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michele strogoff


Nadia e Michele Strogoff si accomodarono subito nel tarentass. Alcune provviste occupanti poco spazio, e messe in serbo nella cassa, dovevano permettere loro, in caso di ritardo, di giungere alle poste che offrono tutti i comodi sotto la sorveglianza dello Stato. Fu rialzata la copertura, perchè il calore era insopportabile, ed al mezzodì il tarentass, trascinato dai suoi tre cavalli, lasciava Perm in mezzo ad un nugolo di polvere.

La maniera in cui l’iemschik manteneva l’andatura della sua muta sarebbe stata certamente notata da ogni altro viaggiatore non avvezzo a quei modi. Infatti, il cavallo delle barelle, quello che regolava le mosse, ed era un po’ più grosso dei suoi congeneri, serbava imperturbabilmente, qualunque fosse il pendío della strada, un trotto molto lungo, ma di una regolarità perfetta. Gli altri due cavalli non parevano conoscere altra andatura che il galoppo, e si dimenavano con mille capricci dilettevoli molto. Del resto il postiglione non li picchiava. Solo li stimolava ogni tanto schioccando la frusta. Ma che epiteti prodigava loro, quando essi si comportavano da bestie docili e coscienziose, senza contare il nome dei santi che affibbiava loro! La cordicella che gli serviva di redini non avrebbe avuto alcuna azione sopra animali che avevano come preso la mano; ma na pravo, a dritta, na levo, a mancina — queste parole, pronunciate con voce gutturale, facevano migliore effetto di qualsiasi briglia.

E che amabili appellativi secondo le occasioni!

— — Andate, colombelle mie, ripeteva il postiglione, presto, rondinelle gentili! volate, piccioni cari! forza, cugino mio di mancina! tira, babbo mio di destra!