La Colonia Eritrea/Parte II/Capitolo XI

Capitolo XI

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CAPITOLO XI.

(1892-1894)




Lotte contro i Mahdisti — Combattimento di Serobeiti — Battaglia di Agordat — Conquista di Kassala.


Le prime lotte che ebbe a sostenere la Colonia sotto il governatorato di Baratieri furono contro i dervisci, seguaci del Mahdismo.

Il trionfo della rivolta sudanese aveva avuto per risultato la costituzione di un vasto impero Mahdista, che da Rediaf, al 4° di latitudine nord, si stendeva fin quasi alla seconda cateratta del Nilo; verso est si spingeva fin contro Suakim, le regioni del Barca e dell’impero etiopico; ad ovest andava quasi a toccare quelle del Wadai.

Erano circa due milioni di kmq. di territorio e non meno di dieci milioni di abitanti che in poco più di tre anni erano stati sottratti al dominio dell’Egitto e sottoposti a quelli del Mahdi.

Ma la morte di questo profeta e condottiero, avvenuta quasi improvvisamente nel giugno del 1885 mentre egli era al colmo de’ suoi trionfi, dette un colpo mortale all’opera sua.

Prima di morire il Mahdi elesse e proclamò [p. 92 modifica]solennemente a suo successore Abdullahi, uno de’ suoi tre Kalifa, il quale era stato il suo vicario e consigliere nelle grandi imprese compiute e più volte aveva avuto da lui segni palesi della sua speciale preferenza e benevolenza; ma sebbene questi riuscisse subito ad ottenere il riconoscimento e la sottomissione degli altri Kalifa e di tutti gli Emiri, ed a stringere in pugno la rivoluzione ancora allagante nel Sudan, era ben lungi dall’avere l’ascendente del suo predecessore.

Tuttavia i primi anni del dominio di Abdullahi continuarono ad essere allietati dal successo. L’apostolato religioso del Mahdi aveva prodotto in quelle popolazioni ignoranti ed impulsive degli effetti irresistibili, e ne erano scaturiti, come al tempo della rivoluzione francese, dei condottieri e degli eroi.

Avvennero le prese di Kassala e di Sennaar, la completa conquista del Darfur, le strepitose vittorie di Abu Anga e Zaki Tummal contro l’Abissinia, le spedizioni vittoriose nel Bahr el Gazal e nell’Equatoria, e parve per qualche tempo che l’opera del Kalifa proseguisse e completasse quella del Mahdi.

Ma poi l’entusiasmo cessò; l’ingordigia e la crudeltà del Kalifa e de’ suoi Emiri, che valendosi del manto religioso spogliavano e dilapidavano le misere popolazioni soggette, tutto volgendo a proprio vantaggio ed a quello di poche tribù adepte privilegiate, e le tiranneggiavano, esercitando sui deboli e sui vinti degli atti di inaudita barbarie, suscitarono il disgusto e l’avversione anche tra i più devoti seguaci del Mahdismo. [p. 93 modifica]

La ferocità del Kalifa non ebbe limiti nel custodire e difendere il suo potere contro tutti coloro che vi si ribellavano, o che lo disconoscevano, che semplicemente lo discutevano. Una sola ombra di opposizione ai suoi voleri, od un sol dubbio pronunciato sulla sua pretesa missione divina attirava i fulmini dell’ira sua. Intere tribù furono per ordine suo giustiziate ed uccise a colpi di randello; nelle prigioni molti soccombettero tra gli spasimi della fame; dignitari e generali ed uno stesso Kalifa suo collega soffrirono le pene più strazianti; e perfino i parenti del Mahdi che gli davano ombra furono perseguitati, imprigionati e sterminati.

Alla fine apparve il dissolvimento.

Al fanatico ed invincibile Mahdista era successo il querulo questuante Dervis mal pagato e mal nutrito e costretto a continue razzie per vivere; ed a lui l’accresciuta miseria e schiavitù e lo svanire, senza alcun frutto, delle lusinghiere promesse del Mahdi avevano affievolito la fede ed il valore guerriero; la popolazione, ridotta dalla fame e dalle stragi a poco più della metà, languiva debole ed inerte senza traffici e senza alimenti nel più desolante squallore; e mentre ai tempi del Mahdi essa co’ suoi slanci e co’ suoi impeti di fanatismo aveva potuto costituire delle armate di oltre 100000 uomini che spazzarono il dominio egiziano, ora si dimostrava insensibile ai continui esortamenti religiosi del Kalifa e lo secondava più per timore che per amore, riuscendo a stento nei momenti del bisogno a formar delle [p. 94 modifica]accozzaglie senza disciplina e senza entusiasmo che più non toccarono che continue sconfitte.

