Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Stanze in casa di Machmut.

Machmut e Servi.

Servi, udite la legge, che Machmut v’impone,

Mosso al fiero comando da sdegno e da ragione.
Se intorno a questo tetto Tamas errar si vede,
Di por più non ardisca fra le mie soglie il piede.
L’empio veder non voglio, fin ch’io respiro e vivo;
Del mio amor, del mio nome, d’ogni mio ben lo privo;
In odio al ciel sdegnato, in odio al genitore,
Vada a soffrir la pena di un pertinace amore.
(partono i Servi

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Perfido figlio, ingrato! del genitore a scorno

Abbandonar crudele la sposa il primo giorno?
Per riparare ai danni di un’infelice oppressa.
Al generoso Alì ho la sua man concessa;
D’amore o d’amicizia fu provvido il consiglio,
Ma l’odio in me non puote scemar contro del figlio:
Figlio, che fu sinora mia pace e mio diletto,
E in avvenire è forza ch’io l’odii a mio dispetto;
Che se mi piacque in lui della virtude il dono,
Or che virtù calpesta, il suo nemico io sono.

SCENA II.

Fatima ed il suddetto.

Fatima. Signore, un de’ tuoi servi da Julfa or or venuto,

Tamas per via, mi disse, aver testé veduto.
Ircana al fianco ha seco; verrà al paterno tetto.
Insulti dall’ingrata soffrire ancor mi aspetto.
Tarda Alì il suo ritorno, di lui sono ancor priva:
Vuole il destino avverso ch’io tremi infin ch’io viva.
Fammi passar, ti priego, pria che s’innoltri il giorno,
D’Alì, benché lontano, all’amico soggiorno.
Alla sua sposa alfine tal libertà è concessa,
Non aspettar vedermi novellamente oppressa.
Deh tu, signor, che tanto per me soffristi, e tanto,
Fatima non esporre d’una nemica accanto!
Per me, sai che vendetta, ch’ira nutrir non soglio;
Ma non so ben d’Ircana quando avrà fin l’orgoglio.
Machmut. Fatima, non temere di quel furore insano;
Tamas al patrio tetto spera condurla in vano.
Ei non è più mio figlio; nuora soffrir non degno,
Cagion del mio dispetto, principio del mio sdegno.
Vadan raminghi in Persia, vadano erranti al mondo;
Provin fra le1 sventure dei lor deliri il pondo;

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Privarli d’ogni speme giustizia mi consiglia.

Alì viverà meco; Fatima è la mia figlia.
Fatima. Signore, a me un tal dono so che goder non lice;
Sarei, se l’accettassi, più misera e infelice.
Potrei rimproverarmi, privando altrui d’un bene,
Di meritar gli insulti, di meritar mie pene.
Finor soffersi in pace destin meco inclemente,
Godendo fra me stessa di un’anima innocente,
E crederei, cangiando il mio costume antico,
Giustificar le colpe d’un barbaro nemico.
Machmut. Quei che la mia pietade offre a’ tuoi merti in dono,
Son di giustizia effetti, stimoli tuoi non sono.
Fatima. Chiamali del tuo sdegno, a vendicarsi intento,
Oggetti perigliosi, soggetti al pentimento.
Ora tu miri il figlio colle sue colpe intorno;
Gli accorderà il perdono tenero padre un giorno.
Che lungamente, il sai, sdegno, furor non dura,
Ad onta delle voci di provvida natura.
Nè ti pensar, signore, ch’io condannar pretenda,
Che il tuo paterno amore al sangue tuo si renda;
Anzi, se forza teco avesse un mio consiglio,
Vorrei spingerti io stessa ad abbracciare un figlio,
Che al fin, chi reo lo fece in faccia al genitore,
Fu il seduttor Cupido, dell’alme ingannatore.
Machmut. Parla così una sposa fin nell’onore offesa?
Fatima. Grazie ad Alì, mio sposo, son nell’onore illesa.
Machmut. Ma d’un amante ingrato come soffrire il torto?
Fatima. Saper ch’io non lo merto, signore, è il mio conforto.
Machmut. Fatima, la virtude, che del tuo cuore è il nume,
In te produr si vede sì amabile costume.
Ma la virtude istessa, ch’io pur nutro nel petto,
Suol per cagion diversa produr diverso effetto.
Tu la pietade ostenti per legge d’amicizia,
Rigore usar io deggio per obbligo e giustizia.
Tamas è reo di colpa, che merita il mio sdegno;

