Meditazioni sull'Italia/Seconda parte/Marzo

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MARZO


Importanza dell’universalità e delle tradizioni


Si chiama letteratura europea quella che dipinge il proprio paese sottointendendo gli altri.

Le opere si spandono quando si continuano spiritualmente perpetuandosi una nell’altra.

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Dell’universalità e delle tradizioni


1 Marzo

Ma perchè diventi europea, non un romanzo, ma una letteratura, il coraggio non basta. Ci vuole anche il senso dell’universalità e il senso della tradizione. Qualunque paese che produca dei capolavori solitari è destinato a chiudersi nel silenzio. Ora, che la letteratura italiana abbia rinunciato all’Europa, si sia cinta nel suo stesso continente di un largo silenzio, deve ammetterlo chiunque contemplando il panorama della nostra letteratura e il guazzabuglio chiassoso e morto delle Accademie, pensi di segnalarne il carattere solenne. L’ultima e triste polemica tra Strapaese e Stracittà ha confermato questa solitudine intellettuale.

Non siamo più europei, perchè non siamo più italiani. Si chiama infatti «letteratura europea» — e io parlo solo della romanzesca, e escludo la lirica — quella che dipinge il proprio paese sottointendendo gli altri. Lo scrittore europeo non deve dunque esiliarsi per amore del forestiero ma per acquistare, conoscendo il mondo, quel sottinteso. Ogni giudizio [p. 116 modifica] è il frutto di un paragone; e in ogni libro che dipinge grandiosamente l’Italia si deve avere il presentimento del mondo.

Che l’Italia intellettuale non s’accorga più di vivere in Europa, è chiaro per chiunque legga, sulla grande tavola di un libraio, i titoli delle nostre riviste; perchè in tutti i paesi europei, questo vocabolo magico con cui gli uomini hanno battezzato il continente più civile e armonico della terra, splende sui frontispizi in inchiostri rossi e azzurri come una voce di superba concordia, ma nessuna rivista italiana rivela, dal titolo, questa gioia o almeno questa inquietudine.

Ci troviamo dunque dinanzi a un bivio solenne; perchè oggi la letteratura di tutta l’Europa, si è andata unificando, e un’opera letteraria che non sia europea è mal tollerata nella sua stessa patria. Noi vediamo che in ogni paese il pubblico non perde il filo delle glorie europee, ma si smarrisce tra quelle nazionali, anche se sono della sua nazione, tanto che si è imposto agli scrittori il dovere di espandersi, per durare e trionfare a casa propria. Paradosso del destino che non so se chiamare tragico o grandioso che giustifica, da una parte gli sforzi affannosi e inutili, con cui tanti tra gli scrittori nazionali cercano di conquistare l’Europa. Ma noi pensiamo d’aver posto il problema nei suoi termini umani: è inutile fare della propaganda in Europa, se non si produce una letteratura europea. Bisogna che gli scrittori non si lascino accecare dall’orgoglio [p. 117 modifica] candido d’inaugurare, ogni volta che scrivono un libro, un nuovo genere letterario; bisogna che abbandonino il deserto e ridiventino uomini, e sopratutto che perpetuino, rinnovandole, le loro grandi tradizioni. Le opere si spandono quando si continuano spiritualmente perpetuandosi una nell’altra: il caso dei Promessi Sposi è clamoroso.

2 Marzo

I Promessi Sposi non sono più letti all’estero. Si traducono ancora di quando in quando (l’anno scorso ne è uscita una versione in America) ma chi volesse far testo di questo fatto, per sostenere che i Promessi Sposi vivono ancora nella cultura europea, si illuderebbe; quasi tutti i romanzi italiani, allora, sono tradotti e in Europa non li legge nessuno. Non si può’ dire che viva un’opera letteraria, quando si dice che è tradotta, ma quando si accerchia di un continuo interesse e di molti echi, come di un alone. I Promessi Sposi sono tradotti, ma rimangono ignudi.

Ora, non è il caso di dar colpa al romanzo. Si può’ giustificare il silenzio del mondo intorno a Verga, quando si pensa che Verga ha scritto dei romanzi regionali, ove i tipi, i drammi e l’ambiente erano più chiari per un italano, anzi per un siciliano, che per un europeo. Verga non è stato, d’altronde, letto neanche in Italia (non credo che di «Mastro don Gesualdo» si siano vendute, fino ad oggi, seimila copie); sarebbe dunque strano che il mondo [p. 118 modifica] leggesse quello che non hanno letto nemmeno gli italiani, i quali conoscevano già la chiave di molti sottintesi.

