Le idee di una donna/Per un milione di zeri
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PER UN MILIONE DI ZERI
Dinanzi a questo titolo e ai fogli candidi che m’aspettano, sopratutto dinanzi all’onda incerta e vaga dei lettori tutti così ignoti, tutti così interessanti, penso con malinconica invidia agli scrittori che ebbero nel momento voluto un popolo intero d’accordo col loro sentimento. Non sempre furono questi i poeti migliori, i pensatori più profondi, ma essi conobbero la gioia di stringere in un solo amplesso il più gran numero di cuori!
Io invece so già di andare contro corrente. Odo i fischi del vento contrario, vedo disegnarsi nell’ombra i profili minacciosi degli scogli, e qualcuno che già mi volle bene, ritrarsi sfiduciato da me. L’ora è triste. Ma forse che anche nelle ore più scoraggiate, nelle ore tragiche, non si può trovare una specie di bellezza a combattere e sia pur soli, per ciò che si crede vero, che si crede buono? Del resto cosa vuol dire essere soli nel campo del pensiero? Le idee non sono mai sterili. Cade da esse il polline misterioso che trasportato in lontane e più feconde regioni forma una selva di ciò che non era che un solitario arbusto.
Per un milione di zeri io scrivo oggi e dovrei dire per parecchi milioni. Non si chiamano così oramai le donne modeste ed oscure vantate dai saggi antichi, derise dai moderni? Nella affannosa ricerca che l’umanità va continuamente compiendo verso un inafferrabile ideale di bene essa non fa altro che rinnovare l’immagine di un fanciullo brancicante dentro una selva, ora volgendosi a destra, ora a manca, ora retrocedendo di qualche passo, ora pigliando un dirizzone a capo fitto dove vien viene. E al di sopra del fanciullo e al di sopra della umanità raggiano ironiche le stelle.
Gli antichi lodatori del domo mansit lanam fecit si ispirarono forse ad un egoistico istinto di sovranità - io sono in questo d’accordo col mio gentile e intelligentissimo avversario Guglielmo Gambarotta che di ciò ebbe ad occuparsi molto felicemente nel suo bel lavoro sull’Adulterio – ma se quello fu un errore di interpretazione che lasciava intatta la sostanza ideale del fatto, ed era per conseguenza innocuo alla causa comune, non si può dire altrettanto del movimento attuale che tende a scalzare nelle sue basi più positive e più razionalmente perfette la divisione del lavoro indicata dalla natura fra l’uomo e la donna. L’errore degli antichi aveva sotto forma brutale un alto significato educatore; l’errore moderno conduce per i fioriti sentieri di un illusorio progresso al trionfo della vanità e del materialismo.
Ho già altre volte discusse - non so con quale risultato di merito ma certo con piena serenità e coscienza di osservatore - le conclusioni degli scienziati che a mezzo di bilance e di specilli credono di poter affermare l’inferiorità della femmina in confronto al maschio. Questione oziosa sulla quale vanamente si rintuzzano i campioni del femminismo. La femmina non è nè superiore nè inferiore al maschio; sono entrambi niente altro che femmina e maschio, cioè due parti ben distinte di un organismo indivisibile così armonico, così perfetto, che nulla di meglio si trova nella creazione e sarà sempre una perdita di tempo e di forze l’andare annaspando altrove che in questo meraviglioso mistero l’essenza del tutto. La bandiera del progresso non deve coprire dei lagni utopistici. Finchè la donna conserverà il privilegio di tenere nel suo grembo la vita del mondo ne avrà abbastanza per la sua attività, per la sua intelligenza, per i suoi doveri, per i suoi diritti, per tutte le parole che ci facciamo rimbalzare da un capo all’altro a guisa di palle elastiche, e che scoppieranno un bel momento da quelle vesciche vuote che sono, senza avere menomamente intaccato l’opera silenziosa della natura.
Un argomento dei femministi - vorrei dire fra i più deboli se non mi sembrassero tutti deboli a un modo - è l’obbiezione che non tutte le donne possono essere madri. Tutte lo dovrebbero soggiungo io ed ecco che l’abbiezione cade. Perchè alcune donne sono sottratte alla loro missione si dovrà imperniare la società sul caso particolare, diciamo pure sulla disgrazia particolare? Non sarebbe invece meglio riunire gli sforzi perchè ogni donna abbia il suo posto nella via dei secoli? Questa è l’idealità, questa la verità - e questo sarebbe il progresso.
Falso pudore, falso sentimentalismo e più che tutto materialismo mascherato da principio educativo consiglia ad allevare le fanciulle lontane da quella idea che rappresenta il solo perchè della loro esistenza e si tenta di gettare sovr’essa il dispregio dicendo che a questo modo la donna è una macchina da fare figliuoli. Si potrebbe dire egualmente che il sole è una macchina per produrre il calore e si direbbe la verità e non sarebbe meno vero per questo che il sole è la prima e la più poetica forza dell’universo.
