La scotennatrice/XII. Un assedio misterioso
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XII.
Un assedio misterioso.
Sandy Hook ne aveva vedute di tutti i colori durante la sua vita avventurosa, ed aveva avuto anche lui dei rifugi introvabili alle truppe delle frontiere scagliate alle calcagna dei suoi banditi, quindi era l’uomo proprio indicato per scoprire quello che le pelli-rosse non erano state capaci di trovare.
Dopo aver fatto il giro della stanza e di essersi ben assicurato che colla sua ampiezza occupava quasi tutta la base del big-tree e che quindi lateralmente non ve ne potevano essere altre, fece percuotere colle scuri, dai guerrieri che l’accompagnavano, il piano terreno, ascoltando con grande attenzione.
Il suono, dappertutto sordo, dato dall’immensa massa di radici, lo convinse facilmente che là sotto non poteva esservi un altro rifugio.
— Corpo delle dieci dita di Satana!... — brontolò, scuotendo la testa. — Un big-tree non è già un bambù per essere vuoto nel suo interno.
«Dove possono essere scappati quei messeri?... Devono essere dei gran furbi, però io non credo di essere un minchione.
«Se lo fossi stato, a quest’ora non sarei qui a chiacchierare come una gazza canadese. Le coyotes mi avrebbero spolpato per bene ed avrebbero probabilmente rosicchiata anche la corda legatami al collo e ben stretta.
Aveva alzato il capo ed esplorava cogli sguardi la vòlta, quasi centimetro per centimetro, non poco stupito che degli uomini, probabilmente tutt’altro che dei falegnami, avessero compiuto un così mirabile lavoro.
— Quanto tempo devono aver impiegato per scavare l’interno di questo colosso e quanta pazienza! — borbottava, avanzandosi in giro sempre col naso in aria.
Ad un tratto trasalì. I suoi occhi di lince avevano scoperto le fessure della botola.
— Tò!... Tò!... — esclamò, piantandosi le mani sui fianchi. — Che gigantesco lavoro è stato compiuto qui? Che questo big-tree sia stato vuotato come il bastone di uno stocco?
Fece un rapido cenno agl’indiani ed uscì frettolosamente, mormorando:
— Non è prudente fermarsi lì dentro, che diavolo!... Una palla fa presto a piovere dall’alto ed a chiudere per sempre una o l’altra delle mie lanterne!...
Le sue mosse non erano sfuggite a Turner ed a John i quali, appena vedutolo entrare, si erano messi a spiarlo.
— Camerata — disse il primo. — Pare che noi siamo stati scoperti dal vostro vecchio amico.
«Che occhi ha quel bandito!...
— Lo credete, Turner? — chiese l’indian-agent, tergendosi alcune grosse gocce di sudore freddo che gli erano calate sulla fronte.
— Vorrei che un caimano mi divorasse vivo se mi fossi ingannato.
«Il furfante ha scoperta la botola, ve lo dico io.
— Allora siamo perduti. Minnehaha avrà la mia capigliatura in cambio di quella che io ho presa a sua madre.
— Al vostro posto io gliela avrei lasciata.
— La mia?
— No, quella di sua madre, o per lo meno gliela avrei rimandata in un pacco postale.
— Non scherzate, Turner. La nostra situazione sta per diventare gravissima.
— Eh, non certo allegra, camerata. Ciò d’altronde succede sempre, una volta o l’altra, agli scorridori della prateria che tengono delle partite aperte colle pelli-rosse.
«La guerra senza quartiere fra le due razze è legge vecchia della prateria.
Harry e Giorgio, ai quali non era sfuggita nessuna parola, si erano avvicinati in preda ad un’emozione facile a comprendersi.
La scoperta della botola voleva significare la loro fine a breve scadenza, con contorno di pali di tortura e perdita delle loro capigliature.
— Ebbene — disse Harry, il quale si era un po’ rimesso dal colpo ricevuto. — Ci difenderemo ferocemente e consumeremo perfino il nostro ultimo granello di polvere.
— Preferirei però non bruciarne nessuno e trovarmi al sicuro in mezzo alle milizie del generale Custer — disse Turner.
— Lasciate in pace il vostro generale che non penserà in questo momento nemmeno più a voi.
— Eh!... Chissà!... Succedono talvolta dei casi straordinari anche nella prateria, ed altrettanti ne possono succedere anche sui fianchi dei Laramie.
— Uhm!... Uhm!... Chi vivrà vedrà!...
