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422 ATTO PRIMO
È il cuor della rea schiava di mia pietade indegno;

Se amor li rese uniti, se hanno le colpe insieme,
Giusto li abborre il padre, giusto il signor li preme.
Quel che a ragion mi sembra maggior d’ogn’altro impegno,
È del feroce Osmano il superar lo sdegno.
Questo tuo genitore meco prevedo irato,
Per la cagion del figlio, che ti abbandona ingrato;
E il torto che riceve nell’unica sua figlia,
So che vorrà si paghi da tutta la famiglia.
Ma dello sdegno ad onta, è padre, è umano anch’esso:
Andrò fin nel suo campo ad incontrarlo io stesso.
Gli parlerò sì umile, tanto offrirogli, e tanto,
Che riportare io spero della vittoria il vanto.
Fatima, addio. Qui resta sin che da Osmano io rieda;
Fa che più lieta in viso al mio tornar ti veda.
Resta padrona in casa, quale venisti, e sposa:
I doni miei, ti prego, non isdegnar ritrosa.
Voce di cuor sincero ad esclamar ripiglia:
Alì viverà meco. Fatima è la mia figlia. parte

SCENA III.

Fatima, poi Zama, Ibraima, e Lisca, ed altre Schiave.

Fatima. Ah qual astro infelice uscir mi fe’ alla luce?

Quale destin protervo della mia vita è il duce?
Un momento di bene aver non spero al mondo;
Veggo a ogni mal che arriva, succedere il secondo.
Non basta che alla sorte m’accheti e mi rassegni,
Le mie rassegnazioni mi accrescono gl’impegni.
Ed or 1 che Machmut farmi dovria contenta,
Temo la mia nemica, e il padre mi spaventa.
Ibraima. Fatima, siam qui tutte a domandar consiglio:
Di noi che farà il padre, or che fuggito è il figlio?

  1. Così nell’ed. Pitteri e nelle ristampe che poi seguirono. Solo nelle edizioni dell’Ottocento leggesi: ora.