XXVI - Un duello all'americana

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CAPITOLO XXVI


Un duello all’americana


Lo scrivano, procedendo in punta dei piedi, raggiunse l’entrata, che era chiusa da una stuoia, attraverso i cui buchi filtravano raggi di luce rossastra.

All’esterno si udivano dei clamori assordanti. Canti di guerra, strilli di ragazzi, abbaiare di cani, rullare di tamburi e fischi.

Blunt sollevò dolcemente la stuoia: e gettò al di fuori un rapido sguardo. I dieci uomini della scorta stavano seduti sulle calcagna, intorno ad un falò, fumando e sorseggiando un liquore contenuto, entro un enorme vaso di terra. Pareva che si fossero dimenticati dei prigionieri, perchè nessuno vigilava dinanzi alla stuoia; pensavano soltanto ad ubriacarsi.

Sulla piazza, centinaia di guerrieri, di donne e di fanciulli, danzavano furiosamente attorno ai falò, mentre altri, sdraiati a terra, mangiavano e bevevano a crepapelle. Tutto il campo indiano era immerso nell’orgia.

Il momento non potrebbe essere più propizio, — mormorò lo scrivano. — Nessuno si occuperà di noi fino a domani mattina.

Ritornò rapidamente verso i compagni, che lo attendevano dietro la statua in preda ad una profonda ansietà.

— Siamo certi di non venire disturbati, — disse loro. — Gli indiani non pensano che a divertirsi.

— All’opera dunque, — rispose Harris.

— Sì, cerchiamo quel torrente, — disse Annie.

L’ingegnere prese il lumicino e precedette i compagni. Il fragore proveniva dai penetrali del tempio, verso l’enorme parete che formava il margine meridionale del Gran Cañon.

Procedendo cautamente ed in silenzio, i tre prigionieri giunsero dinanzi ad una galleria tenebrosa. I fragori uscivano appunto di là, e ai ripercuotevano con rombo sordo, sotto le vòlte.

— Il torrente scorre in fondo a quest’antro, — disse Harris, dopo aver ascoltato qualche istante.

In quel momento un buffo d’aria, che pareva provenisse dalla estremità opposta del tempio, fece oscillare vivamente la fiammella della lampada e per poco non la spense.

— Da dove è venuto questo soffio? — si chiese l’ingegnere, voltandosi vivamente.

— Che vi sia un’apertura? — domandò Blunt.

— Dietro di noi? [p. 188 modifica]

— Guardiamo le vòlte, ingegnere.

Harris alzò la lampada più che potè, ma non vide alcuna fessura. La roccia dovunque era compatta, anzi non presentava alcuna crepa.

Ad un tratto, un pensiero terribile lo fece impallidire.

— Che abbiano sollevata la stuoia per assicurarsi se noi siamo al nostro posto?

— Non ci mancherebbe altro, che dessero l’allarme in questa momento, — disse Blunt. — Aspettatemi qui; vado a vedere.

Ritornò rapidamente indietro, mentre Harris nascondeva la lampada in un cavo della parete e gettò uno sguardo fra le tenebre che s’addensa vano nel vastissimo tempio.

La stuoia era ancora abbassata e lasciava trapelare la luce del falò che ardeva dinanzi alla porta. Quel chiarore era però così tenue da non permettere a Blunt di distinguere un uomo se fosse entrato nel tempio.

Tese gli orecchi, trattenendo il respiro, e gli parve dapprima di aver udito un lieve stropiccìo, come se dei piedi nudi strisciassero sul pavimento; poi si persuase di essersi ingannato.

— La paura fa talvolta dei brutti Scherzi, — mormorò. — Gl’indiani non pensano affatto a noi, persuasi di tenerci nelle loro mani.

Raggiunse Annie e Harris che si tenevano per mano, come per incoraggiarsi a vicenda.

— Dunque? — chiese Harris.

— La stuoia è sempre calata, — rispose Blunt. — Non credo che qualcuno sia entrato. Provate ad alzare la lampada e vediamo se la fiammella oscilla ancora.

