Lettere (Seneca)/Lettera III

Lettera III

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Lucio Anneo Seneca - Lettere (I secolo)
Traduzione dal latino di Annibale Caro (XVI secolo)
Lettera III
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LETTERA III

Post longum intervallum etc. Ep. lxx.



Dopo tanto tempo ho riveduto i tuoi luoghi Pompei; e nel rivedergli m’è tornato avanti gli occhi la mia giovanezza, e mi parea che mi fusse ancor lecito di fare tutto quel, che ivi nella gioventù facevo, e che pur jeri l’avessi fatto. Già noi avemo navigato questo mar [p. 18 modifica]della vita, Lucilio mio: e come a chi per mar va pare, al dir del nostro Virgilio,

Che fuggan via le terre e le cittadi;


così nel corso di questo rapidissimo tempo avemo prima ascosa la puerizia, dipoi l’adolescenza, dipoi quel tempo ch’è in mezzo tra gli confini della gioventù, e della vecchiezza: et ora per l’ultimo ci si comincia a scoprire il comun fine della generazione umana. Noi sciocchissimi tenemo che questo fine sia uno scoglio? Anzi egli è un clementissimo porto, che talvolta si deve desiderare, nè giammai ricusare. Nel qual porto se alcuno è posto negli anni primi, non si deve lamentar più di quel che si lamenta colui, che ha tosto navigato. Perchè, come tu sai, altri sono intrattenuti e burlati dalla tardanza de’ venti, e fastiditi dalla pigra noja della tranquillità; altri dalla pertinacia d’esso vento con gran prestezza son condotti a fine del viaggio. Il medesimo immaginati che intervenga a noi: perciocchè altri sono stati condotti velocemente da questa vita a quel termine, al quale doveano pervenire, ancorchè avessero più indugiato; altri son macerati e cotti con la lunghezza della vita, la quale, come sai, non si può perpetuamente ritenere. Perocchè non il vivere, ma il ben vivere è bene: e però il Savio vive non quanto può, ma quanto deve. Egli considererà sempre, in che luogo debbia far la sua vita, con chi doverà vivere, et in che modo, e quel che doverà fare vivendo; e pensa sempre quale sia la vita sua, e non quanta. Ma se gli occorrono cose, [p. 19 modifica]che lo molestino, e che gli turbino la tranquillità della vita, volontariamente se ne leva; e non solo quando egli è forzato dall’ultima necessità volentier se ne toglie; ma, tosto che la fortuna di questo mondo gli comincia ad esser sospetta, considera diligentemente se sia bene di finirla. Nè fa differenza alcuna di porgli fine egli medesimo, o che essendovi posto da Dio, di accettarlo; e che questo fine si faccia o più tardi, o più per tempo; ne d’esso teme punto, come se gli dovesse apportar gran danno. Niuno può molto perdere per le goccie, che cadono dai tetti. Non importa più che tanto il morir più presto, o più tardi; ma quel che importa è il morir bene, o male: e il morir bene è fuggir il pericolo di viver male. Laonde io giudico effemminatissimo il detto di quel Rodio; il quale essendo messo dal Tiranno in una fossa, et essendo come un fiero animal nudrito, persuadendogli uno che per finir questo tormento s’astenesse dal cibo, disse: Ogni gran cosa può sperar l’uomo, purch’egli viva. Ma per fare che questo sia vero, non si deve stimar tanto la vita, che si compri per ogni gran prezzo. Alcune cose sono, che ancorchè siano grandi, e certe; non dimeno io non mi curerò d’averle, se per ottenerle mi bisognerà confessar d’essere un debole, e di poco animo. Dunque devo io pensare che in un che vive, la fortuna possa far ogni cosa; più tosto che considerare che in colui, che sa morir bisognando, la fortuna non abbia poter alcuno? Nondimeno talvolta, ancorchè un sia vicino a una morte certa e [p. 20 modifica]determinata, et ancorchè sappia che gli sia ordinato