Le opere di Galileo Galilei - Vol. V/Delle macchie solari/Avvertimento
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AVVERTIMENTO.
L’attenzione di Galileo, per il quale un primo drizzare del telescopio al cielo fu fecondo di tante e così meravigliose scoperte, dovette certamente essere subito rivolta anche all’astro maggiore; e chi sia un poco addentro nella maniera d’indagine scientifica tutta propria del divino Filosofo, si persuaderà di leggieri e, quasi diremmo, a priori, che le macchie del Sole non potevano, fin da principio, sfuggire all’occhio acutissimo di lui. Afferma invero il più antico fra i suoi biografi, ch’egli «dimorando pure nell’istessa città di Padova, e proseguendo col suo telescopio l’osservazioni del cielo, vedde nella faccia del Sole alcune delle macchie; ma per ancora non volle publicare quest’altra novità, che poteva tanto più concitargli l’odio di molti ostinati Peripatetici (conferendola solo ad alcuno de’ suoi amici di Padova e di Venezia), per prima assicurarsene con replicate osservazioni, e per poter intanto formar concetto della loro essenza e con qualche probabilità almeno pronunciarne la sua opinione1». Il Viviani ci conservò anche i nomi degli amici ai quali Galileo fece tale comunicazione; ed è fra essi il P. Fulgenzio Micanzio, il quale molti anni più tardi spontaneamente lo attestava a Galileo, scrivendo averne memoria «fresca come se fosse ieri2». Che se in qualche minuto particolare vi ha motivo a dubitare che i termini nei quali si esprime il Micanzio non corrispondano all’esatta verità, questo dubbio non può in alcun modo infirmare la essenza del fatto, cioè dell’essere stato il Nostro «il primo scopritore ed osservatore delle macchie solari, sì come di tutte l’altre novità celesti... e queste scoperse egli l’anno 1610, trovandosi ancora alla lettura delle Matematiche nello Studio di Padova, e quivi ed in Venezia ne parlò con diversi 3».
Recatosi Galileo a Roma nel marzo dell’anno successivo 1611, col fine di far toccare con mano la verità delle scoperte celesti da lui annunziate, che nella città eterna da non pochi erano ancora messe in dubbio, vi dimostrò anche le macchie del Sole, come si raccoglie da una quantità di testimonianze tutte fra loro concordi4: tra le quali significantissima è quella del P. Guidino, gesuita, che affermò ricordarsi, «quanto mai per umana certezza può uno dire di ricordare», essere stato esso il primo ad avvisare il suo correligionario P. Cristoforo Scheiner, che nel Sole si vedevano macchie scoperte da Galileo per il primo5. Se dunque Galileo tra il marzo ed il maggio dell’anno 1611, tempo del suo soggiorno in Roma, si risolse a mostrare in pubblico questa sua scoperta, è lecito argomentare che, ripetute le osservazioni, egli fosse ormai uscito dal periodo di quei primi dubbii, sorti quando le macchie avevano cominciato ad offrirsi alla sua vista.
Tali pubbliche dimostrazioni delle macchie solari dovevano, com’era naturale, richiamare l’attenzione degli studiosi6: ed in un tempo che verrebbe esattamente a coincidere con quello dell’avviso ricevutone dal P. Guidino, incominciò ad osservare le macchie medesime in Ingolstadt il P. Scheiner, il quale ne fece poco dopo argomento di tre lettere indirizzate a Marco Velser d’Augusta: le quali lettere, raccolte in un opuscolo, furono in quella città date alla luce il 5 gennaio 1612, coprendosi l’autore sotto lo pseudonimo di «Apelles latens post tabulam7». Il giorno successivo alla pubblicazione, il Velser, per cura del quale essa era stata fatta8, ne mandava un esemplare a Galileo, richiedendolo del suo parere in proposito9; e poiche in quel tempo il nostro Filosofo si trovava afflitto da gravi indisposizioni e non rispondeva con la consueta premura, con altra del 23 marzo il Velser lo sollecitava alla risposta10.
Galileo, il quale in questo mezzo, e, secondo ogni probabilità, prima che gli venissero alle mani le lettere del finto Apelle, aveva, nel Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, accennato alla «osservazione d’alcune macchiette oscure che si scorgono nel corpo solare11», avvisava sotto il dì 12 maggio 1612, dalla Villa delle Selve, dov’era ospite di Filippo Salviati, il Principe Federico Cesi d’aver compiuta una prima lettera al Velser, annunziandogliene intanto sommariamente le conchiusioni ed il prossimo invio12; il quale seguì infatti due settimane appresso, non prima però che un esemplare della lettera fosse spedito al destinatario, che tosto manifestava il desiderio di darla alle stampe13. Offerte di stampare questa lettera, insieme con un’altra concernente lo stesso argomento, pervenivano poco appresso a Galileo da parte del Cesi; e poiché nel carteggio che tra Galileo ed il Cesi intorno a questo tempo deve essere stato assai vivo, mancano moltissime delle lettere di Galileo, dobbiamo tenerci a notare come quelle a lui indirizzate dal Cesi dimostrino che questi era già in possesso della seconda lettera sulle macchie solari al principio del settembre14. Sul finire di questo stesso mese il Velser mandava a Galileo alcune nuove speculazioni, che, col titolo De maculis solaribus et stellis circa Iovem errantibus Accuratior Disquisitio, il finto Apelle aveva dato alla luce, pure in Augusta, il 13 settembre15; ed il 5 del successivo ottobre il Velser accusava ricevimento della seconda lettera del Nostro16. Di rispondere alla Accuratior Disquisitio Galileo manifestava la intenzione al Principe Cesi in una lettera che non pervenne sino a noi17: ma prima ancora che tale risposta, compresa in una terza lettera al Velser, fosse compiuta, i Lincei convocati in adunanza addì 9 novembre 1612 deliberavano che tutte e tre le lettere solari fossero per cura loro date alle stampe18.
