Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Friport e Fabrizio.

Fabrizio. Oh! ben tornato, il mio carissimo signor Friport: mi consolo di rivedervi dopo due anni più grasso e più robusto, e direi quasi più giovane che non eravate.

Friport. Gli anni passano. I lunghi viaggi di mare cagionano dei patimenti, ma un buon guadagno conforta gli spiriti, e fa far buona ciera.

Fabrizio. Accomodatevi.

Friport. Fatemi portare una tazza di cioccolato. (siede al tavolino)

Fabrizio. Ehi! del cioccolato al signor Friport. (a un giovane che comparisce e parte) Donde venite presentemente?

Friport. Dalla Giammaica.

Fabrizio. Mi pare sia nell’America. [p. 200 modifica]

Friport. Sì, per l’appunto. Bel paese, Fabrizio; bel paese per far denari!

Fabrizio. Per quel ch’io sento, i vostri affari saranno andati assai bene.

Friport. Benissimo. Ho faticato poco, e ho guadagnato molto. Ora sono in riposo; ma il riposo mi dà più noia della fatica. Datemi da leggere qualche gazzetta, qualche foglio che mi diverta. Io trovo più difficoltà a divertirmi, che a far denari.

Fabrizio. Ecco qui le gazzette che corrono.

Friport. Ci sono novità nel paese? (osservando le gazzette)

Fabrizio. Niente, ch’io sappia, di rimarcabile.

Friport. Come vanno gli affari vostri? Avete molti forestieri nel vostro albergo?

Fabrizio. Non mi scontento della mia sorte. Presentemente non ho molte persone; ma coll’occasione della prossima fiera ne aspetto.

Friport. Voleva quasi condurvi un forestiere, che si è imbarcato con me alla Giammaica.

Fabrizio. Mi avreste fatto piacere.

Friport. Ma è stravagante; ama la solitudine. Vuole star solo, vuole star ritirato; e dubitando che da voi vi fosse di molta gente, non l’ho condotto.

Fabrizio. Ora da me sarebbe stato benissimo. Poteva dargli l’appartamento di sopra, dove sarebbe stato con pienissima libertà.

Friport. Bene; io ho preso impegno di provvederlo. Mandate al Tamigi a cercare del capitano Fantom...

Fabrizio. Lo conosco.

Friport. Tanto meglio. Farà egli abboccare il vostro messo col forestiere; e quando gli dica ch’io qui l’aspetto, si lascierà condurre senza alcuna difficoltà.

Fabrizio. Che persona è?

Friport. Mi pare persona onesta.

Fabrizio. Benissimo. Se mi permettete, vado a dare la commissione.

Friport. Andate.

Fabrizio. (I buoni amici fanno sempre del bene). (parte) [p. 201 modifica]

SCENA II.

Friport, poi Marianna.

Friport. Vediamo che cosa dicono questi foglietti. Guerre, guerre, sempre guerre. Che importa a me che si ammazzino? Ambasciate, cerimoniali: queste cose non m’interessano. Vorrei sentire parlar di commercio. Questo è il latte del pubblico; questa è la sorgente del comun bene.

Marianna. (Passa per la scena.)

Friport. (E queste sono le sorgenti del nostro male). (accennando Marianna.

Marianna. (Non so dove nascondere il resto della ghinea. Se me lo trova, povera me!) (mette il danaro in saccoccia)

Friport. (Non so se sia della casa di Fabrizio, o se sia forestiera).

Marianna. (Chi è mai quella faccia burbera che mi guarda?) (camminando)

Friport. (Veggiamo un poco che cosa è, per divertimento). Ehi! vi saluto. (a Marianna)

Marianna. La riverisco. (Pare un satiro. Mi fa paura). (corre, entra nel suo appartamento, e chiude la porta.)

SCENA III.

Friport, poi Fabrizio.

Friport. Fugge; non le piace la mia figura. Eh! le piacerebbero forse le mie ghinee.

Fabrizio. Eccomi qui con voi.

Friport. Chi è colei, ch’è entrata ora in quelle stanze terrene?

Fabrizio. È la cameriera di una signora che alberga qui da tre mesi. Perchè mi domandate di lei?

Friport. Oh! niente. Per semplice curiosità.

