Lettera di Eloisa ad Abelardo/Carme

Carme

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In queste solitudini profonde,
In queste sacre celle, ove in Ciel fisa
Contemplazion dimora, e, sempre assorta
Nel meditar, Melanconia sol regna,
5Ond’è il tumulto, che le vene occùpa
D’una Vestal? Perchè fuor del confine
Di quest’ultimo asil vola il pensiero?
Perchè la fiamma antica in sen rinasce?
Sì, troppo è ver, amo tuttor. Vergate
10D’Abelardo per man fur queste note,
E ancor baciarne può Eloisa il nome.
     Nome caro e fatal! Rimanti ascoso,
Nè le labbra varcar, cui feo suggello
Sacro silenzio. E tu, mio cor, lo ascondi
15Sotto il secreto vel, dove commista

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Vive con Dio sua lusinghiera imago.
Non lo scriver mia destra. - Oh, veh, che è scritto!
Via toglietelo, o lacrime. Ah! tu indarno
Gitti, Eloisa, le preghiere e ’l pianto:
20Obbedisce la mano al cor che detta.
     Inflessibili mura, a cui d’intorno
Di spontanei martir, di penitenti
Gemiti il suon si spande: ispidi sassi,
Usi a provar degli umili ginocchi
25La dura pazïenza: orride grotte
Di spine ingombre: o voi, Reliquie sante,
Cui le vigili notti offrir son use
Le verginelle dalle grame luci:
O simulacri degli eterei Divi,
30Onde quaggiuso a lacrimar si apprende;
Benchè fatta io mi sia gelida e muta
Al par di voi, pur non ancor m' impetro.
Tutto del Ciel non è mentre Abelardo
Parte ne tien. Metà del core usurpa
35La ribelle natura: e i pertinaci
Suoi palpiti a frenar, fervida prece
Non vale, nè digiun, nè assiduo pianto.
     Dischiuso appena con tremante mano
Il foglio n’ebbi, che il ben noto nome
40In me svegliò tutti i passati affanni.

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Oh nome, infausto sì, pur sempre amato!
Misto ai sospir’, sul labbro ognor mi suoni:
Pietosa lacrimetta ognor ti bagna. -
Del mio nome allo scontro, alto le membra
45Tremor mi assal, e ne pavento il peggio.
Così tra dolor’varii e crude ambasce,
Di verso in verso il pavid’occhio scorre,
E a larga vena si distempra in pianto.
Or d’amoroso foco in sen divampo,
50Or la florida età piango, perduta
Nella solinga oscurità del chiostro,
Ove gli stessi involontarii ardori
Religïon condanna, e spegne austera
Le passïon più care, amore e fama.
     55Ma pur mi scrivi, sì, tutto mi scrivi:
Confonder vo’ le mie colle tue pene
E a’ tuoi sospir’far eco. A noi fortuna,
O rio nimico tal poter non toglie.
Men tu dunque di lor sarai pietoso?
60Mie pur son queste lacrime: nè avara
Esserne bramo: le domanda amore;
Amor, che a quelle sol dritto non ave,
Cui la preghiera elice. Or la più dolce
A’ dolenti occhi miei cura sol resta,
65Leggere e lacrimar: e più non ponno.

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     Meco dunque, Abelardo, il tuo dividi
Aspro penar. Sì misero conforto
Per te negato non mi sia. - Che parlo?
Ah! diviso non già, tutto mei dona.
70Degl’infelici a mitigar le angosce,
O di profugo amante, o di donzella
Imprigionata dal rigor, fu il Cielo,
Che di vergate messaggere carte
Il consiglio ne diè. Vivo ragiona
75Lo scritto, e serba quel che amor gli spira.
Il suo calor l'alma gl’infonde, e tutti
Con interprete lingua apre gli arcani
Desir’secura. Muto il foglio vola:
E, scusando il rossor, di core in core
80La genïal corrispondenza guida,
E trasporta un sospir dall’Indo al Polo.
     Quando, del manto d’amistà vestito,
Amor mi s’appressò, ben sai che onesta
Era mia fiamma. Angelica natura
85Mia fantasia ti diè: della superna
Mente, che in sè tutte bellezze aduna,
Te un raggio figurò: chiaro, celeste
Giorno piovea da’ tuoi ridenti lumi.
Innocente mirai. Pendere intenti
90A’ tuoi canti parean gli eterei Cori,

