Michele Strogoff/Parte Prima/Capitolo IX. In tarentass notte e giorno
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CAPITOLO IX.
in tarentass notte e giorno.
Il domani, 18 luglio, il Caucaso s’arrestava allo scalo di Perm, ultima stazione di cui fece il servizio sulla Kama. Questo governo, di cui Perm è capitale, è uno dei più vasti dell’impero russo, e valicando i monti Urali tocca il territorio della Siberia. Cave di marmi, saline, giacimenti di platino ed oro, miniere di carbone vi sono sfruttate largamente. Aspettando che Perm, per la sua positura, diventi una città di primo ordine, essa è pochissimo attraente, molto sporca, molto fangosa, e non offre comodo alcuno. A quanti vanno dalla Russia in Siberia, codesta mancanza di comodi è indifferente, perchè essi vengono dall’interno e sono forniti di tutto il necessario; ma a coloro che giungono dall’Asia centrale, dopo un lungo e faticoso viaggio, non ispiacerebbe, senza dubbio, che la città dell’impero europeo, posta sulla frontiera asiatica, fosse meglio approvvigionata.
Gli è a Perm che i viaggiatori rivendono i loro veicoli, più o meno danneggiati da una lunga traversata in mezzo alle pianure della Siberia. È là che quelli che passano dall’Europa in Asia comperano carrozze l’estate, slitte l’inverno, prima di lanciarsi per molti mesi attraverso le steppe.
Michele Strogoff aveva fatto il suo programma di viaggio, e non si trattava oramai che di eseguirlo.
Vi ha un servizio postale che percorre abbastanza rapidamente la catena dei monti Urali; ma a causa delle circostanze, questo servizio era disordinato. E quand’anche non fosse stato tale, Michele Strogoff, volendo andare rapidamente, senza dipendere da nessuno, non avrebbe preso quel mezzo di trasporto. Preferiva, con ragione, comperare una carrozza e correre di tappa in tappa, eccitando con mancie supplementari lo zelo di quei postiglioni chiamati iemschik nel paese.
Disgraziatamente, a causa del decreto fatto contro gli stranieri d’origine asiatica, un gran numero di viaggiatori avevano lasciato Perm, e per conseguenza i mezzi di trasporto erano scarsi. Michele Strogoff doveva dunque accontentarsi del rifiuto degli altri. Quanto ai cavalli, fino a che il corriere dello czar non fosse in Siberia, potrebbe senza pericolo mostrare il suo podarosna, ed ottenere così la preferenza sopra ogni altro viaggiatore. Ma poi, quando fosse uscito dalla Russia europea, non potrebbe più fare assegnamento che sulla potenza dei rubli.
Ma a che sorta di veicolo aggiogare i cavalli? Ad una telega o ad un tarentass?
La telega non è che un carro scoperto a quattro ruote, a formare il quale non entra assolutamente altro che legno. Ruote, sale, caviglie, casse, barelle, tutto forniscono gli alberi dei dintorni, e l’adattamento dei diversi pezzi di cui si compone la telega si ottiene con corde grossolane. Nulla di più primitivo, nulla di meno comodo, ma anche nulla di più facile ad accomodare, se mai avvenga un accidente per via. Non mancano gli abeti sulla frontiera russa, e le sale crescono naturalmente nelle foreste. Gli è colla telega che si fa la posta straordinaria conosciuta col nome di perekladnoi, e per la quale tutte le vie sono buone. Talvolta, giova confessarlo, le corde che legano l’apparecchio si rompono, e mentre la parte posteriore rimane impantanata nella mota, la parte anteriore giunge alla posta sulle sue due ruote, e tale risultato è considerato come soddisfacente.
Michele Strogoff sarebbe stato costretto a servirsi della telega, se non avesse avuto la fortuna di scoprire un tarentass.
Non già che quest’ultimo veicolo sia l’ultima parola del progresso e dell’industria delle carrozze. Gli mancano, come alla telega, le molle; il legno invece del ferro non vi è risparmiato, ma le sue quattro ruote, tenute distanti otto o nove piedi all’estremità di ogni sala, gli assicurano un certo equilibrio sopra strade disuguali e difficili. Un parafango protegge i viaggiatori contro le pillacchere della via, ed una forte copertura di cuojo, che può abbassarsi e chiudere il veicolo quasi ermeticamente, lo rende meno sgradevole nei grandi calori e nelle forti burrasche estive. Il tarentass è d’altra parte così solido e facile da accomodare quanto la telega, ed è meno soggetto a lasciare i pezzi per via.