Un colpo di fucile seguito dal ben noto fischio d’una palla conica d’una carabina, fece fare ad Harry un gran salto.
Il proiettile era entrato dalla piccola feritoia che guardava sopra l’entrata della stanza inferiore, ed era andato a conficcarsi profondamente nella vòlta legnosa, facendo cadere addosso agli assediati una nuvolaglia di polvere di legno.
— Ecco l’attacco — disse Turner, colla sua calma abituale. — Scoperta la botola e scoperte le feritoie.
«Fortunatamente abbiamo dei viveri che bene economizzati potranno durare parecchi giorni, e le munizioni abbondano, è vero, John?
L’indian-agent rispose con una imprecazione ed armò il rifle.
— Che cosa fate, John? — chiese Turner. — Che diavolo!... Non c’è bisogno di tanta fretta.
— Voglio tentare un colpo disperato.
— Una uscita? Oh!... Vi prevengo che io non commetterò la sciocchezza di seguirvi.
«Quattro contro cinquanta!... No, sono un po’ troppi, anche per degli scorridori di prateria.
— Nemmeno io ho voglia di farmi imbottire di piombo — rispose rabbiosamente l’indian-agent.
— Ed allora?
— Allora cercherò di mandare la mia palla a Minnehaha.
— La feritoia è troppo stretta, e poi quelle canaglie si sono accampate fra i big-trees. Ci vorrebbe un cannone per snidarli.
— Me la prenderò con Sandy Hook!...
— Vi consiglierei invece di risparmiarlo.
— Perchè?
— Quando si è bevuto insieme ad un uomo, sia pure un brigante, si può chiedergli, al momento opportuno, un piacere.
— Se è lui che ha scoperta la botola!
— Eh, diavolo!... Deve ben fare la sua parte d’indiano.
― Toh!... — esclamò John, calmandosi improvvisamente. — Voi forse potete avere ragione.
― Non intendo con ciò d’impedirvi di fucilare per bene quei vermi rossi.
«Se potessimo decimarli, sarebbe già un bel vantaggio.
In quel momento un altro colpo di rifle rimbombò al di fuori, ed un’altra palla entrò nel rifugio, dalla parte opposta.
Anche la seconda feritoia che guardava verso ponente, quantunque abilmente dissimulata, era stata scoperta, e gl’indiani si preparavano a prendere gli assediati fra due fuochi, quantunque con poche probabilità di successo.
— Dobbiamo rispondere, signor Turner? — chiese Harry. — Ormai già sanno che noi siamo qui.
— Giacchè la polvere abbonda, consumatene pure — rispose il campione degli uccisori d’uomini. — Non possiamo rimanere qui colle braccia incrociate ad aspettare che entrino col coltello da scotennare in pugno.
«Io difendo la botola e farò fuoco su tutti quelli che cercheranno di entrare nella tana del grizzly; voi, John, mi aiuterete sparando attraverso la feritoia che si potrebbe anche allargare con qualche colpo di scure, giacchè qui ve ne sono.
«Harry e Giorgio s’incarichino dell’altra, quantunque un attacco alle nostre spalle non sia possibile per il momento.
— Ecco pronto il nostro piano di guerra — disse Harry. — Proclameremo il signor Turner generale di Stato Maggiore.
— Dopo la vittoria però — rispose il campione degli uccisori d’uomini, ridendo. — E siccome io dubito molto di poter debellare il nemico, così fin d’ora rinuncio all’onorifico grado.
«Miei soldati: ognuno al posto di combattimento.
«La battaglia è cominciata!...
Ed era cominciata davvero. Gl’indiani si erano radunati in buon numero attorno al big-tree ed avevano cominciato un fuoco d’inferno mirando le due feritoie.
I proiettili grandinavano siffattamente che John ed i due scorridori non poterono occupare i posti loro assegnati.
Non tutti entravano, tuttavia parecchi attraversavano la stanza terminando tutti contro la vòlta entro la quale si piantavano profondamente, non essendo il legname di quei colossali pini molto resistente.
Turner invece aveva potuto prendere, senza correre pericolo alcuno, il suo posto di combattimento, non avendo più osato gl’indiani di occupare la tana del grizzly.
Si era sdraiato presso la botola interamente spalancata, portando con sè anche due dei quattro archibugi abbandonati dai misteriosi abitatori di quella singolare fortezza, ed aveva, a sua volta, cominciato a sparare mandando le palle attraverso la porta.
