La Zecca di Reggio Emilia/Capitolo I
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Capitolo I
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Origine della zecca reggiana. — Apertura nel 1233. — Il Vescovo Nicolò Maltraversi concede a Pietro Millemerci di batter moneta. — Gli operai della zecca. — I primi capitoli per la coniazione. — Periodo di chiusura della zecca. — Riapertura nel 1269. — Azzo di Este. — Provvedimenti contro la circolazione della moneta cattiva e falsa. — Coniazione di piccole monete nel 1325 e nel 1326. — Contratto tra il Comune ed Elia Anelli parmigiano.
L’origine della zecca di Reggio rimonta ad un’epoca comune a non poche altre zecche italiane; ma mentre si hanno documenti abbondanti sulla prima apertura di essa, non è noto a qual anno rimonti e a chi spetti il diploma in vigore del quale ebbe vita.
Nessun dubbio che il diploma ci sia stato e per concessione imperiale o regia. La diplomatica e la storia del diritto pubblico medioevale non ci lasciano in proposito alcuna incertezza.
Soltanto riavvicinando fatti e circostanze ben note nella storia reggiana e riscontri per analogia colla storia d’altre zecche italiane dello stesso periodo, non è fuori di luogo l’argomentare che il diploma sia stato concesso da Federico II, grande dispensatore di privilegi, invero poco all’unisono coi nuovi tempi, ma tendenti a quel fine politico che poi pienamente fallì al famoso imperatore.
Vediamo infatti che la zecca reggiana s’apre nel 1233 e che il concedente, almeno nella esteriorità ufficiale, è il vescovo: e precisamente quel Nicolò de’ Maltraversi, prelato caro a Federico che lo favorì di amplissimi privilegi, dei quali anche ci rimangono i testi e in un periodo in cui lo spirito pubblico in Reggio fu diretto da una gente aristocratica, fieramente ghibellina ed a Federico non meno del Vescovo bene accetta. Se Reggio avesse avuta la concessione di coniar moneta prima di Federico, non avrebbe certamente tralasciato di valersene, come di privilegio non solo onorifico, ma anche grandemente vantaggioso pel commercio locale, e cespite importante delle finanze comunali. L’averlo fatto soltanto nel 1233 è dunque grande indizio che il relativo privilegio fu di data di poco anteriore a quell’anno.
Ma ciò che v’ha di notevole nell’atto col quale il Vescovo di Reggio appaltava ad alcuni assuntori l’esercizio della zecca è che in effetto il Vescovo rappresenta una parte curiosa e invero tutta propria di un periodo storico di transizione quale fu quello della prima metà del secolo XIII, in cui il nuovo comune venne colle buone o colle cattive a liquidare tutti i diritti signorili che da Carlo Magno a Federico II erano stati concessi ai Vescovi. Citerò appena alcuni fatti ed alcune date che hanno un singolare significato a questo proposito. Nel 1186 il Comune di Reggio imprende l’escavazione di un navilio. Notisi che il diritto delle acque pubbliche, una regalia non meno importante di quella di battere moneta, spettava al Vescovo e non al Comune. Ma nel 1179 il Comune si era fatto donare dal Vescovo le acque del Tresinaro obbligandosi a dargli in corrispettivo la allodiale proprietà di certi molini. Insomma, come acutamente osservava il Desimoni a proposito di fatti analoghi avvenuti fra il Comune di Genova e quegli Arcivescovi, la donazione qui non è che una formola notarile, ma nasconde una vera e propria espropriazione per pubblico interesse. E gli ultimi diritti del Vescovo sulle acque pubbliche reggiane furono poi del tutto espropriati dal Comune di Reggio precisamente al Maltraversi e tre anni dopo l’apertura della zecca, cioè nel 1236, essendo podestà uno dei più caldi fautori della politica di Federico II, il marchese Delfino Pallavicino. I tempi correvano così e s’imponevano inconsciamente anche a chi pareva volesse sottomettere l’Italia dei liberi comuni ai concetti di politica autocratica del secondo Federico.