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È il cuor della rea schiava di mia pietade indegno;

Se amor li rese uniti, se hanno le colpe insieme,
Giusto li abborre il padre, giusto il signor li preme.
Quel che a ragion mi sembra maggior d’ogn’altro impegno,
È del feroce Osmano il superar lo sdegno.
Questo tuo genitore meco prevedo irato,
Per la cagion del figlio, che ti abbandona ingrato;
E il torto che riceve nell’unica sua figlia,
So che vorrà si paghi da tutta la famiglia.
Ma dello sdegno ad onta, è padre, è umano anch’esso:
Andrò fin nel suo campo ad incontrarlo io stesso.
Gli parlerò sì umile, tanto offrirogli, e tanto,
Che riportare io spero della vittoria il vanto.
Fatima, addio. Qui resta sin che da Osmano io rieda;
Fa che più lieta in viso al mio tornar ti veda.
Resta padrona in casa, quale venisti, e sposa:
I doni miei, ti prego, non isdegnar ritrosa.
Voce di cuor sincero ad esclamar ripiglia:
Alì viverà meco. Fatima è la mia figlia. parte

SCENA III.

Fatima, poi Zama, Ibraima, e Lisca, ed altre Schiave.

Fatima. Ah qual astro infelice uscir mi fe’ alla luce?

Quale destin protervo della mia vita è il duce?
Un momento di bene aver non spero al mondo;
Veggo a ogni mal che arriva, succedere il secondo.
Non basta che alla sorte m’accheti e mi rassegni,
Le mie rassegnazioni mi accrescono gl’impegni.
Ed or 2 che Machmut farmi dovria contenta,
Temo la mia nemica, e il padre mi spaventa.
Ibraima. Fatima, siam qui tutte a domandar consiglio:
Di noi che farà il padre, or che fuggito è il figlio?

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Fatima. Non saprei dirlo, amiche3; sopra di voi ragione

Ha Machmut istesso 4, ch’è padre, e ch’è padrone.
Lisca. Certo la schiavitude5 ad ogni mal prevale:
Ma un giovine in serraglio servire è minor male.
Da un padrone avanzato 6 vedere a comandarmi,
È il peggio a che la sorte or potea condannarmi.
Fatima. Quando servir dovete, dell’età sua che importa?
Lisca. Talor la gioventude ci allegra e ci conforta.
Schiava di un uomo carico e d’anni, e di pensieri,
Fatima, vi stareste voi pur mal volentieri.
Fatima. Anche a servir costretta soffrirei la mia sorte.
Zama. Eh Fatima ha bel dire, che ha un giovine in consorte!
E appena un ne ha perduto, un altro ne ha trovato,
Ed or vivrà contenta, se prima ha sospirato.
Noi altre condannate a vivere in prigione,
Siam prive dello sposo, e prive del padrone.
Ibraima. Fatima che ha per noi un cuor tanto amoroso,
Potrebbeci al serraglio condur del di lei sposo.
Fatima. D’Alì non so ben anche qual sia l’inclinazione,
Seguir potrebbe anch’egli lo stil della nazione;
Schiave soffrirò in casa senz’onta e senza orgoglio;
Ma ciò co’ miei consigli promovere non voglio, parte

SCENA IV.

Ibraima, Zama e Lisca.

Ibraima. Sì, sì, l’ho già capita, è docile ed umana,

Ma serba in tal proposito le massime d’Ircana.
Esser vorrebbe sola, la compatisco affé;
Ma in Persia tal fortuna sì facile non è.
Lisca. Che avidità di sposo, che han queste donne in seno!
Zama. Dovriano agli occhi altrui dissimularla almeno.

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Ibraima. Penciamoci un po’ bene, e giudichiam dappoi 7.

Se fossimo in tal caso, che si faria da noi?
Se in luogo d’esser schiave, fossimo noi le spose,
D’una rivale amata non saremmo gelose?
Lisca. Che fareste voi, Zama?
Zama.   Lisca, voi che fareste?
Lisca. Lo stesso anch’io direi; voi lo stesso direste.

SCENA V.

Bulganzar e dette.

Bulganzar. Posso venir?

Ibraima.   Sì, vieni.
Lisca.   Vien, Bulganzar garbato.
Zama. Racconta qualche cosa.
Ibraima.   Narraci quel ch’è stato.
Bulganzar. Che volete ch’io narri? Questa è la conclusione:
Ircana finalmente consorte è del padrone.
Ibraima. Eccole tutte due contente in un sol dì.
Una sposato ha Tamas, l’altra ha sposato Alì.
Bulganzar. Parvi che sien contente ai lor mariti appresso;
Ma le disgrazie loro hanno principio adesso.
Ircana che ha ottenuto quel che ottener volea,
Irata, come prima, veduto ho che fremea.
Lo sa che in questa casa venir le fu interdetto;
Sa che Fatima ancora dimora in questo tetto.
Gettarsi ella vorrebbe del suocero alle piante;
Ma ancor le dà sospetto di Fatima il sembiante;
Ed ha che la tormentano, senza ascoltar ragione,
La gelosia da un lato, dall’altro l’ambizione.
Zama. Prego il Ciel che non torni.
Lisca.   Or sì, s’ella vi viene
Col nome di padrona, con lei si starà bene!

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Ibraima. Meglio per noi, che avesse Fatima a restar qui.

Bulganzar. Ora è in un bell'imbroglio anche il povero Alì.
Ibraima. Perchè?
Bulganzar.   Chi sa se Osmano, l’altrier da noi partito
Contento è ch’egli sia di Fatima marito?
V’è una gran differenza di Tamas dallo stato,
A quello di costui, che meno è fortunato.
Egli al campo vicino a ritrovarlo andò;
Ma che ritorni vivo promettere non vuo’.
Osmano è una bestiaccia: se scaldasi il cervello,
Rimanda senza testa il genero novello.
Lisca. Per Fatima la cosa brutta sarebbe affé,
Vedova andar due volte in men di giorni tre.
Ibraima. Perchè andar egli stesso? Altri dovea mandar;
Era men mal che andato fossevi Bulganzar.
Bulganzar. Brava; perchè s’avesse dunque con me sfogato.
Ibraima. Se teco si sfogava, che mal sarebbe stato?
Al mondo poco preme d’un uom come sei tu.
Tu sei su questa terra un mobile di più. parte
Bulganzar. Sentite come parla colei con un par mio?
Lisca. Caro il mio Bulganzar, penso così ancor io.
Un albero incapace di rendere buon frutto,
È ben che dalla terra si sradichi del tutto. parte
Bulganzar. Che ti venga il malanno.
Zama.   Non ti sdegnare, amico.
Si sa che tu nel mondo non servi che d’intrico.
Un uom che ha la consorte, da lei non s’ha a dividere:
Se muore Bulganzar, è un uom che fa da ridere.
parte
Bulganzar. Maltrattano le donne con sprezzo e villania,
Ma alfin, se son qual sono, non è per colpa mia.
Eppure intesi a dire vi sieno in altri stati
Degli uomini miei pari, e ricchi, e fortunati.
Se avessi bianco viso, andar vorrei lontano,
A far la mia fortuna da musico soprano. parte

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SCENA VI.

Campagna rasa con veduta della porta della città d’Ispaan.

Tamas ed Ircana, passeggiando ambidue alcun poco senza dir nulla.

Ircana. Tamas, che pensi?

Tamas.   Ah penso dove trovare onesto
Luogo per ricovrarci.
Ircana.   Non ti smarrir per questo.
Lungi da questo cielo errar non mi confondo.
Vivesi dappertutto. Patria di tutti è il mondo.
Tamas. Perchè resisti, Ircana, se ritentar mi affretto
Del genitor che m’ama, di ritornare al tetto?
Ircana. Tamas, non ti sovviene, ch’ivi colei dimora
Che fu tua donna un tempo, e mia nemica è ancora?
Tamas. Sposa è d’Ali.
Ircana.   Ma in vano speri, ch’estinto in petto
Abbia ver me lo sdegno, abbia per te l’affetto.
Fin che colei dal fianco di Machmut non riede,
Non ti pensar ch’io porti a quelle soglie il piede.
Tamas. Pria di lasciar la patria per procacciare i stenti,
Vuol la ragion, che almeno il genitor si tenti.
Ircana. Va, se ti cale, ingrato, d’un ben per me perduto.
In faccia al padre offeso rinnova il mio rifiuto.
Se più della mia destra gli agi paterni apprezzi,
Ricompra la tua pace al suon de’ miei disprezzi.
Fammi veder che a forza, alla mia destra unito,
L’ombre ti fer mio sposo, ti alzi col sol pentito.
E che per uso, avvezzo cambiar sposa ed amante,
I tuoi sospir son frutti di un’anima incostante.
Tamas. Non si aspettava, Ircana, Tamas fra i mali suoi,
Rimprovero sì acerbo 8 udir dai labbri tuoi.
Tu della mia incostanza, tu mi favelli, ingrata?

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Tu, crude], mi rinfacci la sposa abbandonata?

Giacqui con lei fra l’ombre, l’abbandonai col sole.
Per seguir te, dolente lascio d’Osman la prole.
Teco la mia passione mi torna ai primi lacci,
E la mia debolezza, crudel, tu mi rinfacci?
Ah, se ti amassi meno, questo rimbrotto amaro
Farmi potria pentire.
Ircana.   No, non pentirti, o caro.
Scusa l’amor, che in questi momenti ancor primieri,
Sforza talor ch’io temi, opra talor ch’io speri.
So che piacer tu prendi nel vagheggiar miei lumi,
So che il rigor sapesti soffrir de’ miei costumi.
E non vorrai spiacermi, e mi trarrai dal petto
Ogni ombra di timore, ogni ombra di sospetto.
Tamas. Tanto desio star teco, tanto il tuo amor mi preme,
Che pria di dispiacerti, teco penar vo’ insieme.
Faccia di me ancor peggio barbara sorte ultrice,
Mi basta viver teco per essere felice.
Andiam peregrinando per balze e per foreste:
Fuggiam da queste piagge orribili e funeste.
Adatterò la mano fino all’aratro istesso,
Per procacciarmi il pane alla mia sposa appresso;
Servir non mi fia grave fin l’inimico, il Trace,
Purché menare io possa teco i miei giorni in pace.
Ircana. Giovine sventurato! per mia cagion ti esponi
A mendicar il pane fra barbare nazioni?
Tu servir? tu smarrire di libertà il tesoro?
Tamas. Bastami che tu mi ami.
Ircana.   Idolo mio, ti adoro.
(si scostano alquanto in atto di lagrtmarc In segreto
Tamas. Oh forza di destino!
Ircana.   Oh tenerezza, oh amore!
Mira chi a noi sen viene. (osservando fra le scene
Tamas.   Stelle! il mio genitore.
(si accosta verso la scena per nascondersi

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Non ho cuor di mirarlo. Troppo mi rende afflitto,

In faccia al padre mio, l’idea del mio delitto.
Ircana. Qual delitto? Sposarmi colpa tu credi, ingrato?
Torna, se così pensi, nel libero tuo stato.
Tamas. Ma per pietà, crudele, cessa di tormentarmi.
Ircana. Va, Machmut si avanza.
Tamas.   Ah chi potrà salvarmi?
Tremo dell’ira sua.
Ircana.   Celati.
Tamas.   E poi?
Ircana.   Riposa
Sul poter d’una donna, sull’amor di una sposa.
Tamas. Idolo mio...
Ircana.   Ti cela, lascia a me il provvedere.
Il mio voler si faccia.
Tamas.   Facciasi il tuo volere, parte

SCENA VII.

Ircana, poi Machmut iicon alcuni Servi che l’accompagnano.

Ircana. Ah che talor, lo veggo, son tormentosa a torto;

Ma l’inquieto costume fin dalla culla io porto.
Amor però del mio, no, maggior 9 non si trova;
Venga l’amor ch’io nutro, colla fierezza in prova.
Tenti un pietoso inganno d’intenerir quel ciglio.
Machmut. (Qui la perfida Ircana?) Empia, dov’è mio figlio?
Ircana. Al genitore dolente nuova funesta io porto.
Ah il figlio tuo...
Machmut.   Che avvenne?
Ircana.   Il tuo diletto è morto.
Machmut. Morto Tamas? oh Numi! la vista ahi mi si oscura.
Ah de’ miei sdegni ad onta langue in me la natura.
Tu senza pianto agli occhi, barbara, lo dicesti?

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Il figlio mio chi ha ucciso?

Ircana.   Crudel! tu l’uccidesti.
Machmut. Io l’uccisor del figlio? No, perfida, il mio sdegno
Seco a ragion mi accese, ma non fino a tal segno.
L’odiai sposo infedele, l’odiai di te consorte;
Sì che bramai punirlo, ma non colla sua morte.
Tu, di furore accesa, perfido core ingrato.
Per vendicar tuoi scorni, tu l’averai svenato.
Ircana. No, di sua mano istessa Tamas ferir si vide.
Muoio, diss’ei cadendo, e il genitor mi uccide.
Sì, il padre mio, soggiunse, padre inumano, ingrato,
Che del mio cuore ad onta, m’ha all’imeneo forzato10;
Pianger, pregar non valse del genitore al piede,
Seco vantar fu vano l’amor mio, la mia fede;
Strinsi l’odiata sposa a mio dispetto al seno.
Sarà contento il padre, sarà contento appieno.
Ecco (alzando la destra) ecco il tremendo effetto...
Machmut. Ah tu, crudel, lasciasti, ch’ei si ferisse il petto?
Ircana. Sì, a quella vista, in seno intenerir m’intesi,
Ma dal tuo cuore istesso a incrudelire appresi.
Dissi fra me in quel punto, s’io lo sottraggo a morte,
Sposo di me infelice, qual sarà la sua sorte?
Esule, in odio al padre, senza soccorso e amici,
Meco dovrà, vivendo, menar giorni infelici.
Pria di penar coll’odio del genitore intorno,
Di lunga etade i danni finiscano in un giorno.
Ei mi preceda a morte, lo seguirò fra poco:
Vivremo entrambi uniti per sempre in miglior loco.
Giace colà fra i tronchi il figlio tuo ferito,
E di seguirlo è pronto il mio coraggio ardito.
Machmut. Tamas, se spiri ancora, il mio soccorso aspetta;
Vedrai nel sangue mio, vedrai la tua vendetta.
Sulla caduta spoglia voglio morir...
(avvicinandosi verso la scena

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Ircana.   Signore, (arrestandolo

Giunge11 il figliuolo estinto a impietosirti il core?
Morto lo piangi, e in vita d’odio nutristi il vanto?
Machmut. Ah! non credea che il perderlo mi avesse a costar tanto.
Lasciami andar.
Ircana.   Ti arresta; gente pietosa accorse
All’infelice appresso 12, della sua vita in forse.
Machmut. Morto non è?
Ircana.   No, ancora a palpitar lo vidi.
Ma se ti mira e trema, col suo timor l’uccidi.
Rustica man con l’erbe lascia che a vita il renda,
E della cura il fine dal nostro cor si attenda.
Machmut. Deh, al genitore il figlio pietoso Ciel ridoni.
Ircana. Se lo rivedi in vita, signor, di’, gli perdoni?
Machmut. Sì, l’amor mio mel chiede.
Ircana.   Spera che il Ciel pietoso
Ricompensar non lasci quest’amor generoso.
Prendi il duol che provasti qual pena al tuo rigore.
La gioia inaspettata premio sia deti’ amore.
Machmut. Che a rivederlo almeno vada tra fronda e fronda...
Ircana. Odi, pria di vederlo, ed il tuo cuor risponda.
Se gli perdoni, e teco lo guidi alle tue porte,
Che sarà poi di questa sua misera consorte?
Machmut. Fa ch’egli viva, e spera.
Ircana.   Sì, Machmut pietoso,
Spero nel cuor d’un padre benefico, amoroso.
Parmi veder fra l’omhre 13 di quelle piante... è desso:
Tamas, Tamas, deh vieni al genitore appresso 14.
(ichiamandolo
Eccolo ch’egli vive, il Cielo a te il ridona, (a Machmut
Tamas ritorna in vita. Il padre a noi perdona.

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SCENA VIII.

Tamas e detti.

Tamas. Eccomi a’ piedi tuoi. (si getta a’ piedi di Machmut

Machmut.   Tamas, ritorna in vita.
Dove, mio caro figlio, dov’è la tua ferita?
Tamas. Deh, genitor, perdona l’arte pietosa, umana;
La mia ferita ho al cuore, la feritrice è Ircana;
Sì, mi piagar quei lumi della fedel consorte,
E il tuo rigore, o padre, darmi potea la morte.
Ella il tuo cuor calmando, porse al mio male aita,
Tu, genitor pietoso, tu mi richiami in vita.
(Machmut guarda confusamente Tamas ed Ircana
Ircana. Ecco di nuova colpa rea questa donna ultrice;
Ma se ti rende un figlio, per te colpa è felice.
Tu l’odieresti ancora, se il mio pietoso inganno
L’odio non ti cambiava in amoroso affanno.
Ma se lodata è l’opra, allor che giova e piace,
Deesi punir talora chi meditolla audace?
Tu perdonasti al figlio, sia la tua gioia intera.
Tamas trionfi, e Ircana sia condannata, e pera.
(Machmut guarda i due come sopra
Tamas. Padre, possibil fia?
Ircana.   Non domandargli in dono
La vita di una rea, chiedi per te il perdono,
Prostrati innanzi a lui; della tua sposa esangue
Di’ che gli basti il pianto, di’ che gli basti il sangue.
Tamas. Deh genitor, la vita... (inginocchiandosi
Ircana.   Suocero, a me la morte.
(inginocchiandosi
Machmut. (Resistere chi puote? ah, non ho il cuor sì forte).
Sorgete.
Tamas.   Sperar posso il padre mio placato?

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Ircana. Sì, ti perdona il padre: meco fia solo irato.

Machmut. Perfida I dal tuo cuore sperar se si potesse...
Ah tu sei fortunata fin nelle colpe istesse.

SCENA IX.

Alì e detti.

Alì. Salvati, Machmut: Tamas, ti salva, amico.

Torna Osmano furente, di me, di voi nemico.
Fatima non consente mirar d’Alì consorte;
Lascia il campo, e minaccia stragi15, ruine e morte.
Machmut. Tardi ver lui mi volsi, colla vendetta in mano.
Senza placarlo in prima, qui non si attenda Osmano.
Tornisi in Ispaan nelle paterne mura;
Figlio, fa che tua vita sia salva e sia sicura.
Alì, salvati meco; vieni tu pure, indegna, (ad Ircana
Ah non so dir qual astro a tuo favor m’impegna.
(parte
Alì. Pria che qua giunga il duce, noi ricovrar ci giovi.
Tamas. Deh vieni meco, Ircana; Osman qui non ci trovi.
Ircana. Misera! in tale stato non so quel ch’io mi faccia.
Ho l’inimico a tergo. Vo alla rivale in faccia.
Ma in quelle soglie ancora, se al mio valor non manco,
Spero vedermi un giorno senza nemici al fianco.
(partono tutti


Fine dell’Atto Primo.


Note

  1. Nell’ed. Pitteri, qui e altrove: fralle.
  2. Così nell’ed. Pitteri e nelle ristampe che poi seguirono. Solo nelle edizioni dell’Ottocento leggesi: ora.
  3. Nell’ed. Zatta è stampato: aimè.
  4. Così in tutte le edizioni.
  5. Nell’ed. Pitteri: schiavitudine.
  6. Ed. Pitteri: avvanzato.
  7. Ed. Pitteri: dapoi.
  8. Ed. Pitteri: accerbo.
  9. Nella ristampa di Torino (1775) e nell’ed. Zatta leggesi: Amor però del mio maggior no, non si trova.
  10. Nelle edd. Savioli e Zatta e nella ristampa torinese: sforzato.
  11. Ed. Zatta: giugne.
  12. Così Sarvioli e Zatta; nelle edd, Pitteri e Pasquali è stampato: oppresso.
  13. Ed. Pitteri: frall’ombre.
  14. Nelle edd. Pitteri e Pasquali: oppresso.
  15. Ed. Pitteri: straggi.