La stampa, per la quale i preparativi erano stati cominciati dal Cesi già prima19, fu condotta in Roma; e sebbene procedesse con qualche lentezza, sia per le opposizioni mosse dalla censura riguardo ad alcuni passi, sia per le difficoltà materiali, tuttavia il 22 marzo 1613 era compiuta20. Il titolo, che aveva dato argomento a molte discussioni e proposte fra Galileo e i Lincei21 fu il seguente: Istoria e Dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, comprese in tre lettere scritte all’Illustrissimo Signor Marco Velseri Linceo, Duumviro d’Augusta, Consigliero di Sua Maestà Cesarea, dal Signor Galileo Galilei Linceo, Nobil Fiorentino, Filosofo e Matematico Primario del Serenissimo D. Cosimo II Gran Duca di Toscana22. La tiratura fu di 1400 copie; e a 700 di esse fu aggiunta nel fine la ristampa delle Tres Epistolae e dell’Accuratior Disquisitio dello Scheiner23, di cui gli esemplari erano poco comuni, specialmente in Italia, fin d’allora. Di quest’appendice fu fatta menzione nel frontespizio24 e nella licenza di stampa, nella quale, dopo il permesso di pubblicare le lettere di Galileo, il censore soggiunse:
«Vidi etiam nonnullas de eadem materia Apellis Epistolas ac Disquisitiones ad eumdem D. Velserum missas, quae nihil habent quod offendat; et ideo eas quoque imprimi posse censeo25». All'appendice stessa, che ha numerazione a parte, fu poi premesso quest’occhietto:
«De | Maculis Solaribus | Tres Epistolae. | De iisdem et stellis circa Iovem | errantibus | Disquisitio | Ad Marcum Velserum | Augustae Vind. IIVirum Praef. | Apellis post tabulam latentis. | Tabula ipsa aliarumque observationum delineationibus | suo loco expositis.»;
e la seguente prefazione:
IACOBUS MASCARDUS
typographus26
LECTORI S.
Latentis Apellis Epistolas ac Disquisitiones hic tibi exponere necessarium om- nino duxi: illarum enim exemplaria perpauca ex Germania huc pervenere, pauca quoque in aliis regionibus audio fuisse distributa; quare difficilius ea perspicere perpendereque posses, ni hic exhiberem recusa; videre autem ac considerare ne- cesse erat, cum in praemisso Phoebeo volumine doctissimi Galilei crebra de illis mentio ac disquisitio intercedat. Indicibus inde notulis in eiusdem margine saepe iam indigitavi, quae harum Epistolarum ac Disquisitionum loca ac particulae in quaestionem ibidem venirent, et id quidem dupliciter diversoque charactere, habita primum ratione Augustanae, deinde huius meae editionis. Ad idem spectant ar- gumentum, eidem Illustrissimo Velsero mittuntur, meumque erat tibi ita satisfa- cere, ut hisce praedicto volumini additis quaecunque de solaribus maculis dicta sunt simul haberes, et fortasse quaecunque dici excogitarique possunt. Tuum iam erit, illis pro voto perfrui et solaribus contemplationibus exerceri: poteris namque sic vel alienis laboribus ac telescopio helioscopus fieri, illaque cognoscere quae omnem antiquitatem latuerunt. Vale.
Romae, Kalen. Februar. 161327.
Anche noi, riconoscendo la necessità, per la piena intelligenza delle Lettere di Galileo, di non separarne le scritture dello Scheiner, le abbiamo ristampate in principio di questo volume: se non che, fedeli al nostro criterio di seguire sempre l’ordine cronologico e di attingere alle fonti più genuine, le premettemmo alle Lettere di Galileo, come richiedono le respettive date di stampa, e le ripubblicammo, sia guanto al testo sia quanto alle figure, dalle edizioni originali di Augusta, benchè l'edizione Romana sia di quelle una materiale ripetizione. Quanto al testo, avendo rispettato alcune irregolarità attenenti per lo più al costrutto, ci limitammo a introdurre pochissime correzioni, che erano necessarie28; quanto alle figure, le quali nelle edizioni Augustane sono molto più accurate che nella ristampa Romana, le riproducemmo, attesa anche la rarità di quelle edizioni, in facsimile. Alle ultime pagine dell’Accuratior Disquisitio fummo poi lieti di poter accompagnare alcune postille di Galileo finora inedite, che ritrovammo nella car. 73b r. del T. X della Par. III dei Manoscritti Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. Tali postille sono appunti presi dal sommo Filosofo leggendo l’opera di Apelle, sia per fermare in brevi parole il concetto dell’avversario, sia per notare l'obiezione che balzava pronta al suo intelletto e che alcune volte egli svolse poi nella terza Lettera: e noi le abbiamo pubblicate appiedi del testo dello Scheiner a cui si riferiscono, conforme al già fatto in casi consimili nei volumi precedenti.