Ma nel contratto d’appalto della zecca l’espropriazione comunale si vela sotto formule contrattuali anche più sottili e delicate di quelle che abbiamo citate per il gius d’acque. Forse la data assai recente del privilegio non acconsentiva che si usassero procedimenti più solleciti e rudi che avrebbero potuto offendere lo stesso imperatore, autore del privilegio; forse il buon accordo che pare regnasse sempre nelle relazioni del vescovo Maltraversi gran signore e altamente rispettato, come ce lo descnve la penna vivace del contemporaneo Salimbene, col Comune, importò una forma più riguardosa e più delicata; forse tutte due queste condizioni di cose concorsero nello stesso effetto. Certo è che nel contratto d’appalto del 1233 il vescovo è il vero concedente e l’appaltatore da lui direttamente ripete la concessione. Allegato al contratto fra vescovo e appaltatore v’è un atto importante non meno per la storia della zecca reggiana ed in genere di tutte le comunali italiane dello stesso periodo storico, che per la storia del diritto pubblico; e in questo atto, che modestamente assume il carattere di una ratifica, noi vediamo il podestà del Comune di Reggio approvare e rendere quindi esecutivo l’appalto. Senza l’approvazione del podestà, vale a dire del Consiglio generale di cui il podestà nell’ordine economico e amministrativo era il sindaco e il rappresentante normale, l’appalto non avrebbe potuto avere effetto e l’atto relativo sarebbe rimasto nullo.
E così che ha la prima origine la zecca reggiana. Federico II, seguendo, in tutto ciò che tornava utile alle sue mire politiche, le tradizioni dei suoi predecessori, concede al vescovo, non agli erimanni, al Comune, il diritto di monetazione; ma il vescovo per far uso di tal diritto è costretto a transigere col Comune, e il Comune ratificando si sostituisce di fatto nelle ragioni del vescovo, cioè del concessionario meramente ufficiale.
Nè poteva tardare che il Comune facesse un passo più in là e tagliasse fuori del tutto il vescovo. E se duro poi l’antica impronta vescovile nelle monete, di cui dirò tra breve, anche nel tempo in cui il Comune coniò senza chiedere licenze ad alcuno, la ragione si ha da ricercare tutta nel credito, dirò così, della ditta, nella estimazione che la buona antica moneta reggiana godeva sui mercati.
Il primo documento sulla zecca di Reggio rimonta al 1233 ed è appunto relativo alla prima apertura, che ebbe luogo quindi nove anni prima di quella della vicina Modena2.
Il vescovo Nicolò Maltraversi, con atto del 14 agosto, concedeva a Pietro de’ Millemerci e ad alcuni suoi soci di fabbricare della moneta grossa e piccola reggiana: i concessionarii, dal canto loro, s’obbligavano di sborsare al Maltraversi cinque denari su ogni otto da coniarsi, dedotte prima tutte le spese per se stessi e per gli operai monetieri, tagliatori, saggiatori, imbiancatori, tonditori, affinatori, due inservienti e per tutti gli utensili necessarii alla battitura: gli altri tre denari su ogni otto sarebbero andati di diritto ad accrescere la mercede dei concessionarii.
Questi s’impegnavano inoltre a render ragione al vescovo, ogni tre mesi, dei guadagni e delle spese e di sottostare alla sorveglianza di due delegati del vescovo, i quali avrebbero verificato se la moneta fosse della bontà voluta e se niuno ne asportasse furtivamente. In caso di violazione dei patti, i locatarii avrebbero sborsato cento marchi3.
L’ingerenza del Comune nelle cose della zecca si rileva da un successivo atto 14 settembre dell’anno stesso, col quale si stabiliva che la nuova moneta fosse esaminata ed approvata, oltreché dai soprastanti delegati dal vescovo, anche da quelli del Comune: solamente dopo tale approvazione si potesse metterla in circolazione4.
Il Millemerci scelse tosto gli operai cui affidare il delicato ufficio della coniazione, nelle persone di Ottobono Benvogli, Giovanni Boncatino, Giovanni Bono de Statuii, Leonardo Gabbi, Ottolino Benvogli e Zuchai di Cremona, Giovanni Bello e Lanterolo Ulcemonti fratelli, chiamati calderarii de Panna, Giacomo di Desio, Ugo Aliario di Milano, Opizzo calderaro di Piacenza. Tra tutti questi operai e il Millemerci si stabilivano l’8 ottobre dello stesso 1233 i patti seguenti; gli operai promettevano:
1.° di coniare il meglio possibile la nuova moneta,
2. di evitare le frodi ed il falso nella moneta, di denunciare i falsificatori e di custodire le monete e sopratutto i punzoni (carbones),
3.° di non rimanere, nò allontanarsi dalla zecca per nessuna circostanza, senza la licenza del Millemerci e de’ suoi delegati,
4.° di accettare e di licenziare quegli operai che ai concessionarii della zecca piacesse,
5. di denunziare il nome di quelli che contravverrebbero ai patti stabiliti,
6.° di non eleggere alcun preposto o console o altro capo senza il consenso del Millemerci,
7.° di dare le più esatte informazioni sull’andamento della coniazione, se il Millemerci le avesse richieste,
8.° di tagliare la moneta secondo quanto era stabilito, cioè denariorum in unciam.