il supplizio, non cercherà con le sue mani ammazzandosi di torsi a quella pena. È sciocchezza il morir per timor della morte: è venuto chi ti doverà far morire. Aspetta dunque: perchè pigli tu tratto avanti? Perchè prendi ad amministrar la crudeltà, che altri deve amministrare? Porti tu forse invidia al tuo boja, o pur gli perdoni? Socrate potè con l’astinenza finir la vita, e morir più tosto di fame, che di veleno; volse non dimeno star trenta giorni in prigione aspettando la morte, non con animo che ogni cosa potesse essere, e che così lungo spazio di tempo potesse addur seco molte speranze della vita; ma per far che la legge avesse il suo luogo anco sopra di se, e per far anco godere agli amici quell’estremo essere di Socrate. Che cosa più scioccamente potea egli fare, che, disprezzando la morte, temer il veleno? Scribonia, donna piena di gravità, fu zia di Drusio Libone, giovane non meno integro che nobile, e di maggior espettazione, che altro che fusse di quel secolo. Costui essendo ricondotto a casa in lettica dal Senato, con molto poco favore, empiamente abbandonato da tutti suoi parenti, et amici; già non più reo, ma certo di dover morire, cominciò a consigliarsi, se dovea darsi la morte da se, o pur aspettar che gli fusse data. Al quale Scribonia, Che dunque, disse, ti piace di pigliarti i fastidj che toccano altrui? Non potè con tutto ciò persuaderglielo: egli s’uccise, nè senza cagione il fece; perciocchè in questo caso chi deve fra due, o tre giorni morire ad arbitrio dell’inimico, [p. 21 modifica]vivendo, non è dubbio che fa più tosto il fatto d’altri, che il suo. Non si può dunque determinatamente far una proposizion generale, se essendo un forzato per violenza d’altrui di morire, debbia prima darsi la morte, o aspettarla: perciocchè molte cose vi sono che ti possono tirare così dall’una, come dall’altra parte. Se di queste due specie di morti l’una è con tormento, e l’altra è senza, e facile, perchè non si deve dar di mano a questa? E come, dovendo io navigare, eleggerò sempre una buona nave, e per abitare, una buona casa; così anco dovendo uscir di questa vita, eleggerò la miglior morte che potrò. Oltra di questo come la vita più lunga non è migliore, così anco è peggiore una morte più lunga. In niuna altra cosa noi dovemo assecondare, et obbedir l’animo nostro più che nella morte. Lasciamo pur che eschi per quella via, per la quale ha cominciato a far impeto, o che appetisca il ferro, o il laccio, o pur bevanda che occupi le vene; seguiti pur innanzi, e rompa gli legami di questa servitù. Ciascheduno deve lodar la vita anco agli altri, et a se medesimo la morte; e la migliore è quella che piace. Scioccamente pensiamo tra noi stessi e dicemo: altri dirà ch’io abbia fatto troppo fortemente, altri troppo temerariamente, altri che si potea far altra morte più animosa. Vuoi tu dunque credere che sia sottoposto al volere, et ai consigli degli uomini quello, a che non appertien punto il grido, e la fama? Abbi solamente questa mira di levarti quanto più presto potrai dalle mani della fortuna; perchè avendo altro scopo, non [p. 22 modifica]mancheranno quelli, che giudichino male del fatto tuo. Troverai anco di quelli, che han fatto professione di Savii, che neghino che non si debbia far violenza alla sua vita propria, e che giudichino cosa nefanda l’essere omicida di se stesso; e dichino che si deve aspettar il fine ordinato dalla natura. Ma chiunque così dice, non vede ch’egli serra la via della libertà. La miglior cosa, che abbia fatto l’eterna legge, è che n’ha dato una sola via per entrar in questa vita; ma per uscirne, molte. Doverò io aspettar la crudeltà d’una infermità, o d’un uomo che mi toglia di questo