Fabrizio. Non è cattiva fanciulla; ma se conosceste la di lei padrona, è una donna singolarissima.

Friport. In qual genere?

Fabrizio. In tutto. Bella, giovane, virtuosa... [p. 202 modifica]

Friport. Virtuosa ancora?

Fabrizio. Sì, certo. Piena delle più belle virtù. Ella vive ritiratissima: parla e tratta con una modestia esemplare; e quel che più la rende degna d’ammirazione si è, che trovasi in un’estrema miseria, e cerca di nasconderla agli occhi altrui per timore di perdere il suo decoro; e lavora la notte segretamente per procacciarsi il vitto, e non aver obbligazione a a nessuno che la soccorra.

Friport. Bella, povera e virtuosa? Se tutto è vero quel che mi dite, è un prodigio della natura.

Fabrizio. Oh! quel che vi dico, è la verità. Mia moglie ed io, conoscendo le di lei indigenze, abbiamo provato più d’una volta ad esibirle un picciolo trattamento; ed ella lo ha ricusato. Mangia pochissimo, e vuol pagar tutto. Talvolta ho usato l’artifizio di metterle quel che le do, la metà di quel che mi costa: se n’è avveduta, e se n’è lagnata, e ha minacciato di andarsene dal mio albergo.

Friport. Donna rara, singolare, singolarissima. Chi è? Di qual famiglia? Di qual condizione?

Fabrizio. Non lo so: è sconosciuta, e non si vuol dar da conoscere.

Friport. La vedrei volentieri.

Fabrizio. Sarà difficile ch’ella esca dalla sua camera.

Friport. Anderò io nella camera a ritrovarla.

Fabrizio. Peggio.

Friport. Prevenitela, ch’io non le darò soggezione.

Fabrizio. Non vi riceverà certamente.

Friport. Fatele fare una tazza di cioccolato; invitatela a favorirmi.

Fabrizio. Io so che non siete portato a conversar con donne; come ora vi viene una simile fantasia?

Friport. Io non amo le donne; ma le cose estraordinarie mi piacciono.

Fabrizio. Avrei anch’io piacere che la vedeste. Chi sa? Veggendo un uomo ricco, attempato e dabbene, potrebbe darsi che vi confidasse le sue miserie. [p. 203 modifica]

Friport. Ed io sarei pronto a soccorrerla di buon cuore, di buona voglia, senza malizia.

Fabrizio. Aspettate, che voglio provarmi.

Friport. Che il cioccolato sia pronto.

Fabrizio. Sì, signore: dirò che ne portin due tazze. Lasciate prima ch’io veda, se vuol venire. (batte alla camera, gli aprono, ed entra)

SCENA IV.

Friport.

S’è tutto vero, merita che le si faccia del bene. Vediamo, se vi è qualche cosa che m’interessi. (osservando i foglietti) Di Cadice si attendono quanto prima i galeoni di Spagna. Felici quelli che si trovano al loro arrivo! Sarebbe bene ch’io andassi in Cadice ad aspettarli.

SCENA V.

Lindana, Marianna, Fabrizio ed il suddetto.

Fabrizio. Signore, ecco qui la giovane forestiera, che persuasa da me del vostro carattere, vi usa una distinzione non praticata con altri. (a Friport)

Friport. (Si leva un poco il cappello, e seguita a leggere la gazzetta.)

Lindana. (Quest’uomo, che ora vien dall’America, potrebbe darmi qualche relazione per me avvantaggiosa).

Friport. Perchè non sedete? (a Lindana)

Lindana. Vi veggio occupato; non vorrei disturbarvi.

Friport. Leggo i foglietti. L’articolo dell’Indie m’interessa infinitamente.

Lindana. (Ah! il mio cuore n’è interessato forse più di nessuno).

Friport. Venite qua; sedete presso di me; prenderemo il cioccolato insieme.

Lindana. Vi ringrazio; non ne prendo mai.

Fabrizio. (È sempre eguale, sempre modesta e riservatissima). (piano a Friport) [p. 204 modifica]

Friport. Accostatevi; sedete presso di me; facciamo un poco di conversazione.

Lindana. Scusatemi; io non faccio la conversazione colle persone che non conosco.

