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LA CAMERIERA BRILLANTE 289

Ottavio. È vero che la mia nobiltà è miserabile. (freme) Ma la tenerezza dell’amor mio compensa moltissimo la bassezza dei miei natali... Questi spropositi non li posso dire.

Flaminia. Se conoscete voi stesso, umiliatevi dunque, e domandatemi per pietà ch’io mi degni di aggradire l’affetto vostro. Compatitemi...

Argentina. Avanti, avanti.

Ottavio. Il prezioso dono della vostra grazia mi può render felice. Conosco di non meritarlo... (fremendo) E siccome sono stato in amore sfortunatissimo... Eh, che cento donne mi corron dietro.

Argentina. Ma terminate di dire.

Ottavio. Così non sarà poca gloria per me, che vi degnate di soffrire la mia ignoranza... Non voglio dir altro.

Argentina. Almeno terminate il periodo.

Brighella. E la mia caricatura... (suggerendo)

Ottavio. Che cosa è questa caricatura? In me non vi è nè caricatura, nè viltà, nè ignoranza. Son chi sono, e non voglio recitar altro. (parte)

SCENA VIII.

Argentina, Flaminia e Brighella; poi Clarice.

Flaminia. Non te l’ho detto? (ad Argentina)

Argentina. Non importa. Andiamo alla scena seconda. Donna Aspasia, poi donna Lavinia.

Flaminia. Chi è questa donna Lavinia?

Argentina. Dite quel che vi tocca dire. Suggerite. (a Brighella)

Flaminia. Se tutti gli uomini mi si prostrassero a’ piedi, ancora non sarebbe bastantemente esaltato il mio merito. Che roba!

Clarice. Confesso anch’io che il vostro merito è singolare; ed io vengo cogli altri a tributarvi gli ossequi. (parla verso il popolo)

Argentina. Signora, queste parole le dovete dire a lei.

Clarice. A mia sorella?

Argentina. La parte dice così.