Le smanie per la villeggiatura/Atto III
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ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Camera di Leonardo.
Leonardo e Fulgenzio.
Leonardo. Voi mi date una nuova, signor Fulgenzio, che mi consola infinitamente. Ha dunque dato parola il signor Filippo di liberarsi dall’impegno che aveva col signor Guglielmo?
Fulgenzio. Sì, certo, mi ha promesso di farlo.
Leonardo. E siete poi sicuro che non vi manchi?
Fulgenzio. Son sicurissimo. Passano delle cose fra lui e me, che mi rendono certo della sua parola; e poi l’ho trovato assai pontuale in affari di rimarco. Non dubito di ritrovarlo tale anche in questo.
Leonardo. Dunque Guglielmo non andrà in campagna colla signora Giacinta. Fulgenzio. Questo è certissimo.
Leonardo. Son contentissimo. Ora ci andrò io volentieri.
Fulgenzio. Ho detto tanto, ho fatto tanto, che quel buon uomo si è illuminato. Egli ha un ottimo cuore. Non crediate ch’ei manchi per malizia; manca qualche volta per troppa bontà.
Leonardo. E credo che la sua figliuola lo faccia fare a suo modo.
Fulgenzio. No, non è cattiva fanciulla. Mi ha confessato il signor Filippo, ch’ella non aveva parte alcuna nell’invito del signor Guglielmo; e ch’egli l’avea anzi pregato d’andar con loro, per quella passione ch’egli ha d’aver compagnia e di farsi mangiare il suo.
Leonardo. Ho piacere che la signora Giacinta non ne abbia parte. Mi pareva quasi impossibile, sapendo quel che è passato fra lei e me.
Fulgenzio. E che cosa è passato fra lei e voi?
Leonardo. Delle parole che l’assicurano ch’io l’amo, e che mi fanno sperare ch’ella mi ami.
Fulgenzio. E il padre suo non sa niente?
Leonardo. Per parte mia non lo sa.
Fulgenzio. E convien credere ch’ei non lo sappia, perchè dicendogli che vi sarebbe un partito per sua figliuola, non gli è caduto in mente di domandarmi di voi.
Leonardo. Non lo saprà certamente.
Fulgenzio. Ma è necessario ch’egli lo sappia.
Leonardo. Un giorno glielo faremo sapere.
Fulgenzio. E perchè non adesso?
Leonardo. Adesso si sta per andare in campagna.
Fulgenzio. Amico, parliamo chiaro. Io vi ho servito assai volentieri presso il signor Filippo, per far ch’ei staccasse da sua figliuola una compagnia un poco pericolosa, perchè mi parve che l’onestà l’esigesse, e perchè mi avete assicurato di aver buona intenzione sopra di lei, e che ottenuta questa soddisfazione, l’avreste chiesta in isposa. Ora non vorrei che seguitasse la tresca senza conclusione veruna, ed essere stato io cagione di un mal peggiore. Finalmente col signor Guglielmo potea essere che non ci fosse malizia, ma di voi non si può dire così. Siete avviticchiati, per quel ch’io sento, e poichè mi avete fatto entrare in cotesta danza, non ne voglio uscire con disonore. Una delle due dunque, o dichiaratevi col signor Filippo, o gli farò, riguardo a voi, quella lezione medesima che gli ho fatto rispetto al signor Guglielmo.
Leonardo. E che cosa mi consigliate di fare?
Fulgenzio. O chiederla a drittura, o ritirarvi dalla sua conversazione.
Leonardo. E come ho da fare a chiederla in questi brevi momenti?
Fulgenzio. Questa è una cosa che si fa presto. Mi esibisco io di servirvi.
Leonardo. Non si potrebbe aspettare al ritorno dalla campagna?
Fulgenzio. Eh! in una villeggiatura non si sa quel che possa accadere. Sono stato giovane anch’io; per grazia del cielo, pazzo non sono stato, ma ho veduto delle pazzie. L’obbligo mio vuol ch’io parli chiaro all’amico, o per domandargli la figlia, o per avvertirlo che si guardi da voi.
Leonardo. Quand’è così, domandiamola dunque.
Fulgenzio. Con che condizione volete voi ch’io gliela domandi?
Leonardo. Circa alla dote, si sa che le ha destinato ottomila scudi e il corredo.
Fulgenzio. Siete contento?
Leonardo. Contentissimo.
Fulgenzio. Quanto tempo volete prendere per isposarla?
Leonardo. Quattro, sei, otto mesi, come vuole il signor Filippo.
Fulgenzio. Benissimo. Gli parlerò.
Leonardo. Ma avvertite che oggi si dee partire per Montenero.
Fulgenzio. Non si potrebbe differir qualche giorno?
Leonardo. Non e’è caso, non si può differire.
Fulgenzio. Ma l’affare di cui si tratta, merita che si sagrifichi qualche cosa.
Leonardo. Se si trattiene il signor Filippo, mi tratterrò ancor io, ma vedrete che sarà impossibile.
Fulgenzio. E perchè impossibile?
Leonardo. Perchè tutti vanno, e il signor Filippo vorrà andare, e la signora Giacinta infallibilmente oggi vorrà partire, e mia sorella mi tormenta all’estremo per l’impazienza d’andare, e per cento ragioni io non mi potrò trattenere.