9.° di coniare nove onde di marco reggiano d’argento pel prezzo di otto regini et bolzonum scilicet.... pro pretio quatuor Reginorum,
10.° in compenso del loro lavoro gli operai avrebbero ricevuto otto denari reggiani per ogni marco di onde nove reggiane5.
Delle monete in argento dette grossi, battute in quest’epoca, conservansi più esemplari, in alcune collezioni d’Italia; più rare sono invece quelle in argento basso dette piccoli; delle quali tutte sarà data la descrizione in appendice.
Fino a quando i Reggiani continuassero a coniare tal moneta non è espressamente dichiarato.
Come accennai da principio, devesi al credito che la moneta reggiana godeva in ogni luogo, se per qualche tempo si seguitò, come sembra probabile, a batter moneta coll’impronta vescovile. Le varianti o almeno alcune di esse che conosconsi delle monete con tale impronta, appartengono probabilmente a successive coniazioni.
Di questo periodo però e di quello delle lunghe lotte ambiziose delle varie signorie succedutesi in Reggio fino ad Azzo d’Este nulla rilevasi da documenti e cronache relativamente alla zecca, oltre la notizia di una temporanea chiusura di essa, non è noto se breve o no, e della sua riapertura nel 1269 in casa di Gherardo Massi, come ricorda il Memoriale reggiano di quell’anno6.
Nel 1290 i Reggiani, nella speranza d’un avvenire più tranquillo e giovevole al buon andamento della cosa pubblica, inviavano un ambasciatore ad Azzo d’Este, signore di Ferrara, offrendogli il governo della città per un triennio. L’Estense tenne così la città fino alla morte successa poco dopo, lasciandola poscia al figlio Azzo.
Del periodo di Azzo d’Este (1293-1306) conservasi una moneta che sarà descritta a suo luogo, ma sulla cui coniazione mancano documenti. Per avere notizie sulla zecca reggiana occorre sorvolare sul breve periodo di libertà succeduto ad Azzo e delle altre vicende politiche fino al 1312.
A causa dell’invasione di monete cattive e false che avevano trovato modo di entrare in gran numero in circolazione, a scapito del commercio, gli Anziani nella seduta del 27 dicembre 1312, prendevano queste deliberazioni per porre argine all’inconveniente: che fosse riconosciuta per buona soltanto l’antica moneta cioè i bolognini, i reggiani e i modenesi grossi e piccoli; che le locazioni di tutti i dazii e le condanne pecuniarie s’intendessero eseguite con quella; che si potesse spendere il grosso veneziano del doge per venti bolognini o reggiani piccoli, il tornese di giusto peso per trent’otto, il carentano per tredici e mezzo, il tiralino crociato per dodici e il fiorino e le altre monete d’oro per quello che varrebbero a bolognini e a reggiani; che a cominciare dal 20 del prossimo giugno in avanti tutte le altre monete, oltre le sopradette, fossero soppresse dal corso della città e distretto di Reggio; che i cambiatori e i mercanti, fino al 20 giugno non potessero vendere o spendere il bolognino, il reggiano o il modenese per più di dieciasette mezzani e il veneto del doge per ventotto mezzani; che tutti quelli che dovessero ricevere qualche somma di denaro fino al 20 giugno, ricevessero in pagamento il bolognino, il grosso reggiano e bolognese per diciasette mezzani, il tornese per cinquantaquattro mezzani e il carentano per dicianove; finalmente che la antica moneta di Reggiani grossi e piccoli si dovesse fabbricare in Reggio, alla lega dei bolognini reggiani e modenesi secondo l’impronta della città di Reggio, e ciò dal mese di gennaio del prossimo anno 13137.
