Le odi e i frammenti (Pindaro)/Le odi siciliane
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LE ODI SICILIANE
Indice
- Introduzione
- Ode Pitica VI
- Ode Pitica XII
- Ode Pitica II
- Ode Olimpia III
- Ode Olimpia I
- Ode Olimpia II
- Ode Istmica II
- Ode Nemea I
- Ode Nemea IX
- Ode Pitia I
- Ode Olimpia VI
- Ode Pitia III
- Ode Olimpia XII
- Ode Olimpia IV
- Ode Olimpia V
Le odi siciliane di Pindaro si aggruppano principalmente intorno a due città, a due signori: Agrigento e Siracusa, Terone e Ierone. Ma ad intenderle compiutamente, bisogna anche ricordare altri nomi, altri fatti.
Tra i secoli VIII e VI a. C. si svolge la colonizzazione ellenica della Sicilia. Ma tanto gl’insediamenti quanto la prisca vita delle colonie sono avvolti in fitto buio, donde emerge appena qualche nome e qualche leggenda: Falaride, per esempio, ed il suo famoso toro, ricordato anche da Pindaro.
La storia albeggia con Gela (la moderna Terranova), e col signore Ippocrate, che inizia (498 a. C.) con grande astuzia ed energia una politica di conquista. Due uomini, prodi e saggi, gli erano a fianco: Enesídamo, della stirpe degli Emmenidi, forse il medesimo che è ricordato come padre di Terone; e Gelone, figlio di Dinòmene, e fratello di Ierone.
La piú importante impresa di Ippocrate fu contro i Siracusani. Questi avevano assalita e conquistata, a sud di Gela, Camarina, loro colonia ribelle (552); e, impadronitisi del territorio, venivano a confinare con i Geloi. Ippocrate non volle cosí pericolosi vicini: li assalí, li sconfisse sul fiume Eloro, e, impadronitosi del territorio di Camarina, ripopolò la città.
Ippocrate morí circa il 492. Gli successe nella signoria, usando l’astuzia e la forza, Gelone. Enesídamo, impotente ad opporglisi, passò ad Agrigento, dove la sua stirpe aveva aderenze e potere grandi; e nel 488 il figliuol suo Terone poté impadronirsi della città.
Qualche anno dopo, Gelone, approfittando delle discordie che laceravano Siracusa, aveva invaso coi fuorusciti la città, e se n’era proclamato signore, lasciando a Gela suo fratello Ierone. E Terone, che intanto s’era stretto a Gelone, dandogli in moglie la figliuola sua Damarete, approfittando del malumore suscitato in Imera dalla durezza del signore Terillo, s’impadronì di quella città; a capo della quale mise poi il figliuolo Trasideo. Sicché verso il 480, Gelone era signore di Siracusa, Ierone di Gela, Terone d’Agrigento e d’Imera.
Terillo non sopportò in pace l’affronto. Ricorse ad Anassilao, suo genero, signore di Reggio, ed ai Cartaginesi, che non vedevano di buon occhio l’estendersi della potenza ellenica in Sicilia. Un esercito fortissimo, guidato da Amilcare, sbarcato a Panormo, invase la Sicilia. Ma sui campi d’Imera toccò da Terone e da Gelone accorso in suo aiuto una terribile sconfitta. Quella battaglia fu paragonata a Salamina e Platea. E Simonide chiuse in un epigramma il nome di Gelone e dei suoi tre fratelli che avevano conseguita la gloriosa vittoria:
Di Deinomene i figli, lo attesto, Gelone, Ierone,
Polizelo e Trasibulo posero questi tripodi,
poi ch’ebbero sconfitte le barbare e agli Ellèni
data ebbero man forte per la lor libertà.
I vincitori furono magnanimi coi vinti. E specialmente trattato bene fu Anassilao: poco dopo la battaglia, Ierone sposava perfino la sua figliuola.
Due anni dopo (478) muore Gelone, affidando la reggenza di Siracusa a Ierone, e all’altro fratello Polizelo la tutela del figlio Dinòmene e la raccomandazione di sposar la sua vedova Damarete, figliuola di Terone: matrimonio che avvenne.
Con Ierone, cresce ancora lo splendore di Siracusa. E tra le vicende salienti del suo regno conviene ricordar le seguenti, riecheggiate da tutte le odi pindariche.
Anassilao di Reggio, contro il volere di Ierone, tentò impadronirsi di Locri Epizefiria. I Locresi ricorsero per aiuto a Ierone, e questi mandò Cromio, sposo d’una sua sorella, e sempre fido amico dei Dinomenidi, a parlamentare con Anassilao, che allora si piegò al volere del piú forte. A questo fatto si riferisce specialmente la Pitia II.
I Sibariti di Schidro e di Lao chiedono a lor volta aiuto a Ierone contro i Crotoniati. E, secondo una tradizione, Ierone, volendo liberarsi del fratello Polizelo, lo mandò a compiere questa impresa. Ma Polizelo, subodorato il tranello, si rifugiò presso Terone, padre di sua moglie. Terone patrocinò la sua causa: Ierone gli mosse contro, e sarebbero venuti a guerra aperta senza i buoni uffici di Simonide. Polizelo fece atto di sottomissione. Ierone ebbe il sommo potere (476), e, a suggellar la pace, sposò una nipote di Terone. Mentre egli giungeva cosí all’apogeo, incominciava a declinare la sorte di Terone. Imera scacciava il figlio di lui Trasideo; ed anche gli si erano ribellati Capi ed Ippocrate, suoi stretti parenti.
Gli abitanti di Cuma, molestati dagli Etruschi e dai Cartaginesi, ricorsero anch’essi per aiuto a Ierone. E Ierone, comprendendo che un trionfo dei barbari avrebbe messo in pericolo, non solo Cuma, ma tutte le colonie elleniche della Magna Grecia, inviò una flotta che sconfisse completamente i barbari (474).
Infine, Ierone espulse gli abitanti di Catania e di Nasso, e li sostituí con diecimila nuovi cittadini. Con ciò mirava, non tanto alla gloria di fondator di città, quanto ad assicurare la signoria al figliuol suo Deinomene, prevedendo, come fu, che la successione al trono di Siracusa non sarebbe riuscita cosí agevole. E durante la minore età del figlio, creò governatore della città il cognato Cromio.
Nel 472 morí Terone; e lo sconsigliato figliuol suo Trasideo tentò una levata di scudi contro Ierone. Messo insieme un esercito di 20.000 uomini, si apparecchiava a muovere contro il potente avversario. Questi lo prevenne, invase il territorio di Agrigento, e sconfisse in sanguinosa battaglia il turbolento nemico, che si rifugiò a Megara, e vi trovò la morte.
Sei anni dopo (467) moriva anche Ierone. La sua scomparsa fu seguita da sanguinosi tumulti. Trasibulo, il piú giovine de’ suoi fratelli, s’impadroní del potere; ma una rivolta popolare lo detronizzò. E con lui ebbe fine la dinastia dei Dinomènidi, e trionfò, a Siracusa, come nelle altre città della Sicilia, il reggimento democratico.