La missione della donna è precisamente quella di procreare; peggio per chi interpretando volgarmente tale cosa divina non sa scorgervi altro che la funzione di una macchina. Io spero di potere un giorno dimostrare, sull’appoggio di documenti che sto raccogliendo con molta pazienza, quale parte abbia la donna nella trasmissione della intelligenza, cioè a dire della parte più spirituale dell’essere umano. Ma non è ora il caso. Per oggi guardiamo come intorno a questo soggetto della donna così individuale e così complesso, abbiano lavorato tutti gli ingegni, in tutte le arti, in tutti i tempi.
L’uomo nel cosmo può essere una accidentalità; ma dato l’uomo la donna vi diventa una necessità. Vi sono state a rigor di favola (e la favola non è altro che la maschera del vero) donne che vissero sole e guerriere sulla riva del Termodonte; ma di uomini senza donne nè storia nè favole parlano; anzi quando alcuni popoli credettero di non averne a sufficienza mossero a rapire quelle del vicino. Eppure accettando il principio indiscutibile della importanza e della necessità della donna non si può a meno di restare sbalorditi contemplando per quali vie differenti e sotto quali diversi aspetti la donna si impose.
Nei tempi antichi essa è una figura sbiadita che non ha, si può dire, poteri riconosciuti. L’uomo allo stato di barbarie, forte della superiorità fisica, la relegava al secondo posto, come vediamo praticare anche oggi via via che si discendono gli strati sociali. Ma è appunto ammirabile che da quest’umile posto ella abbia saputo innalzarsi fin dove è giunta. Consideriamo che le religioni ebraiche e mussulmane rispettando la donna come sposa e come madre, scrissero tuttavia per lei nella Bibbia e nel Corano alcuni paragrafi ingiuriosi e le crearono esclusioni insultanti, fra cui primissima nella religione di Maometto quella di non poter partecipare al culto di un essere supremo e nella religione di Mosè l’accusa di impurità. In Grecia, tra le raffinatezze di una vita lussuriosa, l’arte sorgendo dai limbi informi modellò i primi capolavori sotto l’ispirazione delle donna. Da animale domestico ella salì al grado di cortigiana. Fu adulata, fu incensata. Il paganesimo trovò in lei la più perfetta espressione del suo culto ed Aspasia scuotendo i braccialetti d’oro sul capo inebbriato di Pericle potè annunciare ridendo che il tempo delle catene era finito.
Non doveva tuttavia essere questo il suo trionfo maggiore. Il cristianesimo primo rialzò veramente la donna. Coll’apoteosi di Maria ella fu salva. Passando dalla forma all’idea, dal talamo all’altare la donna cristiana ha confermato l’infinito potere femminile. In vista di quella meta raggiante le martiri e le sante partirono dalle oltraggiate case ingrossando le file che divennero legioni e popolarono gli aspri sentieri della conquista nova. Innalzando il grido della rivolta si chiamarono figlie di Dio e vollero la libertà, si chiamarono sorelle di coloro che soffrono e vollero il martirio; si chiamarono compagne dei forti e vollero la lotta. La religione cristiana svolse tutta l’idealità della donna. Disse: tu sei la parte migliore dell’uomo, rialzati dal vil posto di concubina ed assorgi alla gloria della famiglia!
Poi venne il Medio Evo. Quelle turbe su cui il cristianesimo aveva soffiato il concetto di una idealità elevata erano preparate all’accettazione del motto che fu per tanti anni la forza di intere nazioni: Dio, il re, la donna. Dal fondo delle borgate, dai tetri castelli, il fiore della gioventù accorse sotto il nobile vessillo. Nè conviene giudicare il trionfo della donna nel Medio Evo perchè la vediamo giudice nei tornei ed arbitra delle corti d’amore o perchè i menestrelli cantavano patetiche romanze sotto ai veroni illuminati dalla luna. Sfrondiamo pure la leggenda dei fiori che vi ricamò intorno la fantasia resta sempre il nome della donna invocato quale egida dell’onore, messo a canto ai nomi di Dio e del re. Che fosse dittatrice di sentimenti gentili o monaca consigliera di sante abnegazioni, l’influenza della donna nel Medio Evo è grande. Temperò i costumi rozzi e violenti, pose nel cuore dell’uomo altri desideri che non fossero di stragi e di sangue. Ricompensando i prodi col suo sorriso elevò l’amore e dalla stessa fonte che l’aveva resa oggetto di bassa considerazione seppe far raggiare la sua gloria maggiore. Coll’amore poggiato in alto la donna fu regina.
