La scotennatrice/XI. Assedio nel «big-tree»
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XI.
Assedio nel «big-tree».
Udendo quel colpo di fuoco che non poteva essere stato sparato che dagli Sioux di Minnehaha, l’indian-agent ed i due scorridori di prateria avevano gettato in aria le loro coperte ed erano saltati in piedi coi rifles in mano.
— Gl’indiani? — avevano chiesto ad una voce a Turner, il quale stava spiando da una feritoia.
— Non sarà stato certamente il grizzly a sparare — aveva subito risposto il campione degli uccisori d’uomini, colla sua solita calma.
— Li vedete? — chiese John.
— Non ancora.
— Eppure non devono essere lontani. Questo colpo di fuoco deve essere stato sparato al di qua del cañon che noi abbiamo attraversato.
— È possibile, John.
— Se così fosse, vuol dire che le pelli-rosse hanno scoperte le nostre tracce e che la nostra passeggiata nel creek è stata assolutamente inutile.
— Può darsi.
— Sento i miei capelli accartocciarsi di già, come se sotto la mia cotenna passasse la fredda lama della Scotennatrice.
— Uh!... Come correte, John!...
— Quella donna non mi risparmierebbe, ve l’assicuro. Ha da vendicare la capigliatura di sua madre.
— Non vi ha però ancora preso e ciò vuol dire molto, camerata.
— Che gl’indiani si avvicinino? — chiese Harry.
— È probabile — rispose Turner. — Il vecchio Jonathan od Eufraim, come meglio vi piace chiamarlo, potrebbe dircelo con maggior sicurezza.
«Vediamo che cosa fa il nostro portinaio.
Il grizzly doveva aver udito benissimo il colpo di fucile, poichè Turner lo vide sulla soglia del suo covo occupato a far dondolare la sua testa enorme, mossa già abituale a tutti gli orsi, non esclusi quelli bianchi, i quali anzi vanno più soggetti degli altri a quel singolare tic nervoso.
— Il portinaio è inquieto — disse il campione degli uccisori d’uomini. — Fiuta l’aria ed ascolta.
«Brutto segno.
— Potreste interrogarlo, signor Turner — disse Giorgio.
— È troppo irascibile per rispondere ai suoi inquilini.
— Sfido io, non gli abbiamo pagata ancora la pigione!... — esclamò Harry.
— E non gli abbiamo dato nemmeno la strenna — aggiunse Giorgio.
— Non lagnarti, vecchio brontolone, chè appena potremo ti faremo un regalo di quattro palle di buon piombo per prenderti i tuoi prosciutti.
Scherzavano, ma in fondo all’animo erano tutt’altro che tranquilli. Che il rifugio fosse imprendibile era vero, tanto più che era guardato dal grizzly, animale assai temuto anche dalle pelli-rosse, tuttavia non si sentivano completamente sicuri, ed avrebbero anzi preferito trovarsi nella sconfinata prateria su quattro buoni cavalli.
— Dunque vengono? — chiese Harry all’indian-agent, che non staccava gli sguardi dalla feritoia.
— Non ancora, eppure sono più che sicuro che a quest’ora hanno attraversato il cañon e scoperte nuovamente le nostre tracce.
— Allora giungeranno senza dubbio qui.
— Senza dubbio, Harry.
— I nostri affari cominciano ad imbrogliarsi maledettamente — disse Turner. — Se ci trovano, non so come riusciremo a cavarcela.
— Ci difenderemo finchè potremo, e quando vedremo che tutto sarà inutile ci pianteremo una buona palla nel cranio per evitare il palo della tortura — disse Giorgio. — Confesso che quello mi fa ben più paura della morte.
— Ti credo, fratello — rispose Harry. — Non ci hanno però ancora presi e molte cose possono succedere.
— Su chi vorresti contare? — chiese John.
— Noi abbiamo dimenticato, mi pare, che il generale Custer accampa sull’Horse con ottocento uomini.
«M’immagino che non rimarrà eternamente immobile fra le sue tende e che, se lo hanno mandato a fare la guerra agli Sioux, si deciderà a marciare verso i Laramie.