Ma i Promessi Sposi sono un romanzo universale. I caratteri e il dramma non sono particolari, nè del Seicento, nè della Lombardia. La tecnica è quella stessa tecnica ottocentesca, grandiosa e direi quasi meticolosa, in cui il lettore è condotto per mano dolcemente dal principio alla fine, e tutto gli viene chiarito. Il romanzo non si basa su nessun sottinteso, che possano conoscere soltanto gli italiani; ha avuto, infatti, nascendo, un successo europeo; è stato tradotto, letto, studiato, e ammirato in tutti i paesi europei come un modello internazionale di buon romanzo. Nè si può dire che Manzoni, in Lombardia, fosse fuori del mondo. Egli trovò, infatti nei paesi di lingua francese, oltre che una moglie, anche amici e ammiratori, e l’epistolario ci dimostra come, per esprimere le sue idee, sapesse servirsi, con garbo, eleganza e disinvoltura della loro lingua.

Che cosa spiega questo silenzio?

3 Marzo

Esaminiamo il caso di un romanzo scritto su per giù nello stesso tempo, famoso anche allora, ma ora più fortunato, perchè è sempre letto: «Le anime morte» di Gogol. Quando si pensa al successo del romanzo russo, e al silenzio in cui l’italiano sta naufragando, c’è da meravigliarsi, [p. 119 modifica] perchè «Le anime morte» sono più regionali dei Promessi Sposi, meno divertevoli e incompiute.

Di fronte alla classica opulenza dei Promessi Sposi, in cui si avvicendano con disinvoltura le scene di psicologia e quelle d’azione, le avventure e la morale, il pezzo di paese e la storia, ove il ritmo dell’interesse è battuto con mano maestra, ove lo splendore sobrio dello stile s’adatta agilmente a tutti gli atteggiamenti dello scrittore, infinitamente mutevoli, sempre umani e tali che tengono in sospeso, a questo modo e continuamente, l’animo del lettore; di fronte, dico, a questo romanzo, in cui non solo la tecnica e l’ampio afflato del romanziere, ma le vicende stesse sono avventurose e in cui il dramma è universale, abbiamo un romanzo incompiuto, in cui trionfa fin dai primo rigo, e continua fino all’ultimo, un solo assiduo, lugubre, monotono, faticoso atteggiamento ironico; in cui non c’è l’ombra di quel clima che, come insegnavano i greci, è necessario per concitare lo sviluppo drammatico dei fatti; abbiamo un romanzo, che è un solo interminato corteo di birbanti, ordinati come in un catalogo, uno dopo l’altro; un romanzo, finalmente, che per il soggetto è l’aria, dovrebbe — più che commuover un pubblico europeo — disorientarlo.

4 Marzo

Ho ordinate qui le ragioni, per cui a leggere «Le Anime Morte» ci si diverte meno che a leggere «I Promessi Sposi», mettendomi, più che [p. 120 modifica] altro, dal candido punto di vista di un grosso pubblico europeo, e mi pare che queste ragioni non siano nè povere, nè rade. Come mai, dunque, si son lette in Europa «Le anime morte» e non i «Promessi Sposi»?

Le «Anime Morte» sono ancora lette, perchè in Russia non si è spenta la tradizione di Gogol. Non si leggono «I Promessi Sposi», perchè essi sono rimasti letterariamente isolati. Qui appare che un libro, in genere, può durare, in quel mondo misterioso in cui regnano le opere che si leggono, cerchio illuminato in mezzo all’ombra, solo quando ha una discendenza.

5 Marzo

Si crede generalmente che un capolavoro, quando resta isolato, trionfi nello splendore della sua solitudine; ma decade invece, perchè gli uomini, quasi sempre, smettono di leggerlo, appena entra nel passato.

6 Marzo

Vediamo quello che succede a ciascuno di noi. Diamo un’occhiata alla nostra tavola di lavoro. Se ci saranno dei libri, saranno molto probabilmente contemporanei uno sull’altro: libri di amici, che bisogna recensire o per lo meno conoscere; libri letti da amici, di cui si vuol parlare con loro; libri colti sugli scaffali di un libraio, o usciti di fresco; libri comprati dopo aver letto un articolo. [p. 121 modifica]

I libri contemporanei, necessariamente, ci si impongono con molta più forza, e fretta, e in maggior numero degli antichi, perchè entrano a far parte dei nostri interessi e della nostra vita, non tanto spirituale, quanto giornaliera. Chiunque va a colazione da uno scrittore, che ha pubblicato Un libro da poco, si metterà piuttosto a leggere quel libro che l’«Orlando Furioso».

Ma oltre che per questo gioco d’interessi e di impegni, dobbiamo confessare che, a parità di bellezza, un libro contemporaneo ci diverte più di un antico; nel libro contemporaneo, troviamo oltre il piacere dell’arte con cui è narrata una vicenda, anche il piacere di poterne controllare la fonte negli avvenimenti del mondo; e questo è un piacere vivace, perchè ci permette di misurare più da vicino le difficoltà di cui il libro è stato il trionfatore. Il libro contemporaneo, satira di costumi e partiti, panegirico di idee e persone, può riferirsi a mille sottintesi, che abbiamo la gloria di indovinar facilmente.