Del resto non fu senza minuziose ricerche che Michele Strogoff riuscì a scoprire quel tarentass, ed è probabile che non ne avrebbe trovato un altro in tutta la città di Perm. Ciò non ostante, egli dibattè molto il prezzo per non insospettire e far bene la sua parte di Nicola Korpanoff, semplice negoziante d’Irkutsk.
Nadia aveva seguito il compagno nelle sue corse in cerca di un veicolo. Benchè lo scopo fosse differente, entrambi avevano egual fretta d’arrivare, e perciò di partire. Si avrebbe detto che li animasse una medesima volontà.
— Sorella, disse Michele Strogoff, avrei voluto trovare per te un veicolo più comodo.
— E tu dici questo a me, fratello, a me che sarei andata anche a piedi, se fosse stato necessario, a raggiungere mio padre?
— Io non dubito del tuo coraggio, Nadia, ma vi sono fatiche fisiche che una donna non può sopportare.
— Le sopporterò qualunque siano, rispose la giovinetta. Se tu intendi un lamento delle mie labbra, lasciami per via e prosegui il viaggio da solo.
Mezz’ora dopo, in virtù del podarosna, tre cavalli da posta erano aggiogati al tarentass. Questi animali, coperti da un lungo pelo, assomigliavano ad orsi, salvo che avevano le gambe alte. Erano piccini, ma ardenti, perchè di razza siberiana.
Ed ecco come il postiglione, l’iemschik, li aveva aggiogati: uno, il più grande, stava fra due lunghe barelle che portavano all’estremità anteriore un cerchio chiamato duga, carico di fettucce e di sonagli; gli altri due erano semplicemente legati con corde ai marciapiedi del tarentass. Del resto, nessuna bardatura, e per redini nient’altro che una cordicella.
Nè Michele Strogoff, nè la giovane livoniana portavano bagagli. Le condizioni di rapidità, nelle quali si doveva compiere il viaggio dell’uno coi mezzi più che modesti dell’altra, avevano loro
impedito di sopraccaricarsi di bagagli. In questa occasione era fortuna, perchè o il tarentass non avrebbe potuto contenere le valigie, o non avrebbe potuto contenere i viaggiatori, essendo solo fatte per due persone, senza contare l’iemschik, che se ne sta sul suo stretto sedile per un miracolo d’equilibrio.
Codesto iemschik cambia d’altra parte ad ogni tappa. Colui al quale spettava guidare il tarentass nella prima tappa era siberiano come i suoi cavalli, e non meno di essi peloso; portava i capelli lunghi tagliati in quadrato sulla fronte, cappello ad ale rialzato, cintura rossa, cappotto a mostre incrociate, sopra bottoni colla cifra imperiale.
L’iemschik, giungendo co’ suoi cavalli, aveva buttato un’occhiata indagatrice sui viaggiatori del tarentass.
Nessun bagaglio! — e dove diancine li avrebbero cacciati? — dunque, aspetto poco ricco. E fece una smorfia molto espressiva.
— Due corvi, disse egli non badando se fosse o no inteso, due corvi a sei kopeks ogni versta.
— No, due aquile, rispose Michele Strogoff, che comprendeva benissimo il gergo dei postiglioni, aquile, mi capisci? a nove kopeks la versta colla mancia per giunta.
Un allegro schioccar di frusta gli rispose. Il corvo, nella lingua dei postiglioni russi, è il viaggiatore avaro od indigente, che alle poste di contadini non paga i cavalli più di due o tre kopeks ogni versta. L’aquila, è il viaggiatore che non dà indietro ai prezzi alti, ed aggiunge le mancie generose. Perciò il corvo non può aver la pretesa di volare colla rapidità dell’uccello imperiale.
Nadia e Michele Strogoff si accomodarono subito nel tarentass. Alcune provviste occupanti poco spazio, e messe in serbo nella cassa, dovevano permettere loro, in caso di ritardo, di giungere alle poste che offrono tutti i comodi sotto la sorveglianza dello Stato. Fu rialzata la copertura, perchè il calore era insopportabile, ed al mezzodì il tarentass, trascinato dai suoi tre cavalli, lasciava Perm in mezzo ad un nugolo di polvere.
La maniera in cui l’iemschik manteneva l’andatura della sua muta sarebbe stata certamente notata da ogni altro viaggiatore non avvezzo a quei modi. Infatti, il cavallo delle barelle, quello che regolava le mosse, ed era un po’ più grosso dei suoi congeneri, serbava imperturbabilmente, qualunque fosse il pendío della strada, un trotto molto lungo, ma di una regolarità perfetta. Gli altri due cavalli non parevano conoscere altra andatura che il galoppo, e si dimenavano con mille capricci dilettevoli molto. Del resto il postiglione non li picchiava. Solo li stimolava ogni tanto schioccando la frusta. Ma che epiteti prodigava loro, quando essi si comportavano da bestie docili e coscienziose, senza contare il nome dei santi che affibbiava loro! La cordicella che gli serviva di redini non avrebbe avuto alcuna azione sopra animali che avevano come preso la mano; ma na pravo, a dritta, na levo, a mancina — queste parole, pronunciate con voce gutturale, facevano migliore effetto di qualsiasi briglia.