Ed ora che cosa le si vuole offrire di più? Scosso sui cardini il potente colosso del cristianesimo anche l’astro della donna si vela. Chi ha attentato al potere divino non indietreggerà davanti alla donna. Le sottigliezze di un filosofia ribelle, i costumi di troppo rozzi che erano divenuti eccessivamente raffinati, sviato l’ideale, cresciuta la smania dei godimenti, acuiti i bisogni, il ridicolo gettato a piene mani su tutto ciò che è mistero, cessa, si capisce, l’alto potere femminino. La donna ritorna donde era partita; strumento di piacere o macchina da fabbricar figli. Ma che cosa le si offre per rialzarla di nuovo? Io lo domando ai femministi che si illudono di giovare alla donna aprendole biblioteche e circoli, cattedre ed urne o di consolare il suo cuore angosciato con un titolo accademico o di riempire il vuoto della sua esistenza con un seggio alla Camera. Può darsi che questa cosa orribile avvenga: “una donna felice fuori della famiglia„. Ma allora o femministi il vostro trionfo segnerà la morte della donna.
Avremo un’altro tipo di donna - essi dicono - più forte, più evoluta, più conforme alle esigenze moderne. No, no, no! Voi continuerete a svolgere esternamente senza profitto d’alcuno le qualità interiori che fecero finora della donna l’educatrice per eccellenza, voi devierete queste qualità (che hanno mezzi e fini diametralmente opposti a quelli dell’uomo) verso una meta unica, uniforme, raggiunta la quale vi troverete assiderati e nudi a guisa di chi abbia smarrito la luce e il calore, perchè la donna è appunto la luce e il calore, e quando non può essere ciò che è, non è più nulla, per quanto dottoressa o professoressa.
Una grande maggioranza di donne si trova inferiore al proprio compito, è vero, ma questo si può dire anche degli uomini. L’errore consiste nel credere che ciò che giova all’uno debba giovare alle altre e che una parità di educazione sia desiderabile quando tutto è diverso in loro fin dalla nascita; quando scavando nella polvere dei secoli, davanti a pochi frammenti di ossa umane, si può dire: questo è lo scheletro di un uomo, questo è lo scheletro di una donna; quando nella oscurità più completa solo udendo un grido sappiamo se chi lo ha gettato è un uomo oppure una donna. Eh! via, il sesso non è un pregiudizio e non si cancella. L’errore consiste nel credere e nel far credere che la donna si trovi menomata restringendo la vita fra il talamo e la culla, che scrivere dei bozzetti sia occupazione più intellettuale che allevar figli, quasi la vita dell’anima e le più alte aspirazioni e l’ingegno più sottile non potessero trovare materia per loro nella cerchia delle pareti domestiche.
Un nobile poeta ci lasciò di sua madre questa descrizione: “I primi succhi nutritivi della mia intelligenza li attinsi sopratutto nel cuore di mia madre; leggevo co’ suoi occhi, sentivo colle sue impressioni, amavo col suo amore; si avrebbe detto che la sua natura, i suoi sentimenti, le sue sensazioni, i suoi pensieri fossero i miei. Oh! senza di essa nulla avrei compreso della creazione che mi stava innanzi, ch’ella mi spiegava con quella sua anima aperta, calda, amante, spargendo su tutto la luce, mettendo in tutto la vita. L’istruzione insensibile che ricevevo non era una lezione, era l’attività stessa del vivere e del pensare che andavo compiendo sotto i suoi occhi. Mia madre si dava poca pena di ciò che chiamasi coltura; non aspirava a fare di me un fanciullo prodigio; non permetteva che mi si comparasse con alcuno, né mai mi esaltava o mi umiliava con dannosi raffronti, Pensava che in tutte le condizioni dell’esistenza è mestieri da prima fare un uomo, e che quando l’uomo è maturo, e cioè quando l’essere intelligente è in giusti rapporti con se stesso, con gli altri uomini e con Dio, sia pure un principe od un operaio, egli è ciò che deve essere, è per sé stesso un bene e l’opera della madre è compiuta. Facciano questo le donne, sempre questo e niente altro che questo! L’ammirabile creatura di cui parlo viveva nella più grande semplicità, in campagna, nella compagnia degli umili e dei poveri; non era dotta, non frequentava i dotti, ma formò l’animo di suo figlio per modo che egli potè dire parlando di lei: “È nel cuore che Dio ha messo il genio della donna, poiché le opere di questo genio non abbiano ad essere che opere d’amore„.