L’ingegnere la levò dai nascondiglio e la tenne per qualche istante a varie altezze, senza che la fiamma provasse alcuna vibrazione.

— Nulla, — disse.

— Allora andiamo innanzi, — disse Annie.

Harris si rimise in marcia, volgendosi di frequente indietro, come se temesse di essere seguito da un indiano della scorta. Quella improvvisa corrente d’aria che non era certo giunta da una fenditura delle massicce pareti, l’aveva impressionato, quantunque lo scrivano lo avesse assicurato di aver veduta la stuoia calata e di non aver scorto alcuno nel tempio.

Il fragore del torrente sotterraneo aumentava rapidamente. Le vòlte ripercuotevano il rombo che diventava sempre più sonoro.

Ad un tratto si arrestò dinanzi ad una larga fenditura, che tagliava in senso trasversale tutta la galleria. Da quel crepaccio tenebroso s’udiva l’acqua scorrere con violenza inaudita.

Ci siamo, — disse volgendosi verso Blunt ed Annie. — Avre[p. 189 modifica]mo noi il coraggio di affidarci a questa corrente, che scende dai nevai del Gran Cañon?

— E perchè no? — rispose risolutamente lo scrivano. — Morire in un modo o nell’altro, mi pare che non vi sia differenza alcuna. Anzi ci risparmieremo chissà quali atroci torture.

— E Annie? — chiese Harris, con angoscia.

— Ascoltatemi, signore. — disse Blunt con voce grave. — Voi avete detto che le donne bianche ben di rado vengono sottoposte alla tortura, è vero?

— Sì, preferiscono risparmiarle per darle ai più valorosi guerrieri.

— Ciò che non si farà subito, suppongo.

— No, hanno certe epoche destinate ai matrimonii.

— Signor Harris, quello che sto per dirvi vi riuscirà certo doloroso; tuttavia credo che non vi sia da esitare.

— Che cosa volete dire, Blunt? — chiese l’ingegnere.

— Osservate prima questo torrente — rispose lo scrivano.

— Spiegatevi.

— Dopo.

L’ingegnere abbassò la lampada; Blunt aveva notato che la sua mano tremava e che grosse gocce di sudore gl’imperlavano la fronte.

Una commozione violenta si era impadronita dell’ingegnere.

— Guardate se la fuga sarebbe possibile da questa parte, — disse Blunt. — Io vi propongo di giuocare una carta terribile, le cui conseguenze possono essere fatali. Vi è posto per tenere la testa fuori dell’acqua?

Harris si era sdraiato sul ventre, abbassando il lumicino più che poteva.

Un grido gli sfuggì.

— Sì, vi è posto. Il torrente ha forata la roccia e scorre libero.

— Dunque noi non annegheremo? — chiese lo scrivano.

— Qui no almeno, ma più lontano?... Quanto cammino percorrerà questo corso d’acqua prima di scaricarsi nel Colorado od in qualcuno dei suoi affluenti? Pensateci, Blunt.

— Io penso, signor Harris, che, rimanendo qui, domani ci attaccheranno al palo della tortura e prima di domani sera noi saremo scotennati.

— E volete concludere? — chiese l’ingegnere con ansietà.

— Che io per mio conto tenterò la sorte e cercherò di raggiungere il cliff dove spero di trovare ancora il colonnello.

— E se lo spazio, andando innanzi, ci mancasse?

Blunt non rispose: nei suoi sguardi però si leggeva una irrevocabile decisione. [p. 190 modifica]

— Se ci mancasse lo spazio? — ripetè Harris, lanciando uno sguardo disperato su Annie.

— Il nostro destino si trova nelle mani di Dio.

— E Annie?

— Rimanendo qui la salveremmo noi? Pensateci, signor Harris. Ci ucciderebbero egualmente e tutto sarebbe finito. Se possiamo salvarci e ritrovare Buffalo Bill, potremo ancora avere la speranza di liberare la vostra fidanzata.

— Voi tentate la morte, — disse Annie, con accento disperato.