Di questo stato di debolezza interna del Sudan non tardarono a giovarsi i nemici esterni prementi da tutte le parti i suoi vasti confini; e primieramente e principalmente l’Italia.

Essa che nel giugno 1890 aveva già inflitto ai Mahdisti una severa lezione ad Agordat, li tornò ad incontrare due anni dopo poco lontano alla stessa località, e ne otteneva un’altra vittoria.

Nella metà di giugno 1892 un migliaio circa di essi usciti da Kassala si spingevano fin contro Agordat incendiando villaggi e razziando armenti e vettovaglie.

Il capitano Hidalgo, uscito da questo forte con 120 ascari e riunitosi con 200 uomini delle bande del Barca, andò ad incontrare i Mahdisti nelle vicinanze di Serobeiti, ed attaccatili arditamente riuscì a sconfiggerli completamente uccidendone centocinquanta e riconquistando le prede razziate.

I dervisci tornarono in campo contro l’Eritrea anche nel successivo anno 1893 e questa volta con intenzioni e preparativi molto maggiori.

Il Kalifa Abdullahi irritato per le due sconfitte di Agordat e di Serobeiti subite contro gli italiani aveva deciso di intraprendere contro di essi una grande spedizione; e ne affidò il comando al suo cugino Ahmed Ali, successo a Zaki caduto in disgrazia, nel comando delle truppe del Ghedaref.

Questi raccolse un esercito di oltre 10000 [p. 95 modifica]fucili e 4000 lancie e lo radunò in Kassala, donde poi mosse contro la nostra Colonia coll’intento di impadronirsi del forte di Agordat e di spingersi poscia su Keren e su Massaua.

Questa invasione avvenne in un momento nel quale l’Eritrea era immersa nella più profonda tranquillità e lo stesso Baratieri trovavasi in licenza a Roma; e fu eseguita con tanta segretezza e celerità che ci volle tutta la sapienza e l’oculatezza del colonnello Arimondi e l’estrema mobilità delle nostre truppe indigene per poter concentrare in Agordat due squadroni di cavalleria, due batterie da montagna e le bande irregolari del Barca, cioè 2402 uomini in tutto, tra cui 42 ufficiali e 33 sottufficiali e soldati italiani, 212 cavalli e 8 cannoni.

Il 21 dicembre 1893, alle ore 11, l’intero corpo dei dervisci, opportunamente attirato verso il forte da bande e reparti speditigli incontro a molestarlo da Arimondi, passando il Barca, a valle di Agordat, aveva aggirato la destra di questa posizione, e ripassando nuovamente il fiume a monte era riuscito a stabilirsi nei villaggi di Sabderat e Algheden e lungo le linee dei torrenti Inchierai e Damtai ad est e sudest di Agordat, interponendosi così tra le nostre truppe e la loro base d’operazione Keren.

Dubitando Arimondi che dalle predette posizioni il nemico volesse tentare un assalto notturno contro il forte, ciò che avrebbe paralizzato tutta l’azione delle nostre truppe molto minori in numero ed impossibilitate dall’oscurità della notte a valersi dell’efficacia [p. 96 modifica]del tiro, decise di prevenirle subito nell’attacco.

La fronte delle nostre truppe (verso est sud-est) contro i dervisci fu così disposta: a destra contro il Damtai il colonnello Cortese col battaglione Galliano ed una batteria d’artiglieria; al centro nel forte, una compagnia ed una batteria; a sinistra presso il Barca, una compagnia, e poco dietro, tenute in riserva, due compagnie, due squadroni, e una banda d’irregolari.

Il movimento fu iniziato dall’ala destra, ed il capitano Galliano verso mezzogiorno si slanciò ad attaccare il nemico riuscendo a passare il Damtai e ad occupare un’altura tra questo torrente e l’Inchierai suo affluente. Ma contro l’ardito battaglione si avventò allora una gran massa di dervisci che dopo circa una mezz’ora di combattimento, micidialissimo per ambe le parti, lo costringeva a ritirarsi verso il forte lasciando in potere del nemico le artiglierie.

