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V VII

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VI.

Sulla fine della stagione balnearia, Lydia, che era stata la regina dello stabilimento alla moda, ricevette due domande di matrimonio; l’una da parte di un giovinotto spiantato, carico di debiti, che le aveva parlato una volta sola, ma che si era informato della sua dote; l’altra, del duca di Castel Gabbiano.

— Ecco qui — disse Lydia, guardando nello specchio i suoi grandi occhi ridenti che le rimandarono uno sguardo beffardo — la signorina è giovane, bellina, ha un piede da fata, è intelligente, spiritosa, amabile; ella [p. 92 modifica] potrebbe pensare che un giovane egualmente bello, spiritoso intelligente, degno di essere amato, tenti la conquista — e mettiamola pure difficile — del suo cuore. Mente affatto; i giovinotti, belli, intelligenti e spiritosi continuano ad essere una specialità riservata ai romanzi sentimentali, articolo bréveté, riproduzione proibita. Noi, nel nostro mondo reale, abbiamo degli scioperati che vagheggiano i nostri denari senza neppure conoscere il colore dei nostri occhi; oppure dei mostricciatoli, pieni di vizi e di malanni, che si lasciano pigliare alle reti dalla nostra civetteria e che vorrebbero farci duchesse non potendo metterci in quattro camere mobiliate. Dopo tutto, sarei una duchessina da mangiare a baci! Cinque fiori di brillanti intorno a una corona, e sotto questi occhi... Ma miope, calvo, rachitico, cretino e donnaiolo... un vizio per fiore, è pagarli troppo cari. Decisamente rifiuto l’eredità della contessa Colombo. [p. 93 modifica]

E dopo questo discorsetto fatto a sè stessa davanti allo specchio, Lydia rise come una matta, scandalizzando lo zio e mettendo sua madre di cattivo umore; perchè donna, Clara quantunque avesse un po’ di lievito contro l’aristocrazia, si lasciava ancora abbagliare dai titoli.

Don Leopoldo, per metter pace, disse che Lydia alla fine aveva ragione di non sposarsi senza amore.

Ma Lydia, tornando a scombussolare le idee di suo zio, replicò:

— Non parlar d’amore, che è una stupida cosa. Lasciami divertire. Finchè ci sei tu non ho bisogno di un marito che mi conduca ai balli.

Donna Clara trovò che sua figlia aveva dello spirito fin sopra i capelli, e don Leopoldo non tardò ad essere del suo parere.

Frattanto Lydia macchinava nel suo cervellino un progetto per passare gli ultimi [p. 94 modifica] giorni d’agosto. Fino a settembre, Belgirate non avrebbe accolto i soliti villeggianti, e Lydia rabbrividiva al pensiero di starsene in campagna sola, colla madre e collo zio.

In una verde vallata piemontese, tra le memorie ancor vive dello splendore antico, i marchesi Arimonti avevano il loro maniero. Più volte Costanza vi aveva invitata l’amica, ed ora appunto le sembrava che fosse giunto il momento di accettare.

Una breve sosta in città per rinnovare il baule. Agli abiti velati, ai costumi di mare, ai cappelli di paglia, ai larghi ombrelli foderati di rosa bisognava sostituire gli abiti inglesi di lana oscura, il tocco di feltro colle pennine di fagiano, i guanti scamosciati e l’alpenstok.

Negli intermezzi, nelle sere afose, noiose, che non passano mai, Lydia lesse dei versi sulle bellezze della campagna, lesse le Fonti dì Clitunno, e le parve di avere una decisa [p. 95 modifica] vocazione per la grandiosità delle foreste. Fece rilegare il volume sotto una bella copertina color perla, col suo nome inciso in oro, accanto a quello di Carducci, e lo pose in fondo al baule.

— Forse — osservò don Leopoldo nel silenzio della sua mente — Lydia guadagnerebbe ad occuparsi un po’ più di quel che faccia ora. Ha molta intelligenza, perchè non si dedica a qualche ramo delle lettere o delle arti?