E che amabili appellativi secondo le occasioni!
— — Andate, colombelle mie, ripeteva il postiglione, presto, rondinelle gentili! volate, piccioni cari! forza, cugino mio di mancina! tira, babbo mio di destra!
Ma d’altra parte, quando le mosse si rallentavano, che insulti, e come i suscettibili animali sembravano comprenderne il valore!
— Va, lumaca del diavolo! sciagurato lumacone! ti scorticherò viva, tartaruga! sarai dannata nell’altro mondo!
Checchè ne sia, di questi modi di guidare, che richiedono maggior solidità nella gola, che vigoria nel braccio dei postiglioni, il tarentass volava sulla strada e si divorava le sue dodici o quattordici verste ogni ora.
Michele Strogoff non era nuovo a questo genere di veicolo: nè i trabalzi potevano dargli incomodo. Sapeva che una posta russa non evita nè ciottoli, nè frane, nè pantani, nè alberi rovesciati, nè fossati. Era avvezzo a questo. La sua compagna rischiava d’essere ferita dai trabalzi del tarentass, ma non si lamentava.
Nei primi istanti del viaggio, Nadia, così trasportata a gran velocità, rimase senza parlare; poi, sempre assediata dal pensiero unico di arrivare:
— Ho contato trecento verste fra Perm ed Ekaterinburgo, fratello, disse; mi sono io ingannata?
— Non ti sei ingannata, Nadia, rispose Michele Strogoff, e quando saremo giunti a Ekaterinburgo saremo ai piedi dei monti Urali, sul loro versante opposto.
— Quanto durerà questa traversata nelle montagne?
— Quarantott’ore, perchè viaggieremo notte e giorno. — Io dico notte e giorno, Nadia, aggiunse egli, perchè non mi posso arrestare e devo camminare senza riposarmi verso Irkutsk.
— Io non ti farò ritardare, fratello, nemmeno un’ora; viaggeremo notte e giorno.
— Ebbene, allora, Nadia, possa l’invasione tartara lasciarci la via libera, e fra due giorni saremo arrivati.
— Hai tu già fatto questo viaggio? disse Nadia.
— Molte volte.
— D’inverno saremmo andati più spediti e più sicuri?
— Sì, più spediti senza dubbio, ma avresti sofferto molto pel freddo e pelle nevi.
— Che importa? L’inverno è l’amico del Russo.
— Sì, Nadia, ma qual temperamento a tutta prova bisogna avere per resistere a quest’amicizia! Io ho visto tante volte la temperatura scendere nelle steppe siberiane a più di nove gradi sotto zero. Ho sentito, non ostante le mie vestimenta di pelle di renna 1, gelarmisi il cuore, torcersi le mie membra, agghiacciarmisi i piedi sotto le triplici calze di lana! Ho visto i cavalli della mia slitta coperti di uno strato di ghiaccio, il loro alito gelato sulle narici, ho visto l’acquavite della mia fiaschetta tramutata in pietra dura, che il coltello non poteva intaccare, ma la mia slitta filava come l’uragano! Non più ostacoli nella pianura liscia, bianca, sterminata! Non più corsi d’acqua, di cui convenga cercare i passaggi guadabili! Non più laghi da attraversare in battello! Da per tutto il ghiaccio duro, la strada libera, il sentiero assicurato! Ma a prezzo di quale sofferenza, Nadia! Coloro soltanto lo potrebbero dire che non sono tornati ed i cui cadaveri furono coperti dal nevazzo.
— Pure tu sei tornato, fratello, disse Nadia.
— Sì, ma io sono siberiano; e fanciullo ancora, quando seguivo mio padre nelle sue caccie, mi avvezzavo a queste dure prove; ma tu quando mi hai detto, Nadia, che l’inverno non ti avrebbe arrestata, che saresti partita sola, pronta a lottare colle orribili intemperie del clima siberiano, mi è parso di vederti perduta nelle nevi e cadente per non più sollevarti.
— Quante volte hai tu attraversato le steppe d’inverno? domandò la giovane livoniana.
— Tre volte, Nadia, quando andavo ad Omsk.
— E che andavi a fare ad Omsk?
— A vedere mia madre che m’aspettava.