Arimondi schierò allora le sue riserve e rinforzata l’ala destra del colonnello Cortese, la lanciò nuovamente all’assalto secondandola col vivissimo fuoco del grosso e del forte.

Il battaglione Galliano dopo aver fatto eroici sforzi potè riconquistare le sue posizioni e la sua artiglieria; ed il generale Arimondi facendo poi convergere tutte le forze a sinistra verso il Barca, col fuoco e cogli assalti alla baionetta riusciva a sbaragliare completamente l’esercito nemico.

I dervisci incalzati da tutte le parti furono [p. 97 modifica]posti in piena rotta e costretti a ripassare disordinatamente il Barca per riguadagnare la linea di ritirata, lasciando sul terreno ed in potere dei nostri più di 1000 morti, fra cui il comandante Hamed Alì, quasi tutti gli Emiri, un gran numero di feriti e prigionieri, 73 bandiere, una mitragliera, 700 fucili e moltissime lancie.

Da parte nostra, tra gli italiani caddero morti il capitano Forno, il tenente Pennazzi Lincoln, il tenente Colmia ed il furiere Profili e rimasero feriti gravemente i tenenti Mangiagalli e Brizio. Tra gli indigeni si ebbero 98 morti e 123 feriti.

Fu questa una delle più belle azioni guerresche compiute dalle nostre truppe coloniali. Il colonnello Arimondi che la diresse con tanta sapienza militare e tanta bravura, ne ebbe elogi universali, e dal governo di Crispi succeduto proprio in quei giorni a quello dimissionario di Giolitti, gli fu conferita la promozione a maggior generale per merito di guerra.

Gli effetti che la battaglia di Agordat produsse a Ondurmann, la nuova capitale fatta costrurre da Abdullahi nelle vicinanze di Kartum, stando alle testimonianze di Slatin Pascià prigioniero ed aiutante forzato del Kalifa stesso, furono addirittura disastrosi.

Il Kalifa si affannava a nascondere la verità intera al suo popolo, affermando che i sudanesi si erano battuti da eroi e che avevano ucciso un doppio dei loro nemici, ma ben presto venne a sapersi che i dervisci [p. 98 modifica]avevano perduto più di 2000 uomini tra morti e dispersi e che gli italiani avevano ottenuto con pochissime forze una strepitosa vittoria. Dopo la predetta battaglia il Kalifa rinforzò Kassala per premunirla da un temuto assalto degli italiani; ma anche questa città doveva in breve essere sottratta al suo impero.

Kassala oggetto di tante preoccupazioni quando infieriva il Madhismo, e che formò si può dire l’obiettivo principale della nostra occupazione di Massaua, dopo la sua caduta nelle mani dei dervisci era divenuta la loro base principale d’operazione per tutte le escursioni e razzie che eseguivano nella nostra Colonia e tra le tribù da noi protette.

Situata sulla destra del Gasc in territorio salubre ed ubertoso, ricco di pascoli e di mandre, fecondo di cotone, di cereali ed altri prodotti, e stazione principale sulle vie che da Berber e da Kartum conducono all’Abissinia ed alle coste del Mar Rosso, prima che il Madhismo la segregasse dall’umano consorzio era uno dei punti più frequentati ed una delle città più commerciali e fiorenti del Sudan egiziano. Avorio, pelli, penne di struzzo, gomma, caffè, tabacco, zibetto e dura alimentavano il suo mercato; numerose carovane soggiornavano sotto le sue mura, il pellegrinaggio della Mecca le apportava un continuo movimento e la metteva in comunicazione con tutto il mondo mussulmano.

Il generale Baratieri ritornato nell’Eritrea nel gennaio 1894, ancora sotto le impressioni degli applausi risonanti in Italia all’indirizzo [p. 99 modifica]del vittorioso Arimondi, vide nei nuovi orizzonti creati dalla vittoria di Agordat l’opportunità di un’impresa militare su Kassala, e si diede a vagheggiarla ed a studiarla, sebbene in seguito al protocollo 15 aprile 1891, l’Italia non potesse aspirare ad una occupazione definitiva di detta città.