— È vero, signora, — rispose Blunt, — eppure non ci rimane altra speranza che...

Si era bruscamente interrotto, guardando verso l’estremità della galleria. Gli era sembrato d’aver udito un mormorio sommesso provenire da quella parte.

Era ancora in ascolto, quando un urlo feroce squarciò le tenebre, e parecchie ombre umane si slanciarono nella galleria.

— Gl’indiani! — aveva gridato Blunt. — Giù, ingegnere!

Con un salto improvviso si era precipitato nella tenebrosa spaccatura, urtando Harris così violentemente che questi perdette l’equilibrio, cadendo a sua volta nell’abisso spalancato.

Si udirono due tonfi, seguiti da due grida, cui fece eco un urlo straziante mandato da Annie.

— Oh, mio Harris!

Sette od otto indiani si erano precipitati sulla fanciulla con rapidità fulminea, afferrandola nel momento in cui stava, ella pure, per gettarsi nel torrente sotterraneo e condividere così la sorte del suo fidanzato.

— Tu la pagherai per tutti! — urlò ferocemente uno dei guardiani, afferrandole i capelli con la sinistra ed impugnando il coltello nella destra.

L’aveva già atterrata e si preparava a scotennarla, quando i suoi compagni lo respinsero, dicendo:

— Spetta al sakem, e non a te.

All’estremità del tempio si udivano delle grida e delle imprecazioni. Pareva che altri indiani fossero entrati.

Ben presto alcune torce d’ocote illuminarono il sotterraneo e Victoria comparve, seguito dai suoi sotto-capi che sembravano furibondi.

— I prigionieri? — chiese il sakem con voce terribile.

— Fuggiti, — rispose il capo della scorta. — Si sono precipitati in questo torrente.

Una bestemmia sfuggì dalle labbra del sakem.

— Chi li ha sciolti? — domandò fissando su Annie uno sguardo feroce. [p. 191 modifica]

— Si sono slegati da sè — rispose Annie. — Hanno preferito la morte per mezzo dell’acqua, piuttosto che per mano vostra, crudeli selvaggi. Siate maledetti, e tu specialmente che hai rinnegata l’amicizia della Capigliatura Lunga!

Un singhiozzo le spense la voce e cadde in ginocchio, coprendosi il viso colle mani.

— Scotenniamola, e che la sua capigliatura vada ad ornare, questa notte stessa, l’arca del primo uomo, — disse un guerriero.

— No, al palo! al palo! — vociarono tutti gli altri, che erano quasi ubriachi.

Uno solo era rimasto silenzioso, l’Orso Valente.

— Al palo! — ripeterono i sotto-capi, allungando le mani verso Annie che singhiozzava.

L’Orso Valente con un salto si era gettato dinanzi, alla fanciulla col tomahawk alzato, gridando:

— Questa donna è mia! L’ho fatta prigioniera io e m’appartiene.

— Scotennala tu, dunque, — disse uno dei guerrieri. — Ecco il mio coltello.

Victoria che fino allora era rimasto silenzioso, intervenne:

— - Questa donna appartiene alla tribù, — disse — Che essa prenda il posto dei prigionieri e che la sua capigliatura serva di ornamento allo scudo dell’Orso Valente.

Annie, udendo quelle parole era scattata in piedi come una leonessa.

— Miserabile! — gridò. — Tu oseresti tanto? Tu far tormentare una donna! La figlia della Capigliatura Lunga!

— Tu appartieni alla razza che noi odiamo. Forse che i tuoi compatriotti rispettano le nostre donne? Forse che hanno compassione dei nostri figli? Che cosa ha fatto il colonnello Chivingston delle femmine dei Cheyennes e degli Apaches a Sand Creek? Noi non abbiamo dimenticato quel massacro in cui caddero Caldaia Nera e l’Antilope Bianca, che erano miei amici. Come i visi pallidi non hanno avuto vergogna a massacrare le donne ed i fanciulli di quelle disgraziate tribù, noi non dobbiamo aver ritegno a scotennare le donne dei visi pallidi1.