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E in soavi condilo e nove tempre,
Da’ tuoi labbri scendea l’eterno Vero.
Qual potea gentil core udir tue voci,
E schivarne il trionfo? Oimè! ben presto
95Imparai, che l’amar colpa non era.
De' sensi in ver la traccia il passo tòrsi:
Nè più in colui, che qual mortai mi piacque,
Un angiolo bramai. Remote, oscure,
Le dilettanze mi parean de’ Divi:
100Nè più lor seppi le beate sedi
Invidïar, che per te sol perdea.
     Oh quante volte, all’imeneo sospinta,
Maladette, esclamai, le leggi tutte,
Da quelle in fuor, di che maestro è Amore!
105Libero al par dell’aer, solo alla vista
Delle umane catene ei le lucenti
Ale dispiega, e qual balen s’invola.
D’illustre sposa agi ed onor’seguaci
Sien pur, sublimi l'opre e sacro il nome:
110Agi, nome ed onor’, tutto, di un vero
E dolce affetto al paragon, vien manco.
Vindice il Dio di profanata fiamma,
Affannosi tumulti in sen risveglia,
Ed i sospir’de’ malaccorti inganna,
115Che cercano in amor altro che amore.

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Se della terra il regnator la destra
Col soglio in un mi offrisse, e destra e soglio
Certo rifiuto avrian. Discaro sona
Per l' ardente mio cor di sposa il nome,
120Se del mortai non è, cui solo adoro:
O se altro nome è pur, che più soave
E più libero sia, quello mi dona.
     Oh stato avventuroso, allor che un’alma
È con vivo desio nell’altra immersa,
125Ed è Amor libertà, legge Natura!
Tutto è perfetto allor: con bella gara
Serve l’un l'altro e regna: il vòto petto
Non contrista la vita: e nel pensiero
Mentre il pensier si avvien pria che figura
130Sul labbro acquisti, ogni più calda brama
Esce alterna dal cor. Verace è questa
Felicità, se v’ha felici al mondo:
E tal d’entrambi un dì fu la ventura.
Or quanto, oimè, diversa! Orrida scena
135Mi sta davante, del suo sangue intriso,
Ignudo geme un amator. Dov’era,
Dove allor Eloisa? Il suo lamento,
La destra, il ferro, al barbaro comando
Fatto contrasto avrian. - Ti arresta, o crudo:
140Il colpo non vibrar: comun è il fallo:

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Sia la pena comun. Da sdegno vinta
E da vergogna, altro ridir non posso:
Le lacrime e ’l rossor parlino il resto.
     Quel giorno infausto, quel solenne giorno
145Porre in obblio puoi tu, che di quest’are
Cademmo appiè, vittime unite? Il pianto
Puoi tu scordar, ch’io sparsi, allor che al mondo
Diedi nel fior di gioventù l' addio?
Quando con fredde labbra il sacro velo
150Baciai, del tempio per l'orror fur viste
Le reliquie tremar: pallido apparve
Delle lampade il lume: il Ciel rimase
Della vittoria in forse: e mio solenne
Voto, dal cor discorde, a udir sospesi
155Con attonito orecchio erano i Santi.
Mentre a queste tremende are fui tratta,
Era in te sol, non nella Croce affissa.
Non grazia, non fervor, tenero affetto
Sol mi parlava in sen. Ah! s’io te perdo,
160Perdo me stessa ancor. Vieni: col guardo
E con gli accenti, unico ben, che il Cielo
In te mi serba, il mio dolor conforta.
Su quel tenero petto ancor la fronte
Lascia ch’io pòsi, e da’ tuoi rai delibi
165L’amoroso veleno, e sulle labbra

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Penda, e ti stringa ai cor. Tutto mi dona
Quanto donarmi puoi: lascia che il senso
Il più col vano imaginar si finga. -
Ah! no: con vario stil meglio mi addita
170D’altri diletti, che de’ tuoi, le norme:
D'altre bellezze gli occhi miei rallegra:
Fa che a me tutto si discopra il Cielo,
E fuggendo Abelardo, a Dio mi doni.
     Deh, pensa almeno, che tua greggia è questa:
175Che di tua man piante siam noi, le figlie
Delle preghiere tue. Per te, degli anni
In sul fiorir, dall’ingannevol mondo
Fra inospite foreste ed aspri monti
Volser le meste verginelle il passo:
180Surse per te questa solinga chiostra;
Sen compiacque il deserto: e in mezzo a nudi
Campi da te fu il Paradiso aperto.
De’ paterni tesor’ gli sculti vasi
E i pavimenti di sottil lavoro
185Non qui lussureggiar l’orfano mira,
Nè argentei simulacri (ultima offerta
D’egri languenti, onde far mite il Cielo,
Di que’ doni mal pago) ornan gli altari:
Ma nudo, uníl, come a pietà si addice,
190N’è albergo e tempio: e con perpetuo metro
Sol delle laudi del Signor risona.

