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avvertimento. 15

superiore è riprodotta la lezione a stampa; perchè ciò che leggiamo a proposito della prefazione e della dedicatoria nel carteggio tra Federico Cesi e Galileo, ci dà fondato motivo di ritenere che tanto l’una quanto l’altra, più ampie e di gran lunga più gonfie nel manoscritto, siano state ridotte a forma più sobria per consiglio e per opera, in parte, di Galileo, come da Galileo erano stati avvisati i principali luoghi che si dovevano in esse toccare1. Pubblicammo poi la lezione manoscritta nella sua forma originale, cioè senza tener conto nel testo delle correzioni ed aggiunte fra le linee o su’ margini, introdotte, almeno in molti casi, da un’altra mano, nella quale ci parve talora di ravvisare quella del Principe Cesi. Di queste correzioni ed aggiunte, parecchie delle quali furono accettate nella lezione definitiva della stampa, avvertiamo però il lettore nelle note.

Alla dedicatoria e alla prefazione tengono dietro, così nell’edizione Romana come nella nostra ristampa, un ritratto del sommo Filosofo, che riproducemmo in facsimile, due epigrammi e un sonetto in suo onore, e quindi le lettere del Velser e di Galileo, alle quali dedicammo cure speciali, attesa la loro speciale importanza e permettendocelo alcune fortunate combinazioni.

Invero di queste lettere pervennero fino a noi gli autografi; che delle lettere del Velser e della seconda e terza di Galileo si conservano nel citato Tomo X (car. 3r.-51r., e car. 71r.-72r.) della Parte III dei Manoscritti Galileiani, e della prima lettera di Galileo nell’«Egerton Mss. 48» (car. 8r.-15t.) del Museo Britannico2. Inoltre, il codice Volpicelliano A contiene (car. 40r.-97t.) la copia


  1. «La minuta d’essa [dedicatoria] se le manderà», scrive il Cesi a Galileo il 3 novembre 1612, «prima si stampi, acciò sia a suo gusto: e se V. S. vorrà vi s’accenni altri particolari, l’avisi; e se le pare meglio, poi anco mandarne minuta o ristretto o capi da toccarsi, che sarà servita». (Mss. Gal., Par. VI, T. VIII, car. 171r.) E il medesimo Cesi scriveva pure a Galileo sotto il dì 15 febbraio 1613: «Le mando la prefazione sbozzata dal Autore, avendoci procurato toccar tutti i luoghi da V. S. avisati ed altri che son parsi a proposito. S’aspetta rimandi così questa come la dedicatoria, la quale qui anco si va accomodando, come anco si farà questa. E le rimandi casse, aggiunte, mutate, rifatte, e onninamento come le pare; chè, essendo di qualche gran momento simil publicazione, s’aspetta il suo giudizio e ordine. Sopra tutto sia ridotta in buon Toscano, chè qui ciò non è facile nè proprio. E se le spesse trasposizioni e lo stile un po’ poetico dà noia, si riduca». (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 28r.) Così pure il 22 febbraio 1613 il Cesi scriveva a Galileo che «l’epistola dedicatoria, secondo l’ avertimento, si smagrirà un poco». (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 30t.)
  2. Il Sig. Egerton Brydges acquistò questo manoscritto, che contiene anche altri autografi di Galileo, da F. Fontani, bibliotecario della Riccardiana di Firenze. — S’avverta che un tratto della car. 10r., l’intera car. 10t. e un tratto della car. 11r. nel T. X della Par. III dei Mss. Galileiani, ossia dalle parole «Piglisi dipoi » (pag. 122, lin. 8) alle parole «del diametro solare» (pag. 124, lin. 9), non sono di mano di Galileo, ma della mano medesima dalla quale furono trascritte la prima e la seconda Lettera nel cod. Volpicelliano A. Anche in questo brano però s’incontrano correzioni ed aggiunte di pugno del Nostro, il quale, come da qualche particolare argomentiamo, dettò forse queste pagine all’amanuense. Della medesima mano di copista, e non di quella di Galileo (ma però con sue correzioni autografe), sono pure le prime diciassette linee della car. 8r. dell’«Egerton Mss. 48», che contengono il tratto della prima Lettera da «Illustrissimo Sig.» a «impugnate» (pag. 94, lin. 5-23). Si deve anche notare che nell’autografo, come pure nella copia Volpicelliana, mancano le postille marginali, tranne la maggior parte di quelle della terza Lettera che citano, per faccie e versi delle edizioni Augustano, i luoghi delle scritture d’Apelle presi in considerazione nel testo. La mancanza delle postille nell’autografo è la ragione per la quale abbiamo conservato in esse qualche forma di cui si può dubitare se veramente sia uscita dalla penna di Galileo.