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avvertimento. 17

ferenze tra i manoscritti e la stampa. Se non che la suppellettile manoscritta non servì soltanto a mostrarci la elaborazione successiva dell’opera; poichè, pur riproducendo il testo della stampa, credemmo nostro ufficio di correggerlo, con l’appoggio dei due manoscritti o del solo autografo, in alcuni passi che sono manifestamente viziati, per colpa vuoi del tipografo, vuoi dell’amanuense a cui è dovuto l’apografo Volpicelliano1. Più spesso poi emendammo certe forme, le quali sicuramente non sono dell’uso toscano, e la costante testimonianza dell’autografo dimostra che da Galileo dovevano essere riprovate; come pure emendammo altre forme, attenenti soprattutto alla grafia, che, sebbene non si possano escludere dall’uso toscano, e quindi altre volte, dove eravamo costretti ad attingere soltanto a copie, sieno state da noi stessi accettate, ora l’autografo troppo ripetutamente faceva conoscere, non essere nelle abitudini e ne’ gusti del Nostro, almeno quando egli dettava queste Lettere: così che è da dire che tanto le une quanto le altre siano rimaste nella stampa soltanto per quella minor precisione con cui i nostri antichi procedevano in siffatti particolari. Nel caso nostro con tanto maggior sicurezza correggemmo, in quanto i lamenti che muovono Galileo e il Cesi nella loro corrispondenza, del non essere toscani gli stampatori e del non poterli ridurre in niun modo alla desiderata esattezza2, ci facevano più grave l’obbligo di sopperire noi al loro difetto. Tuttavia non credemmo che ci fosse lecito ritoccare altre forme della stampa che si discostano da quelle del manoscritto, ma sono egualmente buone in sè ed egualmente familiari a Galileo; perchè, altrimenti, non solo la stampa sarebbe stata troppo spesso modificata, ma ci saremmo esposti al pericolo di correggere anche là dove Galileo, pur se avesse fatto attenzione che il suo testo era lievemente alterato, non avrebbe sentito nessun desiderio di ritornare alla lezione originaria3. Conforme poi al nostro


  1. Qualche volta riconducemmo la lezione della stampa a quella dell’autografo non tanto perchè la correzione si potesse dire del tutto necessaria, quanto perchè appariva manifesto dalle condizioni grafiche dell’autografo che la lezione della stampa era nata per isvista dell’amanuense, il quale, esemplando l'apografo, dovette legger male. A pag. 123, lin. 6, abbiamo aggiunto la macchia B, e a lin. 33 abbiamo corretto punto D in punto O, sebbene tali correzioni, evidentemente necessarie, non ci fossero suggerite nè dall’autografo nè dal cod. Volpicelliano. S’avverta però che questi due passi cadono in quel tratto nel quale il T. X della Par. III dei Mss. Galileiani non è autografo (cfr. pag. 15, nota 2). A pag. 138, lin. 6, abbiamo emendato Pithoci, dato dall’autografo, dall’apografo e dalla stampa, in Pithoei, perchè l’opera che Galileo cita in quel luogo è il secondo tomo degli Annalium et Historiae Francorum ab anno Christi DCCVIII ad ann. DCCCCXC scriptores coaetanei, nunc primum in lucem editi ex Bibliotheca P. Pithoei I. C. Parisiis, apud Claudium Chappelet, via Iacobaea, sub signo Unicornis, M.D.LXXXVIII.
  2. Scrive il Cesi a Galileo, il 28 dicembre 1612, di non maravigliarsi «se i stampatori son poco toscani; che con tutto che vi si stia sopra ed il correttore corregga due volte e talvolta tre, pur fanno delli errori» (Mss. Gal., Par. VI, T. VIII, car. 193r.): e il 4 gennaio 1613, che «assicurisi certo che gli s’è sopra [al compositore], e si farà più ora, che lo forzaremo esser toscano, se sarà possibile» (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 7r.).
  3. Così, per esempio, imagine ed immagine (e derivati), esempio (esemplo) ed essempio, si alternano, tanto nell’autografo quanto nella stampa; ed è caso non raro che la stampa abbia doppio m o doppio s appunto là dove l’autografo ne ha uno solo: noi riproducemmo di volta in volta la stampa. Anche nelle lettere del Velser abbiamo corretto, conforme agli autografi, quelli che giudicammo o arbitrii dello stampatore (per es., continova a pag. 183, lin. 4) o pro-