Fulgenzio. Poh! fin dove è arrivata la passione del villeggiare! Un giorno pare un secolo. Tutti gli affari cedono; via, anderò subito; vi servirò, vi soddisfarò. Ma, caro amico, soffrite dalla mia sincerità due parole ancora. Maritatevi per far giudizio, e non per essere piucchè mai rovinato. So che le cose vostre non vanno molto felicemente. Ottomila scudi di dote vi possono rimediare; ma non li spendete intorno di vostra moglie, non li sagrificate in villeggiatura; prudenza, economia, giudizio. Val più il dormir quieto, senza affanni di cuore, di tutti i divertimenti del mondo. Fin che ce n’è, tutti godono. Quando non ce n’è più, motteggi, derisioni, fischiate, scusatemi. Vado a servirvi immediatamente. (parte)
SCENA II.
Leonardo, poi Cecco.
Leonardo. Eh! dice bene; mi saprò regolare; metterò la testa a partito. Ehi, chi è di là?
Cecco. Signore.
Leonardo. Va subito dal signor Filippo e dalla signora Giacinta. Di’ loro che mi sono liberato da’ miei affari, e che oggi mi darò l’onore di essere della loro partita per Montenero. Soggiungi che avrei una compagnia da dare a mia sorella in calesso, e che, se me lo permettono, andrò io nella carrozza con loro. Fa presto e portami la risposta.
Cecco. Sarà obbedita.
Leonardo. Di’ al cameriere che venga qui, e che venga subito.
Cecco. Sì, signore. (Oh quante mutazioni in un giorno!) (parte)
SCENA III.
Leonardo, poi Paolo.
Leonardo. Ora che nella carrozza loro non va Guglielmo, non ricuseranno la mia compagnia; sarebbe un torto manifesto che mi farebbono. E poi, se il signor Fulgenzio gli parla, se il signor Filippo è contento di dare a me sua figliuola, come non dubito, la cosa va in forma; nella carrozza ci ho d’andar io. Con mia sorella vedrò che ci vada il signor Ferdinando. Già so com’egli è fatto, non si ricorderà più di quello che gli ho detto.
Paolo. Eccomi a’ suoi comandi.
Leonardo. Presto, mettete all’ordine quel che occorre, e fate ordinare i cavalli, che a ventun’ora s’ha da partire.
Paolo. Oh bella!
Leonardo. E spicciatevi.
Paolo. E il desinare?
Leonardo. A me non importa il desinare. Mi preme che siamo lesti per la partenza.
Paolo. Ma io ho disfatto tutto quello che aveva fatto.
Leonardo. Tornate a fare.
Paolo. È impossibile.
Leonardo. Ha da esser possibile, e ha da esser fatto.
Paolo. (Maledetto sia il servire in questa maniera).
Leonardo. E voglio il caffè, la cera, lo zucchero, la cioccolata.
Paolo. Io ho reso tutto ai mercanti.
Leonardo. Tornate a ripigliare ogni cosa.
Paolo. Non mi vorranno dar niente.
Leonardo. Non mi fate andar in collera.
Paolo. Ma, signore....
Leonardo. Non c’è altro da dire. Spicciatevi.
Paolo. Vuole che gliela dica? Si faccia servire da chi vuole, ch’io non ho abilità per servirla.
Leonardo. No, Paolino mio, non mi abbandonate. Dopo tanti anni di servitù, non mi abbandonate. Si tratta di tutto. Vi farò una confidenza non da padrone, ma da amico. Si tratta che il signor Filippo mi dia per moglie la sua figliuola con dodicimila scudi di dote. Volete ora ch’io perda il credito? Mi volete vedere precipitato? Credete ch’io sia in necessità di fare gli ultimi sforzi per comparire? Avrete cuore ora di dirmi che non si può, che è impossibile, che non mi potete servire?
Paolo. Caro signor padrone, la ringrazio della confidenza che si è degnato di farmi; farò il possibile: sarà servita. Se credessi di far col mio, la non dubiti, sarà servita. (parte)
SCENA IV.
Leonardo, poi Vittoria.
Leonardo. È un buon uomo, amoroso, fedele; dice che farà, se credesse di far col suo. Ma m’immagino già che quel che ora è suo, una volta sarà stato mio. Frattanto vo’ rimettere in ordine il mio baule.
Vittoria. Orsù, signor fratello, vengo a dirvi liberamente che da questa stagione in Livorno non ci sono mai stata, e non ci voglio stare, e voglio andare in campagna. Ci va la signora Giacinta, ci vanno tutti, e ci voglio andar ancor io. (con caldo)
Leonardo. E che bisogno c’è che mi venite ora a parlare con questo caldo?
Vittoria. Mi scaldo, perchè ho ragione di riscaldarmi, e andrò in campagna con mia cugina Lugrezia e con suo marito.
Leonardo. E perchè non volete venire con me?
Vittoria. Quando?
Leonardo. Oggi.
Vittoria. Dove?
Leonardo. A Montenero.
Vittoria. Voi?
Leonardo. Io.
Vittoria. Oh!
Leonardo. Sì, da galantuomo.