Non tardò molto che egli ne fece proposta al Governo e la giustificò come una necessità politica e militare imposta dalle continue minaccie e dai preparativi ostili del Kalifa, dal moltiplicarsi delle razzìe nemiche che infestavano le tribù occidentali della Colonia, nonchè dalle voci inquietanti provenienti dall’Abissinia che esigevano si risolvesse immediatamente e definitivamente ogni quistione col Sudan per aver le mani libere poi.

Il Governo si lasciò persuadere e diede la sua autorizzazione.

In seguito a ciò il 12 luglio 1894 Baratieri faceva radunare con tutta celerità e segretezza un corpo d’operazioni ad Agordat ed egli stesso ne assumeva il comando per muover di sorpresa su Kassala.

Era composto di 56 ufficiali e 45 militari di truppa italiana, 16 jus basci (sottotenenti indigeni) e 2510 ascari, con circa 600 quadrupedi, e ne faceva pur parte come comandante in 2.° il generale Arimondi.

Il corpo d’operazione il 16 luglio arrivava alla gola di Sabderat, donde riprendendo a tarda sera la marcia, giungeva davanti a Kassala all’alba dell’indomani.

Quivi presidiavano 2600 dervisci accampati [p. 100 modifica]nella maggior parte a nord nord-est della città, forti di circa 1000 fucili e 1600 lancie compresi 600 cavalieri baggàra; e nessun sentore avevano avuto dell’appressarsi de’ nostri. Solo verso le 6 apparve sulla destra un corpo stormeggiante di cavalleria nemica che si recava a razziare nei dintorni.

In breve la nostra avanguardia comandata dal maggiore Hidalgo aprì il fuoco contro di essa e poco dopo anche lo squadrone di cavalleria comandato dal capitano Carchidio, uscito dal quadrato del grosso, si slanciava alla carica sulla cavalleria nemica che fu tosto dispersa. In questa brillante carica il valoroso Capitano lasciava la vita unitamente a 18 ascari.

Ma oramai tutte le truppe italiane, girata la punta nord del monte di Kassala erano penetrate nella vasta pianura solcata dal Gasc, e l’avanguardia si era avanzata fino a 400 metri dal campo nemico che, svegliato e chiamato alle armi da una parte della sua cavalleria si schierò tosto in battaglia.

Si impegnò allora il combattimento tra il nemico e la nostra avanguardia, a rinforzare la quale Baratieri spedì tosto due compagnie, mentre un’altra comandata dal capitano Spreafico fu spedita contro il così detto Beth Mala o deposito del governo sudanese; ed in breve sotto il fuoco ben aggiustato dei nostri i Mahdisti hanno la peggio, ed anche la loro cavalleria che aveva tentato di riordinarsi è sbaragliata e dispersa. Allora Hidalgo si slancia coll’avanguardia alla baionetta e riesce con poderoso sforzo, secondato anche del fuoco della [p. 101 modifica]compagnia del capitano Spreafico, a impadronirsi del campo nemico, cacciando in fuga i dervisci che si ritirano precipitosamente e disordinati lungo il Gasc e verso l’Atbara.

Poco di poi anche il grosso delle truppe italiane col generale Baratieri alla testa entrava nella vecchia città egiziana e vi disperdeva le ultime resistenze tra le vie e per le case, proseguendo fino alle rive del Gasc e lanciando poi alcuni reparti all’inseguimento dei vinti.

Questo inseguimento però non potè essere molto vigoroso perchè i dervisci si sottrassero con una rapidità vertiginosa cacciati in fuga della loro stessa cavalleria, e perchè le fatiche del combattimento e quattro giornate di continua marcia avevano rese stanche le nostre truppe.

Furono trofei di questa vittoria 600 fucili, 700 lancie, 52 bandiere, 2 cannoni, molti cavalli ed armenti, nonchè una grande quantità di dura e munizioni. Furono inoltre liberati molti prigionieri egiziani che fin dalla caduta di Kassala nelle mani del Madhi erano rimasti incatenati barbaramente nella città in preda ad inumane sofferenze e privazioni. Numerosi Capi di tribù dei dintorni recaronsi a fare atti di sottomissione a Baratieri, il quale accordò loro la protezione dell’Italia, promovendo in essi l’istituzioni militari necessarie a guardia dei loro possedimenti e confini contro il comune nemico. Le tribù che si erano compromesse colle armi alla mano, fuggirono presso Osman Digma.

