La Sovrana del Campo d'Oro/XXVII

XXVII - Il torrente sotterraneo

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CAPITOLO XXVII


Il torrente sotterraneo


Mentre la Capigliatura d’Oro, grazie alla sua straordinaria audacia, salvava la propria vita, Harris e Blunt, precipitati quasi contemporaneamente nel torrente sotterraneo, lottavano disperatamente per cercare un passaggio che permettesse loro di riacquistare la libertà.

Avevano udito il grido della fanciulla, poi si erano sentiti trascinare via con velocità vertiginosa dalle acque, che scendevano dai fianchi del Gran Cañon, trasportati fra un’oscurità perfetta. [p. 198 modifica]

Quell’acqua, proveniente dai nevai, era così fredda, che non poterono trattenere un grido, che si perdette sotto le tenebrose volte del cariale sotterraneo.

Pareva che fosse ghiaccio appena disciolto.

— Blunt! — aveva urlato l’ingegnere. — Mi sento gelare il cuore!

— Nuotate, signore, — aveva risposto lo scrivano, che si dibatteva disperatamente.

Poi furono entrambi travolti. Il torrente fuggiva con fragore sempre crescente attraverso la galleria che le sue sabbie, dopo un lavorìo di secoli, si erano aperta.

Dove venivano trascinati? Non potevano certo saperlo. D’altronde non riuscivano a formulare un pensiero, intenti unicamente a tenersi a galla a furia di bracciate e di colpi di tallone.

Un rombo spaventevole, che aumentava d^intensità, li assordava, impedendo loro nel medesimo tempo di potersi intendere.

Talora si urtavano, poi la corrente li separava, cacciandoli ora sopra, ora sotto la superficie dell’acqua, nonostante i loro sforzi disperati, e costringendoli a bere in abbondanza.

Fortunatamente, quel tunnel era abbastanza vasto per permettere loro di respirare. Vi era però il pericolo che da un istante all’altro si restringesse, ed era appunto questo timore che angosciava i due disgraziati, i quali s’aspettavano di fracassarsi il cranio contro le volte.

Di quando in quando Blunt, che stava dinanzi, mandava un grido per assicurarsi che l’ingegnere lo seguisse sempre, grido che si spegneva in un rantolo, poichè la corrente, come abbiamo detto, nella sua corsa precipitosa li travolgeva, sommergendoli.

Ad un tratto, dopo aver percorso un lungo tratto, l’acqua divenne quasi improvvisamente calma e il rombo che li intontiva cessò bruscamente.

— Signor Harris! — gridò Blunt, che nuotava vigorosamente.

— Sono presso di voi, — rispose l’ingegnere.

— Che cosa è successo? Dove ci ha scaraventati quel maledetto torrente? Siamo in acque calme.

La sua voce si ripercuoteva sonora, come sè sopra di lui si trovasse un vuoto immenso.

— Mi pare che ci troviamo in un bacino sotterraneo, — rispose Harris, dopo aver alzate le braccia senza riuscire a toccare la volta.

— Sembra anche a me, ingegnere. Potete accostarvi?

— Sto raggiungendovi.

— Che abbia uno sbocco questo bacino o saremo condannati a morire qui dentro? Sarebbe impossibile rimontare il torrente fino al tempio. E miss Annie? Che cosa sarà avvenuto di lei?

— È nelle mani degl’indiani. Ho udito il suo grido. [p. 199 modifica]

— Io tremo per lei.

— Non inquietatevi, Blunt. Preferisco che sia là piuttosto che qui.

— Se l’uccidessero?

— Non spaventatemi, Blunt, — disse Harris con un sorriso. — Victoria non oserà tanto, almeno lo spero.

— Ma dove andiamo noi? Potessi avere gli occhi d’un gatto.

— Tacete un momento, Blunt, e rimanete fermo. Mi pare di udire un lontano mormorio dinanzi a noi.

Si arrestarono, agitando lentamente le mani per mantenersi a galla, e si posero in ascolto.

Dietro di loro udivano il torrente muggire sotto le tenebrose volte del passaggio sotterraneo, dinanzi invece si sentiva un dolce mormorìo appena distinto.

— L’acqua esce, — disse l’ingegnere. — Vi è uno sbocco in qualche luogo.

— Cerchiamolo, signor Harris. Non so che cosa darei per trovarmi all’aperto. Potremo giungere al Colorado?

— Lo spero.

— E se questo torrente non avesse un vero sbocco?

L’ingegnere non rispose. Si era però sentito rizzare i capelli sul capo, e stringere il cuore da un’angoscia inesprimibile.

— Rispondete, signor Harris, — disse lo scrivano, spaventate da quel silenzio che non gli pareva di buon augurio.

— Noa scoraggiamoci, Blunt, e confidiamo nella nostra fortuna.

— Vorrei sapere se tutti i torrenti che scendono dal Gran Cañon finiscono nel Colorado. Voi, che avete soggiornato lungamente in questo baratro, dovreste potermi rispondere.