Vittoria. Mi burlate?
Leonardo. Dico davvero.
Vittoria. Davvero, davvero?
Leonardo. Non vedete ch’io fo il baule?
Vittoria. Oh! fratello mio, come è stata?
Leonardo. Vi dirò: sappiate che il signor Fulgenzio....
Vittoria. Sì, sì, mi racconterete poi. Presto, donne, dove siete? Donne, le scatole, la biancheria, le scuffie, gli abiti, il mio mariage. (parte)
SCENA V.
Leonardo, poi Cecco.
Leonardo. È fuor di sè dalla consolazione. Certo, che se restava in Livorno, non le si poteva dare una mortificazione maggiore. E io? Sarei stato per impazzire. Ma! il puntiglio fa fare delle gran cose. L’amore fa fare degli spropositi. Per un puntiglio, per una semplice gelosia, sono stato in procinto di abbandonare la villeggiatura.
Cecco. Eccomi di ritorno.
Leonardo. E così, che hanno detto?
Cecco. Li ho trovati padre e figlia, tutti e due insieme. M’hanno detto di riverirla; che avranno piacere della di lei compagnia per viaggio, ma che circa il posto nella carrozza, abbia la bontà di compatire, che non la possono servire, perchè sono impegnati a darlo al signor Guglielmo.
Leonardo. Al signor Guglielmo?
Cecco. Così m’hanno detto.
Leonardo. Hai tu capito bene? Al signor Guglielmo?
Cecco. Al signor Guglielmo.
Leonardo. No, non può essere. Sei uno stolido, sei un balordo.
Cecco. Io le dico che ho capito benissimo, e in segno della mia verità, quando io scendeva le scale, saliva il signor Guglielmo col suo servitore col valigino.
Leonardo. Povero me! non so dove mi sia. Mi ha tradito Fulgenzio, mi scherniscono tutti, son fuor di me. Sono disperato. (siede
Cecco. Signore.
Leonardo. Portami dell’acqua.
Cecco. Da lavar le mani?
Leonardo. Un bicchier d’acqua, che tu sia maladetto. (s’alza)
Cecco. Subito. (Non si va più in campagna). (parte)
Leonardo. Ma come mai quel vecchio, quel maladetto vecchio, ha potuto ingannarmi? L’avranno ingannato. Ma se mi ha detto che Filippo ha con esso lui degli affari, in virtù dei quali non lo poteva ingannare; dunque il male viene da lui; ma non può venire da lui. Verrà da lei, da lei; ma non può venire nemmeno da lei. Sarà stato il padre; ma se il padre ha promesso! Sarà stata la figlia; ma se la figlia dipende! Sarà dunque stato Fulgenzio; ma per qual ragione mi ha da tradire Fulgenzio? Non so niente, son io la bestia, il pazzo, l’ignorante....
Cecco. (Viene coll’acqua.)
Leonardo. Sì, pazzo, bestia. (da sè, non vedendo Cecco
Cecco. Ma! perchè bestia?
Leonardo. Sì, bestia, bestia. (prendendo l’acqua)
Cecco. Signore, io non sono una bestia.
Leonardo. Io, io sono una bestia, io. (beve l’acqua)
Cecco. (Infatti le bestie bevono l’acqua, ed io bevo il vino).
Leonardo. Va subito dal signor Fulgenzio. Guarda s’è in casa. Digli che favorisca venir da me, o che io andrò da lui.
Cecco. Dal signor Fulgenzio, qui dirimpetto?
Leonardo. Sì, asino, da chi dunque?
Cecco. Ha detto a me?
Leonardo. A te.
Cecco. (Asino, bestia, mi pare che sia tutt’uno). (parte)
SCENA VI.
Leonardo, poi Paolo.
Leonardo. Non porterò rispetto alla sua vecchiaia, non porterò rispetto a nessuno.
Paolo. Animo, animo, signore, stia allegro, che tutto sarà preparato.
Leonardo. Lasciatemi stare.
Paolo. Perdoni, io ho fatto il debito mio, e più del debito mio.
Leonardo. Lasciatemi stare, vi dico.
Paolo. Vi è qualche novità?
Leonardo. Sì, pur troppo.
Paolo. I cavalli sono ordinati.
Leonardo. Levate l’ordine.
Paolo. Un’altra volta?
Leonardo. Oh! maledetta la mia disgrazia!
Paolo. Ma che cosa gli è accaduto mai?
Leonardo. Per carità, lasciatemi stare.
Paolo. (Oh! povero me! andiamo sempre di male in peggio).
SCENA VII.
Vittoria con un vestito piegato, e detti.
Vittoria. Fratello, volete vedere il mio mariage?
Leonardo. Andate via.
Vittoria. Che maniera è questa?
Paolo. (Lo lasci stare). (prono a Vittoria)
Vittoria. Che diavolo avete?
Leonardo. Sì, ho il diavolo; andate via.
Vittoria. E con questa bella allegria si ha da andare in campagna?
Leonardo. Non vi è più campagna; non vi è più villeggiatura, non v’è più niente.
Vittoria. Non volete andare in campagna?
Leonardo. No, non ci vado io, e non ci anderete nemmeno voi.