Friport. io sono in Londra assaissimo conosciuto. Mi chiamo Friport, galantuomo, ricco negoziante; informatevi con Fabrizio.

Fabrizio. Sì, signora, il più onesto, il più sincero uomo del mondo.

Lindana. Avete voi cognizione della Giammaica?

Fabrizio. Sì, ci sono stato sei volte. Vengo ora da quel paese.

Lindana. (Oh cieli! vorrei parlar di mio padre; ma non so come fare: non vorrei inavvedutamente scoprirmi).

Friport. Una parola. (chiamandola)

Lindana. A me, signore?

Friport. Sì, a voi una parola: accostatevi.

Lindana. Ditela, signore. Vi sentirò benissimo dove sono.

Friport. Accostatevi. Non voglio che tutti sentano. Sono un galantuomo, e non mi puzza il fiato, e non vi pentirete d’avermi udito.

Lindana. (Avesse egli qualche arcano da confidarmi?) Son qui, che cosa volete dirmi? (s’accosta)

Friport. Sedete.

Lindana. Non importa; sto bene.

Friport. La civiltà vorrebbe che anch’io m’alzassi; ma se voi state bene in piedi, io sto bene a sedere.

Lindana. State come vi piace. (Il carattere mi par di un uomo sincero).

Friport. Alle corte: io non son uomo da complimenti. Mi è stato detto di voi un grandissimo bene; e trovo che mi hanno detto la verità. Voi siete povera, e virtuosa. (piano a Lindana)

Lindana. io povera? Chi vi ha detto questo, signore? (alterata)

Friport. Me l’ha detto il padrone di quest’albergo, ch’è un galantuomo; ed io gli credo perfettamente.

Lindana. Ah! signore, questa volta, credetemi, non ha detto la verità. Io non ho bisogno di nulla.

Friport. Vi volete nascondere per modestia; e forse, forse, per [p. 205 modifica] orgoglio. So che non avete il vostro bisogno, e che qualche volta vi manca il pane. (piano)

Lindana. Ma che modo è il vostro di far arrossire con tali ingiurie?

Friport. Tacete; non fate che nessuno ci senta. Il mio viaggio della Giammaica mi ha profittato cinquemila ghinee. Io ho sempre accostumato di dare una parte del mio guadagno per elemosina. Dando a voi cinquanta ghinee, non fo che pagare il mio debito. Non vo’ cerimonie, non voglio ringraziamenti. Tenete. Riponete la borsa; ed osservate la segretezza. (le dà una borsa, e si mette a leggere le gazzette. Lindana lascia la borsa sul tavolino e si scosta un poco.)

Lindana. (Ah! trovomi in tal maniera mortificata, che non ardisco più di parlare. Oh cieli! tutto mi avvilisce, tutto mi affligge. Grande è la generosità di quest’uomo; ma non è minore l’oltraggio che io ne ricevo).

Marianna. (Fabrizio, la padrona è molto turbata. Che cosa mai le avrà detto quell’uomo?) (piano a Fabrizio)

Fabrizio. (Io credo che le voglia dare qualche soccorso; e che ella sdegni riceverlo). (piano a Marianna)

Marianna. (Oh, voglia il cielo che non lo ricusi. So io la vita miserabile che facciamo). (piano a Fabrizio)

Lindana. Signore. (a Friport)

Friport. Io non voglio ringraziamenti.

Lindana. Permettetemi ch’io vi dica, che la vostra liberalità mi sorprende; ma ch’io non sono in grado di ricevere il danaro che voi mi offriste; poichè, per dirvi la verità, io non ispero sì facilmente venire in istato di potervelo restituire.

Friport. E chi vi ha parlato di restituzione? Ve l’ho donato.

Lindana. Mi penetra il cuore la vostra bontà; ma io non sono in grado di approfittarmene. Riprendete la vostra borsa, e siate certo della mia ammirazione e della mia gratitudine.

Friport. (Scioccherie! si persuaderà). (da sè, e si mette a leggere)

Marianna. (Signora, una parola). (a Lindana)

Lindana. (Che cosa vuoi?) (piano a Marianna) [p. 206 modifica]

Marianna. (Deh! se non volete prender per voi, prendete qualche cosa per me. Io vi servo nelle vostre disgrazie: ma le nostre indigenze crescono ogni dì più; e mi pare un’ingratitudine di ricusare la providenza). Signore, compatite la mia padrona; ella è di costume assai delicato; ma convien confessare la verità: siamo in qualche bisogno... e senza il vostro soccorso... (a Friport, che seguita a leggere la gazzetta)

Lindana. (Ah! Marianna, tu vuoi farmi morire di rossore).