— Avete ragione, camerata — disse Turner. — Anch’io mi ero scordato di Custer.
«Bah!... Chissà!... Non disperiamo del tutto!... Ah!... Il nostro portinaio borbotta!... Brutto segno!...
Il grizzly aveva mandato in quel momento un urlo rauco e tremulo, indizio sicuro che cominciava ad arrabbiarsi.
— Sente gl’indiani — disse John. — I furfanti si avvicinano con infinite precauzioni.
— Povero portiere — disse Giorgio. — Finiranno per accopparlo.
Si erano messi tutti in ascolto, ma nessun rumore giungeva dalla parte della foresta.
Solamente l’orso continuava a brontolare e a dare continui segni d’inquietudine.
Turner, sollevata la botola, lo vide dinanzi alla porta in preda ad una crescente agitazione.
Si dondolava tutto, ora alzando le due zampe di destra ed ora quelle di sinistra, imitando il rollìo d’una nave sbattuta dalle onde, ed aguzzava gli orecchi, mentre il suo folto pelame si arruffava.
Aveva già fiutato il pericolo ed il vecchio Jonathan si preparava a difendere ferocemente il suo domicilio.
— Se è così infuriato, gl’indiani non devono essere lontani — mormorò il campione degli uccisori d’uomini. — Lasciamo che per ora se la sbrighi lui.
«Noi entreremo in scena il più tardi che ci sarà possibile.
Raggiunse i suoi compagni dopo aver ben richiusa la botola e dopo di avervi trascinata sopra la cassa contenente i biscotti guasti.
Harry e Giorgio spiavano la foresta dalla feritoia volta verso levante; John da quella volta a ponente, ossia in direzione del cañon.
Trascorsero dieci o quindici minuti in un’attesa angosciosa, poi John e Turner videro l’orso avanzarsi di alcuni passi sotto i giganteschi vegetali e lo udirono mandare un urlo ferocissimo. Quasi nel medesimo tempo dietro il tronco d’un big-tree, lontano dalla tana appena duecento passi, due lampi balenarono seguiti da due detonazioni.
Gli esploratori indiani che guidavano la colonna di Minnehaha e che seguivano ostinatamente le tracce dei fuggiaschi, avevano sparato sul terribile animale.
Il grizzly aveva risposto con un altro urlo ancora più feroce, un urlo che pareva una sfida, poi si era messo a rinculare verso la sua tana digrignando i denti.
I due esploratori si erano affrettati a scoprirsi. Erano due vigorosi guerrieri Sioux, armati di carabine e di tomahawaks e del coltello da scotennare.
Parve che si consigliassero un momento, poi ricaricate prontamente le armi si spinsero audacemente innanzi, come se fossero ben decisi ad affrontare la gigantesca fiera.
Se fossero stati soli, non avrebbero osato tanto, poichè, come abbiamo già detto, anche le pelli-rosse sfuggono volontieri il grizzly, conoscendone la forza prodigiosa ed il coraggio veramente straordinario.
— Mio caro John — disse Turner — hanno scoperte le nostre tracce e fra poco il grosso della truppa giungerà qui, malgrado i denti e gli artigli del nostro portinaio.
«E non poter aiutare quel disgraziato che si sacrifica per noi.
— Non potendo divorarci — rispose l’indian-agent.
— Fino ad ora ci ha rispettati come dei buoni e generosi inquilini.
I due indiani erano diventati quattro, essendosi aggiunti due Corvi di Nube Rossa, che erano rimasti fino allora appiattati in mezzo ad un folto cespuglio.
Disponendo pel momento di quattro bocche da fuoco e sapendosi appoggiati da altre cinquanta che da un momento all’altro potevano giungere in loro aiuto, si avanzarono ora baldanzosi mandando grida acutissime.
Il grizzly era tornato nella sua tana, non mostrando che la sua testa villosa che dondolava furiosamente.
Dentro il suo covo si sentiva più sicuro che fuori.