Alle scritture di Apelle facemmo seguire la riproduzione d’uno di quegli esemplari dell’Istoria e Dimostrazioni ai quali non sono aggiunte in appendice le scritture stesse; quasi però a titolo di curiosità bibliografica, abbiamo dato in facsimile altresì il frontespizio degli esemplari a’ quali tale appendice non manca.
L’Istoria e Dimostrazioni incomincia (dopo la licenza di stampa) con la dedica a Filippo Salviati e con la prefazione al lettore, che sono firmate da Angelo De Filiis, bibliotecario de’ Lincei. Di queste due scritture si conserva una copia manoscritta, che non abbiamo nessuna sicurezza di asserire autografa del De Filiis, nelle car. 75 r. — 80 r. del codice Volpicelliano B, appartenente, insieme col Volpicelliano A che dovremo citare fra breve, alla Biblioteca della R. Accademia dei Lincei29: e noi credemmo opportuno di pubblicare anche questa stesura manoscritta, dandole posto nella parte inferiore delle medesime pagine nella cui parte superiore è riprodotta la lezione a stampa; perchè ciò che leggiamo a proposito della prefazione e della dedicatoria nel carteggio tra Federico Cesi e Galileo, ci dà fondato motivo di ritenere che tanto l’una quanto l’altra, più ampie e di gran lunga più gonfie nel manoscritto, siano state ridotte a forma più sobria per consiglio e per opera, in parte, di Galileo, come da Galileo erano stati avvisati i principali luoghi che si dovevano in esse toccare30. Pubblicammo poi la lezione manoscritta nella sua forma originale, cioè senza tener conto nel testo delle correzioni ed aggiunte fra le linee o su’ margini, introdotte, almeno in molti casi, da un’altra mano, nella quale ci parve talora di ravvisare quella del Principe Cesi. Di queste correzioni ed aggiunte, parecchie delle quali furono accettate nella lezione definitiva della stampa, avvertiamo però il lettore nelle note.
Alla dedicatoria e alla prefazione tengono dietro, così nell’edizione Romana come nella nostra ristampa, un ritratto del sommo Filosofo, che riproducemmo in facsimile, due epigrammi e un sonetto in suo onore, e quindi le lettere del Velser e di Galileo, alle quali dedicammo cure speciali, attesa la loro speciale importanza e permettendocelo alcune fortunate combinazioni.
Invero di queste lettere pervennero fino a noi gli autografi; che delle lettere del Velser e della seconda e terza di Galileo si conservano nel citato Tomo X (car. 3r.-51r., e car. 71r.-72r.) della Parte III dei Manoscritti Galileiani, e della prima lettera di Galileo nell’«Egerton Mss. 48» (car. 8r.-15t.) del Museo Britannico31. Inoltre, il codice Volpicelliano A contiene (car. 40r.-97t.) la copia delle prime due lettere del Velser e delle tre di Galileo, spedita da Galileo al Principe Cesi perchè servisse per la stampa32: e tanto gli autografi delle scritture galileiane quanto tale copia di esse ebbero, dalla mano di Galileo, cancellature, correzioni, aggiunte successive, scritte o sui margini, o su fogli inseriti, o su cartellini incollati sia sopra i margini sia talvolta sopra la precedente stesura, in modo da coprirla. S’aggiunga ancora che la corrispondenza tenuta tra Galileo e il Cesi nel tempo che durò la stampa, mette in chiaro non di rado le ragioni per cui Galileo mutò quello che originariamente aveva scritto: ragioni che il più delle volte consistono nel cercare sia di prevenire o rimuovere le opposizioni della censura, sia di sodisfare alle osservazioni del collega Linceo Luca Valerio. Qualche volta nelle lettere di Galileo al Cesi troviamo pure il testo della mutazione ch’egli voleva fosse introdotta; e tra le carte appartenute al Cesi, nel codice Volpicelliano B (car. 61r., 65r., 74r.), ci sono rimasti anche tre foglietti, di mano di Galileo, che dovevano essere acclusi in qualcuna delle lettere di questo andate perdute, e contengono appunto tre diverse stesure d’un sol passo della seconda lettera sulle macchie solari. Con l’aiuto di sì copioso materiale noi possiamo seguire, si può dire passo passo, tutte le successive elaborazioni che ricevettero le lettere sulle macchie solari; delle quali poi la definitiva stesura è rappresentata dalla stampa.