Vittoria. Siete diventato pazzo?
Paolo. (Non lo inquieti di più, per amor del cielo). (a Vittoria)
Vittoria. Eh! non mi seccate anche voi. (a Paolo)
SCENA VIII.
Cecco e detti.
Cecco. Il signor Fulgenzio non c’è. (a Leonardo)
Leonardo. Dove il diavolo se l’ha portato?
Cecco. Mi hanno detto che è andato dal signor Filippo.
Leonardo. Il cappello e la spada. (a Paolo)
Paolo. Signore....
Leonardo. Il cappello e la spada. (a Paolo, più forte)
Paolo. Subito. (va a prendere il cappello e la spada)
Vittoria. Ma si può sapere? (a Leonardo)
Leonardo. Il cappello e la spada.
Paolo. Eccola servita. (gli dà il cappello e la spada)
Vittoria. Si può sapere che cosa avete? (a Leonardo)
Leonardo. Lo saprete poi. (parte)
Vittoria. Ma che cosa ha? (a Paolo)
Paolo. Non so niente. Gli vo’ andar dietro alla lontana. (parte)
Vittoria. Sai tu che cos’abbia? (a Cecco)
Cecco. Io so che m’ha detto asino; non so altro. (parte)
SCENA IX.
Vittoria, poi Ferdinando.
Vittoria. Io resto di sasso, non so in che mondo mi sia. Vengo a casa, lo trovo allegro, mi dice: andiamo in campagna. Vo’ di là, non passano tre minuti. Sbuffa, smania. Non si va più in campagna. Io dubito che abbia data la volta al cervello. Ecco qui, ora sono più disperata che mai. Se questa di mio fratello è una malattia, addio campagna, addio Montenero. Va là tu pure, maledetto abito. Poco ci mancherebbe che non lo tagliassi in minuzzoli. (getta il vestito sulla sedia)
Ferdinando. Eccomi qui a consolarmi colla signora Vittoria.
Vittoria. Venite anche voi a rompermi il capo?
Ferdinando. Come, signora? Io vengo qui per un atto di urbanità, e voi mi trattate male?
Vittoria. Che cosa siete venuto a fare?
Ferdinando. A consolarmi che anche voi anderete in campagna.
Vittoria. Oh! se non fosse perchè, perchè.... mi sfogherei con voi di tutte le consolazioni che ho interne.
Ferdinando. Signora, io sono compiacentissimo. Quando si tratta di sollevar l’animo di una persona, si sfoghi con me, che le do licenza.
Vittoria. Povero voi, se vi facessi provar la bile che mi tormenta.
Ferdinando. Ma cosa c’è? Cosa avete? Cosa v’inquieta? Confidatevi meco. Con me potete parlare con libertà. Siete sicura ch’io non lo dico a nessuno.
Vittoria. Sì, certo, confidatevi alla tromba della comunità.
Ferdinando. Voi mi avete in mal credito, e non mi pare di meritarlo.
Vittoria. Io dico quello che sento dire da tutti.
Ferdinando. Come possono dire ch’io dica i falli degli altri? Ho mai detto niente a voi di nessuno?
Vittoria. Oh! mille volte: e della signora Aspasia, e della signora Flaminia, e della signora Francesca.
Ferdinando. Ho detto io?
Vittoria. Sicuro.
Ferdinando. Può essere che l’abbia fatto senza avvedermene.
Vittoria. Eh! già, quel che si fa per abito, non si ritiene.
Ferdinando. Insomma, dunque siete arrabbiata, e non mi volete dire il perchè.
Vittoria. No, non vi voglio dir niente.
Ferdinando. Sentite. O sono un galantuomo, o sono una mala lingua. Se sono un galantuomo, confidatevi, e non abbiate paura. Se fossi una mala lingua, sarebbe in arbitrio mio interpretare le vostre smanie, e trarne quel ridicolo che più mi paresse.
Vittoria. Volete ch’io ve la dica? Davvero, davvero, siete un giovane spiritoso. (ironica)
Ferdinando. Son galantuomo, signora. E quando si può parlare; parlo, e quando s’ha da tacere, taccio.
Vittoria. Orsù, perchè non crediate quel che non è, e non pensiate quel che vi pare, vi dirò che per me medesima non ho niente, ma mio fratello è inquietissimo, è fuor di se, è delirante, e per cagione sua divento peggio di lui.
Ferdinando. Sì, sarà delirante per la signora Giacinta. È una frasca, è una civetta, dà retta a tutti, si discredita, si fa ridicola dappertutto.
Vittoria. Per altro voi non dite mal di nessuno.
Ferdinando. Dov’è il signor Leonardo?
Vittoria. Io credo che sia andato da lei.
Ferdinando. Con licenza.
Vittoria. Dove, dove?
Ferdinando. A ritrovare l’amico, a soccorrerlo, a consigliarlo. (A raccogliere qualche cosa per la conversazione di Montenero). (parte)
Vittoria. Ed io, che cosa ho da fare? Ho da aspettar mio fratello, o ho da andare da mia cugina? Bisognerà che io l’aspetti, bisognerà ch’io osservi dove va a finire questa faccenda. Ma no, sono impaziente, vo’ saper subito qualche cosa. Vo’ tornar dal signor Filippo, vo’ tornar da Giacinta. Chi sa ch’ella non faccia appesta perch’io non vada in campagna? Ma nasca quel che sa nascere, ci voglio andare, e ci anderò a suo dispetto. (parte)
SCENA X.