Documenti abbondanti si hanno sulla battitura del 1325. Nella seduta degli anziani del 20 settembre di quell’anno, molti oratori, riconosciuta la necessità nel commercio locale di mettere in corso nuove monete piccole, presentavano parecchie proposte per facilitare l’attuazione della cosa e salvaguardare il Comune e la cittadinanza nei propri interessi. Con centosettantacinque fave bianche favorevoli contro cinquantatre nere, fu approvato dal Consiglio in massima la cosa e si stabilì di eleggere alcuni che deliberassero tra loro e riferissero sul valore, sul corso e quantità da stabilirsi per la nuova moneta da coniarsi8.
I delegati presentarono le loro proposte nella seduta del penultimo dello stesso mese di settembre, e furono accettate a grandissima maggioranza. Fu quindi stabilito: che si dovesse fabbricare la nuova moneta piccola in ragione di venti denari piccoli per bolognino grosso e per altrettanto questo si spendesse e in proporzioni si spendessero tutte le altre monete grosse e piccole; che per la fabbricazione di detta nuova moneta si eleggessero octo sapientes de populo et artibus che s’impegnassero di farne fabbricare fino alla somma di quattromila lire di denari piccoli in ragione di venti denari di questi per bolognino grosso, e che scegliessero fabbricatori valenti, i saggiatori e gli addetti; che tosto fabbricata la nuova moneta, le contrattazioni si facessero con quella, intendendosi che una lira piccola di reggiani equivalesse a venti soldi di reggiani piccoli di tal moneta e una lira grossa fosse uguale a tre di reggiani piccoli di moneta piccola; finalmente che i dazi e le gabelle del Comune si riscuotessero in moneta piccola9.
La nuova battitura fu affidata ad Elia Anelli di Parma, che si assunse l’incarico, dietro ricompensa di dieciotto bolognini per ogni marco10.
L’anno dopo, per avvantaggiare il commercio cittadino che reclamava una certa quantità di moneta piccola, il capitano del popolo faceva la proposta di una nuova battitura, in consiglio degli Anziani. Dopo lunghe discussioni, prevalse il partito di coniare altre otto o diecimila lire di reggiani piccoli, dandone ancora l’incarico ad Elia Anelli ed a suo fratello Bertolino, colle stesse condizioni dell’anno precedente, limitando il termine della locazione ad otto mesi11. Sembra che l’Anelli si associasse nella locazione Iacopino Bellinzoni ricordatoci quale fabricator monete prò septengintis vigiliti duobus Marchis di detta moneta fabbricate ad rationem da cui et veto bottonenomili parvorum pro quolibet marcho12.
La battitura s’iniziò ed era già a buon punto, quando per diverse cause che arrestarono il lavoro e sopratutto per la carcerazione del fratello di Elia per fideiuxionem quam fecit prò Thomaxio de Anellis, allo scadere del termine la coniazione non era finita secondo i patti fìssati colla Comunità e l’Anelli fu costretto a chiedere una proroga di due mesi, che ottenne, per ultimare il lavoro13. Ma neanche al termine della nuova dilazione il lavori) era finito e il locatario domandava un’ultima proroga di un mese e mezzo, con un’istanza alla Comunità: dalla quale risulta ch’esso pure, non e noto per quali cause, era stato rinchiuso in carcere, ed infermo.
Gli Anziani, nella seduta del 15 maggio 1327, tenuto conto delle ragioni esposte, concedevano all’Anelli tutto il prossimo mese di giugno per dar termine alla battitura.
Durante le varie signorie che dopo questo tempo si succedettero per tutto il secolo XIV a Reggio, non si battè moneta in questa città. Nel frattempo vi era in corso la moneta milanese.
Note
- ↑ Per altri particolari sulla storia di Reggio, la sua zecca, le sue monete e gli artisti che vi furono addetti, si consultino le seguenti opere:
- Guido Panciroli, Storia di Reggio.
- Muratori, Annali d’Italia.
- Idem, Antichità estensi.
- Idem, Rerum italicarum scriptores. — Memoriale reggiano.
- Cronaca di Iacopino de Bianchi detto de’ Lancilotti (nei Monumenti di Storia Patria delle provincie modenesi. Serie delle cronache. Tomo I).
- Lino Chiesi, Reggio nell’Emilia sotto i Pontefici. Reggio, Tip. Calderini, 1892.
- Bellini Vincenzo, De monetis Italiae, etc. Ferrara, 1755-79, in-4. Tomo I, II, III e IV.