— Quasi tutti.

— E quelli che non sboccano? — insistette lo scrivano.

— Si perdono nel sottosuolo.

— Ecco una risposta che m’inquieta.

— Non allarmatevi, Blunt, — disse Harris. — Quel mormorìo che udiamo non è di pessimo augurio. Se l’acqua scorre vuol dire che il torrente non finisce qui. La udite sempre?

— Sì.

— Cerchiamo di raggiungere quello sbocco.

Poichè i fragori provenienti dal tunnel, che avevano percorso poco prima, non permettevano di udire sempre il mortorio delle acque, ed essendo l’oscurità così intensa, da non poter scorgere assolutamente rulla, si abbandonarono alla corrente, rovesciandosi sul dorso.

L’acqua scendeva lentamente, segno evidente che il fondo di quella caverna aveva un lieve pendìo. [p. 200 modifica]

Dopo cinque minuti Blunt urtò colle gambe contro un ostacolo, probabilmente una parete o una sporgenza, e si sentì trascinare con maggior velocità.

— Signor Harris, — grido, — dobbiamo aver raggiunto lo sbocco.

— Pare anche a me, — rispose l’ingegnere, che nell’allargare le braccia aveva incontrata la roccia.

— E anche qui l’acqua ci lascia spazio sufficiente. Non riesco a toccare la volta.

— Buon segno.

— Ci lasciamo andare?

— È il partito migliore.

La corrente era diventata più forte, non però rapida come quella che li aveva trascinati sotto il tunnel.

I fuggitivi, sempre rovesciati sul dorso, si lasciavano trascinare tenendo le braccia ben allargate per non urtare contro le pareti.

Dopo una diecina di minuti cominciarono a udire un rombo lontano, che si propagava sotto quelle volte sempre oscurissime.

— Udite, signor Harris? — chiese Blunt, che pel primo se ne era accorto.

— Sì, — rispose l’ingegnere.

— Che cosa sarà?

— Forse un salto d’acqua.

— Che questo torrente si scarichi nel Colorado da una certa altezza?

— Lo suppongo.

— Diavolo!

— Avete paura?

— Se ci scaraventasse sulle rocce?

— Volete spaventarmi continuamente, Blunt?

— Ci tengo a che la mia pelle non si guasti troppo. Oh!

— Che cosa c’è ancora?

— Vedo in distanza un barlume di luce.

— E’ lo sbocco!

— Che vi sia il Colorado laggiù?

— Mi pare di udire un lontano muggito.

— Signor Harris, la corrente accelera.

— Non lasciatevi più trascinare.

— E’ impossibile! Vengo travolto!

Il torrente che fino allora era scorso piuttosto dolcemente, era diventato ad un tratto rapidissimo, mentre il fragore aumentava.

Ci doveva essere una cascata all’estremità del tunnel, ed i disgraziati fuggiaschi si sentivano impotenti a sfuggirla.

Invano nuotavano all’indietro e cercavano di aggrapparsi alle [p. 201 modifica]pareti di quel condotto, aperto fra le rocce dalle sabbie perforanti del Gran Cañon.

— Signor Harris! — aveva gridato Blunt. — Stiamo per venire sfracellati?

— Siamo nelle mani di Dio, — aveva risposto l’ingegnere.

Passarono con velocità fulminea sotto le ultime volte, fra ondate di spuma, poi si sentirono scaraventati nel vuoto fra un fracasso assordante.

Quando Harris, che aveva battuto il capo contro una roccia, tornò in sè, sì trovò sdraiato sotto un albero fronzuto, che bagnava le sue radici in un fiume larghissimo ed impetuoso, dalle acque rossastre.

Blunt, tutto inzuppato, con la giacca stracciata in venti punti, gli stava curvo sopra, stropicciandogli energicamente il petto.

L’alba non era ancora sorta, però in cielo risplendeva purissima la luna, specchiandosi nel fiume.

— Ebbene, signore, come va? — chiese lo scrivano con voce giuliva. — Stavo per recarmi in cerca d’un medico, ammesso che ne esista uno in fondo a questo abisso.

— Chi mi ha trasportato qui? — chiese l’ingegnere.

— Io, signore, ed è stato un vero miracolo che mi trovassi presso di voi nel momento in cui la cascata ci travolgeva. Non so se sareste ancora nel numero dei viventi.

— Come abbiamo fatto a salvare le nostre teste?

— E’ un mistero che non cerco di spiegare, signore. So che siamo ancora in ottimo stato, e pel momento non dobbiamo chiedere di più. Vi pare?

— Vi erano delle rocce sotto la cascata?

— Ne ho vedute alcune, e vi assicuro che mi parvero anche molto più dure del nostro cranio.

— Vi devo la vita, Blunt.

— A buon mercato. Quello che mi rincresce è che noi, signor Harris, ci troviamo ancora sul territorio degli Apaches, e senza nemmeno un misero coltello per difenderci. Che cosa potremo fare?

— Evitare gl’indiani.

