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taglia avvenuta nei giorni 10 e 11 marzo 1889 nelle vicinanze di Metemmah tra 85000 dervisci dell’emiro Zaki Tummal, e 150000 Abissini guidati dal Negus, questi era stato sconfitto ed ucciso ed il suo cadavere stesso era caduto nelle mani dei dervisci che lo mandarono in trionfo al Kalifa in Ondurman.1
Allora tutta l’Etiopia fu in preda ai rivolgimenti interni; Menelik, d’accordo con Antonelli, sottoscrisse il 2 maggio il famoso trattato di Uccialli, inviando in Italia la missione di Maconnen per ratificarlo; e proclamatosi Imperatore, si mise tosto in marcia col suo esercito su Gondar per esservi incoronato. D’altra parte Mangascià figlio naturale del defunto Negus e da lui riconosciuto prima di morire e raccomandato alle cure di ras Alula e di tutti gli altri capi del suo esercito, accampava diritti sulla corona imperiale. Ma nel
- ↑ Se non era la morte di questo valoroso Negus, è più che certo che Menelik, malgrado gli impegni assunti verso l’Italia, e le promesse sibilline sempre contradette dai fatti, non avrebbe mai osato di sottoscrivere un trattato di aperta alleanza con essa, e molto meno di osservarlo, dichiarandosi ribelle al suo Signore; e chissà per quanto tempo ancora avrebbe continuato a gabbarla ed a sfruttarla, movendo al più col suo esercito da Entotto a Borumieda e viceversa, senza decidersi mai.
Menelik è altrettanto furbo e maligno nelle faccende diplomatiche quanto è prudente e timido in quelle di guerra; e perciò non v’è dubbio che faccia la morte del suo predecessore, il quale avea del leone mentre egli ha della volpe e del coniglio.
Durante la battaglia d’Adua, se è vera la narrazione del signor Elez, attinta da Leontieff, e da fonti abissine, non pare che Menelik sia stato visto in alcun punto della lotta, ma sembra che invece sia rimasto in chiesa a pregare con l’Abuna Mattehos, uscendone soltanto quando tutto era finito a respirare la gloria della vittoria.