mondo, potendo uscirne per mezzo dei tormenti, lasciando queste avversità? Questo solo fa che noi non ne possiamo lamentar della vita; ch’ella non tien per forza alcuno. È in buon essere questo stato umano, poichè niuno è misero, se non per colpa sua propria. Ti piace di vivere, vivi; se non ti piace, tu puoi ritornar là, donde sei venuto. Molte volte per alleggierirti il dolor della testa, t’hai cavato il sangue; e per estenuar il corpo si suol percotere la vena. Non accade con ismisurata ferita aprirsi il petto: perocchè con ogni picciola rottura s’apre la via a quella gran libertà; e la sicurezza sta solo in un punto. Che dunque è che ne fa così pigri e tardi? È che nessun di noi pensa che una volta ne convien uscir di questo albergo. Così anco interviene a quelli, che lasciando la lor patria vanno ad abitare altrove, donde, ancorchè siano dagli abitatori ingiuriati, non si sanno però partire, trattenuti dalla piacevolezza del luogo, e [p. 23 modifica]dall’usanza. Vuoi tu contra questo corpo esser libero? Abitavi come quello che ne debbi uscire: presupponi nell’animo che tu debbi esser privo, quando che sia, di questo ricetto; e quando sarai forzato d’uscirne, ti troverai più animoso. Ma come può cader nel pensiero il lor fine a quelli, che desiderano ogni cosa senza fine? Di niuna altra cosa è più necessaria la meditazione, che di questa. Perciocchè il pensare all’altre cose è forse un esercitarsi fuor di proposito; perchè se ci accomodiamo l’animo a sopportar la povertà, continuandoci le ricchezze, non bisogna: se ci armiamo per disprezzar il dolore, perseverando la sanità, l’integrità, e la felicità del corpo, non accaderà mai che noi mettiamo in opera questa virtù. Se ci proponiamo di patir fortemente la perdita degli nostri; conservandoci in vita la fortuna tutti quelli che noi amiamo, e facendoli sopravvivere a noi, non sarà necessaria quella deliberazione. Ma verrà ben fermamente il giorno, che richiederà l’uso di questa sola meditazione. Non bisogna che ti dii ad intendere, che questo valore di rompere questa claustra della servitù umana, sia stato solo in que’ grand’uomini; nè che giudichi che questo non si possa far se non da un Catone, il quale cacciò dal petto con le sue mani proprie l’anima, che non have potuto mandar fuori col ferro. Perocchè molti uomini anco di vilissima condizione, spinti da grandissimo impeto, uscendo di questi travagli, si sono dati alla vera sicurezza e quiete: e non essendo lor concesso di morir comodamente, nè di [p. 24 modifica]eleggere a lor piacere instrumenti per darsi la morte, si sono attaccati a quel ch’è lor venuto innanzi; e delle cose, che per lor natura non erano nocive, per forza ne fecero armi per lor medesimi. Pochi giorni sono nel giuoco di quei, che son condannati a combatter con le bestie, un Germano mettendosi in ordine per lo spettacolo della mattina, si discostò per deponere il soverchio peso del corpo, non concedendoglisi altro luogo segreto senza la guardia. Ivi quel legno, che con una sponga attaccata è posto per nettar le parti oscene, tutto si cacciò nella gola, per la quale serrata mandò fuor lo spirito. Questo fu un far ingiuria alla morte: così poco dilicatamente, e poco convenevolmente morì. Che cosa più scioccamente si può fare, che morir fastidiosamente? O uomo veramente forte, e degno che gli fusse stato concesso d’eleggersi la morte! Con che fortezza d’animo egli si sarebbe servito del ferro; quanto animosamente egli si sarebbe gittato nella profondità del mare, o nell’altezza d’una fenduta rupe! D’ogn’intorno abbandonato ritrovò la via, e l’arme di darsi la morte: perchè sappi che al morir non è altro che ne retardi che il volere1. Faccisi pur [p. 