— Sarà possibile? Quei furfanti hanno un certo olfatto da far invidia anche ai cani.

— Ne avete veduto qualcuno?..

— No, finora.

— Allora pel momento non corriamo alcun pericolo.

— Vorrei andarmene assai lontano, signor Harris. Io ne ho abbastanza di questo maledetto abisso, dove si cuoce come uova, e ci corte il pericolo di perdere la capigliatura. Ah! Sangue di bove! E miss Annie? La lasceremo nelle mani di quei briganti? [p. 202 modifica]

— Nulla potremo fare per ora, mio bravo amico, — disse Harris, con un profondo sospiro.

— Ritenete proprio che quella valorosa fanciulla non corra alcun pericolo? Se gl’indiani la legassero al palo in vece nostra!

L’ingegnere a quelle parole era diventato spaventosamente pallido.

— No, Victoria, non oserebbe tanto, — disse poi. — Martirizzare quella fanciulla! Non lo crederò mai, Blunt.

— Che cosa dobbiamo fare, dunque?

— Cercare Buffalo Bill. Senza il suo aiuto noi non tarderemmo a ricadere nelle mani degli Apaches, e non ne usciremmo più vivi.

— Che si trovi ancora nel cliff?

— È ciò di cui noi, prima di tutto, dovremo accertarci.

— Che ci abbia abbandonati al nostro destino?

— Lui! — esclamò Harris. — Oh, mai!

— Potremo risalire il Gran Cañon?

— Questo abisso ha un gran numero di sentieri che conducono sui suoi margini.

— Se potessimo trovare quello da cui siamo scesi e che passa accanto al cliff!

— Non dispero di scoprirlo, — rispose Harris. — Ma saremo costretti ad attraversare la foresta degli Apaches.

— Aspetteremo la notte, signore.

— E faremo anzi bene a cercarci un nascondiglio.

— E possibilmente anche la colazione, — disse Blunt. — Non so se sia stato quel bagno o l’emozione, ma mi sento addosso una tale fame che mangerei una lingua intera di bisonte. Potete reggervi?

— Mi pare che le gambe siano in buono stato.

— Allora cacciamoci nel folto della foresta, ingegnere. Mi spiacerebbe se venissimo ripresi.

— Pel momento gl’indiani sono occupati nelle loro danze, e poi ci riterranno annegati.

Si erano alzati guardando le rive del Colorado. Non scorgendo altro che alberi, si diressero verso la foresta, che sembrava assai folta: vi crescevano artemisie, arboscelli simili alla salvia che coprono estensioni immense; tulipiferi, alberi dal legno assai leggero, che vengono adoperati dagl’indiani per costruire i loro canotti; e magnolie glauche già coperte di fiori che spandevano profumi acutissimi.

Selvaggina non se ne scorgeva in nessuna direzione. Vi erano soltanto degli scoiattoli, troppo agili per lasciarsi prendere, e pochissimi uccelli: rigoli, lossie scarlatte, uccelli mosca e qualche coppia di gazze. [p. 203 modifica]

Scoperto un fitto macchione, a due fuggiaschi vi si nascosero, decisi a non uscirne, finchè le tenebre non fossero calate.

Trovati alcuni cactus a bocce, che sono ricchi d’acqua, si dissetarono, poi tentarono di procurarsi la colazione; poichè non v’erano alberi da frutta, la cercarono nel suolo. Riuscirono così a trovare dopo non poche ricerche, alcuni navoni indiani, grossi come uova di piccione e di sapore eccellente, ed una mezza dozzina di kamas, sorta di cipolle che crescono allo stato selvatico e sono molto apprezzate dalle Pelli Rosse.

— La colazione è magra, tuttavia con queste radici non morremo di fame, almeno per ora, — disse lo scrivano, che non aveva perduto ancora il suo solito buon umore. — E’ vero però che avrei preferito uno zampone d’orso od un filetto di gobba di bisonte.

Nei Cañon che scendono, troveremo qualche cosa di meglio, — disse Harris. — I pini non mancheranno, e potremo così avere in abbondanza delle mandorle, che, abbrustolite, sono eccellenti, e anche molto nutritive.

— Ingegnere, che vengano qui a cercarci gli Apaches?

— Non lo credo.

— Allora vi proporrei di fare una dormita; il tempo passerà più presto.

— Se riuscirò a chiudere gli occhi...

— Voi pensate a miss Annie, è vero, signor Harris?

— Sì, — rispose il giovane con voce triste. — Sono terribilmente inquieto. Se potessimo farle avere nostre notizie!

— In qual modo?

Harris non rispose.

— Ingegnere, non tentate nulla finchè non avremo trovato il colonnello. Comprometteremmo, senza alcuna riuscita, le nostre capigliature.

— Avete ragione, Blunt. Riposate pure, io veglierò finchè potrò resistere.

— Grazie, signor Harris.

Il giovane, che si sentiva affranto, si cacciò in mezzo ad un cespuglio, e ben presto l’ingegnere lo udì russare.