Marianna. (Voi mi volete far morire di fame).

Lindana. No, non sarà mai vero, che possa dirsi ch’io abbia condisceso ad una viltà. Io non conosco l’animo di quel mercadante: mostra di farlo per compassione, ma potrebbe avere qualche disegno; e quando una fanciulla accetta i presenti di un uomo, fa sospettare che sia disposta a pagarne il prezzo.

Marianna. (Quand’ella parla, non si sa cosa rispondere).

Friport. Ehi! (a Marianna)

Marianna. Signore. (a Friport)

Friport. Che cosa dice? (a Marianna)

Marianna. Dice delle cose che mi fanno raccapricciare. Dice che i regali d’un uomo possono far sospettare dell’onoratezza di una fanciulla.

Friport. Ella non sa quello che si dica. Perchè sospettare in me un cattivo disegno, in tempo ch’io faccio un’azione buona? (forte, che Lindana senta)

Marianna. Sentite, signora? (a Lindana)

Lindana. Sì, la sua intenzione sarà buonissima; ma il mondo direbbe ch’egli mi ama. (piano a Marianna)

Marianna. Signore, ella ha paura che il mondo dica che voi l’amate.

Friport. Che pazzia! che immagine sciocca! Io non l’amo, e il mondo sa ch’io non fo all’amore. Assicuratela ch’io non l’amo; e che non m’importa ne di lei, nè delle più belle donne del mondo. L’ho veduta una volta sola; e se non la vedo più, non ci penso. Addio, addio. (osserva l’orologio, e s’alza) L’ora è tarda: ho degli affari. (a Lindana, e parte, lasciando la borsa) [p. 207 modifica]

Lindana. Prendete questa borsa. Portatela assolutamente al signor Friport. Assicuratelo della mia stima; e ditegli ch’io non ho bisogno di niente. (gli dà la borsa)

Fabrizio. Sarete servita. (La terrò io in deposito, e servirà a soccorrerla un giorno ne’ suoi bisogni). (parie)

SCENA VI.

Lindana e Marianna.

Marianna. Signora, voi avete operato benissimo! Il cielo ve lo rimeriti e vi consoli. Voi volete morire nell’indigenza; e volete ch’io pure sia sagrificata alla vostra virtù. Pazienza!

Lindana. Non temere, Marianna. Poco ancor posso vivere: sarai liberata ben tosto da una sì crudele padrona.

Marianna. Ah! no, signora; compatitemi. Qualche volta sento anch’io le miserie; ma quando penso che una dama, come voi siete, le soffre con si bella costanza, mi vergogno di me medesima, e le soffro in pace ancor io.

SCENA VII.

Miledi Alton, Monsieur la Cloche e le suddette.

Cloche. Ecco, ecco, Miledi; ecco lì la vostra rivale, (piano a miledi Alton.)

Miledi. Ritiratevi un poco fin ch’io le parlo (piano a monsieur la Cloche.)

Cloche. Sarò agli ordini vostri. Chiamatemi, se mi volete, (piano a miledi, e parte.)

Lindana. Vien gente: ritiriamoci. (a Marianna)

Miledi. Quella giovane, una parola. (a Lindana)

Lindana. Dite a me, signora?

Miledi. Sì. Non siete voi che si appella Lindana?

Lindana. Lo sono.

Miledi. Ho bisogno di favellarvi. [p. 208 modifica]

Lindana. Parlate. (Ah! il cuor mi predice qualche nuova disavventura).

Miledi. Entriamo nella vostra camera.

Lindana. Non è propria, signora: parlate qui, se vi contentate.

Miledi. Chi è costei? (accennando Marianna)

Marianna. Io non mi chiamo costei. Il mio nome è Marianna, cameriera di questa signora, per obbedirla.

Miledi. Fatela ritirare. Ho da parlarvi segretamente. (a Lindana)

Lindana. Ritiratevi. (Sono in una estrema curiosità).