Quel giorno, dopo pranzo, intanto che Lydia, abbandonata sopra una sedia dondolante, faceva volare i suoi piedini all’altezza della fronte, egli le disse:

— Dovresti portare con te i pennelli e riprendere, in quei luoghi ameni, lo studio del paesaggio che hai trascurato.

— Se l’ho trascurato è perchè c’era una ragione seria.

— Seria? [p. 96 modifica]

— Seriissima. I colori mi sporcano le dita.

— Tu scrivevi — riprese dopo una pausa — quand’eri fanciulletta, dei componimenti assai graziosi, pieni di cuore e di fantasia...

Non osò proseguire; ma Lydia guardandolo co’ suoi grand’occhi canzonatori lo interruppe:

— Zio, vuoi rimandarmi a scuola? O è una patente di maestra che vagheggi per me? un pane per i miei vecchi giorni allora? No? Ah! vuoi che diventi una letterata, una di quelle orribili donne che fanno fuggire gli uomini; guardami, zio, e dimmi, da senno, se ne avresti il coraggio. Ti sembrano piedi questi da calze turchine? Via, guardali!

Tutta stesa sulla dondolante, ella sporgeva i suoi meravigliosi piedini, ridendo del riso di una fanciulla viziata.

— Mi pare che ti annoi — mormorò timidamente don Leopoldo.

Lydia si fermò pensando:

— Qualche volta, non lo nego; ma che [p. 97 modifica] farci? Il tuo rimedio sarebbe peggiore del male.

— Non desideri, almeno, qualche cosa?

— Sì: desidererei che la vita fosse più divertente.

Diede una scossa alla dondolante, che la riportò in alto, mescendo il rumore secco dell’altalena all’eco della sua voce argentina.


Una casa severa, delle abitudini severe, un ampio parco pieno d’ombra e di tristezza, Lydia vide subito tutto ciò, e vide Costanza che le veniva incontro col suo passo leggero di persona non attaccata alla terra. Aveva nelle mani un mazzo di violaciocche bianche.

La famiglia Arimonti durante i mesi di campagna viveva in comunanza patriarcale: i vecchi, i figli, le giovani nuore.

Nel salotto, il cui gusto sobrio e la maestosa semplicità non erano alterate da nessuno di quei ninnoli che il barocchismo [p. 98 modifica] moderno impone, la marchesa madre lavorava per i poveri; le sue due nuore, sedute al piano, provavano un pezzo di Beetoven; un bambino biondo giuocava, steso sopra una pelle d’orso, mentre un magnifico Terranuova, dagli occhi dolcemente umani, lo stava guardando.

— I miei figli sono a caccia, — disse la vecchia marchesa con un gesto vago, che sembrava scusare gli assenti e nello stesso tempo presentarli.

La sua voce vaniva, temperata e calma, nel salotto; intanto che le nuore accoglievano la nuova arrivata, smovendo le sedie senza far rumore, parlando a bassa voce.

C’era tutto intorno nella tappezzeria medioevale, nei mobili di quercia scolpiti e neri, nelle pesanti cortine di damasco, nei ricami sbiaditi delle poltrone, negli specchi un po’ ruggini fra le cornici dorate, nelle vecchie lucerne di bronzo; c’era nell’aria, c’era nelle alte pareti a vôlta, compenetrata nel cemento [p. 99 modifica] dei muri e fra le pieghe delle stoffe, una grandiosità serena e sicura, tutto il passato degli Arimonti che si imponeva.

Istintivamente Lydia frenò il tintinnio de’ braccialetti che le cerchiavano i polsi, e guardò la sua amica. Mai Costanza le parve così a posto come in quell’ambiente solenne, benchè osservasse che le sue guancie si erano leggermente affilate e fatto più profondo l’incavo degli occhi.

— E sono cinque mesi che ti trovi qui?

Costanza sorrise.

— Che vita fai?

— Sto molto con mia madre, alla quale faccio delle lunghe letture; passeggio nel parco; lavoro un po’ colle mie cognate. Alla sera i miei fratelli giuocano a scacchi, noi si fa musica fino alle dieci, e poi la giornata è finita.

— Non esci mai? — chiese Lydia trattenendo un sospiro.

