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Più al meditar non son: più non alletta
La campestre natura i miei riposi:
Chè tra i boschetti dalla dubbia luce
220E i lungo-risonanti archi e le sparse
Tombe Melanconìa tetra si asside,
E funereo silenzio a sè d’intorno
Spande e tremenda calma. A lei davante
Sol mestizia e squallor spira la scena:
225La verdura s’infosca: il fior vien manco:
Rauco della cadente onda montana
Il fragor fassi: e d’orror freddo cinta,
Quasi per alta notte, appar la selva.
     Pur sempre qui viver degg’io, — qui sempre!
230(Oh! a qual ne astringe obbedïenza Amore!)
A morte, a morte sola, infranger lice
La tenace catena: e quì mia polve
Restar dovrà, quì depor fiamma e falli,
Ed aspettar sinchè alla tua frammista
235Senza colpa esser possa. — Oimè! che dissi?
Creduta invan sposa d’Iddio, la schiava
D’Amor vantarmi e d’un mortai? Mi aita,
O benefico Ciel! — Ma donde move
Il supplichevol grido? È furor cieco
240O pietà che lo inspira? In questi alberghi,
Ove la fredda Castità si cela,