Marianna. (Eh! starò in attenzione; non lascierò che le faccia qualche sovercheria). (passa nella camera)

SCENA VIII.

Lindana e Miledi Alton.

Lindana. Accomodatevi.

Miledi. Vo’ stare in piedi. Rispondetemi; e non mi negate la verità. Milord Murrai è stato qui da voi qualche volta?

Lindana. Che importa a voi di saperlo? Con quale autorità venite voi ad interrogarmi? Sono io processata? Siete voi il mio giudice?

Miledi. Comprendo dalla vostra alterezza, che voi non mi conoscete. Perchè sappiate con qual rispetto dovevate parlarmi, vi dirò ch’io sono miledi Alton.

Lindana. Io soglio rispettar tutti, chi conosco e chi non conosco; ma non sono avvezza a lasciarmi sopraffar da nessuno.

Miledi. Siete voi qualche dama?

Lindana. Son chi sono, e non ho alcun debito di manifestar l’esser mio.

Miledi. Qualunque voi siate, o promettetemi di rinunziare al cuor di milord Murrai; o ch’io...

Lindana. Qual diritto avete voi sul cuore di milord Murrai?

Miledi. Quello di una sposa promessa.

Lindana. (Oimè! son morta). (si getta a sedere) [p. 209 modifica]

Miledi. Dal turbamento che vi cagionano le mie parole, conosco che voi l’amate, e che vi lasciate sedurre da un disleale. Ma sappiate che non vi sarà alcun genere di vendetta, a cui non mi lasci trasportare dal mio sdegno.

Lindana. Ebbene! ingegnatevi di vendicarvi... (alzandosi)

Miledi. No; prima di armar le mie collere, vo’ farvi conoscere ch’io sono ragionevole, umana. Compatisco l’affetto vostro; lo credo innocente. Non essendovi noti gl’impegni di quell’ingrato, vi credeste in libertà di poterlo amare. So che siete in angustie: non vi domando il perchè; ma vi esibisco soccorso, protezione, assistenza. Sono ricca bastantemente per potervi assicurare uno stato. Eleggetelo, ed assicuratevi della mia parola.

Lindana. Miledi, voi non mi conoscete: non ho bisogno di nulla, e non vendo la mia libertà a verun prezzo.

Miledi. Rinunziate dunque agli amori di milord Murrai.

Lindana. Se avete ragione sul di lui cuore, fate ch’egli vi renda giustizia. Sopra di me voi non avete autorità veruna per obbligarmi.

Miledi. Avrò bastante potere per farvi partir di Londra.

Lindana. Non mi persuaderò mai, che in Londra si commettano delle ingiustizie.

Miledi. Un’incognita dà motivo di sospettare.

Lindana. La mia condotta mi giustifica bastantemente.

Miledi. Bella condotta! una giovane sopra un pubblico albergo tratta e amoreggia con un cavaliere, con un giovane, che non può che disonorarla!

Lindana. Milord non è capace di un’azione indegna. Quando egli lo fosse, ho tanta virtù che basta per poterlo far arrossire. E voi pentitevi del rio sospetto, se mi credeste un’avventuriera.

Miledi. Dite chi siete, se volete esser rispettata.

Lindana. A voi non sono in grado di dirlo.

Miledi. Lo saprà Milord.

Lindana. No, Milord non lo sa nemmeno.

Miledi. Milord non vi conosce, e vi ama? E non arrossite nel dirlo? Può immaginarsi veruno, che un cavaliere ami [p. 210 modifica] un’incognita con puro affetto? No, Milord non è stolto; e voi siete in sospetto di mal costume.

Lindana. Lo stato in cui presentemente mi trovo, fa ch’io non possa rispondervi come dovrei. Bastivi saper per ora, che il mio sangue non è inferiore del vostro, e che vi supero di gran lunga in tolleranza e in moderazione. (parte, ed entra nella sua camera, e chiude.)

SCENA IX.

Miledi Alton, poi Monsieur la Cloche.

Miledi. Qual donna, qual demone si nasconde in costei? Quanto più si fa credere di condizione, tanto più mi dà ragion di temerla, e mi anima tanto più alla vendetta.

Cloche. Vi veggio sola, ed ho creduto poter avanzarmi.