— Tutte le mattine vado a visitare i miei [p. 100 modifica] poveri, e poi ho l’asilo che mi porta via qualche ora. Non puoi credere come il tempo mi passa veloce.

— Infatti. È forse una di quelle cose che bisogna provare.

— E tu come hai passato questi cinque mesi? — chiese Costanza mettendo le violaciocche in un vaso di ceramica antica.

— Come il solito, variando sempre e ricascando nelle stesse cose. Trascinai i miei due vecchi un po’ qui, un po’ là, finchè trovammo una società discretamente piacevole a Livorno; quest’anno c’era la moda dell’Ardenza; li abbiamo incontrati tutti laggiù: la Capitelli, i Colombo, i Castel Gabbiano, il conte Narni di Roma; la celebre Santieri, napoletana, fiancheggiata da’ suoi amanti inamovibili che chiamavano i due ladroni senza croce. E poi un capitano De-Arcelli, carissimo, bellissimo. Peccato non m’abbia fatto la corte: unico, sai? Ah! sì, lo dico per l’amore del vero; ho [p. 101 modifica] conquistato il mio posto fra le costellazioni. D’ora in poi, quando i giornali daranno la relazione di uno spettacolo nuovo, non mancheranno di scrivere il mio nome a fianco degli astri più brillanti. Enfoncée la Capitelli!

Costanza, ascoltando con benevolenza il chiacchierio della sua amica, gettava sguardi timorosi dalla parte di sua madre; ma la marchesa, che s’era preso sui ginocchi il fanciulletto biondo, sembrava tutta occupata a narrargli una favola. Le giovani spose erano uscite silenziosamente. Per la sfilata degli usci aperti si vedeva il servitore vecchio e grave andare avanti e indietro dal tinello con alte piramidi di piatti. Guardando fuori dalla finestra, nel cui vano le due fanciulle si erano accoccolate, i grandi alberi del parco rosseggiavano nelle tinte infuocate del tramonto. L’Angelus della sera suonava in lontananza. Lydia sbadigliò leggermente, scuotendo un brivido che le era corso per le spalle. [p. 102 modifica]

— Ti senti male?

— No. M’è passata la morte d’accanto, come dicono. Chi sa poi che cosa m’è passato accanto!

— Forse un po’ di noia....

Lydia ebbe un sorriso forzato.

— Confessa che questa vita, tu l’hai già compresa; non ti piacerebbe.

— Lo confesso subito.

— Eppure tutto sta nel prendervi interesse, nell’attaccarvisi...

— Capisco tua madre — interruppe Lydia — capisco le tue cognate, le quali hanno marito e figli... sì, fino a un certo punto le capisco, quantunque non le invidii; ma tu, dimmi, che ci fai?

Una nube lievissima attraversò la fronte di Costanza.

— Vi sono tanti nobili sentimenti, tanti affetti generosi e gentili....

— Li conosco i tuoi nobili sentimenti, so [p. 103 modifica] quello che vuoi dire; li ammiro, ma non posso condividerli.

Successe una pausa. Costanza, quasi imbarazzata, teneva gli occhi bassi; Lydia replicò vivacemente:

— E ancora, tu sei fatta così; non c’è niente a dire. Ma io a che cosa dovrei attaccarmi? Tu credi, e puoi esser felice; io vedo. Questa del vedere, te lo assicuro, è la disgrazia massima.

— Basta guardare in alto.

— Che cosa c’è in alto? La religione? Ma bisogna sentirla; si nasce religiosi, come si nasce ballerini.

Il bambino si era addormentato nelle braccia della nonna, collo gambuccie penzoloni, tutto roseo pel calore del grembo, mettendo colla sua testina una aureola sul vecchio cordovano della sedia a bracciuoli.

— Come è bello! — esclamò Lydia.

La marchesa si pose un dito sulle labbra, [p. 104 modifica] e accennò alle due fanciulle di uscire nel parco per non svegliare il piccino.

— Hai fibra di donna, — disse Costanza dolcemente, — la vista di un bambino ti commuove.