Camera in casa del signor Filippo.
Filippo e Fulgenzio.
Filippo. Per me, vi dico, son contentissimo. Il signor Leonardo è un giovane proprio civile, di buona nascita, ed ha qualche cosa del suo. E vero che gli piace a spendere, e specialmente in campagna, ma si regolerà.
Fulgenzio. Eh! per questa parte, non avete occasion di rimproverarlo.
Filippo. Volete dire, perchè faccio lo stesso anch’io. Ma vi è qualche differenza da lui a me.
Fulgenzio. Basta, non so che dire. Voi lo conoscete. Voi sapete il suo stato. Dategliela, se vi pare; se non vi pare, lasciate.
Filippo. Io gliela do volentieri. Basta ch’ella ne sia contenta.
Fulgenzio. Eh! mi persuado che non dirà di no.
Filippo. Sapete voi qualche cosa?
Fulgenzio. Sì, so più di voi, e so quello che dovreste sapere meglio voi. Un padre dee tener gli occhi aperti sulla sua famiglia, e voi che avete una figliuola sola, potreste farlo meglio di tanti altri. Non si lasciano praticar le figlie. Capite? Non si lasciano praticare. Non ve lo diceva io? È donna. Oh, oh! mi dicevate: è prudente. Ed io vi diceva: è donna. Con tutta la sua saviezza, con tutta la sua prudenza, sono passati degli amoretti fra lei e il signor Leonardo.
Filippo. Oh! sono passati degli amoretti?
Fulgenzio. Sì, e ringraziate il cielo che avete a fare con un galantuomo; e dategliela, che farete bene.
Filippo. Sicuramente. Gliela darò, ed ei l’ha da prendere, ed ella l’ha da volere. Fraschetta! Amoretti eh!
Fulgenzio. Cosa credete? Che le ragazze siano di stucco? Quando si lasciano praticare....
Filippo. Ha detto di venir qui il signor Leonardo?
Fulgenzio. No, anderò io da lui; e lo condurrò da voi, e che concludiamo.
Filippo. Sempre più mi confesso obbligato al vostro amore, alla vostra amicizia.
Fulgenzio. Vedete se ho fatto bene io a persuadervi a staccare dal fianco di vostra figlia il signor Guglielmo?
Filippo. (Oh diavolo! E l’amico è in casa).
Fulgenzio. Leonardo non l’intendeva, ed aveva ragione, e se il signor Guglielmo andava in campagna con voi, non la prendeva più certamente.
Filippo. (Povero me! Sono più che mai imbarazzato).
Fulgenzio. E badate bene, che il signor Guglielmo non si trovi più in compagnia di vostra figliuola.
Filippo. Se Giacinta non trova ella qualche ragione, io non la trovo sicuro).
Fulgenzio. Parlate con vostra figlia, ch’io intanto andrò a ritrovare il signor Leonardo.
Filippo. Benissimo.... Bisognerà vedere....
Fulgenzio. Vi è qualche difficoltà?
Filippo. Niente, niente.
Fulgenzio. A buon rivederci dunque. Or ora sono da voi. (in atto di partire)
SCENA XI.
Guglielmo e detti.
Guglielmo. Signore, le vent’una sono poco lontane. Se comandate, anderò io a sollecitare i cavalli.
Fulgenzio. Cosa vedo? Guglielmo?
Filippo. (Che tu sia maladetto). No, no, non importa; non si partirà più così presto. Ho qualche cosa da fare.... (Non so nemmeno quel che mi dica).
Fulgenzio. Si va in campagna, signor Guglielmo?
Guglielmo. Per obbedirla.
Filippo. (Io non ho coraggio di dirgli niente).
Fulgenzio. E con chi va in campagna, se è lecito?
Guglielmo. Col signor Filippo.
Fulgenzio. In carrozza con lui?
Guglielmo. Per l’appunto.
Fulgenzio. E colla signora Giacinta?
Guglielmo. Sì, signore.
Fulgenzio. (Buono!)
Filippo. O via, andate a sollecitare i cavalli. (a Guglielmo)
Guglielmo. Ma se dite che vi è tempo.
Filippo. No, no, andate, andate.
Guglielmo. Io non vi capisco.
Filippo. Fate che diano loro la biada, e fatemi il piacere di star lì presente, perchè la mangino, e che gli stallieri non gliela levino.
Guglielmo. La pagate voi la biada?
Filippo. La pago io. Andate.
Guglielmo. Non occorr’altro. Sarete servito. (parte)
SCENA XII.
Fulgenzio e Filippo.
Filippo. (Finalmente se n’è andato).
Fulgenzio. Bravo, signor Filippo.
Filippo. Bravo, bravo.... quando si dà una parola....
Fulgenzio. Sì, mi avete dato parola, e me l’avete ben mantenuta.
Filippo. E non aveva io data prima la parola a lui?
Fulgenzio. E se non volevate mancare a lui, perchè promettere a me?