Era naturale che nella nostra edizione dessimo luogo appunto a questa stesura definitiva: ma volendo, d’altra parte, informare il lettore anche dei fatti più importanti che risultavano dai manoscritti, finora ben poco messi a profitto33, appiè di pagina registrammo le più notevoli varianti da essi offerte; notammo quali passi si leggono soltanto nella stampa; raccogliemmo, quando metteva conto, i tratti che nei codici sono cancellati; se dall’autografo appare che un brano di qualche estensione è stato aggiunto posteriormente, lo avvertimmo, e, se era il caso, facemmo pur conoscere la lezione precedente a quell’aggiunta; di alcuni passi potemmo ricostruire più stesure successive; infine, in note a’ singoli luoghi, furono menzionate le lettere, quasi sempre tra Galileo e il Principe Cesi, che pubblicheremo nei volumi del Carteggio e dalle quali sono illustrate alcune differenze tra i manoscritti e la stampa. Se non che la suppellettile manoscritta non servì soltanto a mostrarci la elaborazione successiva dell’opera; poichè, pur riproducendo il testo della stampa, credemmo nostro ufficio di correggerlo, con l’appoggio dei due manoscritti o del solo autografo, in alcuni passi che sono manifestamente viziati, per colpa vuoi del tipografo, vuoi dell’amanuense a cui è dovuto l’apografo Volpicelliano34. Più spesso poi emendammo certe forme, le quali sicuramente non sono dell’uso toscano, e la costante testimonianza dell’autografo dimostra che da Galileo dovevano essere riprovate; come pure emendammo altre forme, attenenti soprattutto alla grafia, che, sebbene non si possano escludere dall’uso toscano, e quindi altre volte, dove eravamo costretti ad attingere soltanto a copie, sieno state da noi stessi accettate, ora l’autografo troppo ripetutamente faceva conoscere, non essere nelle abitudini e ne’ gusti del Nostro, almeno quando egli dettava queste Lettere: così che è da dire che tanto le une quanto le altre siano rimaste nella stampa soltanto per quella minor precisione con cui i nostri antichi procedevano in siffatti particolari. Nel caso nostro con tanto maggior sicurezza correggemmo, in quanto i lamenti che muovono Galileo e il Cesi nella loro corrispondenza, del non essere toscani gli stampatori e del non poterli ridurre in niun modo alla desiderata esattezza35, ci facevano più grave l’obbligo di sopperire noi al loro difetto. Tuttavia non credemmo che ci fosse lecito ritoccare altre forme della stampa che si discostano da quelle del manoscritto, ma sono egualmente buone in sè ed egualmente familiari a Galileo; perchè, altrimenti, non solo la stampa sarebbe stata troppo spesso modificata, ma ci saremmo esposti al pericolo di correggere anche là dove Galileo, pur se avesse fatto attenzione che il suo testo era lievemente alterato, non avrebbe sentito nessun desiderio di ritornare alla lezione originaria36. Conforme poi al nostro istituto, annotammo appiè di pagina le lezioni della stampa da noi emendate37 indicando con la sigla s la stampa stessa, con A gli autografi, con B le copie contenute nel Volpicelliano A: soltanto avvertiamo che alcune forme le quali abbiamo avuto occasione di correggere molto spesso, non sono registrate appiè di pagina di volta in volta, ma, per maggior brevità, le indichiamo qui; e sono le seguenti: chiamarà, cominciaremo, bastarebbe e simili futuri e condizionali, corretti in chiamerà, cominceremo, basterebbe ecc.38; commune, commodo e derivati, corretti in comune39, comodo ecc.; accioche, poiche, imperoche, siche, talche, eccettoche, purche, ancorche, benche, overo, sicome, giamai, corretti in acciò che, poi che, imperò che, sì che, tal che, eccetto che, pur che, ancor che, ben che40 o vero, sì come, già mai; e, aggiungiamo, co ’l, su ’l, mutati in col, sul.
Nella nostra edizione non mancano, come in qualcuna delle precedenti, le postille marginali che accompagnano il testo nell’edizione Romana: e quando queste postille indicano le faccio e i versi a’ quali si leggono, nelle edizioni Augustane e nella ristampa Romana, i passi delle scritture d’Apelle discussi nel testo, abbiamo distinto, seguendo anche in ciò il tipografo Romano41, col carattere tondo le citazione delle edizioni Augustane, col corsivo quelle della ristampa Romana. Alle une e alle altre stimammo poi necessario soggiungere le indicazioni (e furono poste tra parentesi quadre e in carattere più piccolo) delle pagine e linee corrispondenti nella nostra edizione: il che abbiamo fatto non solo nelle postille, ma anche ogni volta erano citate nel testo le edizioni delle scritture scheineriane.
Con accurati facsimili riproducemmo i disegni delle macchie solari osservate da Galileo nel giugno, luglio e agosto 1612, i quali accompagnano la seconda Lettera, e le tavole delle costituzioni dei pianeti Medicei per il marzo, aprile e i primi otto giorni del maggio 1613, che tengono dietro alla terza. La breve Poscritta, concernente queste tavole, con cui termina il volume dell’Istoria e Dimostrazioni fu ripubblicata soltanto di su la stampa, poichè non sappiamo che se ne sia conservato verun manoscritto; tuttavia anche qui rettificammo, e annotammo appiè di pagina, alcune forme men buone, avendo già corretto tante volte, con l’appoggio dell’autografo, quelle medesime forme nelle Lettere.
All’Istoria e Dimostrazioni abbiamo da ultimo fatto seguire una serie di frammenti, attenenti allo stesso argomento, che rinvenimmo, quasi tutti autografi di Galileo42 nel più volte citato Tomo X della Parte III dei Manoscritti Galileiani43, e che veggono ora per la prima volta la luce. Consistono essi, anzitutto, nei disegni delle macchie osservate dal Nostro in parecchi giorni del febbraio, marzo, aprile e maggio 1612; in alcuni dei quali disegni il lettore riconoscerà facilmente quelle macchie, le cui mutazioni Galileo descrive e riproduce con un’elegante figura nella prima Lettera44. Negli altri frammenti ravvisiamo di quegli appunti coi quali il Nostro era solito annotare, in forma ora brevissima, ora più ampia e simile ad una prima stesura, i pensieri che gli brillavano alla mente e che poi svolgeva e collocava a suo posto nello stendere l’opera: il contenuto infatti di quasi tutti questi frammenti si ritrova nelle Lettere, anzi alcune volte è passato in esse non solo il pensiero, ma, con lievi ritocchi, anche la forma di cui qui è rivestito. Noi li abbiamo disposti secondo l’ordine con cui s’incontrano nelle Lettere i passi corrispondenti, che, per comodo del lettore, abbiamo richiamato nelle note45.
