La cameriera brillante/Atto III

Atto III

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Atto II Nota storica

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Argentina e Brighella.

Argentina. Sì, senz’altro. Li ho persuasi tutti.

Brighella. Me par impussibile che anca sior Florindo se reduga a recitar una parte in commedia.

Argentina. Con lui, per dirla, ho fatto più fatica di quello abbia fatto cogli altri. Ma pure l’ho fatto giù. Lo sapete che, quando io voglio, faccio far la gente a mio modo.

Brighella. Donca stassera se farà sta commedia.

Argentina. Questa sera la proveremo. Poi un’altra volta si farà con invito.

Brighella. Che comedia èla? Studiada o all’improvviso?

Argentina. È una piccola commediola studiata. Ho dato la parte [p. 282 modifica] a tutti; ed è tanto breve, che in tre o quattr’ore che la studino, con un poco d’aiuto del suggeritore, spero saranno in grado di poterla provare.

Brighella. Anca el padron ha da recitar?

Argentina. Sì, anche lui.

Brighella. Andè là, che ve stimo un mondo. Che parte faralo el padron?

Argentina. Una parte da vecchio.

Brighella. In venezian?

Argentina. No, in toscano.

Brighella. Oh, questa la vol esser da rider!

Argentina. Io spero che la commedia tutta voglia essere ridicola.

Brighella. Chi l’ha fatta?

Argentina. L’ho fatta far io da una persona che non vuol essere nominata.

Brighella. Che titolo gh’ala?

Argentina. È intitolata I spropositi.

Brighella. La pol esser bona. Gh’è dei caratteri?

Argentina. Anzi è tutta caratteri.

Brighella. Eli mo distribuidi ben, segondo l’abilità e el temperamento delle persone che li deve rappresentar?

Argentina. Oibò; ho studiato che tutti faccino un carattere al loro temperamento contrario.

Brighella. Compatime: la comedia in sta maniera la riussirà mal.

Argentina. Anzi sarà più ridicola. Le cose, perchè diano divertimento, o hanno da essere buone buone, o cattive cattive.

Brighella. Ma co le xe cattive, le dura poco.

Argentina. A me basta che si faccia una volta sola.

Brighella. Per cossa v’è vegnù el capriccio de far sta comedia.

Argentina. Per divertimento. Sono cose che in campagna si fanno; ma forse non sarà fuor di proposito il farla per un’altra ragione. Vedete, vedete il padrone che studia.

Brighella. Eh Arzentina, l’è un pezzo che me n’accorzo, che sto nostro padron lo fe far a modo vostro. [p. 283 modifica]

Argentina. Se mi riesce di farlo fare a modo mio in tutto, non sarà male per voi.

Brighella. Basta. È tanti anni che son in sta casa.

Argentina. Sì, caro Brighella, non dubitate.

Brighella. El patron vien qua. Vado via.

Argentina. Ricordatevi che voi avete da suggerire.

Brighella. Volentiera. Farò quel che poderò.

Argentina. Andate, e preparate i lumi, e tutto quel che v’ho detto.

Brighella. Subito. (Bisogna tegnirsela amiga custìa, perchè se la deventasse mai padrona... chi sa che no la vada meio per mi?) (da sè, e parte)

SCENA II.

Argentina, poi Pantalone.

Argentina. Il padrone è un uomo che facilmente si dà alla malinconia. Bisogna tenerlo divertito; e colle barzellette può essere che mi riesca di fargli fare di quelle cose, che pensandovi sopra con serietà forse forse non le farebbe.

Pantalone. Arzentina, no faremo gnente. (con un foglio in mano)

Argentina. Perchè, signore?

Pantalone. Perchè mi ste parole toscane le me fa rabbia, e no le posso imparar.

Argentina. Fate torto a voi stesso, signore, a parlar così. Le vostre figliuole parlano pure toscano.

Pantalone. Ele le xe stae arlevae da mio fradello a Livorno e per quello le toscaneggia. Ma mi, ve torno a dir, sti slinci e squinci no i posso dir.

Argentina. Io che sono nata toscana, sentite pure che qualche volta mi adatto a parlar veneziano.

Pantalone. Vu sè vu; mi son mi; e no ghe ne voggio saver.

Argentina. Vorrei veder anche questa.

Pantalone. No gh’è altro. Tolè la vostra parte.

