Le avventure di Saffo/Libro III/Capitolo III
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CAPITOLO III.
Il racconto mattutino.
Quantunque lontana sia da noi quella notte, la quale si augurarono felicissima gli ospiti, e quantunque ciascuno di loro giacesse in quella solitario, pure non farà dubbiosa congettura chi asserisca, che la donzella amante si rivolgeva inquieta sulle morbide piume; nè i tappeti delicati, nè il canto del flebile rosignolo, il grido ripetuto del lontano gufo, lo stridere dell’unisono grillo poteano conciliare alle veglianti di lei palpebre un fugace momento di sonno; quando per lo contrario Eutichio lo protrasse fino alle tarde ore. S’incontrarono nondimeno, quando già il Sole rivolgeva alla metà del suo viaggio luminoso, nelle vie del florido giardino, e la prima domanda ch’ella fece a lui, fu, se avesse nuova di Faone, ed egli rispose, che non era ancora verisimile l’aspettarne in così angusto spazio di tempo; e quindi, seco lei ragionando, arrivò ad una grotta artificiosa, fuori di cui erano collocati marmorei sedili all’ombra di sempre verdi allori. Dentro la grotta stillava, siccome pioggia, limpida acqua in ogni parte, la quale a i raggi dubbiosi, che talvolta entro vi trapassavano, si tingeva di varj colori quasi iride celeste. Ivi pertanto invitati a placida confabulazione dal silenzio e dalla fresca aura mattutina, l’uno si pose dirimpetto dell’altra; e Saffo non soddisfatta dall’interrotta narrazione, e non meno per disacerbare le proprie angosce ascoltando i casi altrui; Tu devi, gli disse, manifestarmi le tue vicende in amore, nelle quali io sono certa che non fosti quant’io infelice. Ed egli a lei rispose: Anch’io provai le barbare agoníe delle quali ti lagni, e ciascuno crede sè medesimo più misero di tutti, quando le soffre. Ma pur vedi che siccome guerriero, benchè ferito, vengo vivo dal campo, rimanendomi solo de’ cimenti pericolosi una placidissima rimembranza. Non aspettarti però prolissa e varia istoria, perchè io non andai in traccia di casi amorosi, essendo anzi di mia natura inclinato alla pacifica vita; ma la iniqua sorte invidiando la mia calma giovanile, trovò pure un oggetto, che si fece non padrone, ma tiranno de’ miei sensi; e altronde non credere a coloro che ti narrassero di avere più volte amato, perchè (siccome vedrai col tempo) questo non può accadere se non una sola volta, quandochè non intendiamo per vero senso di amore la incostanza de’ capricci fuggitivi. E poichè brami ch’io ti rammenti i miei delirj, io ti dico che per benignità di natura io godeva nella mia adolescenza e successiva gioventù una placida calma senza disordinati desiderj, il più violento de’ quali non poteva disturbarla, perchè altro non era se non quello di liberamente instruirmi nelle varie discipline. Quindi il silenzio, la solitudine, i volumi, e qualche amico egualmente inclinato alle medesime contemplazioni, erano gli oggetti soli noti all’inesperto animo mio, e così vissi alquanti anni troppo fugaci, e che più non ritornano. Avvenne finalmente per mia sventura, che conobbi colei, dove io feci l’infelice naufragio, e il nome della quale, siccome non posso rammemorare nè con mio nè con di lei encomio, non ti dispiaccia ch’io nasconda. Ella era giovane, ma non però tanto, che non avesse infinita esperienza di ciò in che era io del tutto inesperto, perchè seducente ne’ colloquj, piacevole ne’ trattenimenti, gratissima negli offizj. Era già famosa per molte infelici vittime della perpetua sua infedeltà, alternando continuamente nuovi, lieti, e giovani amanti, co’ già appassiti dal tempo e dalle cure gelose, onde la di lei storia amorosa comprendeva una continua vicenda di conquiste e di congedi. Eppure le antiche vittime non trattenevano le nuove dall’accostarsi alle are, perchè l’accorta sacerdotessa sceglieva sempre agnelli, evitando sempre gli arieti; conciliando così la soddisfazione de’ proprj sensi coll’assoluto dominio degli animi altrui. Che anzi tant’era la fallacia del suo labbro, tanta l’incantatrice simulazione degli occhi sereni e lagrimosi a loro arbitrio, che forse poteva soccombere a quegli inganni un animo esperto; onde potrai considerare quel che avvenne del mio. Perocchè se io non avea amato da prima, non era ciò avvenuto da altra cagione, se non dalla assenza d’ogni opportunità nella solitudine; ma talvolta provava in me medesimo, o nel vedere qualche volto leggiadro, o nel leggere teneri versi, una incognita commozione. Oltre di che io sempre fui proclive alla pietà de’ mali altrui, e a confortarli quant’io potessi, la qual disposizione di natura inclina all’amore profondo. Or dunque tu vedi quanti erano i miei svantaggi negli amorosi cimenti, però in