si confessava in quel momento.

Attilio venne dietro di lei, e cogli applausi che Diana non sentiva, disse semplicemente: Grazie.

Il conte Raul entrò più tardi nel salotto della