Argentina. Sì, ho sempre detto che per me non movereste un [p. 284 modifica] passo, non aprireste nè meno la bocca. Bene, saprò ancor io regolarmi.

Pantalone. In sta sorte de cosse...

Argentina. E poi dirà che mi vuol bene.

Pantalone. Lo vederè, se ve voggio ben.

Argentina. Se mi volete bene, avete da far quella parte.

Pantalone. Mo se no posso.

Argentina. Ed io voglio che la facciate.

Pantalone. Volè?

Argentina. Sì, lo voglio.

Pantalone. Stimo assae, sto dir voglio.

Argentina. Lo voglio, e posso dire lo voglio.

Pantalone. Con che fondamento, patrona, diseu sto voglio?

Argentina. Sapete chi sono io? (altiera)

Pantalone. Chi seu, siora?

Argentina. Sono... la vostra cara Argentina.

Pantalone. E per questo?...

Argentina. E per questo, il mio caro padrone, il papà mio caro, mi farà questo piacere: farà quella bella particina. Reciterà nella commedia, e darà questo piacere alla sua cara Argentina.

Pantalone. So, desgraziada, che ti me pol. Sì che farò tutto quel che ti vol. Sì, baronzella, parlerò toscano, arabo, turco; e in tutti i lenguazi de sto mondo te dirò sempre che te voggio ben. (parte)

SCENA III

Argentina, poi Ottavio.

Argentina. Oh, ero sicura che la faceva. Per me farebbe altro. E avanti domani spero che farà tutto.

Ottavio. Tenete la vostra parte. (con un foglio in mano)

Argentina. Perchè, signore?

Ottavio. Questa non è parte che mi si convenga. Ho recitato più volte in compagnia di principi e principesse, ho fatto sempre [p. 285 modifica] le parti da eroe; non posso adattarmi ad una parte di un uomo vile. Tenetela; non fa per me.

Argentina. Caro signor Ottavio, ella non ha sentito tutta la commedia. Non può giudicare della sua parte.

Ottavio. Intendo benissimo. So quel che dico; e vi dico che non la voglio fare.

Argentina. Signor Ottavio, brama ella per moglie la signora Flaminia?

Ottavio. Sì, Amore mi ha avvilito a tal segno. Per amore pospongo alla figliuola di una mercante il fiore della nobiltà.

Argentina. Se vuole la signora Flaminia, ha da far quella parte.

Ottavio. Ma perchè questo?

Argentina. Tant’è: l’ha da fare.

Ottavio. La natura repugna.

Argentina. L’umiltà è la virtù più bella degli animi grandi. Con questa ha da guadagnarsi la sposa; e s’ha da dire che il signor Ottavio ha condisceso a coprire sotto il manto dell’umiltà la grandezza de’ suoi pensieri.

Ottavio. La farò. Sì, per questa ragione, Argentina mia, la farò. (parte)

SCENA IV.

Argentina, poi Florindo.

Argentina. Anche questo è persuaso di farla.

Florindo. Come diamine volete ch’io faccia una parte di damerino?

Argentina. In commedia si può far tutto.

Florindo. Non vi riuscirò, e non la voglio fare.

Argentina. Vossignoria non sa niente. Pare a lei che la parte sia di un cicisbeo, di un damerino, di un affettato. Ma non è vero. Vedrà, sentendo la cosa unita, che tutte queste cose le pone anzi in ridicolo.

Florindo. Se la cosa fosse così...

Argentina. E così senz’altro. Si fidi di me.

Florindo. Avvertite bene. [p. 286 modifica]

Argentina. Stia sulla mia parola.

Florindo. Ma vi sono cose che mi fanno venir la rabbia dicendole.

Argentina. All’ultimo poi avrà piacere.

Florindo. Mi proverò.

Argentina. Andiamoci a preparare.

Florindo. Io non l’ho potuta imparare.

Argentina. Il suggeritore l’aiuterà.

Florindo. Madama... v’adoro... permettetemi che io vi serva... Sono cose che mi fanno venire il vomito. (parte)

Argentina. La commedia è distribuita così bene, che non può essere meglio. Veder rappresentare caratteri da persone che non li sanno sostenere, è una cosa da crepar di ridere. Se s’introducesse questo buon gusto, tutti i commedianti riuscirebbero a perfezione. (parte)

SCENA V.

Brighella e Traccagnino vestito da Capitano Coviello.

Brighella. Cossa fastu, vestido co sto abito da Cuviello?