Come si vede, io sono ben lungi dal negare l’intelligenza della donna e nemmeno la ritengo inferiore a quella dell’uomo. Dico e ripeto che è altra cosa e che perciò appunto deve applicarsi là dove l’uomo non riescirebbe, non potendo il bene derivare se non dall’equilibrio. Nessuno mi immagino vorrà negare che sia tattica errata quella di riunire tutto il peso da una parte sola della barca: nel nostro caso il punto sovracaricato è la produzione dirò così materiale dell’ingegno, una specie d’idolatria barocca e ottusa che si viene sostituendo all’ardore intimo per cui si apprezza maggiormente un ignorante laureato che un uomo d’ingegno senza diploma, uno che pubblica su per le gazzette ad uno che si accontenta di leggerle. E come non bastasse questa viziatura di criterio nel sesso forte ecco che se ne immischiano le donne e fondano Leghe, architettano Circoli, sognano di Riviste e di Biblioteche dove possano riunirsi anch’esse. Chiamano tutto ciò: “migliorarsi!„ La casa intanto si vuota a poco a poco...
Come già vedemmo spenti gli antichi focolari, centro di affetto, di allegria, di intimità, mentre un calore senza luce riscalda le nostre case dove una fiammolina senza abbracciamenti cuoce lugubremente nell’ombra le nostre vivande economiche, vedremo sparire il tavolino da lavoro, la seggioletta delle lunghe soste che tanta poesia di ore meditative chiudeva in sé e sulla quale noi, prossimi a dileguarci, evochiamo ancora pallidi e lontani profili di donne squisite che i nostri figli non troveranno più. Cade a proposito qui la sentenza dell’Evangelista: la lettera uccide. Sì, noi soffochiamo, anneghiamo nella interpretazione gretta e materiale di tutto ciò che si riferisce allo spirito. Invece dell’"anima aperta, calda ed amante che sparge su tutto la luce mettendo in tutto la vita,„ si va educando una donna saccente e dottrinaria, una illusa che chiudendo alla sera i suoi dotti commenti su Tasso e su Ariosto o firmando un appello alle altre donne sarà persuasa di avere bene impiegata la sua giornata. Si intende che, direttamente né commenti, né appelli non fanno male a nessuno, ma uno spreco di forze è sempre un danno e movere ad infilzare gli anelli di una giostra quando il nemico ci sta scassinando la porta di casa non pare veramente opportuno.
L’istruzione al pari della religione sono parole vuote di senso ove non le animi una forte idealità. Abecedario e paternoster non hanno alcun valore se non vibra in essi il soffio elevatore. Abbiamo chiese, abbiamo scuole, abbiamo libri, ma guardiamo a che cosa ci hanno condotti questi ultimi venti anni in cui le scuole si sono moltiplicate e i libri abbondano e tanto abuso si fa della parola educare. Inutilmente si accusano la miseria e l’ignoranza per spiegare i traviamenti del popolo quando nelle classi più colte vediamo lo stesso scetticismo la stessa sete di piaceri materiali, la stessa mancanza di moralità, la stessa leggerezza starei per dire lo stesso ritomo alle barbarie ed alla impulsività primitive. Ah! purtroppo quello che manca non è l’istruzione, non è nemmeno il pane. Cessate dal rizzare altari, dall’agitar turiboli; è tutta opera e rumore vano; manca il Dio.
Cuori amanti, anime appassionate, donne - donne nate all’amore - ricostruite la casa! Non è la scuola che educa, è la casa; non è il libro che insegna, è la vita; non sono i maestri che fanno l’uomo, è la madre. L’opera d'amore, come ogni mistero, ha bisogno di raccoglimento; e se vi è ancora da sperare qualche cosa nel futuro, se dobbiamo cercare un porto dove orientarci e un faro che ci additi la via non sarà certo fra i comizi delle emancipatrici ma sarete voi, donne oscure, donne umili e forti, salde alla vostra missione che ci salverete tutti. Di una coscienza profonda abbiamo bisogno e la coscienza non si acquista studiando. Essa è innata negli esseri superiori, è un vero stato di grazia che si può, fino ad un certo punto, comunicare agli altri per mezzo dell’esempio, non in diverso modo. Ora l’esempio non è predica, non è dottrina; l’esempio è il calore silenzioso di un pensiero che segue il nostro e lo biasima o lo incoraggia con un solo volgere degli occhi. Un rossore, una lagrima, bastano qualche volta ad illuminare un’anima, una mano tesa al momento opportuno può salvare una vita che si accasciava. E si dirà che la donna non ha nulla da fare? E la si spingerà ancora nelle biblioteche, nei tribunali, nei comizi, ancora, quando la casa da lei abbandonata cade in rovina e l’uomo giunto alle maggiori conquiste dell’intelligenza troverà che tutto è arido, tutto è inutile, tutto è infecondo senza il suo amore?