Filippo. Perchè aveva intenzione di fare quello che mi avete detto di fare.
Fulgenzio. E perchè non l’avete fatto?
Filippo. Perchè d’un male minore si poteva fare un male peggiore; perchè avrebbero detto.... perchè avrebbero giudicato.... oh cospetto di bacco! Se aveste sentito le ragioni che ha detto mia figlia, vi sareste ancora voi persuaso.
Fulgenzio. Ho capito. Non si tratta così coi galantuomini pari miei. Non sono un burattino da farmi far di queste figure. Mi giustificherò col signor Leonardo. Mi pento d’esserci entrato. Me ne lavo le mani, e non c’entrerò più. (in atto di partire.)
Filippo. No, sentite.
Fulgenzio. Non vo’ sentir altro.
Filippo. Sentite una parola.
Fulgenzio. E che cosa mi potete voi dire?
Filippo. Caro amico, sono così confuso, che non so in che mondo mi sia.
Fulgenzio. Mala condotta, scusatemi, mala condotta.
Filippo. Rimediamoci, per carità.
Fulgenzio. E come ci volete voi rimediare?
Filippo. Non siamo in tempo ancora di licenziare il signor Guglielmo?
Fulgenzio. Non l’avete mandato a sollecitare i cavalli?
Filippo. Per levarmelo d’attorno, che miglior pretesto potea trovare?
Fulgenzio. E quando tornerà coi cavalli?
Filippo. Sono in un mare di confusioni.
Fulgenzio. Fate così, piuttosto tralasciate d’andare in campagna.
Filippo. E come ho da fare?
Fulgenzio. Fatevi venir male.
Filippo. E che male m’ho da far venire?
Fulgenzio. Il cancaro che vi mangi. (sdegnato)
Filippo. Non andate in collera.
SCENA XIII.
Leonardo e detti.
Leonardo. Ho piacere di ritrovarvi qui tutti e due. Chi è di voi che si prende spasso di me? Chi è che si burla de’ fatti miei? Chi mi ha fatto l’insulto?
Fulgenzio. Rispondetegli voi. (a Filippo)
Filippo. Caro amico, rispondetegli voi. (a Fulgenzio)
Leonardo. Così si tratta coi galantuomiui? Così si tratta coi pari miei? Che modo è questo? Che maniera impropria, incivile?
Fulgenzio. Ma rispondetegli. (a Filippo)
Filippo. Ma se non so cosa dire. (a Fulgenzio)
SCENA XIV.
Giacinta e detti.
Giacinta. Che strepito è questo? Che piazzate son queste?
Leonardo. Signora, le piazzate non le fo io. Le fanno quelli che si burlano dei galantuomini, che mancano di parola, che tradiscono sulla fede.
Giacinta. Chi è il reo? Chi è il mancatore? (con caricatura)
Fulgenzio. Parlate voi. (a Filippo)
Filippo. Favoritemi di principiar voi. (a Fulgenzio)
Fulgenzio. Orsù, ci va del mio in quest’affare. Poichè il diavolo mi ci ha fatto entrare, a tacere ci va del mio, e se non sa parlare il signor Filippo, parlerò io. Sì, signora. Ha ragione il signor Leonardo di lamentarsi. Dopo avergli dato parola che il signor Guglielmo non sarebbe venuto con voi, mancargli, farlo venire, condurlo in villa, è un’azion poco buona, è un trattamento incivile.
Giacinta. Che dite voi, signor padre?
Filippo. Ha parlato con voi. Rispondete voi.
Giacinta. Favorisca in grazia, signor Fulgenzio, con qual autorità pretende il signor Leonardo di comandare in casa degli altri?
Leonardo. Con quell’autorità che un amante....
Giacinta. Perdoni, ora non parlo con lei. (a Leonardo) Mi risponda il signor Fulgenzio. Come ardisce il signor Leonardo pretendere da mio padre e da me, che non si tratti chi pare a noi, e non si conduca in campagna chi a lui non piace?
Leonardo. Voi sapete benissimo....
Giacinta. Non dico a lei; mi risponda il signor Fulgenzio.
Filippo. (Oh! non sarà vero degli amoretti, non parlerebbe così)
Fulgenzio. Poichè volete che dica io, dirò io. Il signor Leonardo non direbbe niente, non pretenderebbe niente, se non avesse intenzione di pigliarvi per moglie.
Giacinta. Come! il signor Leonardo ha intenzione di volermi in isposa? (a Fulgenzio)
Leonardo. Possibile che vi giunga nuovo?
Giacinta. Perdoni. Mi lasci parlar col signor Fulgenzio. (a Leonardo))
Dite, signore, con quale fondamento potete voi asserirlo?
(a Fulgenzio)
Fulgenzio. Col fondamento che io medesimo, per commissione del signor Leonardo, ne ho avanzata teste a vostro padre la proposizione.
Leonardo. Ma veggendomi ora sì maltrattato....
Giacinta. Di grazia, s’accheti. Ora non tocca a lei; parlerà quando toccherà a lei. (a Leonardo) Che ne dice su di ciò il signor padre?
Filippo. E che cosa direste voi?
Giacinta. No, dite prima quel che pensate voi. Dirò poi quello che penso io.