Note
- ↑ Fasti Consolari dell’Accademia Fiorentina di Salvino Salvini, ecc. In Firenze, M.DCC.XVII, pag. 410. Il T. I della Par. I dei Manoscritti Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze contiene due stesure, autografe e diverse tra loro, della vita di Galileo dettata dal Viviani: nè l’una nè l’altra di esse offre, in questo punto, varianti che interessino il senso in confronto del testo della stampa; salvo che nella stesura la quale nel manoscritto occupa il primo posto, tra i nomi delle persone a cui {Sc|Galileo}} comunicò la sua scoperta, segnati, a modo di appunto, in margine, manca (car. 42 t.) quello di Mons. Agucchia, che nella stampa si legge; e nella stesura seconda mancano tutti i nomi (car. 91 t.)
- ↑ Mss. Gal., Par. VI, T. XI, car. 186.
- ↑ Dialogo di Galileo Galilei, ecc., dove ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano ecc. In Fiorenza, per Gio. Batista Landini, MDCXXXII, pag. 337. Nella lettera a Giuliano de’ Medici dei 23 giugno 1612 (Biblioteca Palatina di Vienna, Cod. 10702, car. 78), Galileo indica più precisamente il luglio 1610 come il tempo della sua prima osservazione.
- ↑ Trovansi raccolte e discusse in una scrittura Sulla priorità della scoperta e della osservazione delle macchie solari, che fa parte della Miscellanea Galileiana inedita. Studi e ricerche di Antonio Favaro: nelle Memorie del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Vol. XXII, 1887, pag. 729-790.
- ↑ Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 107.
- ↑ E' probabile tuttavia che sia stata indipendente dalla galileiana la scoperta delle macchie fatta da Giovanni Fabricius, ed annunziata con l’opuscolo intitolato: {{Sc|Ioh. Fabricii Phrysii De maculis in Sole observatis et apparente earum cum Sole conversione Narratio, ecc. Witebergae, typis Laurentij Seuberlichij, Anno M.DC.XI. Secondo i risultati di indagini recenti, la scoperta delle macchie sarebbe stata fatta dal Fabricius addì 9 marzo 1611, e la pubblicazione dell’opuscolo nell’autunno del medesimo anno (Der Magister Johann Fabricius und die Sonnenfleeken, nebst einem Excurse über David Fabricius. Eine Studie von Gerhard Berthold. Leipzig, Verlag von Veit&Comp., 1894, pag. 13). Noi crediamo che Galileo non abbia conosciuto l’opuscolo del Fabricius nè prima nè dopo la pubblicazione delle sue lettere sulle macchie solari: non sappiamo poi quale importanza possa attribuirsi al fatto che egli abbia potuto apprenderne la esistenza dal Mundus Iovialis di Simone Mayr, che vide la luce nel 1614, o dalle Ephemerides Novae del Keplero, che sono, per lo meno, del 1618; nell’un caso e nell’altro, quindi, dopo ch’egli aveva trattato così a lungo dell’argomento nelle lettere predette (Berthold, op. cit., pag. 17-19. — E. Millosevich, Osservazioni storico-critiche sulla scoperta delle macchie solari ecc.: nei Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali, vol. III, 1894, pag. 431). La scoperta del Fabricius, ad ogni modo, non ebbe alcuna conseguenza per gli studi posteriori.
- ↑ Tres Epistolae de maculis solaribus scriptae ad Marcum Velserum. Augustae Vindelicorum, Anno M.DC.XII, Non. Ian. — Alcuni storici scrivono che lo Scheiner non abbia potuto pubblicar prima le Tres Epistolae per il divieto avutone dal suo provinciale (Io. Friderici Weidleri, Historia Astronomiae, sive de ortu et progressu Astronomiae liber singularis. Vitembergae, sumptibus Henrici Schwurtzii, Anno MDCCXLI, pag 434. — Histoire des Mathematiques, Nouvelle Édition par J. E. Montucla. Tome second. A Paris, chez Henri Agasse, An VII, pag. 312). Secondo una narrazione posteriore dello stesso Scheiner (Rosa Ursina, sive Sol ex admirando sacularum et maeularum suarum phoenomeno varius, ecc. Bracciani, apud Andream Phaeum typographum ducalem. Impressio coepta anno 1626, finita vero 1630, Id. Iunii; pag. terza, non numerata, della Prefazione Ad lectorem), il provinciale si sarebbe limitato ad imporre che la pubblicazione fosse fatta sotto un nome finto.
- ↑ Christoph Schener als Mathematiker, Physiker und Astronom von Anton von Braunmühl. Bamberg, Buchnersche Verlagsbuchhandlung, 1891, pag. 12.