Miledi. Ah! monsieur la Cloche, costei sempre più mi mette in agitazione. La sua alterezza mi fa credere che vi sia del mistero. Possibile che voi, che sapete tutto, non arriviate a penetrare la condizione di quest’incognita!

Cloche. Qualche cosa ho testè rilevato dai servidori di questo albergo; qualche cosa ho altresì immaginato, e credo di aver dato nel segno.

Miledi. Comunicatemi quel che sapete, e quello che voi pensate.

Cloche. Ho saputo di certo ch’ella è scozzeze; ch’è figlia nobile, non maritata; che si spaccia di sangue nobile; e ch’è venuta in Londra in compagnia di una sola fantesca. Io giudico dunque con fondamento, che questa sia una fanciulla fuggita dalla casa paterna, o trasportata da qualche passione, o sedotta da qualche amante. Pensando poi che milord Murrai è originario anche egli di Scozia, ed ha colà le sue terre, ed è solito trasferirsi spessissimo in quelle parti, giudico ch’egli si sia colà invaghito di questa giovane, e non potendo sposarla per cagion dell’impegno ch’egli ha con voi, l’abbia sedotta a fuggire; la trattenga qui con delle speranze; la mantenga coi suoi denari su quest’albergo, niente per altro che per isfogare la sua passione. [p. 211 modifica] Il mio discorso non può esser più ragionevole; e ci scommetterei mille doppie, che la cosa è com’io penso.

Miledi. Potrebbe darsi che tutto ciò fosse vero: ne sono quasi anch’io persuasa. In cotal modo Milord sarebbe reo di due colpe: di aver mancato di fede a me, e di aver tradito una figlia, e svergognata la di lei famiglia.

Cloche. L’amore, la brutalità, la passione fan far di peggio.

Miledi. Qual riparo credete voi ci potesse essere per vendicare i miei torti, e quelli insieme di una casa disonorata?

Cloche. Facilissimo è il modo, secondo me, per ottenere l’intento. Vegliano i tribunali alla pubblica onestà ed all’onore delle famiglie. Abbiamo bastanti indizi per rendere alla Curia sospetta questa giovane fuggitiva. La Corte farà arrestare l’incognita. Sarà obbligata a manifestarsi; si verrà in chiaro della verità. Se sarà nobile, sarà rimandata ai parenti; se sarà plebea, avrà quel trattamento che merita: e in ogni guisa sarà svergognato Milord; sarà punito l’albergatore Fabrizio, e voi sarete contenta.

Miledi. Piacemi il consiglio vostro. Ho dei congiunti, ho degli amici alla Corte e nel Parlamento. L’affare non sarà trascurato. (parte)

SCENA X.

Monsieur la Cloche.

Spiacemi per una parte aver procacciato ad una bella donna un insulto; ma qual merito ha più di me milord Murrai, ond’io mi abbia a vedere posposto a lui? Se ha per Milord della tenerezza, io non pretendo di esser amato; mi basta di esser trattato bene; mi basta di essere ammesso alla sua confidenza. Non è che per conoscerla, ch’io mi sono servito del mezzo di Miledi. Fabrizio ha impedito ch’io le parlassi. Chi sa qual interesse l’impegni? qual gelosia lo sproni a fare a me un simil torto? Vo’ tentar io medesimo d’introdurmi. Non c’è nessuno, e l’occasione è opportuna. Se mi riceve, se trattami civilmente, [p. 212 modifica] e mi confida le sue contingenze, mi dà ancor l’animo di sottrarla da ogni pericolo, e deludere le speranze della sua nemica. (picchia forte alla camera)

SCENA XI.

Marianna ed il suddetto.

Marianna. Chi picchia in sì fatto modo? (uscendo dalla carriera)

Cloche. Un galantuomo che brama di riverire la padrona vostra.

Marianna. Scusate, signore, è occupata.

Cloche. Non è vero. Io so che ora non vi è nessuno.

Marianna. Non è occupata con altri; ma è occupata da se medesima.

Cloche. È necessario ch’io le favelli.

Marianna. Non credo che vi abbia da essere questa necessità.

Cloche. La vostra padrona è in pericolo; e da me può dipendere la sua salute.

Marianna. (Oh cieli! qualche nuova disgrazia).