Filippo. Io dico che, in quanto a me, non ci avrei difficoltà.
Leonardo. Ma io dico presentemente....
Giacinta. Ma se ancora non tocca a lei. Ora tocca parlare a me. Abbia la bontà d’ascoltarmi, e poi, se vuole, risponda. Dopo che ho l’onor di conoscere il signor Leonardo, non può egli negare ch’io non abbia avuto per lui della stima; e so e conosco ch’ei ne ha sempre avuto per me. La stima a poco a poco diventa amore, e voglio credere che egli mi ami, siccome, confesso il vero, non sono io per lui indifferente. Per altro, perchè un uomo acquisti dell’autorità sopra una giovane, non basta un equivoco affetto, ma è necessaria un’aperta dichiarazione. Fatta questa, non l’ha da saper la fanciulla solo, l’ha da saper chi le comanda, ha da esser nota al mondo, s’ha da stabilire, da concertare colle debite formalità. Allora tutte le finezze, tutte le attenzioni hanno da essere per lo sposo, ed egli acquista qualche ragione, se non di pretendere e di comandare, almeno di spiegarsi con libertà, e di ottenere per convenienza. In altra guisa può una figlia onesta trattar con indifferenza, e trattar tutti, e conversare con tutti, ed esser egual con tutti; ma non può e non deve usar distinzioni, e dar nell’occhio, e discreditarsi. Con quella onestà con cui ho trattato sempre con voi, ho trattato col signor Guglielmo e con altri. Mio padre lo ha invitato con noi, ed io ne sono stata contenta, come lo sarei stata d’ogni altro; e vi lagnate a torto, se di lui, se di me vi dolete. Ora poi che dichiarato vi siete, ora che rendete pubblico l’amor vostro, che mi fate l’onore di domandarmi in isposa, e che mio padre lo sa e vi acconsente, vi dico che io ne sono contenta, che mi compiaccio dell’amor vostro, e vi ringrazio della vostra bontà. Per l’avvenire tutte le distinzioni saranno vostre, vi si convengono, le potrete pretendere e le otterrete. Una cosa sola vi chiedo in grazia, e da quella grazia può forse dipendere il buon concetto ch’io deggio formar di voi, e la consolazione d’avervi. Vogliatemi amante, ma non mi vogliate villana. Non fate che i primi segni del vostro amore siano sospetti vili, diffidenze ingiuriose, azioni basse e plebee. Siam sul momento di dover partire. Volete voi che si scacci villanamente, che si rendano altrui palesi i vostri sospetti, e che ci rendiamo ridicoli in faccia al mondo? Lasciate correre per questa volta. Credetemi, e non mi offendete. Conoscerò da ciò, se mi amate. Se vi preme il cuore, o la mano. La mano è pronta, se la volete. Ma il cuore meritatelo, se desiderate di conseguirlo.
Filippo. Ah! che dite? (a Fulgenzio)
Fulgenzio. (Io non la prenderei, se avesse centomila scudi di dote) (piano a Filippo)
Filippo. (Sciocco!) ( sè)
Leonardo. Non so che dire; vi amo, desidero sopra tutto il cuor vostro. Mi avete dette delle ragioni che mi convincono. Non voglio esservi ingrato. Servitevi, come vi pare, ed abbiate pietà di me.
Fulgenzio. (Uh il baccellone!)
Giacinta. (Niente m’importa che venga meco Guglielmo. Basta che non mi contraddica Leonardo).
SCENA XV.
Brigida e detti.
Brigida. Signore, è qui la sua signora sorella col di lei cameriere.
Leonardo. Con permissione, che passino.
Brigida. (Si va, o non si va?) (piano a Qiacinta)
Giacinta. (Si va, si va). (piano a Brigida)
Brigida. (Aveva una paura terribile che non si andasse), (parte)
SCENA XVI.
Vittoria, Paolo, Brigida e detti.
Vittoria. È permesso? (melanconica)
Giacinta. Sì, vita mia, venite.
Vittoria. (Eh vita mia, vita mia!) Come vi sentite, signor Leonardo? (come sopra)
Leonardo. Benissimo, grazie al cielo. Paolino, presto, fate che tutto sia lesto e pronto. Il baule, i cavalli, tutto quel che bisogna. Noi partirem fra poco.
Vittoria. Si parte? (allegra)
Giacinta. Sì, vita mia, si parte. Siete contenta?
Vittoria. Sì, gioia mia, sono contentissima.
Filippo. Ho piacere che fra cognate si amino. (piano a Fulgenzio)
Fulgenzio. Io credo che si amino come il lupo e la pecora. (a Filippo)
Filippo. (Che uomo fantastico!)
Paolo. Sia ringraziato il cielo, che lo vedo rasserenato. (parte)
Vittoria. Via, fratello, andiamo anche noi.
Leonardo. Siete molto impaziente.
Giacinta. Poverina! è smaniosa per andare in campagna.
Vittoria. Sì, poco più, poco meno, come voi all’incirca.
Fulgenzio. E volete andare in campagna senza concludere, senza stabilire il contratto?
Vittoria. Che contratto?
Filippo. Prima di partire si potrebbe fare la scritta.
Vittoria. Che scritta?