- Argelati Filippo, De monetis Italiae, etc. Milano, 1750-59. Vol. 6.
- Chalon Renier, Curiosités numismatiques (in Revue belge, Serie IV. Tomo III, tav. XI, 8 e 9).
- Cinagli Angelo, Le monete dei Papi descritte in tavole sinottiche. Fermo, 1848, in-fol.
- Duval et Froelich, Monnaies en or du cabinet de Vienne. Vienna, 1759, in-fol., pag. 310. Sappi. 96.
- Fioravanti Benedetto, Antiqui romanorum pontificum denarii. Roma, 1738, in-4. Tav. II (pag. 158), n. 12; tav. III (pag. 192), n. 19.
- Kunz Carlo, Il Museo Bottacin annesso alla civica Biblioteca e Museo di Padova (Periodico di numismatica e sfragistica. Voi. II, pag. 170 e 171, tav. VIII, 4 e 5).
- Promis Domenico, Monete di zecche, italiane inedite o corrette. Torino, 1871, in-4, pag- 55-57, tav. VII, 71 e 72.
- Rossi Umberto, La zecca di Reggio nell’Emilia sotto la dominazione pontificia (Gazzetta Numismatica, Anno I, n. 11, pag. 54 e 55).
- Toxiri Agostino, Monete di Ercole II Duca IV di Reggio Emilia (Bullettino di numismatica e sfragistica. Vol. II, pag. 324-326).
- Idem, Spigolature nel medagliere: Mantova, Reggio, Arezzo (Bull, di num. e sfrag. Vol. III, pag. 89 e 90).
- Trésor de numismatique et de glyptique. Paris, 1846, in-folio., tav. XXXV, n. 4 e 13.
- Armand Alfred, Le medailleurs italiens des quinzieme et seizieme siècles, 3 vol. Parigi, Plon e C, 1883.
- Heiss Aloiss, Les Médailleurs de la Renaissance. Parigi, 1881.
- Friedlaender Julius, Die italienischen Schaumünzen des fünfzehnten Jahrhunderts. Berlin, Weidmann, 1880, in-4, fig.
- Lotti Giuseppe Antonio, Raccolta delle monete d’oro, d’argento e di rame battute o spese nella città e negli stati di Modena. Modena, 1755.
- Idem, Provvigioni, Gride, Ordini e Decreti da osservarsi negli stati di S. A. Serenissima. Modena, 1755.
- Malaguzzi Valeri Francesco, Notizie di artisti reggiani. Reggio Emilia, Degani, 1892.
- Idem, I Parolari da Reggio e una medaglia di Pastorino da Siena. (nell’Archivio Storico dell’Arte, Anno V, fasc. 1. Roma, 1892).
- Balletti Andrea, Gasparo Scaruffi e la questione monetaria nel secolo XVI (negli Atti e Memorie della R. Deputaz. di Storia Patria per le Prov. Mod. Serie III, vol. I, parte II), ecc.
- ↑ Vedi Arsenio Crespellani, La Zecca di Modena. Modena, Tip. Vincenzi, 1884. — Modena ottenne la facoltà di batter moneta con diploma imperiale del giugno 1226.
- ↑ V. Documento I.
- ↑ V. Documento II.
- ↑ V. Documento III.
- ↑ Nel Rerum italicarum scriptores, vol. VIII, mcclxix. — Il Panciroli (Historia Regii, Lib. III), vorrebbe che le monete d’oro e d’argento si cominciassero a coniare in quest’epoca in casa del Massi col nome della repubblica, sostituitosi all’antica impronta vescovile. Pel fatto che non si conoscono esemplari di tali monete e per le ragioni sopra esposte che fanno ritenere che a Reggio si continuasse a batter moneta coll’impronta primitiva, credo inutile far rilevare di più la poca probabilità di tal fatto.
- ↑ V. Archivio di Stato di Reggio Emilia. Sezione Comunale. — Provvigioni dei Difensori.
- ↑ Arch. cit. — Provvigioni.
- ↑ Ibid.
- ↑ Arch. cit. — Masseria. 13 e 24 novembre 1325.
- ↑ V. le lunghissime deliberazioni nelle Provvigioni dell’Arch. cit. 1326, 13 luglio.
- ↑ Arch. cit. — Provvigioni. 1327, 20 maggio.
- ↑ Arch. cit. — Provvigioni. 1327, 12 marzo.