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80 | ATTO TERZO |
Leonardo. Possibile che vi giunga nuovo?
Giacinta. Perdoni. Mi lasci parlar col signor Fulgenzio. (a Leonardo))
Dite, signore, con quale fondamento potete voi asserirlo?
(a Fulgenzio)
Fulgenzio. Col fondamento che io medesimo, per commissione del signor Leonardo, ne ho avanzata teste a vostro padre la proposizione.
Leonardo. Ma veggendomi ora sì maltrattato....
Giacinta. Di grazia, s’accheti. Ora non tocca a lei; parlerà quando toccherà a lei. (a Leonardo) Che ne dice su di ciò il signor padre?
Filippo. E che cosa direste voi?
Giacinta. No, dite prima quel che pensate voi. Dirò poi quello che penso io.
Filippo. Io dico che, in quanto a me, non ci avrei difficoltà.
Leonardo. Ma io dico presentemente....
Giacinta. Ma se ancora non tocca a lei. Ora tocca parlare a me. Abbia la bontà d’ascoltarmi, e poi, se vuole, risponda. Dopo che ho l’onor di conoscere il signor Leonardo, non può egli negare ch’io non abbia avuto per lui della stima; e so e conosco ch’ei ne ha sempre avuto per me. La stima a poco a poco diventa amore, e voglio credere che egli mi ami, siccome, confesso il vero, non sono io per lui indifferente. Per altro, perchè un uomo acquisti dell’autorità sopra una giovane, non basta un equivoco affetto, ma è necessaria un’aperta dichiarazione. Fatta questa, non l’ha da saper la fanciulla solo, l’ha da saper chi le comanda, ha da esser nota al mondo, s’ha da stabilire, da concertare colle debite formalità. Allora tutte le finezze, tutte le attenzioni hanno da essere per lo sposo, ed egli acquista qualche ragione, se non di pretendere e di comandare, almeno di spiegarsi con libertà, e di ottenere per convenienza. In altra guisa può una figlia onesta trattar con indifferenza, e trattar tutti, e conversare con tutti, ed esser egual con tutti; ma non può e non deve usar distinzioni, e dar nell’occhio, e discreditarsi. Con quella onestà