La Colonia Eritrea/Parte I/Capitolo VII
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CAPITOLO VII.
(1888-1889).
Il generale Baldissera succeduto a San Marzano — Prima sistemazione della colonia — Alleanze cogli Arabi intermedi tra Cassala e Massaua — Cure interne — Incidente italo-francese circa le capitolazioni — Vittoria di Crispi e scacco di Goblet — Doloroso avvenimento di Saganeiti — Vicende interne dell’Abissinia — Menelik alleato dell’Italia — Il negus Giovanni contro i Mahdisti — Sua sconfitta e morte a Metemmah — Menelik imperatore — Trattato d’Uccialli — Missione etiopica in Italia — Occupazione di Keren e Asmara e successivo ampliamento della colonia fino al Mareb — Rimpatrio di Baldissera — La Colonia Eritrea.
Se la ritirata di un esercito di 100.000 uomini vinto senza combattere, che aveva fama di bellicoso e che era stato guidato da un condottiero meritatamente celebrato per intelligenza e per valore, costituiva un grande successo per la spedizione del generale Di San Marzano, non meno importanti e proficui per la nostra colonia furono i risultati che, approfittando delle conseguenze della ritirata suddetta, col concorso degli avvenimenti e dell’azione politica del Governo, seppe ottenere il generale Baldissera succeduto a San Marzano nel comando delle truppe d’Africa nel maggio 1888, dopo il rimpatrio della maggior parte del corpo d’operazione.
Prima cura del nuovo Comandante fu quella di tradurre in atto gli scopi immediati della grande spedizione sistemando l’occupazione di Saati, rendendola definitiva, e sicura contro ogni pericolo d’invasione.
Quindi pose ogni attenzione nel riordinare il corpo d’occupazione secondo i nuovi bisogni della colonia. Fu aumentato il Corpo Speciale d’Africa, e si costituirono dei reparti regolari di truppe indigene inquadrandoli con ufficiali e sottufficiali italiani, ed iniziando così quell’ordinamento militare che diede le più belle pagine di storia della nostra colonia.
Allo scopo di evitare qualche pericolo dalla parte dei Mahdisti, che avrebbe impedito di rivolgere l’attenzione all’Abissinia, Baldissera pensò di interporre fra loro e l’Italia una specie di cuscinetto, dando ascolto a molti capi di tribù indipendenti o ribelli al Kalifa situate tra Kassala e Massaua, accordando loro il protettorato richiesto, interessandosi della loro amministrazione, e delle loro faccende interne con dignitosa prudenza e giustizia ed acquistandosene la benevolenza.
Così si strinsero maggiormente le relazioni già esistenti con alcune tribù, e nuove se ne annodarono con altre situate nelle valli dell’Anseba, del Barca e del Gasch, e specialmente con quella importantissima dei Beni Amer, riuscendo per tal modo non solo a garantire la nostra difesa verso il Sudan, ma a facilitare, occorrendo, le nostre operazioni militari verso quella parte.
Baldissera si occupò anche dei bisogni interni di Massaua e della colonia, riordinando il servizio della posta e quello della dogana, facendo ampliare uffici, diga, ospedali e caserme, facendo ricostruire l’acquedotto di Monkullo, e sistemando l’edilizia della città. Perchè poi le popolazioni trafficanti nei commerci di Massaua, concorressero nelle spese che andavano a beneficio di tutti, istituì una leggera tassa comunale.
Grave incidente generò questa misura tra l’Italia e la Francia in causa di un tal Mercinier, che si riteneva vice console francese, il quale non solo si diede ad eccitare contro di essa tutti i francesi residenti in Massaua, ma offrì la sua protezione anche agli altri stranieri ivi esistenti, istigandoli ad opporsi al pagamento della tassa, sotto il pretesto che a Massaua dovevano osservarsi le così dette Capitolazioni1.
Le lunghe e vivaci controversie diplomatiche tra il ministro Crispi ed il Goblet francese terminarono coll’adesione di tutta l’Europa alle ragioni del nostro ministro e con uno scacco rumoroso a quello francese.
Intanto un evento doloroso venne a turbare l’opera del generale Baldissera.
Egli aveva pensato di far sorprendere il traditore Debeb nel suo campo di Saganeiti, oltrechè per punirlo della sua recente defezione, anche per liberarne il paese su cui scorazzava, razziando, taglieggiando e vivendo di rapina; ed affidò l’incarico al capitano Cornacchia, che raccolte le sue forze di circa 400 basci-bouzuc a Uà, il 2 agosto 1888 mosse poi alla volta di Saganeiti seguito da altri 200 uomini irregolari sotto gli ordini di Adam Agà nostro capobanda.