Un Corvo che si era fatto innanzi per esplorare il covo, era caduto fulminato. Turner, al pari degli scorridori di prateria, mancava di rado il bersaglio ed aveva la buona abitudine di mirare sempre alla testa.
Urla ferocissime avevano accolti quei primi colpi di fuoco che lampeggiavano e tuonavano dentro il covo, rendendone l’accesso se non impossibile almeno assai pericoloso.
Sorpresi da quel contr’attacco che si aspettavano almeno dalla parte del covo, gl’indiani retrocessero vivamente sospendendo la fucileria.
John ed i due scorridori subito ne approfittarono per sparare alcuni colpi attraverso le feritoie, mandando a gambe all’aria altri tre indiani colla testa scoppiata.
Ah, non scherzavano quei terribili bersaglieri!... Sapevano dove collocare il loro piombo e non lo gettavano alla buona se non erano prima ben sicuri dei loro colpi.
Gli Sioux ed i Corvi, scompaginati da quel fuoco che non accennava a cessare, si affrettarono a mettersi in salvo dietro gli altri tronchi dei big-trees, troppo grossi per essere attraversati dalle palle dei rifles, quantunque quelle ottime carabine avessero maggior penetrazione dei proiettili dei winchester.
Per una buona mezz’ora da una parte e dall’altra vi fu un vivo scambio di palle con molto danno degli alberi e nessuno per gli uomini.
— Basta — disse Turner, che aveva già sparato una dozzina di colpi.
— Il piombo può diventare troppo prezioso.
«Se gl’indiani, giacchè si sono ritirati, vogliono continuare, facciano pure, ma noi assolutamente no.
— Credete che tenteranno un attacco a fondo? — chiese Harry, il quale aveva lasciata la feritoia di ponente, non avendo dinanzi a sè che dei colossali tronchi d’albero che se ne ridevano delle sue palle, o che per lo meno non si degnavano di protestare.
— Non saranno così stupidi — rispose Turner. — Il nostro rifugio vale meglio d’un ridotto.
— Ci assedieranno allora.
— Certo, se Custer non verrà a cacciarli.
— Contate sempre su quel generale, voi?
— Vorreste che rimanesse eternamente piantato sulle rive dell’Horse come un vecchio albero tarlato? Se l’insurrezione rumoreggia sui Laramie, e se ha ottocento uomini con sè, e vi posso dire io che non ne ha uno di meno, un giorno o l’altro si deciderà ad attaccare Sitting-Bull e le sue orde.
«Il governo dell’Unione non l’ha già mandato a pescare le trote e gli storioni, corpo di centomila bufali!...
— Non vi arrabbiate, mister Turner.
— Non ne ho alcuna voglia, camerata — rispose il campione degli uccisori d’uomini. ― Dovrei invece arrabbiarmi contro le pelli-rosse che ci obbligano a rimanere chiusi dentro questo colosso come se fossimo delle mummie.
— Nessuno v’impedisce di fare una passeggiata nella foresta.
— La farò il più tardi possibile, quando udrò echeggiare le trombe dei volontari della frontiera.
«Ebbene, John, che cosa succede?
— Gl’indiani si sono ritirati per radunarsi a gran consiglio — rispose l’indian-agent. — Sapete che amano i consigli quei mal biscottati.
— Per loro il tempo non è moneta. Non sono yankees.
— È proprio così, Turner.
— Che cosa salterà fuori da quella radunata?
— Un piano di guerra che ci farà sudare.
— Dovremmo farne uno anche noi — disse Harry, scherzando. — Non abbiamo il nostro generale di Stato Maggiore?
— Lo hanno messo in pensione — disse Giorgio.
— Da un’ora — rispose Turner, con aria grave. — Che cosa volevate che facesse quel povero diavolo senza un’armata?
— Ben detto, mister Turner — disse Harry. — Se però...
Una serie di detonazioni gli impedì di proseguire.
I quattro avventurieri si precipitarono sulle loro armi e corsero alle feritoie.
Gl’indiani avevano terminato il gran consiglio e s’avanzavano dispersi alla bersagliera, sparando furiosamente.
Ciò che spaventò non poco gli assediati fu la vista di parecchi guerrieri carichi di grossi fastelli di legno.
— Corpo d’un cannone!... — esclamò Turner. — Quello che temevo sta per succedere.
— Vengono ad arrostirci — disse l’indian-agent.
— Signori miei, se riescono a conquistare il covo del grizzly, noi cuoceremo come le pagnotte dentro il forno.