minor tempo ch’io non te lo narro, divenni servo e non disciolto, se non dopo lunga serie d’affanni. Era il mio cuore come brace alquanto ricoperta di cenere, onde al soffio di quell’alito amoroso, divampò quasi paglia lungamente inaridita a i raggi del Sole estivo; e quindi io affascinato ne’ sensi dal velenoso filtro che stillava soavissimo dalle di lei labbra, tolsi i miei pensieri dalla contemplazione dell’universo, tutti in quel volto restringendoli. Perlocchè quell’io, che da prima colla chioma incolta e triviale manto, ricercava solitarie vie tacito e pensiero, quando poi conobbi il desiderio di piacere, imparai ben presto le voluttà de’ molli costumi, e poi divennero le mie vesti eleganti non meno che corrispondenti alla fresca guancia, e lo sparso crine raccolsi e profumai, studiando lieti e piacevoli modi, ma sempre sommesso a’ voleri di lei. Intanto la polvere ricoprì i volumi, che giacquero scordati nel piacevole un tempo ed allora nojoso asilo delle mie contemplazioniFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15, deplorando anzi quegli anni come dissipati in fastidiosi errori in vece di gustare i diletti convenevoli alla primavera di nostra vita. Abbandonai lo stile, appesi la cetra al collo, e facendola compagna de’ miei gemiti amorosi, trasmetteva a lei col canto i delirj infelici del mio cuore. In tal guisa ingolfato in questo pelago, qual nave in calma, parea trattenuto il corso della vita nelle delizie presenti; ma pur troppo rapido scorrea verso angosce non prevedute. Conciossiachè fra tutti gl’inganni di amore, questo è il più universale non meno che il più deplorabile, il prestar fede a que’ giuramenti di costanza, i quali sono più infedeli di quelli del nocchiero quando scende sul lido dopo la tempesta. Che se brevi sono per loro natura le illusioni di amore, quand’anche sia ingenua la corrispondenza degli animi; brevissime al certo sarannoFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15 quando vi sia dall’una parte la inesperta ingenuità, e dall’altra il volubile capriccio. Non dorme così tranquillo lo stanco agricoltore all’ombra della quercia nel meriggio estivo, nè ebbe mai tanta fiducia un bambino a i detti della madre, quanto era il mio letargo, quant’era la mia misera fede alle di lei proteste seducenti. A tanti inganni, ne’ quali era oscurato il mio intelletto, si aggiungeva ancora una imperizia totale del geloso affanno, onde siccome uomo nato nella reggia disprezza il volgo mendico, io derideva in altri quelle pene che già imminenti mi preparava la vendetta di amore. Giunse quel giorno crudele, la di cui luce infausta mi svelò in un solo momento quelle odiose verità, alle quali era stato per tanto tempo cieco il mio intelletto. Un padre, che mentre si sveglia dal soave riposo, ritrova il suo figlio amato in atto d’immergergli nel cuore insidiosamente un pugnale, non sarebbe così sorpreso, quanto io lo fui nello scoprire infedele quel labbro ch’io credeva incapace di mentire. Ma pure adunandosi nel mio cuore tante nuove angosce fino allora sconosciute, non ne spensero la fiamma, anzi l’agitarono più violenta, e però spinto da smania mortale, altro io non desiderava se non se di seppellire la mia miseria nel pelago, nelle voragini, o di errare ne’ deserti, riempiendo di querele le solitarie valli e i sterili monti. Calmato quindi quel delirio, dissi fra me stesso; Forse che debbo morire prima di rimproverare, quanto merita, quell’anima ingannatrice! e poi rivolsi i passi al di lei albergo, nel quale entrai con animo preparato a severe voci di estremo dolore, e a tormi di vita innanzi a quegli occhi che me l’avevano già fatta nauseosa. Così sdegnato, penetrai le stanze di lei segrete, non senzaFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15 orrore, temendo d’incontrarvi il successore di me più felice; ma la ritrovai sola, molto placidamente occupata ne’ suoi consueti lavori, da me medesimo sommesso artefice de’ femminili trattenimenti, con molta industria preparati. Ella mi accolse colla usata soavità di parole, ond’io rimasi, come chi correndo con impeto si trova al margine di un abisso. Imperocchè preparato a confondere co i rimproveri la infedele, restai io per lo contrario confuso dalla di lei tranquillità; e già incominciava l’animo mio a compiacersi di nuovo più degli inganni che del vero, dubitando contro il testimonio de’ sensi, che fosse infedele un volto ripieno di tanta ingenuità. Ma poi alla fine superando la certezza della evidenza l’inganno delle illusioni, proruppi in sconsigliati lamenti. A’ quali ella, siccome già avvezza ad udirne, intrepidamente prestava l’orecchio, simulando pietà del mio errore. E quindi con finte spiegazioni, col