— No, non è quello che tu credi. Mi commuove come oggetto d’arte, perchè è bello; metti una crosta lattea in mezzo a quei capelli biondi, e mi vedrai fuggire inorridita.

La sua voce suonò stridente sulla soglia di quella casa austera, che sembrava librata al di sopra di tutte le meschinità. Se ne accorse ella stessa, e, quasi per giustificarsi, soggiunse:

— Non voglio farmi peggiore di quello che sono, ma è certo che il mio cuore non è accessibile alle tenerezze del sentimento. Sono stata iniziata troppo presto ai misteri del retroscena mondano; tutti i giorni mi convinco sempre più che noi siamo sinceri solamente nell’istante del godimento; il resto è menzogna [p. 105 modifica] più o meno nobile, più o meno onesta, ma menzogna. Non parlarmi di te, sai? Oh! tu formi l’eccezione: in questo senso però, che la tua menzogna è spontanea, affatto aliena da ipocrisia.

— Come sarebbe a dire?

— Ma sì. Tu hai la chimera di un mondo passato, credi che l’egida di un gran nome protegga da qualsiasi debolezza. Per parte mia, il mio avo materno era negoziante di pellami, e ho il sangue ribelle.

Costanza la seguiva nel viale del parco, paziente, quantunque non priva di un certo, intimo disprezzo temperato dalla pietà. Tacque un poco, e poi disse:

— Tutto ciò che passa per le mani degli uomini si corrompe; le cose più pure e più alte divennero le più ignobili. Così fu della nobiltà; così fu ed è dell’amore. Religione, carità, sacrificio, non vengono trattati meglio... ma oh Dio, dovremo negare per questo? [p. 106 modifica]

Si era fermata, torcendosi le mani, come per disperazione, con un pallore sulle guancie che tradiva una profonda sofferenza.

— Ma vedi! — esclamò Lydia colpita — vedi dove ti conducono i tuoi sentimenti? Tu soffri, e di che male soffri? Non sei tu pazza peggio di me? Perchè non trovi la felicità nel tuo nobile ideale? Dimmi, che cosa ti manca?

Le si era aggrappata alle braccia, esaltandosi nelle sue stesse parole, aspirando come un cavallo in guerra l’odore di quel male ignoto, avida e crudele.

— Vedi, vedi — continuava scuotendola — io non potrei fare come te; morirei. Ecco perchè rido.

Costanza la lasciava dire, rigida, avvezza a frenarsi; ma il sollevamento del suo petto tradiva l’emozione. Quell’abbandono selvaggio le faceva male. Ella soffriva sempre dei difetti del prossimo, delle colpe, degli istinti [p. 107 modifica] brutali, di tutto ciò che vi è di cattivo nella natura umana; se ne sentiva umiliata. La sua purezza di sensitiva la consigliava a rifugiarsi in sè stessa davanti a simili attacchi.

Dal fondo del viale venivano i fratelli e le cognate di Costanza, tranquillamente allegri, macchiando di punteggiature animate il verde del parco.

Lydia mise in ordine i suoi braccialetti, riprendendo il sorriso civettuolo, sentendosi forte, sentendosi superiore.

Rise e motteggiò tutto il tempo del pranzo, rivolgendosi di preferenza agli uomini con una disinvoltura impertinente; ma alla sera cadde in una malinconia orribile. Andò a chiudersi in camera, dalla finestra della quale vedeva gli alberi del parco, minacciosi giganti nella chiarezza della notte, e udiva il suono irritante del piano. Pensava che era lungi da ogni consorzio, nella impossibilità di passare una giornata differente da quella che finiva. [p. 108 modifica] Si coricò sul letto, e nello scricchiolio del vecchio legno le parve di udire un ferreo rumore di armature. Non dormì.

Alla mattina corse in camera di Costanza; le buttò le braccia al collo, giurò di amarla, di adorarla, ma che facesse subito attaccare la carrozza por condurla alla stazione.

— Mio Dio, che vita! — mormorò ancora, quando potè gettarsi in un vagone di prima classe e ascoltare con indicibile voluttà gli ondeggiamenti del treno che si metteva in moto.