Libro Secondo

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Omero - Iliade (Antichità)
Traduzione dal greco di Vincenzo Monti (1825)
Libro Secondo
Libro I Libro III

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LIBRO SECONDO


ARGOMENTO

Giove, pensando durante la notte come compiere la promessa vendetta d’Achille, invia ad Agamennone un sogno malefico, per mezzo del quale gl’impone di condurre a battaglia le squadre de’ Greci, annunciandogli essere dagli Dei concordemente deliberata la rovina di Troia. Agamennone chiama i duci a parlamento nella tenda di Nestore, e consulta con essi il modo di porre in armi i Greci; ma dubitando dei sentimenti del popolo, vuole spiarli con una finzione. Il consesso è radunato. Agamennone propone la fuga. La moltitudine, male interpretando le intenzioni del capitano, si dispone precipitosamente alla partenza. Ulisse esortato da Minerva trattiene i fuggitivi, persuadendo con blande parole i duci e rimbrottando il volgo de’ guerrieri. L’assemblea è raccolta di nuovo. Tersite, avendo osato di alzar la voce contro Agamennone, è da Ulisse battuto collo scettro e ridotto al silenzio. Ulisse e Nestore esortano i Greci a proseguire la guerra. Agamennone, dopo di avere disposti gli animi alla battaglia, sagrifica a Giove e convita i principali dell’esercito. Rassegna dei Greci e catalogo della navi. Iride scende nel consesso de’ Troiani ad annunciare l’avvicinarsi degli inimici. Ettore per consiglio della Dea mette le sue schiere in ordinanza. Rassegna de’ Troiani e de’ loro ausiliari.


Tutti ancora dormían per l’alta notte
I guerrieri e gli Dei; ma il dolce sonno
Già le pupille abbandonato avea
Di Giove che pensoso in suo segreto
Divisando venía come d’Achille,5
Con molta strage delle vite argive,

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Illustrar la vendetta. Alla divina
Mente alfin parve lo miglior consiglio
Invïar all’Atride Agamennóne
Il malefico Sogno. A sè lo chiama,10
E con presto parlar, Scendi, gli dice,
Scendi, Sogno fallace, alle veloci
Prore de’ Greci, e nella tenda entrato
D’Agamennón, quant’io t’impongo, esponi
Esatto ambasciator. Digli che tutte15
In armi ei ponga degli Achei le squadre,
Che dell’iliaco muro oggi è decreta
Su nel ciel la caduta; che discordi
Degli eterni d’Olimpo abitatori
Più non sono le menti; che di Giuno20
Cessero tutti al supplicar; che in somma
L’estremo giorno de’ Troiani è giunto.
   Disse; ed il Sogno, il divin cenno udito
Avvïossi e calossi in un baleno
Su l’argoliche navi. Entra d’Atride25
Nel queto padiglione, e immerso il trova
Nella dolcezza di nettareo sonno.
Di Nestore Nelíde il volto assume,
Di Nestore, cui sovra ogni altro duce
Agamennóne riveriva, e in queste30
Forme sul capo del gran re sospesa,
Così la diva visïon gli disse:
   Tu dormi, o figlio del guerriero Atréo?
Tutta dormir la notte ad uom sconviensi
Di supremo consiglio, a cui son tante35
Genti commesse e tante cure. Attento
Dunque m’ascolta. A te vengh’io celeste
Nunzio di Giove, che lontano ancora
Su te veglia pietoso. Egli precetto
Ti fa di porre tutti quanti in arme40

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Prontamente gli Achei. Tempo è venuto
Che l’ampia Troia in tua man cada: i numi
Scesero tutti, intercedente Giuno,
In un solo volere, e alla troiana
Gente sovrasta l’infortunio estremo45
Preparato da Giove. Or tu ben figgi
Questo avviso nell’alma, e fa che seco
Non lo si porti, col partirsi, il sonno.
   Sparve, ciò detto; e delle udite cose,
Di che contrario uscir dovea l’effetto,50
Pensoso lo lasciò. Prender di Troia
Quel dì stesso le mura egli sperossi,
Nè di Giove sapea, stolto! i disegni,
Nè qual aspro pugnar, nè quanta il Dio
Di lagrime cagione e di sospiri55
Ai Troiani e agli Achivi apparecchiava.
Si riscuote dal sonno, e la divina
Voce dintorno gli susurra ancora.
Sorge, e del letto su la sponda assiso
Una molle s’avvolge alla persona60
Tunica intatta, immacolata; gittasi
Il regal manto indosso; il piè costringe
Ne’ bei calzari; il brando aspro e lucente
D’argentee borchie all’omero sospende,
L’invïolato avito scettro impugna,65
Ed alle navi degli Achei cammina.
   Già sul balzo d’Olimpo alta ascendea
Di Titon la consorte, annunziatrice
Dell’alma luce a Giove e agli altri Eterni;
Quando con chiara voce i banditori70
Per comando d’Atride a parlamento
Convocaro gli Achei, che frettolosi
Accorsero e frequenti. Ma raccolse
De’ magnanimi duci Agamennóne