fascino delle parole e delle lagrime, protestandosi innocente, mi pose di nuovo la benda agli occhi; ond’io partii da lei accusando me stesso di geloso delirio, e chiamandomi crudele, per avere offuscato il sereno di così dolci pupille. Oh maraviglioso inganno, il quale io rammento, benchè antico, non senza vergogna! Diròtti io con semplicità, che se da prima rimirandomi talvolta nelle fonti, mi compiaceva delle mie giovani sembianze stimandole grate, da i favorevoli effetti; allora in rimirarle mi sembravano squallide e decadute. E forse lo erano in parte, siccome consunte dalle nuove angosce; ma molto più mi sembravano tali, perchè temeva non fossero, come prima, dilettevoli a colei. Ormai però ondeggiando fra pochi e non sinceri diletti, e fra molte ed amarissime cure, scopriva ognor più instabile il possesso di un cuore, il quale si era sempre distribuito, e si distribuiva giornalmente in minutissime dramme a nuovi ospiti, convocati con soavi ufficj nello splendido albergo. Volea spesso rompere le pesantissime catene della infelice mia servitù; ma l’accorta sirena, che tiranneggiava l’amore scontento, sapeva ammaliare que’ naviganti, i quali tentavano fuggire da’ suoi lidi. Pur alla fine le ripetute infedeltà diradarono totalmente quel denso velo, il quale per maggior tempo, che tu non credi, ebbi dinanzi gli occhi; onde conobbi che imperfettissima fra’ mortali era colei, nella quale le mie affascinate pupille avevano da prima veduti tanti pregj divini. Avvenne ancora, che il tempo (il quale ha distrutti gl’imperj, e spenta la gloria delle nazioni) oscurasse, non meno le bellezze di lei; se pure ciò non provenne dal dissipato incanto, e quindi io rimasi come taluno, il quale esce da oscura carcere a riveder l’etéreo splendore. Ed ecco tu mi vedi così tranquillo come provetto nocchiero, che narra le passate procelle, di modo che ben puoi comprendere, che il tempo è la medicina di questi mali. Lenta medicina per verità inefficace a calmare le smanie presenti. Ma verrà quel giorno, (e non è remoto, io spero), che tu ragionerai delle odierne vicende senza perturbazione, e forse anco lietamente, perchè o sarà il tuo cuore sodisfatto dalla corrispondenza, o disingannato dalle ripulse. Comunque avvenga, in me tu vedi un amico pietoso, siccome esperto di quelle medesime cure, delle quali hai l’animo ripieno. Ascoltava attentamente la fanciulla come cacciatore al balzo coll’arco teso, e in parte il racconto de’ mali altrui, sembrava che le rendesse meno intollerabili i suoi. Ma pure diversi, ella disse, furono i casi tuoi, perchè tu almeno fosti in apparenza, se non altro, amato, il quale se tu chiami inganno, fu però lungo tempo dolcissimo; laddove io ritrovo, per mia sventura, un labbro così verace, che neppure per pietà delle mie pene profferirebbe qualche simulata espressione. Deh non lagnarti! disse Eutichio, di questa preziosa sincerità, perchè tante sono per se medesime le illusioni di amore, che se anco vengano accresciute da volontarj inganni, diverrebbero i di lui colloquj un vile commercio di fraudolenti menzogne. Ma non è tempo che tu gusti queste verità, le quali anzi ora ti sembreranno spiacevoli, e però tralascio di fastidiosamente inculcare. Mentre così ragionavano non senza vicendevole conforto, e di Eutichio nel rammentare i giovanili errori a tal fanciulla, che gli ascoltava così pietosamente, e di Saffo, siccome era l’argomento conforme a’ suoi pensieri, sopravenne, ancor più mattutino del consueto, il giovane Nomofilo, il quale desiderava nuovi trattenimenti colla ingegnosa fanciulla. Eutichio si pose ad aver cura di certi fiori, e Nomofilo di poi, siccome giovane desideroso di esercizio più vivace, prese la marra, e ruppe la terra per seminarvene di nuovi. Saffo osservava con diletto, ricordandosi de’ tempi felici, ne’ quali la cultura del pomario domestico era per lei delizioso trattenimento. Mossa dall’esempio, prese un sarchio, e potò un albero, nel quale siFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15 dissipava la forza vegetabile in rami soverchi; e quasi fosse questa una prova insufficiente della sua perizia, innestò con molta e leggiadra prestezza l’albero vicino. Tralasciarono gli altri i loro lavori attenti a quelli di lei, e lodaronla con lieti modi, chiamandola amabile ed esperta coltivatrice; e quindi Eutichio la introdusse nel pomario, dove erano raccolti e recinti di siepe spinosa alberi fruttiferi, non meno di stranieri climi che della Sicilia. Ella si dimostrò di tutti così perita, che non senza maraviglia entrambi consideravano come una fanciulla riunisse nell’animo tanto desiderio delle profonde speculazioni, e insieme la consuetudine de’ più tranquilli trattenimenti.