I quattro indiani, passando da un tronco all’altro con grande prudenza, non cessavano di avanzare guardando di quando in quando il terreno umidissimo della foresta il quale aveva conservate, e molto distintamente, le tracce dei quattro fuggiaschi.
Dovevano essere non poco sorpresi di vedere quelle orme dirigersi precisamente verso il big-tree occupato dall’orso grigio.
Probabilmente si chiedevano, non senza molta meraviglia, come mai un sì feroce animale si fosse alleato con dei visi pallidi. Un caso simile non era mai avvenuto a memoria d’uomo rosso.
Due altri colpi di fucile rimbombarono diretti verso la tana.
Gl’indiani sembravano ben decisi a sbarazzarsi di quel pericoloso nemico dietro cui si nascondevano gli odiati uomini bianchi che Minnehaha s’era giurata di prendere o vivi o morti.
Il grizzly aveva mandato un urlo terribile. Una, o forse tutte e due le palle, dovevano averlo colpito.
Retrocesse nuovamente dentro la tana, empiendola di clamori orribili che si ripercuotevano sinistramente nella stanza superiore.
— Povero portiere — disse Turner. — Se non ha un buon rifle o una Colt a sua disposizione, finirà per farsi assassinare dai merli rossi.
— Dai Corvi — corresse Giorgio.
— Fa lo stesso.
I quattro indiani erano diventati, da un momento all’altro, otto.
Attirati da quei colpi di fuoco, i guerrieri accorrevano, credendo che si fosse impegnata una vera battaglia coi fuggiaschi.
— Crescono come le formiche — disse Harry. — Fra poco saranno venti, trenta, forse di più.
«Il nostro valoroso portiere ha i suoi minuti contati.
Il vecchio Jonathan od Eufraim, come lo chiamano gli yankees, non pareva però affatto disposto ad andarsene all’altro mondo troppo facilmente e ad offrire ai suoi vincitori i suoi deliziosi prosciutti.
Come abbiamo detto, si era ritirato dentro il big-tree, ed aspettava risolutamente l’attacco finale, ritto sulle zampe deretane.
Era tanto alto che la sua testa toccava quasi la vòlta.
Le pelli-rosse continuavano a farsi innanzi, sparando dentro il rifugio. Seguivano sempre le tracce dei fuggiaschi ed erano risoluti a non perderle.
Qualche proiettile colpiva il grizzly, ma si sa che quegli enormi animali ne possono sopportare anche dodici, poichè lo strato di grasso che li imbottisce serve eccellentemente da corazza ad una certa distanza.
— Sapete, John, che io sono commosso — disse ad un certo momento Turner, il quale tormentava nervosamente il grilletto del suo rifle. — Che volete? L’assassinio del nostro bravo portiere mi irrita in modo straordinario.
— Lasciate che l’accoppino — rispose l’indian-agent, che non era mai stato tenero pei plantigradi. — Sarà un nemico di meno.
— In questo momento però ci difende.
— Ah, bah!... Difende il suo grasso ed i suoi prosciutti!...
— Non conoscono la riconoscenza questi scorridori di prateria.
— Andate a gettarvi dinanzi ai suoi denti e alle sue unghie e poi vedremo se saprà distinguere i suoi inquilini da quelli che vogliono cacciarlo dal suo posto.
«Volete provarvi?
— Francamente no, camerata.
— Ed allora lasciate che lo imbottiscano di piombo.
— E poi?
— Diventeremo noi i portieri.
— Che pessima professione, specialmente in questo momento.
— Non vi dico che possa essere o diventare allegra.
Un altro colpo di fucile fece rintronare in quel momento l’interno del big-tree.
Gl’indiani erano giunti a soli cento passi dalla tana e si preparavano ad affrontare coraggiosamente il terribile plantigrado.
Se non avessero scoperte le tracce dei fuggiaschi, si sarebbero probabilmente guardati dal guastare i tranquilli sonni d’una tale belva; però avendo scoperto che si dirigevano proprio verso la tana, non volevano andarsene senza averla prima visitata.