«Scendiamo e tentiamo una disperata resistenza.
— Ah!... Se potessi scorgere solamente un lembo del mantello di Minnehaha!... — urlò l’indian-agent, il quale aveva già passata la canna del suo rifle attraverso la feritoia.
— La nostra antica monella non è così sciocca da esporsi ai nostri colpi — disse Harry. — Sa bene che le nostre carabine sbagliano di rado.
— E anche il vecchio Nube Rossa — aggiunse Giorgio. — È un bel po’ che lo spio per potergli piantare una palla in mezzo alla fronte, ma il volpone si tiene ostinatamente sempre nascosto dietro i big-trees.
— C’è Cranio Sanguinoso. Pare che non abbia paura dei nostri fucili — disse John.
— E quel merlo d’inglese? — notò Turner. — Segue i guerrieri come se fosse impaziente di assistere alla nostra cattura o alla nostra morte.
«Un bell’originale quel milord.
— È malato di spleen, camerata.
— Che il diavolo se lo porti insieme alla sua milza!... Giù, amici, difendiamo la nostra camera inferiore prima che ci gettino dentro quei fasci di legna.
«Quando non potremo più resistere ci rifugeremo quassù.
Calarono la scala e scesero rapidamente, mentre gl’indiani continuavano ad avanzarsi, con molta prudenza però, conoscendo ormai per prova l’abilità straordinaria nel maneggio dei rifles, degli assediati.
I colpi spesseggiavano senza ottenere altro risultato che quello di guastare la grossa corteccia del big-tree e d’imbottirla di piombo.
Erano soprattutto i winchester che lavoravano, sprecando inutilmente una grande quantità di proiettili.
— Camerati, un’idea!... — gridò Turner, appena furono tutti abbasso. — Correremo il pericolo di buscarci qualche palla, però il rischio sarà largamente compensato.
— Che cosa volete fare? — chiese John. — Tentare una sortita? Sarebbe una grande follìa. Coi cavalli di cui dispongono ci sarebbero subito addosso.
— Che fuga d’Egitto!... Non sono così pazzo da proporvela.
«È il cadavere del grizzly che a me occorre.
— Per barricare l’entrata?
— Sì.
— Saltiamo fuori!...
Gl’indiani erano a circa centocinquanta metri, e non essendosi ancora accorti della discesa degli assediati, continuavano a sparare contro le due feritoie colla magra speranza che qualche proiettile, per un caso prodigioso, mettesse fuori di combattimento qualche difensore della piccola piazza forte.
I quattro avventurieri approfittarono del buon momento per gettarsi sul cadavere del povero orso grigio, il quale era caduto a soli pochi passi dall’entrata della tana.
Afferrarlo per le quattro zampe e trascinarlo, non ostante il suo peso enorme, superiore ai quattrocento chilogrammi, dentro il rifugio in modo da barricare il passaggio, fu l’affare di pochi istanti.
Quando gl’indiani, che tenevano gli sguardi alzati verso le due piccole feritoie, s’accorsero di quella inaspettata sorpresa, era troppo tardi.
I quattro avventurieri si trovavano già sdraiati dietro al bestione e sparavano furiosamente facendo scappare a tutte gambe gli uomini di avanguardia.
— Ecco le lepri — disse Harry, il quale si serviva anche dei vecchi archibugi, armi tutt’altro che disprezzabili nelle mani di esperti tiratori. — Purchè non si convertano in pantere od in giaguari, per un po’ di tempo tutto andrà bene.
— Sì, per un po’ di tempo, avete detto bene, camerata — disse Turner mirando un gigantesco indiano della tribù dei Corvi che braveggiava a cento metri, facendo roteare il suo tomahawak.
Il colpo partì ed il gigante cadde senza mandare un grido, come un albero schiantato dal fulmine.
La testa era stata attraversata da parte a parte colla solita precisione del campione degli uccisori d’uomini.
— Ecco un altro che è andato a rallegrare le meravigliose praterie del buon Manitou — disse Giorgio. — Là almeno avrà da cacciare finchè vorrà, senza essere disturbato dagli odiati visi pallidi.
«Fortunati indiani!...
— Parla meno e cerca anche tu di mandarne qualche altro a tenergli compagnia, fratello — disse Harry. — Sarà sempre uno di meno che ci darà delle seccature.
— Mi ci provo io, ma quei furfanti pare che preferiscano le praterie terrestri a quelle celesti.