Ma l’impresa andò completamente fallita, perchè Debeb, avvertito in tempo, potè sventare l’accerchiamento che gli si tentava, ed appostarsi in modo da sconfiggere il piccolo corpo di spedizione del capitano Cornacchia, il quale vi lasciava la vita unitamente ai tenenti Poli, Virgini, Viganò e Brero e ad un centinaio circa dei nostri indigeni.
Questo nuovo evento doloroso sollevò tosto grandi clamori in Italia, ove specialmente tra i partiti estremi cominciò a determinarsi una forte corrente d’avversione contro la nostra politica coloniale; ma i gravi avvenimenti che succedevano intanto nell’interno dell’Abissinia lasciavano travedere tali speranze e vantaggi per l’Italia che anche i più malevoli dovettero tacere, per non turbare l’opera del Governo.
Mentre il negus Giovanni accampava contro gli Italiani, l’Abissinia era stata invasa dai Mahdisti, i quali dopo aver sconfitto a Debra Sin il Re del Goggiam, si spinsero fino a Gondar, distruggendola quasi completamente.
Il Negus avrebbe voluto accorrere subito in difesa del suo impero e della sua religione; ma dovette rimandare il suo disegno; perchè dopo l’insuccesso contro gli Italiani lo scoramento erasi propagato nel suo esercito, che indebolito dalla fame, ed assottigliato dalle diserzioni, in breve si sfasciò.
La stella di Giovanni che aveva già rifulso di tanto splendore si era già offuscata e volgeva al tramonto.
Ad aggravare le condizioni del Negus si aggiunse l’inattesa ribellione del Re del Goggiam ed il contegno minaccioso di Menelik che dopo infiniti tentennamenti pareva che si fosse pronunciato definitivamente contro il suo Sovrano.
Si presentavano quindi occasioni favorevoli all’Italia, per raccogliere qualche frutto della sua politica coloniale, ed il Governo di Crispi, spingeva il Comando Superiore di Massaua ad agire, mentre per mezzo dell’Antonelli 2 abbracciava completamente la così detta politica scioana, cercando di stringere un’aperta alleanza con Menelik al quale veniva promessa la corona imperiale.
Sulla fine del 1888 la fortuna sorrise ancora all’imperatore Giovanni, che raccolto un esercito abbastanza numeroso potè vincere e debellare il Re del Goggiam.
Il vile Menelik che aveva già occupato il paese dei Wollo Galla, trascurando ogni trattativa in corso coll’Italia, fu allora pronto a smettere i suoi propositi bellicosi verso il Negus, il quale potè così raccogliere un esercito immenso e portarlo ad un ultimo sforzo contro i dervisci che si erano radunati nel Gallabat con propositi di invadere l’Etiopia.
Approfittando di questa circostanza e dell’assenza di ras Alula, in marcia col suo Sovrano, il generale Baldissera, nei primi di febbraio del 1889 mandava il maggiore De Maio ad eseguire una ricognizione su Keren e poscia la faceva occupare dal fuoruscito abissino messosi al nostro servizio barambaras Kafel.
In pari tempo aizzava contro il Tigrè il ribelle Debeb (pacificatosi col comando) che occupò l’Asmara e proponeva di spingersi fino ad Adua, sperando di ottenerne l’investitura dall’Italia.
Le condizioni della nostra colonia e dell’Abissinia erano a tal punto quando a precipitare gli eventi ed a far approdare finalmente l’alleanza italo-scioana corse improvvisa una grande notizia: in una sanguinosa battaglia avvenuta nei giorni 10 e 11 marzo 1889 nelle vicinanze di Metemmah tra 85000 dervisci dell’emiro Zaki Tummal, e 150000 Abissini guidati dal Negus, questi era stato sconfitto ed ucciso ed il suo cadavere stesso era caduto nelle mani dei dervisci che lo mandarono in trionfo al Kalifa in Ondurman.3
Allora tutta l’Etiopia fu in preda ai rivolgimenti interni; Menelik, d’accordo con Antonelli, sottoscrisse il 2 maggio il famoso trattato di Uccialli, inviando in Italia la missione di Maconnen per ratificarlo; e proclamatosi Imperatore, si mise tosto in marcia col suo esercito su Gondar per esservi incoronato. D’altra parte Mangascià figlio naturale del defunto Negus e da lui riconosciuto prima di morire e raccomandato alle cure di ras Alula e di tutti gli altri capi del suo esercito, accampava diritti sulla corona imperiale. Ma nel Tigrè gli si opponevano Debeb, Sebath, Kafel, ed altri capi che gli volevano togliere anche questo regno disputandoselo fra di loro, guerreggiandosi a vicenda e gettando il paese in completa anarchia.