Il vecchio Jonathan però, quantunque desideroso di scagliarsi addosso ai disturbatori del suo alloggio e di far provare loro la sua forza gigantesca, si era messo al sicuro dentro il covo, non amando affatto quei confetti di piombo che potevano bucargli non solo la pelle bensì anche il cuore.
Gl’indiani si erano arrestati a cento passi dal big-tree e si erano messi a sparare furiosamente, un po’ colla speranza di deciderlo a mostrarsi, ed un po’ coll’intenzione di chiamare i loro compagni, i quali non dovevano essere molto lontani.
Per un paio di minuti le palle fioccarono dentro il rifugio, cacciandosi, con un sordo rumore, dentro il legname e spaccando gli ossami che ingombravano il suolo, poi le pelli-rosse, già aumentate di altri cinque guerrieri giunti a gran corsa, si fecero animosamente più innanzi.
— Corpo d’una pipa rotta!... — esclamò Turner, il quale spiava sempre insieme all’indian-agent. — Questi indiani aumentano di numero come le formiche.
«Se continuano così fra poco saranno cinquanta, cento, forse di più.
— Che con Minnehaha ci sia anche Sitting-Bull? — chiese John, con voce un po’ trepidante.
— Mio padre non mi ha mai insegnata l’arte dell’indovino — rispose il campione degli uccisori d’uomini. — Non posso darvi una risposta soddisfacente, camerata.
— Può essere già disceso dai Laramie.
— Uhm!... Ne dubito assai, amico. Quel vecchio volpone deve tener d’occhio le truppe di Custer.
— Che musica!...
— Le pelli-rosse cominciano a scaldarsi. Vogliono la pelle del nostro portiere. Crudeli!...
Gl’indiani avevano ricominciato a sparare. Era un vero fuoco di fila poichè alcuni erano armati di winchester a dodici colpi e non facevano economia di munizioni.
Il grizzly, conscio del gravissimo pericolo che correva, si ostinava a non mostrarsi.
Manifestava la sua rabbia impotente con urla feroci che facevano rintronare il rifugio, però se ne stava al coperto.
Gl’indiani, visto che non ottenevano nessun risultato, impugnarono i tomahawak e si spinsero maggiormente innanzi.
Volevano venire ad un corpo a corpo per non sprecare inutilmente le loro munizioni, troppo preziose dopo la levata di scudi del loro grande capo Toro Seduto.
Erano già una quindicina e tutti vigorosi, essendo gli Sioux ed i Corvi i più bei rappresentanti, coi Comanci, della razza rossa dell’America settentrionale.
In pochi istanti si disposero dinanzi all’entrata del rifugio, in modo da impedire al terribile animale ogni scampo, poi uno, più ardito degli altri, vi penetrò tenendo imbracciato il suo winchester.
I suoi compagni erano rimasti fuori colle scuri alzate, sulle quali armi forse contavano meglio che sui fucili.
Il Corvo, poichè apparteneva alla razza di Nube Rossa, scaricò dentro il covo tutti i dodici colpi della sua arma, sparando all’impazzata, ma ad un tratto si sentì precipitare addosso una massa enorme che lo strinse furiosamente fra le zampe poderose.
.... una massa enorme lo strinse furiosamente fra le zampe poderose.
Il vecchio Jonathan, quantunque avesse ricevuto non poche palle fermatesi nella sua cotenna, aveva sorpreso il cacciatore, avvinghiandolo strettamente.
Il disgraziato aveva mandato un urlo spaventevole ed aveva subito cercato di svincolarsi. La bocca del grizzly, armata di lunghi denti gialli, forti come l’acciaio, si era prontamente chiusa intorno al suo cranio.
Si udì un crac lugubre e l’uomo si abbandonò.
La sua testa era stata schiacciata come una nocciuola e la materia cerebrale era schizzata come il sugo d’un limone.
Compiuta la sua vendetta, il terribile animale lasciò cadere il nemico e si scagliò furiosamente fuori, urlando spaventosamente, risoluto ad aprirsi il passo e a rifugiarsi nella grande foresta.
Ne aveva però troppi contro quel disgraziato portiere del gigantesco big-tree.