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Prima il senato alla nestorea nave,75
E raccolti che fûro, in questi accenti
Il suo prudente consultar propose:
   M’udite, amici. Nella queta notte
Una divina visïon m’apparve,
Che te, Nestore padre, alla statura,80
Agli atti, al volto somigliava in tutto.
Sul mio capo librossi, e così disse:
   Figlio d’Atréo, tu dormi? A sommo duce
Cui di tanti guerrieri e tante cure
Commesso è il pondo, non s’addice il sonno.85
M’odi adunque: mandato a te son io
Da Giove che dal ciel di te pensiero
Prende e pietate. Ei tutte ti comanda
Armar le truppe de’ chiomati Achei,
Chè di Troia il conquisto oggi è maturo;90
Poichè di Giuno il supplicar compose
La discordia de’ numi, e grave ai Teucri
Danno sovrasta per voler di Giove.
Tu di Giove il comando in cor riponi.
Sparve, ciò detto, e quel mio dolce sonno95
M’abbandonò. La guisa or noi di porre
Gli Achivi in arme esaminiam. Ma pria
Giovi con finto favellar tentarne,
Fin dove lice, i sentimenti. Io dunque
Comanderò che su le navi ognuno100
Si disponga alla fuga, e sparsi ad arte
Voi l’impedite con opposti accenti.
   Così detto s’assise. In piè rizzossi
Dell’arenosa Pilo il regnatore
Nestore, e saggio ragionando disse:105
   O amici, o degli Achei principi e duci,
S’altro qualunque Argivo un cotal sogno
Detto n’avesse, un menzogner l’avremmo,

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E spregeremmo: ma lo vide il sommo
Capo del campo. A risvegliar si corra110
Dunque l’acheo valore. - E sì dicendo
Usciva il vecchio dal consiglio, e tutti
Surti in piè lo seguían gli altri scettrati
Del re supremo ossequïosi. Intanto
Il popolo accorrea. Quale dai fori115
Di cava pietra numeroso sbuca
Lo sciame delle pecchie, e succedendo
Sempre alle prime le seconde, volano
Sui fior di aprile a gara, e vi fan grappolo
Altre di qua affollate, altre di là;120
Così fuor delle navi e delle tende
Correan per l’ampio lido a parlamento
Affollate le turbe, e le spronava
L’ignea Fama, di Giove ambasciatrice.
Si congregaro alfin. Tumultuoso125
Brulicava il consesso, ed al sedersi
Di tante genti il suol gemea di sotto.
Ben nove araldi d’acchetar fean prova
Quell’immenso frastuono, alto gridando:
Date fine ai clamori, udite i regi,130
Udite, Achivi, del gran Dio gli alunni.
Sostârsi alfine; ne’ suoi seggi ognuno
Si compose, e cessò l’alto fragore.
Allor rizzossi Agamennón stringendo
Lo scettro, esimia di Vulcan fatica.135
Diè pria Vulcano quello scettro a Giove,
E Giove all’uccisor d’Argo Mercurio;
Questi a Pelope auriga, esso ad Atréo;
Atréo morendo al possessor di pingui
Greggi Tïeste, e da Tïeste alfine140
Nella destra passò d’Agamennóne,
Che poi sovr’Argo lo distese, e sopra

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Isole molte. A questo il grande Atride
Appoggiato, sì disse: Amici eroi,
Dánai, di Marte bellicosi figli,145
In una dura e perigliosa impresa
Giove m’avvolse, Iddio crudel, che prima
Mi promise e giurò delle superbe
Iliache mura la conquista, e in Argo
Glorïoso il ritorno. Or mi delude150
Indegnamente, e dopo tante in guerra
Vite perdute, di tornar m’impone
Inonorato alle paterne rive.
Del prepotente Iddio questo è il talento,
Di lui che nell’immensa sua possanza155
Già di molte città l’eccelse rocche
Distrusse, e molte struggeranne ancora.
Ma qual onta per noi appo i futuri
Che contra minor oste un tale e tanto
Esercito di forti una sì lunga160
Guerra guerreggi; e non la cómpia ancora?
Certo se tutti convocati insieme
Salda pace a giurar Teucri ed Achivi,
E di questi e di quei levato il conto,
Ad ogni dieci Achivi un Teucro solo165
Mescer dovesse di lïeo la spuma,
Molte decurie si vedrían chiedenti
Con labbro asciutto il mescitor: cotanto
Maggior de’ teucri cittadini estimo
Il numero de’ nostri. Ma li molti170
Da diverse città raccolti e scesi
In lor sussidio bellicosi amici
Duro intoppo mi fanno, e a mio dispetto
Mi vietano espugnar d’Ilio le mura.
Già del gran Giove il nono anno si volge175
Da che giungemmo, e già marciti i fianchi