L’ora propizia era giunta per l’Italia ed il generale Baldissera approfittando che il barambaras Kafel teneva a Keren un’attitudine sospetta di tradimento e di probabili connivenze con ras Alula, fece occupare per sorpresa questa città dalle truppe italiane condotte dal maggiore De Maio (2 giugno 1889) disarmandovi il Barambaras, che fu relegato ad Assab. Il 3 agosto successivo poi il generale in persona eseguiva l’occupazione dell’Asmara installandosi nell’antica residenza del Ras tigrino autore dell’eccidio di Dogali.
Tuttociò avveniva senza colpo ferire, sia per le misure di prudenza e di sicurezza prese dal generale Baldissera, che avevano prevenuto ogni possibile azione degli Abissini; sia perchè le popolazioni abissine stanche dall’anarchia e dagli orrori della guerra civile accoglievano i nostri come liberatori.
Mangascià frattanto che aveva potuto disfarsi a tradimento del suo rivale Debeb era riuscito specialmente coll’aiuto del suo fido ras Alula a prevalere sugli altri rivali e ad affermarsi capo del Tigrè.
Senonchè anche Menelik riconosciuto imperatore dalla popolazione e dal clero mandava come suo rappresentante a sottomettere questo regno il suo degiac Seium, promettendo al Governo italiano di recarvisi egli stesso al più presto possibile per garantire ed assicurare i confini stipulati nel trattato d’Uccialli.
Mentre Seium accampava contro Mangascià in una lotta di poco conto nella quale però egli aveva la peggio, Baldissera non curando le preghiere e le proposte amichevoli di Mangascià, con energica avvedutezza compieva per suo conto e senza aspettare l’intervento di Menelik l’occupazione di tutti i territori posti al di qua della linea Mareb-Belesa-Muna, comprendenti le Provincie dell’Amasen, del Serae, dell’Oculè-Kusai, del Gundet e del Maitzade, e cacciandone il fremente ras Alula4.
I lieti successi della nostra impresa coloniale furono coronati dall’arrivo in Roma della missione etiopica capitanata da Maconnen e guidata dall’Antonelli; la quale il 28 agosto fu solennemente ricevuta al Quirinale. Essa presentava il trattato d’Uccialli per essere ratificato e le condizioni per contrarre un prestito di quattro milioni con una banca d’Italia.
Il trattato d’Uccialli assicurava all’Italia la linea di confini: Arafali, Halai, Saganeiti, Asmara, Adi Nefaz ed Adi Iohannes con prolungamento indefinito verso ovest; e coll’articolo XVII veniva a porre l’Etiopia sotto il protettorato dell’Italia.5
La firma di questo trattato oltrechè il miglior frutto ricavato dalle nostre operazioni militari, segnò anche per allora il trionfo della nostra politica coloniale.
In poco più di quattro anni e senza gravi sacrifici di sangue e di danaro, l’Italia era riuscita ad occupare un posto importante ed un estesissimo tratto di costa del Mar Rosso, ad annettersi un’altra vasta regione dell’altipiano etiopico, e ad imporre il suo protettorato sopra tutta l’Etiopia, rimasta da secoli indipendente, oltrechè su altre località di minore importanza. In verità non v’era da lamentarsi6.
L’Italia approvò caldamente la politica del Crispi e fece buona accoglienza alla Missione etiopica che fu trattata regalmente.
Fu anche concesso a Menelik il prestito di quattro milioni; riconosciuto poi necessario di fare alcune aggiunte al trattato d’Uccialli, tra Maconnen e Crispi fu stipulato il 1° ottobre 1889 a Napoli una convenzione addizionale allo stesso, che rettificava i confini in base alle nuove occupazioni fatte dal Baldissera, e stabiliva le condizioni del prestito dei 4 milioni.7
In base alle modalità stabilite dalla Conferenza di Berlino il protettorato sull’Abissinia fu comunicato alle potenze europee l’11 ottobre 1889, ed il 6 dicembre successivo veniva pure ad esse comunicato l’articolo di un altro trattato, già stipulato il 9 dicembre 1888 tra Antonelli e l’Anfari d’Aussa che stabiliva il protettorato italiano sopra quel sultanato, e nessuna potenza ebbe a fare opposizione tranne la Russia che fece qualche osservazione, senza seguito.
Sulla fine del 1889 il generale Baldissera dopo aver fortificato e consolidato le nostre occupazioni dell’altipiano chiedeva il rimpatrio.