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     In quest’ermo ricetto, eterna meta
Del viver mio, sotto questi orrid’archi,
Ove al merigge incerto lume appena
195Giù dagli alti discende angusti varchi,
Soave calma e sovrumano riso
Spandean già tue pupille, e, a lor concordi,
Fean della gloria i rai più chiaro il giorno.
Ma, oimè! il contento dal divin tuo volto
200Più quà non giunge: tutto inonda il lutto.
Mira or tu come delle alterne preci
Senta in me la virtù ( pietoso inganno
Di ardente carità! )... Ma qual poss’io
Nelle preci non mie ripor fidanza?
205Vien tu, sposo, german, padre ed amico:
Di me, tua suora, ancella tua, tua figlia,
Deh ti prenda pietà! Pietà ti prenda
Della tua cara in fin: nome, che tutti
I più teneri nomi in sè raccoglie.
210I foschi pini, onde le spalle carche
Han queste rupi, ed aquilon si frange:
L’ errante rivo, che fra i poggi splende;
L’antro, che alle sonanti acque risponde;
L’ aura, che moribonda in tra le foglie
215Mormora, e ’l lago che s'increspa al vento,
Fausti per me, d’altri pensieri avvinta,

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Più al meditar non son: più non alletta
La campestre natura i miei riposi:
Chè tra i boschetti dalla dubbia luce
220E i lungo-risonanti archi e le sparse
Tombe Melanconìa tetra si asside,
E funereo silenzio a sè d’intorno
Spande e tremenda calma. A lei davante
Sol mestizia e squallor spira la scena:
225La verdura s’infosca: il fior vien manco:
Rauco della cadente onda montana
Il fragor fassi: e d’orror freddo cinta,
Quasi per alta notte, appar la selva.
     Pur sempre qui viver degg’io, — qui sempre!
230(Oh! a qual ne astringe obbedïenza Amore!)
A morte, a morte sola, infranger lice
La tenace catena: e quì mia polve
Restar dovrà, quì depor fiamma e falli,
Ed aspettar sinchè alla tua frammista
235Senza colpa esser possa. — Oimè! che dissi?
Creduta invan sposa d’Iddio, la schiava
D’Amor vantarmi e d’un mortai? Mi aita,
O benefico Ciel! — Ma donde move
Il supplichevol grido? È furor cieco
240O pietà che lo inspira? In questi alberghi,
Ove la fredda Castità si cela,

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Fra i gemiti e i sospir’ sovente un’ara
Per gli obblïati affetti amor ritrova.
Mia fiamma, il so, spegner dovrei: ma il core
245Fa contrasto al dover: l’amante piango,
Ma non piango l’error: veggo la colpa,
Ma dolce parmi: e della gioja antica
Mentre incerta mi pento, altre ne bramo:
E al Ciel rivolta, or de’ passali falli
250Mi accuso, or a te penso, e fin l’istessa
Innocenza detesto. È dell’antico
Gioir l’obblìo la più severa prova
Per un amante cor. Come, se vivo
Il senso ne ri man, toglier la colpa?
255E mentre l’offensor pur sempre adoro.
Come, deh, come, abbominar l’offesa,
E il caro oggetto separar dal fallo,
E penitenza dall’interna voglia?
Alla possa di un cor trafitto e frale
260Cura è troppo inegual sanar la piaga.
A ricovrar la già smarrita pace,
Quanto soffrir! Qual sostener tenzone
Alma dee combattuta! Ama e disama
Tra speranza e timor, dispetto ed ira:
265Nè per vicenda mai d’opre o d’affetti
Perde del tristo rimembrar l’usanza.

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Ma tocca appena dal divino foco,
Di subito divampa, e a sè rapita,
Per sovruman vigor poggia alle sfere.
270Ah! vieni, ah! dimmi tu con qual poss’io
Arme vittrice soggiogar natura,
E tutta di Dio piena, amore e vita
In bando porre, e te non men: chè mai
Non fia che questo cor, dopo Abelardo,
275Trovi pace ed ajuto altro che in Dio.
Felice (oh quanto!) è l’innocente ancella
Che dal mondo obblïata, il mondo obblia!
Sereno lume in lei perpetuo splende:
Ne sono i preghi accetti: a suo talento,
280Senza fatica ogni desir depone,
E han sue leggi il riposo e l’opra alterna:
Misti con dolci lacrimose stille,
La via del Ciel conoscono i sospiri.
Cinta la Grazia d’immortal fulgore,
285Nel suo volto traspar: gli eletti Spirti
Le van bei sogni mormorando: a lei
Spunta dell’Eden la virginea rosa,
Vivace sempre in suo nativo stelo:
Per lei dalle agitate argentee penne
290De’ Serafini prezïosa piove
Alma fragranza, e ’l maritale anello

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Apparecchia lo sposo; e le donzelle,
Pronube d’Imeneo, sciolgono il canto.
D' arpe celesti al suono ella trapassa,
295E si dilegua nell’eterno die.
     Ma d’altre visïon, d’altri desiri,
D'altr’ estasi l'errante alma si pasce.
Quando, al cader d’ogni doglioso giorno,
Spietatamente rinnovata l'opra
300Della vendetta fantasia si pinge.
Mia coscïenza allor si acqueta: e sciolto
Dal mortal senso, a te lo spirto vola.
Oh infausti e cari della cieca notte
A me sol noti orrori! È dalla colpa
305Fatto il gioir più vivo. Ogni ritegno
Il rio dissolve tentator Nimico,
E schiude in me tutta d’amor la vena.
T’odo, ti veggio, il grazïoso volto
Mi alletta, e l’ombra colle braccia stringo.
310Mi desto: ed ahi! non più tua voce ascolto,
Più non ti miro, e al par di te scortese
Si dilegua il fantasma. Alto lo chiamo:
Nè a me risponde. Ambe le vòte palme
Disïosa gli stendo; e più mi fugge.
315Della perduta visïone in traccia,
Spontanea chiudo alfìn le luci al sonno.

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Larva soave, dilettoso inganno.
A me ritorna! — Oimè! non più raminga
Per orridi deserti e fiere balze
320Tua seguace mi penso: e l’un mi sembra
Pianger dell’altro al pianto. Alfìn là giunto,
Ove la pallid’ edera ricopre
Cadente torre, e spaventoso pende
Sulla cieca vorago arduo dirupo,
325Rapido all’etra ascendi, e a me ti volgi.
Nemboso è l’aer: precipita la piova:
Infuria il vento. Lamentoso un grido
Gitto: ed ugual mi s’apre orrenda scena.
Alle angosce di pria così mi desto.
     330Tra la pena e ’l gioir freddo intervallo
Per te il destin piacevolmente austero
Frappose. Lunga, ineccitabil calma
Il riposo rassembra a te concesso:
Polso non cresce in te: sangue non bolle:
335Tranquillo sei come del giusto il sonno,
O equoreo pian pria che lo turbi il vento,
E dall’imo il sollevi iniquo Spirto.
Dolce tuo volto appar quasi nascente
Limpido raggio di promesso Ciclo.
     340Vieni, Abelardo: che a temer ti resta?
D’amor la face per gli estinti è muta.

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È repressa natura: i miei lamenti
Biasma Religïon: tu se' di gelo:
Pur t’amo ancor. Ahi, miseranda fiamma!
345Alla fiamma simil che l'arid'urna
Riscalda, e a lato alle defunte salme
Splende, infeconda in me ti nutri e duri.
     Quale, ovunque mi volga, infausta scena
Mi turba i sensi! All’ara in faccia, al bosco,
350La cara idea mi sorge innante, ’l core
M'infetta, e nelle luci erra lasciva:
Tra gemiti per te la mattutina
Lampa consumo: e tua diletta imago
Fra me stassi e ’l mio Dio. Nel suon degl’inni
355Tua voce ascolto: e troppo dolci stille
Trae dagli occhi ogni prece. Allor che in nube
D’odorato vapor s’alzan gl'incensi,
E degli organi il suon l'alma sublima,
E a te rivolto, un sol pensier la sacra
360Pompa da me allontana, ara, facelle
E tempio e sacerdoti a me davanti
Si dileguan repente: in mar di fiamme
Inabissata è l'alma, ardon gli altari,
E improvviso tremor gli Angioli investe.
     365Mentre nell’umiltà del mio dolore
Genuflessa quì giaccio, e dolce, onesto

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Pianto da’ rai distillo, e nella polve
Supplice mi ravvolgo, e su i miei falli
Della grazia spuntar l’alba rimiro,
370Vieni, se ardisci, allor: tutti dispiega
I vezzi antichi: al Ciel te stesso opponi,
E ’l mio cor gli contrasta. Oh! vieni: e un guardo
Di tue care pupille in questo petto
Ogni pura disgombri idea superna.
375Quella Grazia da me, da me quel pianto
Respingi, e duolo e penitenza e preci:
E quando ancor fia che all’Empiro io poggi,
Ai dèmoni ti aggiungi, e a lui mi togli.
E dal sen del suo Dio svelli Eloisa.
     380Ah no: fuggi da me, fuggi, e lontano
Come polo da polo. Ambo disgiunga
Alto oceàno e insuperabil alpe.
No, più non ti appressar: più a me vergato
Foglio non giunga, nè un pensier, nè brama
385D’un solo de’ miei guai meco diviso.
La data fè ti rendo. A me più mai
Di te non sovverrà. Scorda tu stesso
La misera Eloisa, e tutto abborri
Quanto di lei già fu. — Vivaci lumi,
390Sguardi amorosi, che ho tuttor presenti;
O lungamente vagheggiata imago,