La letteratura contemporanea ci accompagna dunque nella vita più dell’antica. Si capisce quindi il valore di suggestione storica che acquistano quelle opere, che discendono da un’opera passata. Quando in un romanzo noi sentiamo la presenza diffusa di un modello o di una tradizione, risaliamo naturalmente il corso della storia letteraria. Curiosi di vedere in che misura l’autore moderno discenda dal vecchio e in che misura se ne distacchi, [p. 122 modifica] inuzzoliti, qualche volta, da veri e propri richiami, come ci succede appunto leggendo i russi, che citano spesso i propri maggiori, o semplicemente spinti dopo essercelo proposti inutilmente per tanto tempo a leggere quei classici, solo perchè i loro continuatori ce ne offrono, in un libro, il pretesto, l’occasione che aspettavamo, noi siamo condotti dall’opera d’oggi a quella di ieri senza nessun sforzo.

I pubblici d’Europa continuano dunque a leggere «Le Anime Morte», perchè dopo Gogol sono fioriti Tolstoi, Dostoïevski, Turghenief, Cecof, Gorki, che hanno detto prima: «Siamo usciti tutti dal Mantello di Gogol». Il pubblico, dopo aver ammirati questi discendenti, risale al Mantello e alle Anime Morte.

Cosí, quanti di noi hanno letto Voltaire e Chateaubriand per ritrovare l’origine stilistica di France e di Barrès?

30 Marzo

L’antica letteratura francese è cosí presente nella vita letteraria, solo perchè tutti i moderni si riattaccano a qualche vecchio maestro. Nessuno scrittore, nessun filosofo può invecchiare. Se l’asciutto e luccicante Valéry è un cartesiano, Alain ha rinnovato lo stile succulento e magnifico di Montaigne. Ogni scrittore nuovo ci porta alla ribalta il suo lontano mallevadore; non c’è più cosí quello schianto fra gli antichi e i moderni; che è tutto a svantaggio degli antichi e dei moderni... quando [p. 123 modifica] diventeranno antichi: gli scrittori di tutti i tempi sono sempre moderni, e sempre riletti.

15 Marzo

E’ la continuità di romanzi, storie, filosofie che giudicano il loro mondo, è il loro perpetuarsi attraverso la cultura che ha fatto la grandezza della Francia.

«Tutto quel che è necessario esiste» diceva de Maistre; bisognerebbe aggiungere «a Parigi!».

In Francia nulla si perde. Vedo nei giornali il centenario di un motto storico.

In Francia l’azione dei filosofi tradizionali, informa la vita di tutti i partiti, di tutti gli uomini. E noi vediamo in Francia quelli stessi che stabiliscono l’ordine su una autorità indiscutibile, (A. F.) non possono rassegnarsi, come la loro polemica col Papa l’ha provato, a rinunciare al diritto di critica, che Comte, il loro maestro — tipicamente rivoluzionario — ha inculcato in loro.

I filosofi rivoluzionari in Francia dicono sempre di avanzare guardando al passato.

20 Marzo

Non bisogna dimenticare che gli uomini non sono formati in genere che dalla cultura del proprio paese. E questa è una delle ragioni del nostro disorientamento.

La cultura italiana non «forma un uomo»: Dante, Petrarca, Bocaccio, Ariosto, Tasso, Manzoni, [p. 124 modifica] Leopardi, Foscolo, non bastano; sono dei poeti. Non si forma un popolo solamente con dei poeti. Non abbiamo noi dei filosofi? Sí, ma nelle scuole si guardan bene dal farli studiare. Questo spiega come e perchè gli italiani siano la preda del primo dittatore dello spirito o politico che si imponga. Non hanno alcun mezzo di difendersi nè di ben giudicare. La cultura italiana non forma gli Italiani.

Tutti i francesi medi sono formati dalla loro cultura. Perchè? Perchè la cultura francese è una cultura che forma un uomo, che gli dà una idea netta e solida di tutto ciò che importa di sapere e che un cittadino che deve coprire un posto importante deve conoscere: lo stile, il gusto del bello, delle conoscenze di storia utilizzabili, una esperienza politica (XIX° secolo), dei principii filosofici (Descartes), sociologici (Comte), politici (Montesquieu): un’attitudine davanti alla vita (Montaigne, Pascal, Rabelais, Chateaubriand); il sentimento della tradizione e di una continuità grandiosa. Ció dà dei funzionari di primo ordine, il cui spirito è ornato anche di superfluo (quel falso superfluo che è cosí necessario in una vera civiltà): cosí facendo la Francia rende saggi e utili dei mediocri.