Cloche. Avvisatela; e se non vuole ch’io entri, mi contenterò di favellarle qui in sala.

Marianna. Dal canto mio non mancherò di servirvi. (Mi batte il cuore. Ho sempre timore che sia scoperta). (entra)

Cloche. Farò io vedere a Fabrizio, come si fa a prendersi una soddisfazione. Le parlerò a suo dispetto; e mi dà l’animo di farla uscire da questo albergo.

Marianna. Signore, vi chiede scusa se qua non viene, e vi supplica di dire a me quello che avreste da dire a lei.

Cloche. Che modo è questo di trattare con un mio pari? Se mi disgusterà, sarà peggio per lei. Ditele che la conosco; che so chi è; e tanto basta.

Marianna. La conoscete? (con ammirazione)

Cloche. La conosco. Io ho delle corrispondenze per tutto; e posso fare la sua rovina. [p. 213 modifica]

Marianna. Ah! per amor del cielo, signore. Aspettate; tornerò ad avvertirla. (Non vorrei che la sua austerità la precipitasse). (entra in camera velocemente)

Cloche. La serva è in timore, è in agitazione. Tanto più mi conferma nel mio supposto.

SCENA XII.

Lindana, Marianna ed il suddetto.

Lindana. Chi è che si vanta saper chi sono? (a monsieur la Cloche)

Cloche. Io, signora.

Lindana. Ebbene, chi credete voi ch’io mi sia?

Cloche. Negherete voi di essere una scozzese?

Marianna. (Eh! l’ha conosciuta sicuramente).

Lindana. Io non nego la verità: sono di Scozia, è vero; sapete altro?

Cloche. E so che siete fanciulla nobile e fuggitiva.

Marianna. (Siamo precipitate). (da sè)

Lindana. Come sapete voi ch’io sia nobile? Come sapete voi ch’io sia fuggitiva?

Cloche. Confidatevi meco, e non dubitate. Se milord Murrai vi ha innamorata in Iscozia; se vi ha sedotta a fuggire dalla casa paterna; se vi trovate in angustie per sua cagione, fidatevi di me, e non temete. Posso io liberarvi da quel pericolo che vi sovrasta.

Marianna. (Respiro. È uno stolido: non sa niente).

Lindana. Signore, io credo di conoscere voi più di quello che voi conosciate me. La vostra supposizione, riguardo a me, è lontanissima dalla verità; ed io son certa non ingannarmi, supponendovi un bello spirito, un macchinatore. Voi veniste con artifizio a parlarmi, non so se mosso da un’indiscreta curiosità, o da qualche motivo ancora meno lodevole: qualunque siate, vergognatevi di un così basso procedere con una donna che, sconosciuta ancora, merita qualche stima, e che svelandosi vi farebbe forse arrossire. Voi sapete ch’io sono afflitta: ecco [p. 214 modifica] tutto quello che di me può sapersi; e il voler accrescere le sventure a una sventurata, è segno d’animo poco umano. Io sono in odio della fortuna; ma quella non mi può togliere la mia costanza: non mi spaventa nessuno, ed abborrisco più della morte l’immagine di una bassezza, di una viltà, e quell’indegno artifizio di cui vi servite per umiliarmi. (parte)

Marianna. Avete sentito? Andate ora, e vantatevi che la conoscete.

Cloche. Vedrà fra poco il buon effetto delle sue impertinenze. (parte)

Marianna. Brava la mia padrona, bravissima! Ora le vo’ più bene che mai. Se stava a me, confesso la mia debolezza, sarei caduta imprudentemente. Ella è assai buona; ma è altrettanto avveduta. Ah per bacco! dicano quel che vogliono: fra le donne vi sono degli spiriti, de’ talenti, che non hanno invidia degli uomini. Se le donne studiassero... Ma a che serve lo studio? La migliore scienza del mondo è l’onestà, la prudenza, e il sapersi reggere nelle disgrazie1, far fronte alla cattiva fortuna, rispettar tutti, e farsi da tutti portar rispetto. (parte)

Fine dell’Atto Secondo,


Note

  1. Così l’ed. Zatta. Nell’ed. Pasquali si legge: La migliore scienza del mondo è l’onestà. La prudenza e il sapersi reggere nelle disgrazie ecc.