Traccagnino. Lassame ire, foss’acciso, che songo lo Capetano Spaviento.

Brighella. Anca ti ti reciti in te la comedia?

Traccagnino. No ti sa? Ho da far el prologo della comedia.

Brighella. Eh via, matto, che no ti xe bon da far da Cuviello.

Traccagnino. Zitto, che i è in quella camera che i me ascolta. Tiò sta carta, e suggerisci pulito. Se fazzo ben, vadagno un piatto de maccaroni.

Brighella. Farò quel che ti vol. Arzentina m’ha dito che suggerissa, suggerirò. Ma no ti gh’ha nè figura, nè disposizion da Cuviello.

Traccagnino. Eh caro ti, che ancuo no se varda ste cosse. Suggerissi e lasseme far a mi.

Brighella. Suggerirò. Manco mal che semo in campagna. Ma de sti spropositi ghe n’ho visto anca in città. (si ritira per suggerire) [p. 287 modifica]

Traccagnino. Nobele udienza, songo qua benuto.

Songo benuto, nobele udienza.
Nobele udienza, songo qua benuto.

Brighella. L’avè dito tre volte.

Traccagnino. Mi son de quei che replica senza che i sbatta le man.

Brighella. Andemo avanti, sior Cuviello salvadego.

Traccagnino. Chissà commedia, che mo mo faremo,

È una commedia che ha principio e fine,
Perchè s’auza la tenda, e poi se cala.
Bederete due donne ’nnamorate
Che se vonno incerar...

Brighella. No incerar: inzorar, che vuol dir maridarse. Vedeu? co no s’intende, se dise dei spropositi.

Traccagnino. E pur qualchedun riderà a sentir a dir incerar.

Brighella. Via, tiremo de lungo.

Traccagnino. Li ’nnamorati

Hanno el schittolo...

Brighella. No schittolo: schitto, che vuol dir solo.

Traccagnino. Hanno schitto allo gnore favellato;

Ma chisso marevolo dello patre
No le bole inzorà. Venga lo cancaro.
M’hanno frusciato a me. Songo chi songo:
Songo lo Capetano Cacafuoco.
Chissà figura mia grande e terribile,
Chissà spata che taglia come un fulmene,
Tutto lo munno farà andar in cenere.
Canno lo patre non vorrà... etecetera.

Brighella. Cossa gh’intra mo sto etecetera?

Traccagnino. Chisso della commedia è l’argomento.

Aggio finito, me ne vado via,
E schiaffo no saluto a bossoria. (parte)

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SCENA VI.

Brighella, poi Argentina e Flaminia.

Brighella. Oh che martuffo! vardè se quella l’è figura da far una parte da spaccamonti.

Argentina. Favorisca, signora, venga a principiar la sua scena. Brighella, tenete l’originale e suggerite. (gli dà un libro)

Brighella. Da cossa fala sta signora?

Argentina. Da pretendente e fastidiosa.

Brighella. No l’è el so carattere: no la farà ben.

Flaminia. Lo diceva ancor io.

Argentina. Suggerite, che anderà bene.

Brighella. Benissimo, suggerirò. (si ritira)

Argentina. A lei, signora: dia principio.

Flaminia. Vorrei maritarmi, ma non trovo nessuno che sia degno di me. Un quadro ed uno specchio sollevano i miei pensieri ad un’altezza sproporzionata. Veggo in una tela delineati i miei magnanimi progenitori. Riverbera in un cristallo la mia bellezza... Cara Argentina, queste cose le dico mal volentieri.

Argentina. Zitto. Ecco il signor Ottavio. Non interrompete la scena. Suggerite. (a Brighella)

SCENA VII.

Ottavio e detti.

Ottavio. Signora, se potessi aspirare all’onore della vostra grazia...

Flaminia. Se foste nobile veramente, avreste il merito di piacermi.

Ottavio. Porreste in dubbio la mia nobiltà?

Argentina. Signore, la parte non dice così.

Ottavio. Come dice?

Argentina. Sentite il suggeritore.

Ottavio. È vero che la mia nobiltà è miserabile... Saltiamola questa risposta.

Argentina. La scena si ha da far tutta. Ricordatevi quel che vi ho detto. Da capo. [p. 289 modifica]

Ottavio. È vero che la mia nobiltà è miserabile. (freme) Ma la tenerezza dell’amor mio compensa moltissimo la bassezza dei miei natali... Questi spropositi non li posso dire.