L’impresa di Kassala a tutta prima aveva [p. 102 modifica]avuto uno scopo puramente militare cioè quello di dare un colpo al Mahdismo e di abbattervi la base di operazione nemica contro l’Eritrea.

Raggiunto il predetto scopo, il corpo di operazioni stava per abbandonare la città e ritornarsene nei vecchi confini, quando venne l’ordine dal Governo di mantenerla.

Allora Baratieri dispose che fosse costruito un forte capace di difendere la nuova conquista destinandovi di presidio il maggiore Turitto con 4 compagnie indigene e 2 pezzi di artiglieria; e provvide perchè fossero raccolti e conservati i depositi di vettovaglie e munizioni trovati, dei quali era già cominciata l’opera di distruzione.

Quindi il 23 luglio ritornava a Massaua.

La conquista di Kassala fu un avvenimento politico e militare di non lieve importanza. Esso diede il primo grande strappo alla potenza del Kalifa e segnalò al mondo una quarta brillante vittoria delle armi italiane contro i Mahdisti.1

Tuttavia l’Italia non trasse dalla nuova conquista tutti i vantaggi sperati.

L’enorme distanza da Massaua a Kassala la scarsità delle forze disponibili per presidiarla, nonchè la conformazione pianeggiante del suo [p. 103 modifica]territorio che, essendo il Gasc quasi sempre ed ovunque guadabile, rimaneva aperto ed esposto a qualsiasi minaccia e non offriva alcuna linea di efficace difesa verso il Sudan, rendevano dubbia ed instabile la sicurezza della nuova regione conquistata, e pochi frutti potevano quindi ricavarsi dalle coltivazioni dai pascoli e dall’annodamento di relazioni commerciali.

Le nostre poche truppe lasciate intorno a Kassala raddoppiarono di sforzi e di valore per difendere e mantenere la nuova conquista e più volte con ardite escursioni si spinsero fino ad Osobri, a Meluia ed ad El-Fascer, ma furono tutti sforzi inani che valsero a persuadere il Kalifa che gli italiani non potevano fare di più, ed a tranquillizzarlo nella sua reggia di Ondurmann.

Egli si limitò pertanto a rinforzare la linea dell’Atbara concentrando un corpo sotto Osman Digma a Gos Regieb ed un altro corpo di 1000 fucili ad El-Fascer, e per qualche tempo lasciò in pace la nostra Colonia che così potè compiere intorno a Kassala alcune coltivazioni che dettero dei frutti davvero prodigiosi. Ma questa calma non durò a lungo; e non tardarono i giorni che per difender Kassala, i suoi campi coltivati ed i suoi frutti maturi dalle invasioni rapaci dei dervisci furono necessari ben altri mezzi di difesa che il forte fattovi costrurre da Baratieri e le poche truppe destinatevi di presidio.

Perciò la conquista di Kassala che sarebbe stata utilissima quando il Sudan fosse ricaduto [p. 104 modifica]in mano di una potenza civile, che ne avesse resi tranquilli i confini, sviluppati i prodotti, i commerci e le ricchezze, in quei tempi ed in quelle condizioni divenne per la nostra Colonia un’elemento di debolezza.

Baratieri nel suo libro afferma che l’annessione di detta città avvenne contrariamente alle sue intenzioni; e di aver insistito presso il Governo o perchè l’abbandonasse o perchè promovesse l’immediata ripresa della campagna anglo-egiziana nel Sudan.

Se non che l’essersi poi acconciato così facilmente e senza gravi proteste alle nuove responsabilità politiche e militari creategli dalla novella conquista fa pensare che anch’egli abbia finito per essere dello stesso parere del Governo.





Note

  1. Narra Slatin Pascià che la presa di Kassala produsse un indicibile spavento in Ondurmann, ove da un momento all’altro si temette di vedere arrivare gli audaci e vittoriosi italiani.
    Il Kalifa andò su tutte le furie, e minacciò solenne vendetta. Alla presenza di una grande riunione di popolo si lanciò col cavallo nelle acque del Nilo, quindi brandendo alto la sciabola, e rivolgendone la punta verso Kassala, gridò più volte con voce tonante: Allahu Akbar! - giurando a Dio di riconquistare la città perduta.