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Son delle navi, e logore le sarte;
E le nostre consorti e i cari figli
Desïando ne stanno e richiamando
Nelle vedove case. E noi l’impresa180
Che a queste sponde ne condusse, ancora
Consumar non sapemmo. Al vento adunque,
Diamo al vento le vele, io vel consiglio,
Alla dolce fuggiam terra natía
Di concorde voler, chè disperata185
Delle mura troiane è la conquista.
   Mosse quel dire delle turbe i petti,
E fremea l’adunanza, a quella guisa
Che dell’icario mare i vasti flutti
Si confondono allor che Noto ed Euro190
Della nube di Giove il fianco aprendo
A sollevar li vanno impetuosi.
E come quando di Favonio il soffio
Denso campo di biade urta, e passando
Il capo inchina delle bionde spiche;195
Tal si commosse il parlamento, e tutti
Alle navi correan precipitosi
Con fremito guerrier. Sotto i lor piedi
S’alza la polve, e al ciel si volve oscura.
I navigli allestir, lanciarli in mare,200
Espurgarne le fosse, ed i puntelli
Sottrarre alle carene era di tutti
La faccenda e la gara. Arde ogni petto
Del sacro amore delle patrie mura,
E tutto di clamori il cielo eccheggia.205
E degli Achei quel dì saría seguíto,
Contro il voler de’ fati, il dipartire,
Se con questo parlar non si volgea
Giuno a Minerva: O dell’Egíoco Padre
Invincibile figlia, così dunque,210

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Il mar coprendo di fuggenti vele,
Al patrio lido rediran gli Achivi?
Ed a Priamo l’onore, ai Teucri il vanto
Lasceran tutto dell’argiva Eléna
Dopo tante per lei, lungi dal caro215
Nido natío, qui spente anime greche?
Deh scendi al campo acheo, scendi, ed adopra
Lusinghiero parlar, molci i soldati,
Frena la fuga, nè patir che un solo
De’ remiganti pini in mar sia tratto.220
   Obbediente la cerulea Diva
Dalle cime d’Olimpo dispiccossi
Velocissima, e tosto fu sul lido.
Ivi Ulisse trovò, senno di Giove,
Occupato non già del suo naviglio,225
Ma del dolor che il preme, e immoto in piedi.
Gli si fece davanti la divina
Glaucopide dicendo: O di Laerte
Generoso figliuol, prudente Ulisse,
Così dunque n’andrete? E al patrio suolo230
Navigherete, e lascerete a Priamo
Di vostra fuga il vanto, ed ai Troiani
D’Argo la donna, e invendicato il sangue
Di tanti, che per lei qui lo versaro,
Bellicosi compagni? A che ti stai?235
T’appresenta agli Achei, rompi gl’indugi,
Dolci adopra parole e li trattieni,
Nè consentir che antenna in mar si spinga.
   Così disse la Dea. Ne riconobbe
L’eroe la voce, e via gittato il manto,240
Che dopo lui raccolse il banditore
Euríbate itacense, a correr diessi;
E incontrato l’Atride Agamennóne,
Ratto ne prende il regal scettro, e vola

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Con questo in pugno tra le navi achee;245
E quanti ei trova o duci o re, li ferma
Con parlar lusinghiero; e, Che fai, dice,
Valoroso campione? A te de’ vili
Disconvien la paura. Or via, ti resta,
Pregoti, e gli altri fa restar. La mente250
Ben palese non t’è d’Agamennóne;
Egli tenta gli Achei, pronto a punirli.
Non tutti han chiaro ciò che dianzi in chiuso
Consesso ei disse. Deh badiam, che irato
Non ne percuota d’improvvisa offesa.255
Di re supremo acerba è l’ira, e Giove,
Che al trono l’educò, l’onora ed ama.
   S’uom poi vedea del vulgo, e lo cogliea
Vociferante, collo scettro il dosso
Batteagli; e, Taci, gli garría severo,260
Taci tu tristo, e i più prestanti ascolta
Tu codardo, tu imbelle, e nei consigli
Nullo e nell’armi. La vogliam noi forse
Far qui tutti da re? Pazzo fu sempre
De’ molti il regno. Un sol comandi, e quegli265
Cui scettro e leggi affida il Dio, quei solo
Ne sia di tutti correttor supremo.
   Così l’impero adoperando Ulisse
Frena le turbe, e queste a parlamento
Dalle navi di nuovo e dalle tende270
Con fragore accorrean, pari a marina
Onda che mugge e sferza il lido, ed alto
Ne rimbomba l’Egeo. Queto s’asside
Ciascheduno al suo posto: il sol Tersite
Di gracchiar non si resta, e fa tumulto275
Parlator petulante. Avea costui
Di scurrili indigeste diceríe
Pieno il cerébro, e fuor di tempo, e senza