Flaminia. Se conoscete voi stesso, umiliatevi dunque, e domandatemi per pietà ch’io mi degni di aggradire l’affetto vostro. Compatitemi...

Argentina. Avanti, avanti.

Ottavio. Il prezioso dono della vostra grazia mi può render felice. Conosco di non meritarlo... (fremendo) E siccome sono stato in amore sfortunatissimo... Eh, che cento donne mi corron dietro.

Argentina. Ma terminate di dire.

Ottavio. Così non sarà poca gloria per me, che vi degnate di soffrire la mia ignoranza... Non voglio dir altro.

Argentina. Almeno terminate il periodo.

Brighella. E la mia caricatura... (suggerendo)

Ottavio. Che cosa è questa caricatura? In me non vi è nè caricatura, nè viltà, nè ignoranza. Son chi sono, e non voglio recitar altro. (parte)

SCENA VIII.

Argentina, Flaminia e Brighella; poi Clarice.

Flaminia. Non te l’ho detto? (ad Argentina)

Argentina. Non importa. Andiamo alla scena seconda. Donna Aspasia, poi donna Lavinia.

Flaminia. Chi è questa donna Lavinia?

Argentina. Dite quel che vi tocca dire. Suggerite. (a Brighella)

Flaminia. Se tutti gli uomini mi si prostrassero a’ piedi, ancora non sarebbe bastantemente esaltato il mio merito. Che roba!

Clarice. Confesso anch’io che il vostro merito è singolare; ed io vengo cogli altri a tributarvi gli ossequi. (parla verso il popolo)

Argentina. Signora, queste parole le dovete dire a lei.

Clarice. A mia sorella?

Argentina. La parte dice così. [p. 290 modifica]

Clarice. Sarà il sentimento ironico.

Argentina. Prendetelo come volete.

Clarice. La sorte vi ha colmato di grazie. Siete una persona adorabile. (lo dice con ironia)

Flaminia. Gradisco l’espressioni sincere del vostro labbro.

Clarice. Sarei fortunata, se potessi servire una persona di si alto merito. (con ironia)

Flaminia. Se avrete per me del rispetto, averò per voi della compiacenza.

Clarice. Prego il cielo vi feliciti con uno sposo. (come sopra)

Flaminia. Ed io prego il cielo vi riduca in grado di meritarlo.

Clarice. In quanto a questo poi, lo merito più di voi.

Argentina. Questo nella parte non c’entra.

Clarice. Se non c’entra, ce lo metto io.

Florindo. Terminerò io la mia scena. Voi non avete prerogative per farvi amare Siete umile per soggezione, e il vostro animo altiero vi renderà sempre mai sprezzata e derisa. (Questo l’ho detto di gusto). (parte)

SCENA IX.

Argentina, Brighella, Clarice; poi Florindo.

Clarice. Dice così la sua parte?

Argentina. Sì signora, dice così.

Clarice. Chi è l’autore di questa commedia?

Argentina. Non lo so nemmeno io, signora.

Clarice. Se lo conoscessi, gli vorrei insegnare a scrivere un poco meglio.

Argentina. Tocca a lei, signor Florindo. (verso la scena)

Florindo. Eccomi qui. Madama, ecco un adoratore della vostra bellezza. (recita con isgarbo e caricatura)

Clarice. Voi mi adulate. So di non esserlo certamente. (si scuote fra se medesima)

Florindo. Permettetemi, che in segno di venerazione e di rispetto vi baci umilmente la mano. (Mi vengono i dolori colici). (da sè) [p. 291 modifica]

Clarice. Io non merito queste grazie. Non lo voglio assolutamente. (gli dà la mano)

Argentina. Oh bella! La parte dice che non volete, e poi gli date la mano.

Clarice. La parte è una scioccheria.

Florindo. Disponete di me. Comandatemi. Soffrirò per voi ogni pena, ogni tormento, e la morte istessa. (ride fra sè)

Clarice. Lo dite voi da dovvero?

Florindo. Sì, vi amo. Ma non mi lascierei nemmeno pungere un dito.

Argentina. Eh signori, la parte non dice così.

Florindo. Questi sono quei discorsetti, che fanno i comici sottovoce.

Argentina. Tiriamo innanzi la scena.

Clarice. Se voi aspirate a volermi, vi giuro che mi sottometterò a qualunque legge per compiacervi. Fuori che a quella di vivere da villana.