Orso Valente, tu avrai sul tuo scudo una superba capigliatura, ed il Grande Spirito il sangue e la carne di questa donna.

Ad un suo cenno due guerrieri legarono la disgraziata fanciulla, poi l’alzarono, portandola fuori del tempio. [p. 192 modifica]

Annie aveva mandato un grido d’orrore, che si era perduto fra le vociferazioni feroci dei sotto-capi.

La voce che i prigionieri erano fuggiti, si era sparsa rapidamente fra gl’indiani che gozzovigliavano e danzavano furiosamente sulla piazza, provocando uno scoppio d’ira spaventevole.

La notizia, però, che la figlia della Capigliatura Lunga era stata fermata in tempo, e che Victoria l’aveva condannata a sostituire i fuggiaschi ed a subire lo spaventevole supplizio del palo, aveva un po’ calmate le tigri dei deserti americani.

Vedendola apparire, sempre tenuta stretta dai due guerrieri, donne e fanciulli avevano interrotta l’orgia per precipitarsi contro di lei.

— Hug! Viva Victoria! — urlavano tutti. — Al palo la figlia della Capigliatura Lunga! Ha fatto fuggire i suoi compagni!

Centinaia di mani s’alzavano minacciose, stringendo, tomahawk coltelli, archi e carabine.

Annie aveva alzata fieramente la sua bella testa e guardava con profondo disprezzo quell’orda urlante, gridando:

— Vili, che assassinate una donna senza difesa!

Aveva ritrovata tutta la sua suprema energia e, convinta ormai che Harris non fosse più vivo, e rassegnata alla propria sorte, voleva mostrarci coraggiosa.

D’altronde, non era la prima fanciulla delle frontiere che faceva meravigliare gli uomini rossi con la sua audacia.

Victoria, temendo dei guerrieri, diventati irragionevoli e crudelissimi per le bevande forti che avevano ingoiate, aveva fatto raddoppiare la scorta, perchè non trucidassero la fanciulla prima che giungesse al palo.

Annie si lasciava trascinare senza opporre resistenza. Quando però si trovò dinanzi al palo della tortura, che era dipinto in rosso e sormontato da un cranio di bisonte, ebbe un momento di ribellione e di terrore:

— No! No! — gridò, cercando di svincolarsi. — Uccidetemi con un colpo di tomahawk piuttosto! L’Orso Valente avrà egualmente la mia capigliatura.

Victoria, a cui forse rincresceva mostrarsi feroce, si strappò dalla cintura la scure di guerra e fece l’atto di slanciarsi contro di lei, quando una voce imperiosa lo trattenne:

— Che cosa succede qui? Dov’è mio padre?

Le file degl’indiani si erano bruscamente aperte per lasciare il passo ad un drappello di cavalieri che giungeva a briglia sciolta, urlando: — Largo! Largo!

Quel gruppo era preceduto da una bellissima giovane che mon[p. 193 modifica]tava un cavallo bianco come la neve, con la sella adorna di pendagli d’argento e la lunga criniera intrecciata con nastri variopinti.

Era una fanciulla indiana, di età non superiore ad Annie, con la pelle d’un leggero color di rame, i lineamenti graziosi ed insieme energici, con grandi occhi neri e sfavillanti e la capigliatura, pure nerissima, sciolta sulle spalle semi— nude e adorna di monete d’argento.

Indossava uno di quegli splendidi scialli fatti con pelo di montone selvatico, che si pagano perfino cento cavalli, la cui filatura richiede anche due anni di lavoro, e una sottana cortissima di stoffa rossa con frange lunghe e mocassini ricamati. A bandoliera portava un rifle dalla carina arabescata e col calcio laminato d’argento.

— Il Girasole della Prateria! — avevano esclamato gl’indiani, facendole rapidamente largo.

— Mia figlia! — aveva esclamato, Victorià, abbassando la scure.

Annie aveva mandato un grido:

— Le-es-ka!

La giovane indiana aveva fermato il suo splendido cavallo bianco a pochi passi dal palo della tortura ed aveva fissati i suoi grandi occhi su Annie:

— La Capigliatura d’Oro! — esclamò.