Leonardo. Io son prontissimo a farla.
Vittoria. E che cosa avete da fare?
Giacinta. Si chiamano due testimoni.
Vittoria. Che cosa far di due testimoni?
Brigida. Non lo sa? (a Vittoria)
Vittoria. Non so niente.
Brigida. Se non lo sa, lo saprà.
Vittoria. Signor fratello.
Leonardo. Comandi.
Vittoria. Si fa lo sposo?
Leonardo. Per obbedirla.
Vittoria. E a me non si dice niente?
Leonardo. Se mi darete tempo, ve lo dirò.
Vittoria. E questa la vostra sposa?
Giacinta. Sì, cara, sono io che ha questa fortuna. Mi vorrete voi bene?
Vittoria. Oh quanto piacere! Quanta consolazione ne sento. Cara la mia cognata. (si baciano) (Non ci mancava altro che venisse in casa costei).
Giacinta. (Prego il cielo che vada presto fuori di casa),
Brigida. (Quei baci credo che non arrivino al core).
Filippo. (Vedete se si vogliono bene!) (a Fulgenzio)
Fulgenzio. (Sì, lo vedo. Voi non conoscete le donne). (a Filippo)
Filippo. (Mi fa rabbia).
Giacinta. Eccoli, eccoli; ecco due testimoni.
Leonardo. (Ah! ecco Guglielmo, egli è la mia disperazione; non lo posso vedere). (da sè, osservando fra le scene)
Vittoria. (Che caro signor fratello! Prender moglie prima di dare marito a me! Sentirà, sentirà, se gli saprò dire l’animo mio....) (da sè)
SCENA ULTIMA.
Guglielmo, Ferdinando e detti.
Guglielmo. I cavalli son lesti.
Ferdinando. Animo, animo, che fa tardi. Come sta l’amico Leonardo? Vi è passata la melanconia?
Leonardo. Che cosa sapete voi di melanconia?
Ferdinando.. Oh! ha detto un non so che la signora Vittoria.
Vittoria. Non è vero niente, non v’ho detto niente.
Ferdinando. Eh! una mentita da una donna si può soffrire.
Filippo. Signori, prima di partire si ha da fare una cosa. Il signor Leonardo ha avuto la bontà di domandarmi la mia figliuola, ed io gliel’ho promessa. Si faranno le nozze..... Quando vorreste voi si facessero? (a Leonardo)
Leonardo. Io direi dopo la villeggiatura.
Filippo. Benissimo, si faranno dopo la villeggiatura, e intanto si ha da fare la scritta. Onde siete pregati ad esser voi testimoni.
Guglielmo. (Questa è una novità ch’io non m’aspettava).
Ferdinando. Son qui; molto volentieri. Facciamo presto quello che si ha da fare, e partiamo per la campagna. Ma a proposito, signori miei, a me qual luogo vien destinato?
Filippo. Non saprei.... Che dite voi, Giacinta?
Giacinta. Tocca a voi a disporre.
Filippo. E il signor Guglielmo? Mi dispiace.... Come si farà?
Vittoria. Permettetemi che io dica una cosa. (a Filippo)
Ferdinando. Trovate voi l’espediente, signora.
Vittoria. Io dico che se mio fratello è promesso colla signora Giacinta, tocca a lui a andare in carrozza colla sua sposa.
Fulgenzio. Così vorrebbe la convenienza, signor Filippo.
Filippo. Che cosa dice Giacinta?
Giacinta. Io non invito nessuno e non ricuso nessuno.
Leonardo. Cosa dice il signor Guglielmo?
Guglielmo. Io dico che se sono d’incomodo, tralascierò di venire.
Vittoria. No, no, verrete in calesso con me.
Guglielmo. (La convenienza vuole ch’io non insista). Se il signor Leonardo me lo permette, accetterò le grazie della signora Vittoria.
Leonardo. Sì, caro amico, ed io della vostra compiacenza vi sarò eternamente obbligato.
Giacinta. (Quando ha ceduto da se, non m’importa. Io ho sostenuto il mio punto).
Filippo. (Ah! che dite? Va bene ora?) (a Fulgenzio)
Fulgenzio. (Non va troppo bene per la signora Vittoria), (a Filippo)
Filippo. (Eh! freddure). (a Fulgenzio)
Ferdinando. Ed io con chi devo andare?
Giacinta. Signore, se vi degnaste di andar colla mia cameriera?
Ferdinando. In calesso?
Giacinta. In calesso.
Ferdinando. Sì, gioia bella, avrò il piacere di godere la vostra amabile compagnia. (a Brigida)
Brigida. Oh! sarà una gloria per me strabocchevole. (Sarei andata più volentieri col cameriere).
Fulgenzio. Bravi, va bene, tutti d’accordo.
Vittoria. Oh via! finiamola una volta. Andiamo a questa benedetta campagna.
Giacinta. Sì, facciamo la scritta, e subitamente partiamo. Finalmente siamo giunti al momento tanto desiderato d’andare in villa. Grandi smanie abbiamo sofferte per paura di non andarvi! Smanie solite della corrente stagione. Buon viaggio dunque a chi parte, e buona permanenza a chi resta.Fine della Commedia.