— Hanno poca fede nel buon Manitou — disse John, accentuando la frase con un colpo di rifle che strappò un urlo di dolore ad un indiano che aveva commessa l’imprudenza di mostrarsi.
Per cinque o sei minuti il fuoco di fucileria continuò intensissimo da una parte e dall’altra, con scarsissimi risultati, poichè gli Sioux si tenevano prudentemente dietro gli enormi tronchi dei big-trees. Diamine! Ci tenevano anche loro alla pelle, malgrado le meravigliose e fiorite praterie celesti, delle quali non erano, in fondo, affatto sicuri.
John aveva avuto il cappellaccio traforato da una palla; Harry aveva ricevuta una leggera scalfitura in un fianco prodotta da un proiettile di rimbalzo; Turner invece era scampato miracolosamente alla morte pel suo cinturone di ottone che gli aveva servito, in certo qual modo, di scudo, facendo deviare una palla che avrebbe dovuto attraversargli il ventre.
Anche gl’indiani dal canto loro avevano subìto pochissime perdite, dopo la morte del gigantesco Corvo, essendosi sempre tenuti dietro i colossali pini.
Ciò non poteva però durare a lungo. Minnehaha, Nube Rossa e Mocassino Sanguinoso, desiderosi di finirla una buona volta con quel pugno di difensori, lanciarono due colonne, formate ognuna d’una ventina di guerrieri, all’attacco. Era troppo vergognoso che quattro soli uomini tenessero in iscacco una cinquantina di guerrieri indiani, scelti fra i più valorosi fra le due tribù dei Corvi e degli Sioux.
Una tempesta di proiettili cadde ben presto sull’entrata del rifugio, crivellando l’orso che serviva da barricata.
Gl’indiani s’avanzavano correndo, lanciando le loro grida di guerra e sparando furiosamente. I winchester mantenevano un fuoco terribile come se fossero diventati delle vere mitragliatrici.
Cinque o sei pelli-rosse erano cadute poichè gli assediati, coricati dietro il grizzly, rispondevano vigorosamente, quando Turner gridò:
— In ritirata!... È impossibile resistere!... Chi vuole morire rimanga!...
Avanzando carponi raggiunse la scala e si rifugiò nella stanza superiore, aprendo il fuoco attraverso la feritoia.
I tre scorridori di prateria credettero opportuno d’imitarlo.
Ritirarono la scala, chiusero la botola e ricominciarono a sparare gettando a terra non pochi avversarî.
Per alcuni minuti gl’indiani tennero valorosamente il campo tentando di raggiungere il covo del grizzly per gettarvi dentro i fasci di legna, poi diedero di volta mettendosi in salvo dietro i colossali tronchi dei big-trees.
Avevano lasciati sette guerrieri sul terreno e dovevano aver avuto anche non pochi feriti.
La vittoria degli assediati era stata completa, ma fino a quando sarebbe durata? Il blocco non era stato affatto spezzato e le forze avversarie erano ancora troppo rilevanti per tentare una sortita.
― È uno spreco di munizioni inutile — disse Turner, il quale appariva tutt’altro che lieto di quel successo.
— A furia di contrattacchi li finiremo — rispose Giorgio.
— Uhm!... Che speranze rosee!
— Dieci sono già andati a trovare il buon Manitou.
— E gli altri quaranta o cinquanta ci affameranno e poi ci arrostiranno.
«Se non giungono i volontari di Custer noi andremo a fare visita al Padre Eterno, invece che a Manitou, il che, in fondo, sarà la stessa cosa.
«Che dite voi, John?
— Io dico, signor Turner, che questo affare minaccia d’incamminarsi molto male per noi.
― Questo lo sapevo anche prima che me lo diceste voi.
— Che cosa proponete, mister? — chiese Harry.
— Per ora vi proporrei di fare colazione, visto che gl’indiani ci accordano un momento di tregua.
«Dopo tutto anche noi abbiamo il diritto di pensare al nostro stomaco.
«Voi, Giorgio, che abbiamo nominato grande cuoco della spedizione, che cosa avete da offrirci?
— Pinon crudi, gallette ammuffite da non so quanti anni e che perfino le pelli-rosse sdegnerebbero, e dei gambi di cactus per dissetarvi — rispose lo scorridore.
— Ecco un cuoco che non prenderò mai ai miei servigi — brontolò il campione degli uccisori d’uomini. — Anche le scimmie saprebbero fare altrettanto!...