Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
176 | francesco malaguzzi valeri |
reggiana: i concessionarii, dal canto loro, s’obbligavano di sborsare al Maltraversi cinque denari su ogni otto da coniarsi, dedotte prima tutte le spese per se stessi e per gli operai monetieri, tagliatori, saggiatori, imbiancatori, tonditori, affinatori, due inservienti e per tutti gli utensili necessarii alla battitura: gli altri tre denari su ogni otto sarebbero andati di diritto ad accrescere la mercede dei concessionarii.
Questi s’impegnavano inoltre a render ragione al vescovo, ogni tre mesi, dei guadagni e delle spese e di sottostare alla sorveglianza di due delegati del vescovo, i quali avrebbero verificato se la moneta fosse della bontà voluta e se niuno ne asportasse furtivamente. In caso di violazione dei patti, i locatarii avrebbero sborsato cento marchi1.
L’ingerenza del Comune nelle cose della zecca si rileva da un successivo atto 14 settembre dell’anno stesso, col quale si stabiliva che la nuova moneta fosse esaminata ed approvata, oltreché dai soprastanti delegati dal vescovo, anche da quelli del Comune: solamente dopo tale approvazione si potesse metterla in circolazione2.
Il Millemerci scelse tosto gli operai cui affidare il delicato ufficio della coniazione, nelle persone di Ottobono Benvogli, Giovanni Boncatino, Giovanni Bono de Statuii, Leonardo Gabbi, Ottolino Benvogli e Zuchai di Cremona, Giovanni Bello e Lanterolo Ulcemonti fratelli, chiamati calderarii de Panna, Giacomo di Desio, Ugo Aliario di Milano, Opizzo calderaro di Piacenza. Tra tutti questi operai e il Millemerci si stabilivano l’8 ottobre dello stesso 1233 i patti seguenti; gli operai promettevano: