La Colonia Eritrea/Parte I/Capitolo VI

Capitolo VI

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CAPITOLO VI.

(1887-1888)




Il Parlamento italiano vota 20 milioni per la rivincita di Dogali — Crispi ministro degli esteri — Invio di rinforzi — Spedizione San Marzano — Missione inglese Portal — Costruzione della ferrovia Massaua-Saati — Rioccupazione di Saati — Il Negus a Sabarguma — San Marzano lo costringe alla ritirata.


Il doloroso avvenimento di Dogali ebbe per conseguenza immediata nella nostra colonia lo sgombro oltrechè di Saati anche di Arafali e di Uà che rimasero abbandonati.

Era intenzione di Genè di provvedere subito alla riscossa e ne faceva proposta al Governo; ma questi invece doveva frattanto far i conti col Parlamento.

La colpa della catastrofe oltrechè all’inesperienza del generale Genè, fu attribuita anche all’imprevidenza dei ministri Robilant (agli esteri) e Ricotti (alla guerra) i quali furono poi sostituiti, il primo da Francesco Crispi, ed il secondo dal generale Bertolè Viale. Al posto del generale Genè veniva quindi destinato il generale Saletta, primo occupatore di Massaua1. [p. 35 modifica]

La Camera italiana su proposta dell’on. Crispi interprete dell’opinione pubblica, che reclamava una rivincita ed una vendetta, votava un credito di 20 milioni per un’operazione militare contro l’Abissinia e decretava che Saati, Arafali, ed Uà, dovessero essere rioccupati e mantenuti colla forza.

Questi propositi dell’Italia non furono osteggiati da alcun’altra potenza; anzi l’Inghilterra offerse i suoi buoni uffici per facilitare con una missione la necessaria riparazione presso il Negus, sperando che questi sconfessasse il suo Ras e non muovesse in sua difesa.

Frattanto in mezzo all’entusiasmo popolare più schietto partivano alla volta di Massaua i primi battaglioni di rinforzo alla stremata guarnigione ivi rimasta.

Quivi il Ras vincitore, giuocando abilmente di astuzia e di malafede, patteggiava la liberazione della spedizione Salimbeni, chiedendo in compenso medicinali, armi ed ostaggi indigeni, e quando poi aveva ottenuto ogni cosa, non adempiva completamente la promessa trattenendo ancora prigioniero il tenente Savoiroux che fu solo liberato alcuni mesi dopo mediante riscatto in danaro.

Ma il generale Saletta troncò ogni relazione col Ras, e decretando il blocco dalla costa di Anfila fino all’isola Dufnein veniva a dichiarare la guerra a tutta l’Abissinia.

Si procedette con estremo rigore contro gli spioni; i traditori e violatori del blocco furono giudicati e condannati; la popolazione [p. 36 modifica]indigena sotto l’impulso energico del Comandante si rianimò.

In base ai voti ed ai mezzi dati dal Parlamento in ottobre e novembre 1887 vennero spediti nella colonia 2 reggimenti cacciatori, 1 squadrone di cavalleria e 4 compagnie cannonieri, del Corpo Speciale d’Africa (truppe volontarie con ferma e competenze speciali) ed un’altra brigata di rinforzo. Queste truppe con le altre ivi esistenti, e con circa 2000 indigeni assoldati formarono 4 brigate, con 6 batterie d’artiglieria, 2 squadroni cavalleria, 6 compagnie genio, e 4 compagnie d’artiglieria da fortezza, della forza complessiva di circa 18000 combattenti con 38 pezzi di artiglieria mobile, non compresi gli equipaggi e gli armamenti delle navi ancorate intorno a Massaua, e non compresi 1900 fuorusciti abissini della banda di Debeb, cugino ribelle del Negus, che si pose ai nostri servigi, ma poscia sul più bello defezionò2.

A capo di questa spedizione fu posto il ten. generale Di San Marzano che conservò il Saletta ai suoi ordini ed ebbe per missione definita di rioccupare Uà e Saati, e di mantenervisi ad ogni costo, facendo anche costrurre una ferrovia che congiungesse quest’ultima località con Massaua. Generali in sottordini [p. 37 modifica]oltre il Saletta erano Cagni, Lanza, Baldissera e Genè.

Nell’intento di distogliere il Negus dall’accorrere in aiuto di ras Alula, l’Italia aveva accettato la mediazione inglese, ed aiutata la missione di sir Geraldo Portal, latore di lettere e di consigli della regina Vittoria in nostro favore.

Ma questa missione, ricevuta dal Negus presso Ascianghi, non riuscì a nulla, e ben presto il Portal ritornò a Massaua apportatore della notizia che tutta l’Abissinia era in armi, e che il Negus, bandita la guerra santa contro gli italiani, s’avanzava alla testa di oltre 80.000 combattenti in aiuto di ras Alula.

Accompagnavano il Negus i più potenti Capi dell’Etiopia, tranne il Re del Goggiam rimasto a fronteggiare i dervisci minaccianti dal Gallabat, e Menelik. Questi, però sebbene il 20 ottobre avesse firmato col conte Antonelli inviato dell’Italia una convenzione di amicizia e di alleanza accompagnata da promesse di neutralità mediante il compenso di 500 fucili, non si era astenuto dal raccogliere il suo esercito, dietro ordine del Negus, a Borumieda, donde poi precedette lentamente fino ad Ascianghi, pronto a dar ragione al più forte ed a gabellare all’occorrenza il Negus e l’Italia.

Sui primi di dicembre il corpo di spedizione italiano era al completo, e guidato dal sapiente e prudente suo Capo, cominciò a muovere lentamente con successive tappe fortificate, donde proteggeva la costruzione della ferrovia. [p. 38 modifica]

Questa alla metà di marzo 1888 metteva capo a Saati e San Marzano allora occupò questa località fortificandovisi ed aspettando.

Dieci giorni dopo tutta l’Etiopia si riversava dall’altipiano fin contro le posizioni tenute dagli italiani.

Per una fronte di circa 20 chilometri lungo le valli del Damàs e del Jangus tutto il territorio compreso tra Ailet, Sabarguma Ambatocam e Aideraben brulicava di immense orde abissine, che avevano spinto avamposti fino a Gumod e tra i meandri dei Digdigta e del Jangus fin quasi sotto le nostre posizioni. Campeggiavano sulla sinistra del fronte nemico ras Alula e ras Agos coi tigrini; al centro il Negus col fiore dell’armata abissina e coi grandi dignitari ed ecclesiastici; a destra ras Ailù colle grandi masse amariche già condotte dal figlio del Negus, ras Area Sellassie, rimasto in viaggio ammalato; e dietro a queste stavano appostati in riserva i grossi corpi di riserva di ras Michael e Mesciascià, mentre dall’altipiano dell’Agametta un’altra massa agli ordini di Bigerondi Lantiè minacciava la posizione di Arkico.

I calcoli più modesti fecero salire le forze abissine a non meno di 80000 fucili, ed a circa 10000 lancie.

Contro questo esercito formidabile ed agguerrito il generale Di San Marzano, avendo lasciata la 4a brigata a difesa di Massaua e della linea di forti che la circondano, poteva opporre soltanto tre brigate della forza complessiva di circa 14,000 combattenti, le quali [p. 39 modifica]furono disposte: la 3a (Baldissera) a destra, contro Ailet, e la 2a (Cagni) a sinistra, contro il Jangus, e la 1a (Genè) con altri reparti speciali in riserva dietro Saati presso il Poggio Comando occupato dal Quartier Generale. Alcune orde di irregolari fiancheggiavano il corpo d’operazione, ed una di circa 300 uomini guidata dal capobanda Adam aveva occupata una zeriba avanzata fin oltre i pozzi di Adeita.

Ma se le truppe italiane erano anche pochissime in confronto al nemico, la loro sapiente dislocazione e le opere di difesa provvisoria che avevano costrutto intorno a sè, consistenti in muriccioli a secco, parapetti di terra, e zeribe di spini, dietro cui tratto tratto si elevavano i famosi fortini mobili Spaccamela, avevano rese le loro posizioni formidabili.

Il Negus appena giunto ad Ailet cercò tosto intavolare delle trattative, ma esse si interruppero subito e non approdarono a nulla, pretendendo l’Italia che le fosse ceduto non soltanto Saati, che teneva già, ma anche la valle di Ailet ed i confini fino a Ghinda, e volendo invece il Negus che essa sgombrasse anche Saati.

Non rimaneva che la soluzione colle armi, e più volte l’esercito abissino, con pattuglie e dimostrazioni tentò di attirare il nostro fuori delle sue posizioni per schiacciarlo colla preponderanza del numero, ma San Marzano, fermo nella sua linea di condotta sagace e prudente, non si prestò a fare il giuoco dell’avversario.

Si dubitò per un momento che il Negus, spinto specialmente dalle fiere insistenze di [p. 40 modifica]ras Alula, volesse dare l’assalto alle nostre posizioni, o cercasse di sfondare il centro della linea d’operazìone verso Hamassat, oppure di tentare un colpo di mano su Arkico, la posizione più debole e più esposta, ma astuto ed intelligente qual era, non ebbe in animo di giuocare questa partita e cominciò a prepararsi di soppiatto la ritirata.

Quindi nella sera del 2 al 3 aprile, dopo aver già fatto incolonnare fin dal giorno precedente le donne e le bestie ingombranti, riprese con parte del suo esercito la via di Ghinda-Asmara, mentre altra parte si ritirava per Aidereso-Gura.

Le dubbie e poco pronte informazioni, la non breve distanza guadagnata subito dal Negus e più che altro la difficoltà di poter raggiungere, con soldati pesanti e poco mobili come i nostri, su terreni frastagliati e salienti e per sentieri difficili ed ingombri, delle truppe svelte e leggere come le abissine, impedirono al nostro corpo d’operazione di tentarne l’inseguimento, e venne per tal modo a mancare la così detta prova delle armi, rimanendo all’Italia la sola vittoria strategica e morale.

Pertanto se anche la spedizione del 1887 non rifulse pel valore delle armi, ebbe tuttavia dei risultati felicissimi; e ciò si dovette (e nessuno vorrà più negarlo ora, dopo il lutto della recente catastrofe) alla somma perizia del generale Di San Marzano; il quale non si lasciò smuovere dal suo proposito di fermezza e di prudenza, nè lusingare da mire ambiziose, malgrado l’eccitamento dell’opinione pubblica [p. 41 modifica]e della stampa, i commenti poco benigni e la taccia di quasi pusillanimità che gli veniva da certa gente non d’altro capace che di criticare.

Secondo gli ordini ricevuti dal Governo ed il suo piano prestabilito egli aveva occupato, mantenuto e difeso Saati contro tutta l’Etiopia; la sua missione era dunque compiuta; guai se avesse fatto un passo falso: forse l’Italia avrebbe pianto fin d’allora una giornata fatale come quella del 1° marzo 1896.

Nè la rioccupazione di Saati fu il solo frutto delle operazioni militari compiute; ormai erano tornate in nostro potere anche le località abbandonate di Uà, Arafali e Zula, ed in seguito alle sottomissioni di numerosi capi di tribù, tutta la costa Dancala fino a Beilul e quella di Massaua fino ai piedi dell’altipiano, ed altre vaste regioni ad ovest e a nord di Massaua si erano sottoposte al protettorato italiano.3




Note

  1. Con r. decreto 17 aprile 1887 la colonia ritornava interamente alla dipendenza del ministro della guerra.
  2. Ancoravano nel porto le seguenti navi quasi tutte di vecchio tipo: le cannoniere Provana, Scilla e Cariddi; le golette Miseno, Calatafimi e Mestre; gli arieti-torpedinieri Bausan e Dogali; l’avviso Colonna; i trasporti Città di Genova, Cavour ed Europa, ed altre due o tre navi disarmate e di nessun conto.
  3. Oltre alle tribù degli Habab si erano sottoposti al nostro protettorato quelli di: Belad Sceik, Ad Temariam Ad Taclès, Assaorta, Teroa-Bet-Sarah, Teroa-Bet-Musa, Mensa, Ailet ed altre minori, e tutte quelle della costa Dancala.