— Mi riconosci Le-es-ka? — chiese Annie, cercando di liberarsi dalla stretta dei guerrieri.

— Sì, — rispose l’indiana. — Tu sei la figlia della Capigliatura Lunga.

— I tuoi compatriotti si preparano a uccidermi! Le-es-ka, tu non Io permetterai!

Il Girasole della Prateria discese dal mustano, senza bisogno di nessun aiuto e s’avanzò verso Victoria che pareva tutt’altro che contento dell’arrivo improvviso della giovane e ormai famosa guerriera, orgoglio di tutta la tribù.

— Come ti trovi qui? — chiese il sakem con un tono di voce in cui si sentiva vibrare dell’ansietà.

— La nostra missione è finita, padre, — rispose l’indiana. — Tutto l’alto Cañon è stato sbarazzato dai visi pallidi e le truppe del Gran Padre bianco sono dovunque in ritirata. Sono venuta a prendere parte alla festa del sole coi miei guerrieri.

Un lampo di soddisfazione brillò negli occhi del guerriero.

— Sei degna di me, — disse poi. — Ora assisterai al supplizio della Capigliatura d’Oro.

— E tu, donna al pari di me, lo permetterai, Le-es-ka? — gridò Annie. — Sei anche tu una tigre che rinnega le amicizie?

Il Girasole della Prateria guardò Annie, ma il suo viso non tradì alcuna emozione. [p. 194 modifica]

— Sei vile anche tu, Le-es-ka, — disse Annie. — Ti credevo valorosa, mentre non sei che malvagia.

L’indiana aveva corrugata la fronte, mentre Victoria, furente per quell’ingiuria scagliata contro sua figlia, aveva rialzata la scure da guerra per spaccare il cranio alla prigioniera.

Già stava per vibrare il colpo mortale, quando la giovane guerriera con un gesto lo trattenne:

— Io ti mostrerò, Capigliatura d’Oro, che sono degna del, titolo accordatomi di sakem della tribù, se accetterai quanto ti propongo. So che le donne dal volto pallido delle frontiere usano combattere a fianco dei loro uomini. Vuoi misurarti con me? O tu avrai la mia capigliatura od io avrò la tua.

— La capigliatura di questa donna m’appartiene, — disse l’Orso Valente, facendosi innanzi. — Il gran sakem me l’ha promessa.

— Ne avrai un’altra, — rispose il Girasole.

S’avvicinò al suo cavallo e staccò dalla sella una capigliatura quasi bionda, macchiata di sangue, che pareva fosse stata strappata di recente, e la gettò al guerriero, dicendogli:

— Prendi: ornerai il tuo scudo. Ed ora, fanciulla, a noi due, se non hai paura.

— Sono pronta a misurarmi con te, — disse Annie. — Mi sia data la mia carabina e si fissino le condizioni della lotta. Le fanciulle della frontiera non hanno paura.

— Domani all’alba, nella foresta che circonda il nostro atepetl, noi ci cercheremo e ci faremo fuoco addosso. È così che si battono le donne del tuo paese, è vero?

— Sì, — rispose Annie.

— Bada che il Girasole della Prateria non ti risparmierà. Domani la tua bella capigliatura ornerà la sella del mio mustano. — Poi volgendosi verso Victoria, che la guardava un po’ commosso:

— Hai nulla da dire, padre? — gli chiese.

— Che sei l’orgoglio delle donne della nostra tribù, — rispose il gran sakem con voce grave.

· · · · · · · · · · ·

Il sole non era ancor sorto dietro le alte montagne che fiancheggiano il Gran Cañon, e Annie ed il Girasole della Prateria si trovavano già nella foresta che circondava l’atepetl degli Apaches, estendosi dalla gigantesca muraglia granitica sino alle rive del Rio Colorado.