Florindo. Ah madama, i vostri begli occhi... il brio che spira dalle Vostre ciglia... il vezzo delle vostre purpuree labbra... Oime! mi sento languire... mi sento ardere... Uh! che diavolo di roba è questa? (fa uno sgarbo a Clarice)

Clarice. Siete pazzo?

Argentina. Tirate innanzi. (a Clarice)

Clarice. Voi siete adorabile. Siete il più gentile amante di questa terra. Il più dolce, il più amabile... il più asino che abbia veduto.

Florindo. Dice così la parte? (ad Argentina)

Argentina. Non signore. È una cosetta che vi ha messo del suo. Concludiamo la scena.

Florindo. Sì, concludiamola. Mia cara...

Clarice. Mio bene...

Florindo. «Voi siete del mio cuor donna e sovrana.

Clarice. «Siete di questo sen l’unico amore.

Florindo. «Ma vo’ far all’amore alla villana.

Clarice. «Ma vi mando, stramando; e v’ho nel cuore. (Clarice e Florindo partono) [p. 292 modifica]

SCENA X.

Argentina e Brighella.

Argentina. Questa chiusa vale un tesoro.

Brighella. Vedeu? Questo succede, quando le parte non son bene adattade alle persone che le deve rappresentar.

Argentina. Sì; ma questo non succederebbe, se i rappresentanti fossero comici, e fossero in un teatro, dove sogliono dir tutto ciò che viene loro assegnato.

Brighella. Anca i comici in teatro, se no i dis a forte la so intenzion, i la dis a pian; e se la parte no ghe gradisse, sotto vose i se sfoga.

Argentina. Ecco il padrone. Ora viene la nostra scena. Suggeritela bene, perchè questa mi preme assai.

Brighella. Za la finirà come ha finido le altre. (si ritira)

SCENA XI.

Pantalone e detti.

Argentina. Venga, signor Anselmo, che mi preme parlar con lei.

Pantalone. Son qui, la mia cara gioia. Parlate pure con libertà. (pronunzia male il toscano)

Argentina. Veramente considerando ch’io sono una povera serva...

Pantalone. Non abbiate soggezione per questo. Se il cielo vi ha fatto nascere serva, avete cera civile, e mi piacete più di una cittadina, di quelle che cercano i cicisbei cincinnati. Oh che fadiga!

Argentina. Facendomi coraggio la di lei bontà... dirò... affidata alla sua gentilezza...

Pantalone. Via.

Argentina. Pregandola sempre di perdonarmi...

Pantalone. Animo.

Argentina. Sicura ch’ella possa avere dell’amore per me...

Pantalone. Mo via, destrigheve.

Argentina. Questo destrigheve non c’entra. [p. 293 modifica]

Pantalone. Mo se me fe star zoso el fià.

Argentina. Dirò dunque, che la mia servitù...

Pantalone. Avanti.

Argentina. Principia ad essere amore.

Pantalone. A mi. Siccome il cielo mi concede la grada.... no, no digo ben, la grazia di potere ricompensare l’amorevole servitù di una fanciulla civile cinosura di questo ciglio. Così io son disposto, e pro... pro... proclive ad offerirvi la destra: non curando le ciarle dei sfaccendati, nè la cecità delli cianciatori... ci ci ciò ci ci ciò ci ci ciò... Son vostro, se volè, caro ben mio.

Argentina. Oh! questo non vi è nella parte.

Pantalone. Eh! se nol ghe xe, ghe lo metteremo.

Argentina. Tiriamo innanzi la scena.

Pantalone. Fazzo una fadiga da can.

Argentina. Voi dunque, signor Anselmo, non avreste difficoltà veruna di sposarmi.

Pantalone. No, cara fia, già ve l’ho detto.

Argentina. Ma prima di sposarmi, dovreste collocare le vostre figlie.

Pantalone. È vero. Approvo il consilgio di collocare le filgie, perchè vi è il perilgio di scompilgiare la mia familgia. Mo che diavolo de parole in il gio, in il gia, che me fa mastegar la lengua.

Argentina. Questa è una cosa che si potrebbe fare sul fatto.

Pantalone. Fazziamola, se pare a voi che si possa fare senza mettere le persone in orgasmo. Cossa diavolo voi dir orgasmo?

Argentina. Attendete un momento, che ora sono da voi.