In Italia si accennò a dissidi che egli avrebbe avuto col Governo in causa della politica Antonelliana, ritenendo pericoloso per la nostra colonia l’abbracciar troppo ardentemente la causa scioana e l’accentrare tutta l’Etiopia nelle mani del negus Menelik. Ufficialmente il suo rimpatrio fu annunziato per motivi di salute.
Comunque sia nel dicembre di detto anno e proprio nei giorni in cui arrivava a Massaua la missione scioana reduce dall’Italia egli cedeva il comando al suo successore generale Orero, e rimpatriava dopo aver gettato le prime basi per la sistemazione definitiva della nostra colonia, lasciandovi impresse delle orme profonde di sapienza civile e militare.
Per consacrare le nuove conquiste e riunirle colle precedenti in un’unica amministrazione, e sotto un unico governatore coloniale, con decreto reale del 1° gennaio 1890 tutti i possedimenti italiani del mar Rosso vennero riordinati sotto il nome di Colonia Eritrea.
Note
- ↑ Le Capitolazioni sono speciali convenzioni internazionali che sanciscono dei diritti di franchigia e di immunità per gli stranieri in certi luoghi dipendenti dalla Turchia.
La loro origine data da un trattato conchiuso nel 1535 tra Francesco I e Solimano I. Prima ebbero carattere di concessioni graziose dei Sultani; in seguito vennero imposte dalla diplomazia europea. - ↑ Il conte Pietro Antonelli, nipote del celebre cardinale di Pio IX, fin dal 1878 si era recato allo Scioa presso il marchese Antinori, il quale aveva fondato a Lett Mareffià una stazione geografica italiana.
Quivi l’Antonelli seppe addentrarsi nelle grazie di Menelik e della regina Taitù, ed occuparsi con essi del commercio di armi ricavandone fortuna ed onori.
L’Antonelli che dopo la morte d’Antinori era divenuto il rappresentante dell’Italia presso Menelik, aveva ideato di utilizzare Assab come capo della via di comunicazione collo Scioa, ed a tale scopo propose al Governo italiano un trattato d’amicizia coll’Anfari di Aussa per il permesso e le garanzie del passaggio nel suo territorio.
Questo trattato fu stabilito nel 1888 e servì per qualche tempo, ma poi perdette ogni valore per la mala fede dell’Anfari e per l’installazione dei francesi ad Obok e nel golfo di Tadgiura donde potevano trovarsi nuove e più comode vie per quel regno. - ↑ Se non era la morte di questo valoroso Negus, è più che certo che Menelik, malgrado gli impegni assunti verso l’Italia, e le promesse sibilline sempre contradette dai fatti, non avrebbe mai osato di sottoscrivere un trattato di aperta alleanza con essa, e molto meno di osservarlo, dichiarandosi ribelle al suo Signore; e chissà per quanto tempo ancora avrebbe continuato a gabbarla ed a sfruttarla, movendo al più col suo esercito da Entotto a Borumieda e viceversa, senza decidersi mai.
Menelik è altrettanto furbo e maligno nelle faccende diplomatiche quanto è prudente e timido in quelle di guerra; e perciò non v’è dubbio che faccia la morte del suo predecessore, il quale avea del leone mentre egli ha della volpe e del coniglio.
Durante la battaglia d’Adua, se è vera la narrazione del signor Elez, attinta da Leontieff, e da fonti abissine, non pare che Menelik sia stato visto in alcun punto della lotta, ma sembra che invece sia rimasto in chiesa a pregare con l’Abuna Mattehos, uscendone soltanto quando tutto era finito a respirare la gloria della vittoria. - ↑ Questa brillante e rapida operazione fu eseguita in gran parte dal maggiore De Maio coadiuvato specialmente nell’Oculè-Kusai dal capo abissino nostro alleato Batah Agos e da bande indigene, che davano così il ben servito al loro antico Signore.
- ↑ Vedasi nell’appendice il testo di questo trattato che ebbe tanta importanza e così gravi conseguenze per l’Italia.
- ↑ Sotto l’impulso del ministro Crispi e durante il suo governo l’Italia espandeva inoltre il suo dominio sul litorale africano dell’Oceano Indiano:
Sulla fine del 1888 il Sultano d’Oppia Iussuf chiese la protezione dell’Italia che l’accordò con atto dell’8 febbraio 1889. Il 7 aprile di detto anno in seguito a negoziati col Sultano dei Migiurtini l’Italia ebbe la sovranità di tutto il territorio dal Capo Auad a quello Beduin; e nell’agosto successivo veniva in suo potere anche la Costa del Benadir. - ↑ Vedasene il testo nell’appendice.