Victoria, con una piccola scorta, aveva condotte le due avversarie nella boscaglia, collocandole ad una distanza di mille passi l’una dall’altra, nei luoghi più folti, mentre l’Orso Valente con duecento cavalieri aveva circondata la macchia, perchè Annie non approfittasse della temporanea libertà per mettersi in salvo. [p. 195 modifica]

Le due fanciulle erano armate entrambe di carabina e di coltello, e ad ognuna di esse erano state assegnate tre sole cartucce.

— Sei libera, — disse il gran sakem, nel lasciare Annie. — Ti avverto però che noi sorveglieremo i margini della foresta, e che se tenterai la fuga non sfuggirai alle torture del palo. Il Girasole si è imboscato: cercalo.

Rimasta sola, la valorosa figlia delle frontiere, si era gettata in mezzo ad un ammasso di cespugli, avanzandosi lentamente verso il centro della foresta.

In possesso della sua carabina non aveva più paura. Allevata sulle frontiere, in quei paesi dove i pionieri sono costretti a lottare incessantemente contro gl’indiani, e dove tutti i fanciulli e le fanciulle sono costretti a prendere parte a crudeli guerriglie, Annie possedeva oltre ad un’energia straordinaria, un coraggio a tutta prova.

Sapeva di aver dinanzi un’avversaria formidabile, che i più vecchi e famosi guerrieri Apaches ammiravano per la sua straordinaria audacia, e che emulava le gesta del padre, combattendo alla testa delle sue bande; pure non disperava di uscire vittoriosa in quello strano e pericolosissimo duello, che richiedeva, per vero dire, più astuzia che valore.

Si trattava di sorprendere l’avversaria e di farle fuoco addosso prima che avesse il tempo di accorgersene.

Annie, risoluta a tutto, poichè si trattava di sfuggire all’orribile supplizio del palo, soffocato in fondo al cuore il ricordo di Harris, si mise subito in cerca della rivale, procedendo cautamente, cogli occhi in guardia, gli orecchi tesi ed il dito sul grilletto della carabina.

Nella foresta non si udiva alcun rumore: gl’indiani si erano già ritirati verso i suoi margini. In lontananza si sentiva il Colorado muggire cupamente in fondo al gigantesco abisso.

Annie s’avanzava sempre, temendo che la astutissima figlia del sakem stesse girando attorno alla selva per coglierla alle spalle. Quel timore, che invano cercava di scacciare, la metteva in orgasmo; il lieve fruscio delle foglie che si staccavano dalle piante e le grida degli uccelli nel cielo la facevano trasalire.

Si può esser audaci, aver coraggio da vendere, eppure questi duelli inventati dagli americani, al pari di quelli che s’impegnano in una stanza oscura, provocano sensazioni spaventevoli e angoscie inenarrabili. Si può lottare, senza fremere, coll’avversario che sta di fronte, in piena luce, dinanzi agli occhi, ma il duello d’imboscata, ideato da quegli spiriti bizzarri, incute a tutti un vero terrore, al quale nessuno sa sottrarsi.

Annie, per quanto risoluta, a vendere cara la vita, e pur avendo piena confidenza nella sua carabina, che sapeva adoperare con sicurezza, non riusciva a vincere quell’impressione paurosa. Ad ogni [p. 196 modifica]passo, le pareva di udire una detonazione improvvisa e di sentirsi penetrare nelle carni un proiettile.

Si era fermata in mezzo ad una folta macchia di nocciuoli selvatici, aguzzando gli orecchi e guardandosi intorno.

Un uccello, nascosto in mezzo alle fronde, mandava il suo grido lamentevole. Tutto all’intorno era silenzio profondo.»

Solo il Colorado, in lontananza, muggiva sempre, destando gli echi del Vallone.

— Dove sarà il Girasole? — si chiese con angoscia la povera fanciulla.

Ad un tratto trasalì. Dinanzi a sè, ad una distanza di tre o quattrocento passi, aveva udito un lieve scricchiolio.

Era un daino che cercava di aprirsi un passaggio o l’indiana che s’avanzava? Rimase immobile, trattenendo il respiro. Il cuore le batteva forte nel petto.