Gl’indiani, che avevano assistito alla morte quasi fulminea del loro compagno, e che erano smaniosi di vendicarlo, in un baleno lo circondarono assalendolo coi tomahawak e le carabine.
Colpi di fucile e colpi di carabina grandinavano sul vecchio abitante delle selve.
Invano avventava zampate a destra ed a sinistra, ed invano metteva in opera i suoi denti formidabili.
Crivellato dalle palle, sfondato nei fianchi dai colpi di scure che gli aprivano spaventose ferite, cadde coperto di sangue.
Un urlo spaventevole, che fece rintronare la foresta, fu il suo ultimo grido, poi allungò tutta la sua gigantesca corporatura, mentre i colpi di tomahawak continuavano a grandinargli addosso con selvaggio furore.
Il portiere del big-tree, non ostante la sua forza colossale, i suoi unghioni, i suoi denti, la sua ferocia ed il suo coraggio straordinario, era morto!...
Gl’indiani, appena atterrato il colosso, si precipitarono dentro il rifugio mandando urla di trionfo e disperdendo a calci tutte le ossa che si trovavano raccolte là dentro.
— Corpo d’un cannone sventrato!... — esclamò Turner. — Ecco che comincia il nostro terribile quarto d’ora, se si accorgono dell’esistenza della botola.
«Che riescano a trovarla, John?
— Sono così furbi quei rettili rossi, da temere sempre — rispose l’indian-agent. — Cerchiamo di non farci udire.
«Se ci odono siamo perduti.
— Perduti propriamente no, poichè per snidarci ci vorrebbe un pezzo d’artiglieria, armi che gl’indiani hanno avuto il buon senso di non adottare, per nostra fortuna.
«Che cosa aspettano? Non si sono ancora decisi ad entrare.
Infatti i guerrieri rossi, finito il grizzly, non avevano ancora osato spingersi dentro il covo.
Ronzavano dinanzi l’apertura chiacchierando ed osservando soprattutto il terreno con estrema attenzione, per ritrovare di certo le tracce dei fuggiaschi, scompigliate dall’orso.
Fors’anche temevano che dentro il covo si nascondesse qualche altro orso, la femmina, poichè quello ucciso era un vecchio maschio.
Essendo però in buon numero, non dovevano rimanere a lungo oziosi.
Dopo essersi nuovamente consigliati, strinsero le loro file ed imbracciati i fucili per essere più pronti a rispondere a qualunque sorpresa, si spinsero dentro la tana disperdendo a calci i mucchi di ossami e le erbe che avevano servito da letto al povero grizzly.
Cercavano i fuggiaschi? Era probabile, quantunque dovesse sembrare anche a loro straordinario il fatto che si fossero rifugiati dentro il covo d’un così terribile animale, niente affatto tenero nemmeno per gli uomini di razza bianca.
Quella visita minuziosa durò un buon quarto d’ora, durante il quale l’indian-agent ed i suoi compagni si guardarono bene dal muoversi, poi gl’indiani tornarono ad uscire.
Parevano in preda ad una collera violentissima. Gridavano, lanciavano invettive, roteavano le loro scuri di guerra come se avessero dinanzi a loro dei nemici da accoppare, e continuavano a curvarsi verso terra, rimuovendo colle dita le erbe secche e la polvere legnosa caduta dall’alto del big-tree ed accumulatasi qua e là intorno al gigantesco tronco.
Cercavano ostinatamente le tracce che fino a pochi passi avevano seguite con piena sicurezza e che ora, grazie alle mosse dell’orso, non riuscivano più a rinvenire.
Si erano nuovamente radunati a consiglio, quando un’altra truppa d’indiani, forte d’una quarantina d’uomini fra Sioux e Corvi, s’inoltrò attraverso i giganteschi vegetali.
La guidavano Minnehaha ed il vecchio Nube Rossa. Dietro di loro veniva Mocassino Rosso, il quale teneva per le briglie il cavallo montato da lord Wylmore.
Scorgendo l’inglese che credevano si fosse lasciato carbonizzare nella prateria assieme ai suoi bisonti, i quattro assediati avevano trattenuto a gran pena un grido di stupore.