- ↑ Vedi, in questo volume, pag. 93, lin. 11 e seg. Galileo dovette ricevere le tres Epistolae con qualche ritardo, se la spedizione dell'esemplare a lui destinato fu fatta (come avvenne di quello mandato a Giovanni Faber, con invito di farlo conoscere al Principe Federico Cesi) col mezzo dei nipoti del Velser, che, a quanto pare, venivano allora in Italia (cfr. Nuovi Studi Galileiani per Antonio Favaro. Venezia, tip. Antonelli, 1891, pag. 85). Il Principe Cesi sembra non aver avuto notizia dell'opuscolo prima del 3 marzo 1612 (cfr. A. Favaro, Sulla priorità ecc., pag. 784).
- ↑ Mss. Gal., Par. III, T. X, car. 53
- ↑ Le Opere di Galileo Galilei. Edizione Nazionale, Vol. IV. Firenze, tip. di G. Barbèra, pag. 64. Più risolutamente si pronunziò intorno a tale osservazione nelle aggiunte al Discorso introdotte nella seconda edizione (Le Opere ecc., pag. cit.).
- ↑ Memorie e lettere inedite finora o disperse di Galileo Galilei ordinate ed illustrate con annotazioni dal cavalier Gio. Battista Venturi ecc. Parte Prima, Modena, per G. Vincenzi e C., M.DCCC.XVIII, pag. 171.
- ↑ Vedi, in questo volume, pag. 114, lin. 20 e seg. Di questa lettera altri esemplari furono inviati da Galileo ai suoi amici e mecenati.
- ↑ Di alcune relazioni tra Galileo Galilei e Federico Cesi, illustrate con documenti inediti per cura di Antonio Favaro: nel Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche; Tomo XVII, 1884, pag. 233.
- ↑ De maculis solaribus et stellis circa Iovem errantibus Accuratior Disquisitio ad Mareum Velserum.... perscripta. Augustae Vindelicorum, Anno M.DC.XII, Idib. Septembr. — Cfr., in questo volume, pag. 183, lin. 8 e seg.
- ↑ Vedi pag. 184, lin. 4.
- ↑ Il Cesi ne accusa ricevimento a Galileo sotto il dì 13 ottobre 1612 (Mss. Gal., Par. I, T. VII, car. 48).
- ↑ Breve Storia della Accademia dei Lincei scritta da Domenico Carutti. Roma, coi tipi del Salviucci, 1883, pag. 32.
- ↑ Risulta dalle lettere del Cesi a Galileo dei 29 settembre 1612, 6 e 13 ottobre dell’anno medesimo, ecc. (Mss. Gal., Par. VI, T. VIII, car. 158, 162; Par. I, T. VII, car. 48, ecc.) Cfr. A. Favaro, Di alcune relazioni tra Galileo Galilei e Federico Cesi ecc., pag. 222.
- ↑ Lettera di Federico Cesi a Galileo sotto questa data (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 38).
- ↑ Vedi le citate lettere di Federico Cesi a Galileo dei 29 settembre e 6 ottobre 1612, e quelle dei 28 ottobre e 10 novembre dello stesso anno (Mss. Gal., Par. VI, T. VIII, car. 165, 172); nonchè quelle di Galileo al Cesi 4 novembre 1612 (Biblioteca Boncompagni in Roma, Cod. 580, car. 136) e 5 gennaio 1613 (Mss. Gal., Par. VI, T. VI, car. 22).
- ↑ In Roma, appresso Giacomo Mascardi, MDCXIII.
- ↑ Intorno alla stampa delle lettere sulle macchie solari e intorno ad alcune particolarità offerte da vari esemplari, cfr. A. Favaro, Serie ottava di Scampoli Galileiani: negli Atti e Memorie della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Padova; Vol. IX, 1893, pag. 16-22.
- ↑ Nel frontespizio degli esemplari che contengono anche le scritture dello Scheiner, dopo Gran Duca di Toscana si legge: Si aggiungono nel fine le Lettere e Disquisizioni del finto Apelle.
- ↑ Cfr. pag. 74. Queste parole sono aggiunte precisamente tra «iudicavi.» e «In fidem» (lin. 9).
- ↑ Nell'intenzione dei Lincei non era senza significato che questa prefazione alle scritture scheineriane si fingesse fatta dal tipografo. «Son stampate le prime d'Apelle .... e faremo forse che l'istesso stampatore dica averle aggiunte, come a V. S. parerà», scriveva il Cesi a Galileo il 14 dicembre 1612 (Mss. Gal., Par. VI, T. VIII, car. 187); e più esplicitamente il medesimo Cesi a Galileo, sotto il dì 28 dello stesso mese: «Per più gravità del negozio, l'aggiunta delle Apollee scritture si farà dallo stesso stampatore, e non dal bibliotecario che fa stampar quelle di V. S.».
- ↑ Di questa prefazione due bozze manoscritte, che presentano differenze non gravi tra di loro e in confronto della stampa, e sono ricche di correzioni, alcune, a quanto sembra, di mano di Federico Cesi ed altre di mano di Giovanni Faber, si trovano in due fogliettini non numerati, ciascuno di due carte, inseriti tra le car. 99 e 100 del cod. Volpicelliano A, del quale avremo occasione di discorrere tra breve (cfr. D. Berti, Antecedenti al processo Galileiano e alla condanna della dottrina Copernicana: negli Atti della R. Accademia dei Lincei, Serie terza, Memorie della classe di Scienze morali, storiche e filologiche; vol. X, 1883, pag. 63-64).