25 modifica]quel giudizio che si vorrà del fatto di questo fortissimo uomo, purchè si tenga per fermo che si deve preferire una sporchissima morte a una purissima servitù. E poichè ho cominciato a servirmi di questi sordidi esempi, voglio continuar con essi: perocchè ognuno si riprometterà molto più di se stesso, vedendo che questa morte si può disprezzar anco da quelli, i quali sono disprezzatissimi. Non pensiamo che gli Catoni, gli Scipioni, e quegli altri che con ammirazione solemo udir nominare, siano quelli che dovemo in questa parte sopra tutti imitare. Or io mostrerò che questa virtù ha di molti esempi così ne’ Giuochi Bestiarii, come nei Capitani delle guerre civili. Conducendosi, non molti giorni sono, un certo allo spettacolo della mattina, cinto d’ogn’intorno dalla guardia, finse di dormire, e come che nel sonno gli cadesse giù la testa, l’abbassò tanto, che giunse con essa alle ruote del carro; e si tenne tanto fermo nel luogo, dov’egli sedea, finchè col girar della ruota si fracassò il capo: e così con quel medesimo carro, col quale era condotto al supplizio, lo fuggì. Non è cosa che impedisca un che desidera di fuggire ed uscir del mondo. Nell’aperto la Natura è quella che ha cura di noi. A chi è permesso dalla sua necessità con dargli tempo, pensi a più dolce morte; e chi alle mani ha più cose da potersi torre di servitù, facciane la scelta, et eleggane una, con la quale se liberi. Ma chi ha poca comodità, e difficilmente può pigliar l’occasione, attacchisi a qualunque gli è più vicina, pigliandola per [p. 26 modifica]buona, ancorchè sia inaudita, et ancorchè sia nova. A chi non mancherà l’animo, non mancherà nè anco l’ingegno per trovar via di morire. Mira come anco gli più infimi servi stimolati dal dolore si risentono, e si destano per modo, che gabbano anco quelli, che diligentissimamente fanno loro la guardia. Grand’uomo è quello, che non solo si propone, e si delibera di morire; ma ancora si trova il modo di conseguir la morte. E poichè t’ho promesso di darti più esempi di questa sorte: nel secondo spettacolo della guerra navale un Barbaro, passandosi la gola con quella lancia, che avea presa contra gli avversarj, perchè disse, non devo io tormi quanto più presto al tormento, et allo strazio? E perchè devo armato aspettar la morte? Spettacolo veramente tanto più degno, quanto più onesta cosa è agli uomini il morire, che l’uccidere altrui. Che dunque? La virtù, che hanno questi animi perduti, e pieni di tormenti, non averanno quelli che contra questi casi sono ammaestrati et instrutti dalla lunga meditazione, e dalla Ragione maestra di tutte le cose? Questa è quella che n’insegna che vi son molte strade da pervenire alla morte, le quali però tutte hanno un medesimo fine. E non rilieva che principio s’abbia quel che viene. Questa ne ammonisce, che concedendocisi, si debbia morir senza dolore; e non potendosi, che si faccia come si può, e che si pigli quello che ne viene innanzi per levarsi la vita. È cosa ingiuriosa il vivere a chi si deve per violenza tor di vita; e per il contrario è [p. 27 modifica]bellissima cosa il morire a chi lo deve far per forza. Sta sano.

Note

  1. Un Filosofo Cristiano non ragionerebbe con questi principj; e la Morale di Cristo, che non è quella di Seneca, vieta sotto pena degli eterni gastighi il suicidio, per qualunque cagione esso venga commesso. Qui vuolsi dunque riflettere che parla un Etnico, al quale non toccò la bella sorte d’essere illuminato dalla luce della Religion Rivelata, e che empj sono e al tutto anti-Cristiani cotali sentimenti, i quali non che sieno da attendersi, metton ribrezzo ne’ leggitori dalla ragione, e dalla Religione guidati. Nota dell’Editore.