— È ben quello che voi guidavate alla caccia? — aveva subito chiesto Turner.
— Precisamente — rispose l’indian-agent. — Io vorrei sapere come è riuscito a salvarsi da quel forno che ha cremato tutti i bisonti.
— Che sia un figlio di compare Belzebù? — chiese Harry.
— Ci sarebbe da supporlo — rispose John. — Quello che maggiormente mi stupisce è che sia riuscito anche a salvare la sua capigliatura, e che se la intenda con quella canaglia di Sandy Hook, che io riconosco benissimo anche se è camuffato da indiano.
— Chi è costui? — chiese Turner.
— Un famoso brigante, che un tempo si divertiva a svaligiare i treni, e che dopo la distruzione della sua banda, non sentendosi più tranquillo, si è fatto accettare dagli Sioux.
— Tutte le canaglie hanno sempre trovato fortuna presso le pelli-rosse.
— È proprio vero, Turner. Sandy Hook, che ora si fa chiamare Mocassino Rosso, come vedete, porta le insegne di sotto-capo.
«È già un famoso e rispettato guerriero e che si dice sia particolarmente protetto da Nube Rossa e da Minnehaha.
— Lo conoscete personalmente?
— Mi sono incontrato parecchie volte con lui, anzi abbiamo anche bevuto insieme.
— E non vi ha cacciato in corpo una mezza dozzina di palle?
— Niente affatto: mi ha dimostrato anzi sempre una vera simpatia.
«D’altronde sapete anche voi che il brigante della prateria rispetta sempre lo scorridore di prateria che potrebbe diventare una spia pericolosissima.
— Questo è vero — disse Turner. — Anch’io non ho sempre avuto da lagnarmi di quei bricconi.
«Oh!... Se si potesse parlare da soli a soli con quel signor bandito!... Eh!... Chissà!... Un piacere potrebbe farcelo, se non si è completamente scordato di aver nelle vene del sangue eguale al nostro.
— Sì, andatevelo a pigliare in mezzo agli Sioux. Per mio conto preferisco starmene zitto e tranquillo in questa tana.
— Ed io pure — disse Harry.
Mentre si scambiavano queste parole senza dimostrare soverchie preoccupazioni, gl’indiani, che erano tutti montati su bellissimi mustani, si erano messi a girare intorno al colosso, spingendo specialmente i loro sguardi verso l’altissima cima.
Evidentemente cercavano sempre i fuggiaschi, e non avendoli trovati nella tana del grizzly, siccome le tracce si fermavano nei dintorni, doveva essere sorto loro il dubbio che si fossero rifugiati sugli ultimi rami del colosso.
Essendo però la vegetazione assai folta anche in alto, si allargarono in circolo e spararono una cinquantina di colpi, colla speranza di veder piombare a terra qualche corpo umano.
Non avendo ottenuto altro risultato che quello di fare rimbombare l’eco della foresta e completamente convinti che nemmeno lassù dovevano essersi nascosti, andarono a piantare il loro campo ad un centinaio di passi dal big-tree, per mettere in libertà i loro cavalli che dovevano essere stanchissimi ed assai affamati, ed anche per prendere anche loro un po’ di riposo e prepararsi la colazione. Cinque o sei però, guidati da Sandy Hook, tornarono indietro per fare un’altra visita al covo del grizzly. Il furfante, più astuto ancora delle pelli-rosse, doveva aver avuto qualche sospetto, e voleva toccare colle proprie mani le pareti legnose del gigantesco vegetale.
— Diamine!... — si era detto. — Che gli uccelli volino si sa, ma che agli uomini spuntino improvvisamente le ali e che scompariscano negli spazi del cielo, è una cosa che non si è mai veduta.
«Se le tracce non si sono più ritrovate, vuol dire che i fuggiaschi si trovano ancora qui. Dove? Io spero di saperlo fra breve e di essere più abile di tutti i guerrieri Sioux e Corvi.
E si era cacciato dentro la tana procedendo ad una visita minuziosa.