— Ed io vado ad Irkutsk, dove mi aspetta mio padre, vado a portargli le ultime parole di mia madre. Ciò ti basti a farti comprendere che niente mi avrebbe impedito di partire.
— Sei una brava figliuola, Nadia, rispose Michele Strogoff, e Dio medesimo ti avrà guidata!
Durante questa giornata il tarentass fu spinto rapidamente dagli iemschiks, che si succedettero ad ogni tappa. Le aquile della montagna non avrebbero trovato il loro nome disonorato da queste aquile della via maestra.
L’alto prezzo pagato per ogni cavallo, le mancie largamente concesse, raccomandavano i viaggiatori in un modo affatto speciale.
Forse i mastri da posta trovarono singolare, dopo la pubblicazione del decreto, che un giovinotto e sua sorella, evidentemente russi entrambi, potessero correre liberamente attraverso la Siberia, chiusa ad ogni altro; ma le loro carte erano in regola, ed essi avevano il diritto di passare. Onde i pali chilometrici erano lasciati rapidamente indietro.
Del resto, Michele Strogoff e Nadia non erano soli a seguire la strada da Perm ad Ekaterinburgo. Dalle prime tappe il corriere dello czar aveva appreso che un veicolo lo precedeva; ma siccome non gli mancavano i cavalli, non se n’era dato alcun pensiero.
In questa giornata le poche fermate, durante le quali si riposò il tarentass, non furono fatte che per i pasti. Nei cambi di cavalli facilmente si trova alloggio e cibo. D’altra parte, in mancanza di poste la casa del contadino russo non sarebbe stata meno ospitale. In questi villaggi, che si rassomigliano quasi tutti, colla loro cappella a muraglie bianche ed a tetti verdi, il viaggiatore può picchiare a tutte le porte. Gli saranno aperte. Verrà il mujik colla faccia sorridente e porgerà la mano all’ospite suo, e gli offrirà il pane ed il sale e metterà il samovar sul fuoco, ed egli sarà come in casa sua. Per fargli posto sloggerà la famiglia se sia necessario.
Lo straniero, quando arriva, è parente di tutti: egli è mandato da Dio.
Giungendo la sera, Michele Strogoff, mosso da una specie di istinto, chiese al mastro di posta da quante ore la carrozza che lo precedeva era passata.
— Da due ore, babbo mio, gli rispose il mastro di posta.
— È una berlina?
— No, una telega.
— Quanti viaggiatori?
— Due.
— E vanno spediti?
— Aquile.
— Partiamo subito.
Michele Strogoff e Nadia, risoluti a non arrestarsi un’ora, viaggiarono tutta notte.
Il tempo continuava ad essere bello, ma si sentiva che l’ammosfera, divenuta pesante, si faceva a poco a poco satura d’elettricità. Nessuna nuvola intercettava i raggi stellari, e pareva che una specie di nebbia calda si levasse dal suolo. Era a temersi che qualche uragano si scatenasse nelle montagne, dove sono terribili. Michele Strogoff, avvezzo a riconoscere i sintomi ammosferici, presentiva una prossima lotta degli elementi, che lo inquietava non poco.
La notte passò senza incidenti. Non ostante i trabalzi del tarentass, Nadia potè dormire per qualche ora. La copertura semirialzata permetteva d’aspirare quel po’ d’aria che i polmoni cercavano avidamente nell’ammosfera soffocante.
Michele Strogoff vegliò tutta notte diffidando degli iemschiks che s’addormentano troppo volentieri sul loro sedile, nè andò perduta un’ora nel cambio dei cavalli o per via.
Il domani, 20 luglio, verso le 8 del mattino, si disegnarono nell’est i monti Urali. Pur questa importante catena, che separa la Russia europea dalla Siberia, si trovava ancora a gran distanza, nè si poteva far conto di giungervi prima che finisse la giornata. Il passaggio della montagna doveva dunque necessariamente compiersi nella prossima notte.
Tutto quel giorno il cielo rimase coperto, perciò la temperatura fu più sopportabile, ma il tempo era estremamente burrascoso. E forse con
tali minaccie sarebbe stato più prudente non cacciarsi nella montagna nel mezzo della notte; e così avrebbe fatto Michele Strogoff se gli fosse stato concesso d’aspettare; ma quando all’ultima tappa l’iemschik gli segnalò qualche tuono lontano, egli si accontentò di dirgli:
— Una telega ci precede sempre?
— Sì.
— Quale vantaggio può avere sopra di noi?
— Un’ora circa.
— Avanti, e triplice mancia se saremo domattina ad Ekaterinburgo.
fine del primo volume.
Note
- ↑ Questa vestimenta è chiamata daka; è leggerissima e tuttavia impenetrabile al freddo.