Pantalone. Dove andate, bella fanciulla?

Argentina. Non mi dite bella, perchè mi fate arrossire.

Pantalone. Sì, sè bella, e sè le mie raise.

Argentina. E questo non vi è nella parte.

Pantalone. Ghe lo metto mi.

Argentina. Ora torno, signor Anselmo. (Bella cosa, che un matrimonio da scena si convertisse in un matrimonio da camera!) (da sè, e parte) [p. 294 modifica]

SCENA XII.

Pantalone e Brighella.

Pantalone. Custìa la xe molto furba. L’ha fatto sta scena col so perchè. Ma la l’ha mo fatta con tanta bona grazia, che la m’ha coppà.

Brighella. Sto soliloquio lo vorla dir? (a Pantalone)

Pantalone. Perchè no? provemose. Tegnime drio, se fallo.

Brighella. (Anca questo l’è un bel divertimento. Ma vedo dove ha da finir la scena per Arzentina). (da sè, e si ritira)

Pantalone. Cupido, se tu mi hai fatto una ferita nel cuore, tu puoi essere la medicina della mia cicatrice. È vero che l’è una serva, ma dice il poeta:

Ogni disuguaglianza amor uguaglia.

 Io son vecchio... e non troverei...

Brighella. Vecchio impotente... (suggerendo)

Pantalone. Quella parola no la voggio dir.

Brighella. La parte la dis cussì.

Pantalone. E mi no la voggio dir.

Brighella. El poeta se lamenterà.

Pantalone. El poeta nol sa i fatti mii; e da qua un anno el vederà che l’ha dito mal.

SCENA ULTIMA.

Argentina, Flaminia, Clarice, Ottavio, Florindo e detti.

Argentina. Grazie infinitissime a lor signori, se in grazia mia si contentano di terminare la commediola. Se sono disposti di dire l’ultima scena, può essere che questa dia loro maggior piacere. E benissimo concertata. Si assicurino, che so quel ch’io dico.

Ottavio. Atti di viltà non ne fo più certamente.

Florindo. Nè io di caricatura.

Flaminia. Caro signor Florindo, compatitemi, se nel terminare la scena vi ho trattato con poco garbo. [p. 295 modifica]

Florindo. Già lo sapete: io non me ne ho a male di niente.

Clarice. Questa, fra i vostri difetti, è una buonissima qualità.

Pantalone. (Sentì come che i parla franco toscan; e mi fazzo una fadiga del diavolo). (da sè)

Argentina. Caro Brighella, fateci il piacere di suggerire.

Brighella. Son qua: a sto poco de resto. (si ritira)

Argentina. Caro signor Anselmo, se veramente mi volete bene, non avrete difficoltà a svelare in pubblico l’affetto vostro.

Pantalone. Sì, filgia, lo dico alla presenza di queste dame. Dise dame? (verso Brighella)

Argentina. Sì, signore, dice così.

Pantalone. Za la xe una comedia. E alla presenza di questi cavalieri. Ah? (ad Argentina)

Argentina. La commedia dice così.

Ottavio. E fuori della comedia, rispetto a me si dovrebbe dire così.

Argentina. Finiamola, signor Anseldfmo, per carità...

Pantalone. E alla presenza di tutto il mondo, dico che a questa fanciulla, alla quale ho consacrato il mio cuore, volgio porgere in olocaustico la mia mano.

Ottavio. In olocausto vorrete dire.

Argentina. Ed io, benchè nata una serva, non ho viltà di ricusare la mia fortuna. Accetto il generoso dono del mio padrone, ed anch’io gli porgo la mano.

Clarice. Piano, signorina.

Argentina. Questo piano non vi è nella parte sua.

Clarice. Ma non vorrei che bel bello...

Flaminia. A voi che importa? Terminiamo la scena. A chi tocca parlare?

Argentina. Tocca a lei per l’appunto. (a Flaminia)

Flaminia. Cavaliere, poichè conosco che le nobili vostre mire sono uniformi all’altezza dei miei pensieri, credo che il cielo ci abbia fatti nascere l’uno per l’altro; e però fatemi il dono della vostra mano, che in ricompensa vi esibisco la mia. (ad Ottavio) [p. 296 modifica]

Ottavio. Eccola, mia principessa, mio nume.

Clarice. Adagio, signori miei.

Argentina. Anche questo adagio ve l’ha messo, che non vi è.

Clarice. Questa scena non mi piace punto.