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Addio: da tutto mi diparto. Or vieni,
Serena Grazia, tu: vieni, o Virtute,
Divinamente bella, o santo obblio
395Delle terrestri cure, o sempre verde
Speme, figlia del Cielo. E tu, verace
Fe’, di beata eternità foriera,
Ospite amica nel mio sen t’infondi,
E mi solleva all’immortai riposo.
     400Sovra una tomba, colla fronte inchina,
Mira Eloisa dal morir non lunge.
Par che uno Spirto, al sibilar d’ ogni aura,
E dell’eco maggior, si aggiri e chiami.
A moribonda fiaccola davante
405Mentr’io veglio, dell’urna appiè, che serba
Di santa spoglia il venerato avanzo,
Cupa voce ne ascolto, e sì mi parla:
«Vieni, o sorella, vieni: è quì tua stanza:
Non indugiar. Come tu preghi e piangi,
410Vittima io pur d’un’amorosa cura,
Piansi un tempo e pregai. Beata or sono:
Chè tutto in questa eterna vita è pace.
I lai quì scorda il Duolo, Amore i pianti,
Superstizion medesma i suoi timori.
415Qui un Dio, non l’uom, i nostri falli assolve».
     Eccomi dunque. I non caduchi serti

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Di rose mi apprestate e l’auree palme
Tra i Serafin’ di pure fiamme accesi,
Ove sol trova il peccator quïete.
420E tu, Abelardo, il mesto ufficio estremo
Adempì, e l’alma peregrina aita.
Mira: il labbro mi trema, e nella morte
Nuotano i lumi. Or l’ultimo respiro
Suggi, e lo spirto fuggitivo accogli.
425Ah! no: presso Eloisa in sacra vesta
Rimanti: e stretta d’una man la face,
Coli’ altra a sue pupille offri la Croce:
A morir l'ammaestra, e in un lo impara.
Guata securo allor l’amata donna:
430Chè più colpa non fia. Le passeggiere
Rose svanir sulle mie guance mira:
La scintilla vital mira ne’ lumi
Al suo fin giunta: e insin che polso e moto
In me non taccia, e non sii tu più mio,
435Non ti partir. Morte eloquente, e sola
Testimon di qual polve il cor si accenda,
Ove d’amor per un mortai sia preso!
     Quando tue dolci grazïose forme,
Di mie colpe ragion, de’ miei diletti,
440Dal fato estremo fien distrutte, oh possa
Bell’estasi assorbirne il duol compagno,

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E chiara scender nuvoletta, e ’l coro
A te vegghiar degli Angioli d’intorno,
E sfavillar giù dagli aperti cieli
445La gloria, e con desir, che il mio pareggi
Incontro a te stender le braccia i Santi!
Nostre misere salme indi una sola
Cara tomba racchiuda: e d’Eloisa
L’amor s’innesti all’immortal tuo nome.
450E se alla tarda etade, allor che tutti
Fien cessati i miei mali, e del ribelle
Cor gli affannosi palpiti, due fidi
Esuli amanti alle solinghe mura
Del Paracleto ed all’argentee fonti
455La sorte guidi, sovra i bianchi marmi
Con bassa fronte, e di scambievol pianto
Molli, diranno per pietà: «Deh mai,
Come il lor arse, nostro cor non arda!»
E se, allor che l’Osanna alto rimbomba,
460E del tremendo sacrifizio ferve
L’augusta pompa, avvenga un dì che al sasso,
Del nostro fral custode, alcun si volga
Occhio pietoso, un tenero pensiero
Involerà Devozïone al Cielo,
465E una stilla di pianto avrà perdono.
Poi, se da pare avversità percosso,

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Vate fia mai, che dal suo ben per lunghi
Anni lontano, e col pensiero i vezzi
Costretto a figurar, negali al guardo,
470D’amore avvampi al nostro egual, de’ tristi
Casi ristoria con pio slil ne dica;
E alcun verrà da’ ben cantati affanni
Conforto a mia dolente ombra pensosa.
Delle pene d’amor la viva imago
475Ritrar può sol chi più d’amor si dolse.