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terminata, et ancorchè sappia che gli sia ordinato il supplizio, non cercherà con le sue mani ammazzandosi di torsi a quella pena. È sciocchezza il morir per timor della morte: è venuto chi ti doverà far morire. Aspetta dunque: perchè pigli tu tratto avanti? Perchè prendi ad amministrar la crudeltà, che altri deve amministrare? Porti tu forse invidia al tuo boja, o pur gli perdoni? Socrate potè con l’astinenza finir la vita, e morir più tosto di fame, che di veleno; volse non dimeno star trenta giorni in prigione aspettando la morte, non con animo che ogni cosa potesse essere, e che così lungo spazio di tempo potesse addur seco molte speranze della vita; ma per far che la legge avesse il suo luogo anco sopra di se, e per far anco godere agli amici quell’estremo essere di Socrate. Che cosa più scioccamente potea egli fare, che, disprezzando la morte, temer il veleno? Scribonia, donna piena di gravità, fu zia di Drusio Libone, giovane non meno integro che nobile, e di maggior espettazione, che altro che fusse di quel secolo. Costui essendo ricondotto a casa in lettica dal Senato, con molto poco favore, empiamente abbandonato da tutti suoi parenti, et amici; già non più reo, ma certo di dover morire, cominciò a consigliarsi, se dovea darsi la morte da se, o pur aspettar che gli fusse data. Al quale Scribonia, Che dunque, disse, ti piace di pigliarti i fastidj che toccano altrui? Non potè con tutto ciò persuaderglielo: egli s’uccise, nè senza cagione il fece; perciocchè in questo caso chi deve fra due, o tre giorni morire ad arbitrio dell’inimico,