Argentina. La finisca, signora; tocca a lei a parlare, (a Clarice)

Clarice. Sentiamo come conclude. Giovine prudente e saggio... A chi lo dico? (ad Argentina)

Argentina. Al signor Fiorindo.

Clarice. Giovine prudente e saggio, accordo ancor io che l’affettazione sia ridicola in ogni grado, ma se voi foste disposto a moderare il vostro costume, trovereste in me una sposa condiscendente.

Florindo. Tocca a me? (ad Argentina)

Argentina. Sì, a lei.

Florindo. La cosa si può dividere metà per uno. Discendete voi un gradino dalle vostre pretensioni, mi alzerò io un poco sopra le mie; ed avvicinandosi le nostre massime, si potrebbero unire le nostre mani.

Clarice. Sono pronta a porgervi colla mia destra...

Pantalone. Adasio, pian, patroni. Adesso mo tocca a mi a dirlo.

Argentina. Questo adagio, questo piano, non vi è nemmeno nella vostra parte. Lasciatemi terminar la commedia, che tocca a me. Signor Anselmo, voi mi avete data la mano: son vostra sposa; ad esempio vostro hanno fatto lo stesso quelle due dame coi loro amanti. Ecco, la commedia è finita. Voi non siete più Anselmo, ora siete il signor Pantalone. Un matrimonio che fatto avete con me per finzione, vi vergognereste di farlo con verità? Se mi avete sposata in toscano, mi discacciate voi in veneziano?

Pantalone. No, fia mia; anzi con tanto de cuor in tel mio lenguazo ve digo che ve voggio ben, e che ve dago la man e el cuor, no in olocaustico, nè in fontanella, ma un cuor tanto fatto, schietto, sincero, e tutto quanto per vu.

Argentina. Buono. Dunque fra voi e me siamo passati dal falso [p. 297 modifica] al vero, senza alcuna difficoltà. Perchè dunque non succederà lo stesso di quattro amanti, che come noi hanno figurato nella commedia?

Pantalone. Mo perchè lori...

Argentina. Tant’è, la commedia è finita. Abbiamo ad essere tutti eguali: o tre matrimoni, o nessuno.

Pantalone. O tre, o nissun? Cossa diseu, putti?

Flaminia. L’ultima scena della commedia mi ha persuaso.

Clarice. Ed a me sono piaciute le ultime parole del signor Florindo.

Florindo. Che volete ch’io dica? Maritarmi voglio sicuramente, e voglio vivere a modo mio; tutto quello ch’io posso fare, si è soffrir qualche cosa da una consorte che non è nata villana.

Ottavio. Ed io, trovando in vostra figlia i sentimenti d’una eroina, la preferisco a cento dame che mi sospirano.

Argentina. Ed io son certa, che il signor Pantalone confermerà le nozze del signor Anselmo, perchè la serva del signor Anselmo è la cara Argentina del signor Pantalone.

Pantalone. Sì; tutto quel che ti vol; farò tutto. Za che anca vualtri sè contenti, sposeve col nome del cielo; e ringraziè Arzentina, che a forza de barzellette, de bone grazie, col so spirito, col so brio, la s’ha contentà ela, la v’ha contentà vualtri, e poi esser che la me fazza contento anca mi.

Ottavio. Veramente Argentina è una Cameriera Brillante.

Argentina. Sì signori, io non mi picco di essere nè tanto virtuosa, nè tanto fiera; ma un poco di spirito l’ho ancor io per regolarmi nelle occasioni. Ho sposato un vecchio, e son certa che alcuni diranno che ho fatto bene, alcuni diranno che ho fatto male. Chi dirà: povera giovine! con un vecchio? È sagrificata. E chi dirà: bravissima. Un vecchio? la tratterà da regina. Alcuni diranno: non le mancherà il suo bisogno. Alcuni altri: poverina! digiunerà. Qualche ragazza mi condannerà, e qualchedun’altra averà di me invidia; e tante e tante, che hanno [p. 298 modifica] sposati dei giovinotti cattivi, si augurerebbono adesso di un vecchietto da bene.

Il ben del matrimonio dura tanto,

Quanto dura fra i sposi amore e pace.
Collo spirito e il brio fu sol mio vanto
Quel che giova ottener, non quel che piace:
Che vagliono assai più d’un parigino
I denari, i vestiti, il pane, il vino.

Fine della Commedia.


Note