L’uccello, nascosto tra le foglie, non cantava più.

Attese qualche istante, poi una forma umana comparve sul margine d’un gruppo di piante del romice. La riconobbe: era il Girasole della Prateria, che la cercava.

Alzò risolutamente la carabina, passando la canna fra due rami.

— La mia vita vale la sua, — mormorò, con energia.

La figlia del gran sakem si era alzata e si presentava di fronte. I! suo sguardo nero pareva volesse forare le masse di verzura. Cercava la sua avversaria per cacciarle una palla nel petto e poi scotennarla.

Annie non esitò più. Coricata in mezzo ai cespugli, mirava attentamente.

— Non la ucciderò, — mormorò poi. — Mostrerò a questi selvaggi la generosità delle donne dalla faccia pallida!

Una detonazione rimbombò sotto le volte di verzura, facendo fuggire una banda di lossie scarlatte che cinguettava in mezzo alle fronde d’un acero nero.

Le-es-ka aveva fatto un salto di fianco, poi s’era lasciata cadere, mandando un urlo selvaggio. Si rizzò però subito con uno scatto da belva e, vedendo una nuvoletta di fumo ondeggiare sopra i cespugli in mezzo ai quali si teneva celata la Capigliatura d’Oro, sparò uno dietro l’altro due colpi di carabina, poi tornò a cadere.

Annie si era slanciata fuori del nascondiglio, e s’avanzava rapidamente verso l’indiana, col rifle carico.

Il Girasole della Prateria giaceva in mezzo ad un cespo di cactus, col petto coperto di sangue.

Scorgendo la Capigliatura d’Oro, tentò di rialzarsi e di riafferrare la carabina, ma le forze la tradirono.

— Prenditi la mia capigliatura, — disse, con un sangue freddo terribile. — È tua! [p. 197 modifica]

Annie si levò il coltello che portava alla cintura e lo gettò lungi da sè, dicendo:

— Le donne dalla pelle bianca non tradiscono l’amicizia, Lees-ka. Lasciami vedere la tua ferita: io ti curerò.

Il lampo cupo è feroce che brillava negli occhi della giovane guerriera si era improvvisamente spento.

— Tu sei troppo generosa, — le disse.

11 galoppo di parecchi cavalli si fece udire in quel momento e Victoria, seguito dai suoi sotto-capi, comparve.

Vedendo Annie in piedi e sua figlia a terra, aveva mandato un urlo selvaggio.

— Che il Grande Spirito ti maledica, figlia dei visi pallidi! — esclamò.

Le-es-ka si era rizzata sulle ginocchia.

— Padre, — disse — la figlia della Capigliatura Lunga mi ha risparmiata l’onta suprema di andarmene nel paradiso del Grande Spirito senza la mia chioma.

Una rapida commozione aveva alterato il viso del terribile guerriero. Guardò per alcuni istanti Annie, con stupore e forse con riconoscenza, poi se curvò sulla giovane indiana esaminando la ferita.

Dalla spalla destra, un po’ sopra la mammella, il sangue usciva a fiotti, macchiando la splendida mantiglia di pelle di montone.

— Il Grande Spirito ha vegliato su mia figlia, — disse. — La ferita non è mortale.

Poi, volgendosi verso i sotto-capi, aggiunse con voce solenne:

— Che lo Spirito del male mi strappi il cuore: che Wakondah mi neghi la caccia nelle praterie celesti e mi faccia morire di fame e che gli avvoltoi del Gran Cañon divorino il mio carcame, se io rinnegherò la mia promessa. Da questo momento io adotto la Capigliatura d’Oro e guai a chi la tocca.

Hug! Ha detto il gran sakem Victoria!

Note

  1. Tre anni prima, il colonnello americano Chivingston, comandante del terzo reggimento dei volontari del Colorado, sorpreso un campo di cinquecento indiani, per la maggior parte composto di donne e fanciulli Cheyennes e Arapaches, lo aveva completamente distrutto senza risparmiare nessuno, nemmeno i lattanti. E’ a quel fatto che alludeva Victoria.