- ↑ Sono le seguenti: pag. 31, lin. 30, hereo corretto in haereo (cfr. pag. 69, lin. 34); pag. 41, lin. 8, bea corretto in bac, e, lin. 11, unum corretto in unam; pag. 42, lin. 13, parallegrammum corretto in parallelogrammum, e, lin. 24, 49' corretto in 49"; pag. 18, lin. 8, acuratissimae corretto in accuratissimae ; pag. 55, lin. 34, eadem corretto in eaedem; pag. 58, lin. 14, expetieris corretto in experieris (conforme suggerisce l’Erratacorrige dell’ edizione Romana), e, lin. 35, sinistra corretto in sinistro.
- ↑ L’uno e l’altro codice è stato descritto dal Berti, Antecedenti al processo Galileiano e alla condanna ecc., pag. 60-72.
- ↑ «La minuta d’essa [dedicatoria] se le manderà», scrive il Cesi a Galileo il 3 novembre 1612, «prima si stampi, acciò sia a suo gusto: e se V. S. vorrà vi s’accenni altri particolari, l’avisi; e se le pare meglio, poi anco mandarne minuta o ristretto o capi da toccarsi, che sarà servita». (Mss. Gal., Par. VI, T. VIII, car. 171r.) E il medesimo Cesi scriveva pure a Galileo sotto il dì 15 febbraio 1613: «Le mando la prefazione sbozzata dal Autore, avendoci procurato toccar tutti i luoghi da V. S. avisati ed altri che son parsi a proposito. S’aspetta rimandi così questa come la dedicatoria, la quale qui anco si va accomodando, come anco si farà questa. E le rimandi casse, aggiunte, mutate, rifatte, e onninamento come le pare; chè, essendo di qualche gran momento simil publicazione, s’aspetta il suo giudizio e ordine. Sopra tutto sia ridotta in buon Toscano, chè qui ciò non è facile nè proprio. E se le spesse trasposizioni e lo stile un po’ poetico dà noia, si riduca». (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 28r.) Così pure il 22 febbraio 1613 il Cesi scriveva a Galileo che «l’epistola dedicatoria, secondo l’ avertimento, si smagrirà un poco». (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 30t.)
- ↑ Il Sig. Egerton Brydges acquistò questo manoscritto, che contiene anche altri autografi di Galileo, da F. Fontani, bibliotecario della Riccardiana di Firenze. — S’avverta che un tratto della car. 10r., l’intera car. 10t. e un tratto della car. 11r. nel T. X della Par. III dei Mss. Galileiani, ossia dalle parole «Piglisi dipoi » (pag. 122, lin. 8) alle parole «del diametro solare» (pag. 124, lin. 9), non sono di mano di Galileo, ma della mano medesima dalla quale furono trascritte la prima e la seconda Lettera nel cod. Volpicelliano A. Anche in questo brano però s’incontrano correzioni ed aggiunte di pugno del Nostro, il quale, come da qualche particolare argomentiamo, dettò forse queste pagine all’amanuense. Della medesima mano di copista, e non di quella di Galileo (ma però con sue correzioni autografe), sono pure le prime diciassette linee della car. 8r. dell’«Egerton Mss. 48», che contengono il tratto della prima Lettera da «Illustrissimo Sig.» a «impugnate» (pag. 94, lin. 5-23). Si deve anche notare che nell’autografo, come pure nella copia Volpicelliana, mancano le postille marginali, tranne la maggior parte di quelle della terza Lettera che citano, per faccie e versi delle edizioni Augustano, i luoghi delle scritture d’Apelle presi in considerazione nel testo. La mancanza delle postille nell’autografo è la ragione per la quale abbiamo conservato in esse qualche forma di cui si può dubitare se veramente sia uscita dalla penna di Galileo.
- ↑ La car. 63 del cod. Volpicelliano A, che contiene, con notevoli differenze a confronto del testo a stampa, il tratto della seconda Lettera di Galileo da «del sito loro» (pag. 140, lin. 15) sino alla fine, è stata rifatta di mano di Paolo Volpicelli, che possedette il codice prima che dal figlio suo Rodolfo fosse donato alla R. Accademia dei Lincei. La carta originale, con la sottoscrizione autografa di Galileo, fu inviata da Paolo Volpicelli «al Sig. Chasles, celebre geometra a Parigi», come ci apprende una nota scritta, di mano del Volpicelli stesso, sul margine della carta rifatta.
- ↑ Oltre che dal Berti, che nella Memoria citata si giovò dei due codici Volpicelliani, il Volpicelliano A fu messo a profitto, però soltanto per quel che risguarda la seconda Lettera di Galileo, da P. Volpicelli: cfr. Seconda lettera delle tre sulle macchie solari di Galileo Galilei a Marco Valseri (sic), nuovamente pubblicata dal prof. Volpicelli, con osservazioni che la precedono, e note che la seguono, del medesimo; negli Atti dell'Accademia Pontificia de Nuovi Lincei, Tomo XIII, Anno XIII, 1859-60, pag. 295-329. Gli autografi furono adoprati ancor meno dell’apografo Volpicelliano.
- ↑ Qualche volta riconducemmo la lezione della stampa a quella dell’autografo non tanto perchè la correzione si potesse dire del tutto necessaria, quanto perchè appariva manifesto dalle condizioni grafiche dell’autografo che la lezione della stampa era nata per isvista dell’amanuense, il quale, esemplando l'apografo, dovette legger male. A pag. 123, lin. 6, abbiamo aggiunto la macchia B, e a lin. 33 abbiamo corretto punto D in punto O, sebbene tali correzioni, evidentemente necessarie, non ci fossero suggerite nè dall’autografo nè dal cod. Volpicelliano. S’avverta però che questi due passi cadono in quel tratto nel quale il T. X della Par. III dei Mss. Galileiani non è autografo (cfr. pag. 15, nota 2). A pag. 138, lin. 6, abbiamo emendato Pithoci, dato dall’autografo, dall’apografo e dalla stampa, in Pithoei, perchè l’opera che Galileo cita in quel luogo è il secondo tomo degli Annalium et Historiae Francorum ab anno Christi DCCVIII ad ann. DCCCCXC scriptores coaetanei, nunc primum in lucem editi ex Bibliotheca P. Pithoei I. C. Parisiis, apud Claudium Chappelet, via Iacobaea, sub signo Unicornis, M.D.LXXXVIII.
- ↑ Scrive il Cesi a Galileo, il 28 dicembre 1612, di non maravigliarsi «se i stampatori son poco toscani; che con tutto che vi si stia sopra ed il correttore corregga due volte e talvolta tre, pur fanno delli errori» (Mss. Gal., Par. VI, T. VIII, car. 193r.): e il 4 gennaio 1613, che «assicurisi certo che gli s’è sopra [al compositore], e si farà più ora, che lo forzaremo esser toscano, se sarà possibile» (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 7r.).
- ↑ Così, per esempio, imagine ed immagine (e derivati), esempio (esemplo) ed essempio, si alternano, tanto nell’autografo quanto nella stampa; ed è caso non raro che la stampa abbia doppio m o doppio s appunto là dove l’autografo ne ha uno solo: noi riproducemmo di volta in volta la stampa. Anche nelle lettere del Velser abbiamo corretto, conforme agli autografi, quelli che giudicammo o arbitrii dello stampatore (per es., continova a pag. 183, lin. 4) o dotti di false letture degli autografi stessi (per es., grave a pag. 183, lin. 4); ma non ritoccammo ciò che forse era stato cambiato da Galileo (vedi, per es., a pag. 184, lin. 14-15, e ivi nelle varianti), nè quelle forme che, comunque siano entrate, dovevano essere, per il Velser e per Galileo, egualmente buone, anzi forse migliori, di quelle che si leggono negli autografi (per es., a pag. 183, lin. 6, con la e, lin. 9, nuove). Non occorre poi soggiungere che la lezione della stampa fu da noi rispettata anche in quei passi delle lettere del Velser, nei quali s’allontana dall’autografo per più gravi mutazioni od aggiunte, che risguardano il senso (cfr., per es., pag. 93, lin. 5-8 e lin. 14-16). Del resto, queste medesime lettere del Velser saranno ristampate conforme agli autografi nei volumi del Carteggio, al posto che cronologicamente loro spetta.
- ↑ A pag. 216, lin. 24, abbiamo corretto intieri della stampa in interi', e a pag. 225, lin. 5-6, intieramente in interamente, non solo perchè ci autorizzavano a farlo l’autografo e il Volpicelliano, ma anche perchè a pag. 193, lin. 6, intieramente, pur dato dalla stampa, è corretto in interamente nell’Erratacorrige della stampa stessa. Così a pag. 95, lin. 31, abbiamo corretto medemo in medesimo, a pag. 108, lin. 29, rassomigli in rassimigli, e a pag. 124, lin. 5, quindeci in quindici, con l’appoggio e dei manoscritti e dell’Erratacorrige della stampa, che emenda in altri passi le stesse forme.
- ↑ Alcuni di cosiffatti futuri e condizionali sono corretti già nell’Erratacorrige della stampa. Era ben naturale, per contrario, che li conservassimo quando, come accade qualche volta soltanto nelle lettere del Velser, sono dati e dagli autografi e dalla stampa (cfr., per es., pag. 184, lin. 10 e 19).
- ↑ Però a pag. 98, lin. 26, abbiamo rispettato communicato, in cui concordano i due manoscritti la stampa.
- ↑ Le forme così staccate non sono costanti nell’autografo, ma però più frequenti che quelle congiunte e senza accento. Le forme congiunte e con l’accento non s’incontrano forse mai.
- ↑ Cfr. più sopra (pag. 13) la Prefazione Iacobus Mascardus Typographus Lectori S.
- ↑ Non sono autografi di Galileo, ma frammisti ad autografi suoi, i frammenti che pubblichiamo a pag. 259, lin. 14 — pag. 260, lin. 8.
- ↑ I disegni delle macchie, che riproduciamo in facsimile a pag. 253-254, sono a car. 68t. 70r.; per ciascuno degli altri frammenti indichiamo di volta in volta, in nota, le carte del manoscritto alle quali si leggono.
- ↑ Cfr. pag. 107.
- ↑ Appiè di pagina indichiamo alcuni materiali errori di penna e qualche tratto cancellato, che s’incontrano nell’autografo.