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O ritegno o pudor le vomitava
Contro i re tutti; e quanto a destar riso280
Infra gli Achivi gli venía sul labbro,
Tanto il protervo beffator dicea.
Non venne a Troia di costui più brutto
Ceffo; era guercio e zoppo, e di contratta
Gran gobba al petto; aguzzo il capo, e sparso285
Di raro pelo. Capital nemico
Del Pelíde e d’Ulisse, ei li solea
Morder rabbioso: e schiamazzando allora
Colla stridula voce lacerava
Anche il duce supremo Agamennóne,290
Sì che tutti di sdegno e di corruccio
Fremean; ma il tristo ognor più forti alzava
Le rampogne e gridava: E di che dunque
Ti lagni, Atride? che ti manca? Hai pieni
Di bronzo i padiglioni e di donzelle,295
Delle vinte città spoglie prescelte
E da noi date a te primiero. O forse
Pur d’auro hai fame, e qualche Teucro aspetti
Che d’Ilio uscito lo ti rechi al piede,
Prezzo del figlio da me preso in guerra,300
Da me medesmo, o da qualch’altro Acheo?
O cerchi schiava giovinetta a cui
Mescolarti in amore alla spartita?
Eh via, che a sommo imperador non lice
Scandalo farsi de’ minori. Oh vili,305
Oh infami, oh Achive, non Achei! Facciamo
Vela una volta; e qui costui si lasci
Qui lui solo a smaltir la sua ricchezza,
Onde a prova conosca se l’aita
Gli è buona o no delle nostr’armi. E dianzi310
Nol vedemmo pur noi questo superbo
Ad Achille, a un guerrier che sì l’avanza

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Di fortezza, far onta? E dell’offeso
Non si tien egli la rapita schiava?
Ma se d’Achille il cor di generosa315
Bile avvampasse, e un indolente vile
Non si fosse egli pur, questo saría
Stato l’estremo de’ tuoi torti, Atride.
   Così contra il supremo Agamennóne
Impazzava Tersite. Gli fu sopra320
Repente il figlio di Laerte, e torvo
Guatandolo gridò: Fine alle tue
Faconde ingiurie, ciarlator Tersite.
E tu sendo il peggior di quanti a Troia
Con gli Atridi passâr, tu audace e solo325
Non dar di cozzo ai re, nè rimenarli
Su quella lingua con villane aringhe,
Nè del ritorno t’impacciar, chè il fine
Di queste cose al nostro sguardo è oscuro,
Nè sappiam se felice o sventurato330
Questo ritorno rïuscir ne debba.
Ma di tue contumelie al sommo Atride
So ben io lo perchè: donato il vedi
Di molti doni dagli achivi eroi,
Per ciò ti sbracci a maledirlo. Or io335
Cosa dirotti che vedrai compiuta.
Se com’oggi insanir più ti ritrovo,
Caschimi il capo dalle spalle, e detto
Di Telemaco il padre io più non sia,
Mai più, se non t’afferro, e delle vesti340
Tutto nudo, da questo almo consesso
Non ti caccio malconcio e piangoloso.
   Sì dicendo, le terga gli percuote
Con lo scettro e le spalle. Si contorce
E lágrima dirotto il manigoldo345
Dell’aureo scettro al tempestar, che tutta

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Gli fa la schiena rubiconda; ond’egli
Di dolor macerato e di paura
S’assise, e obbliquo riguardando intorno
Col dosso della man si terse il pianto.350
Rallegrò quella vista i mesti Achivi,
E surse in mezzo alla tristezza il riso;
E fu chi vôlto al suo vicin dicea:
   Molte in vero d’Ulisse opre vedemmo
Eccellenti e di guerra e di consiglio,355
Ma questa volta fra gli Achei, per dio!
Fe’ la più bella delle belle imprese,
Frenando l’abbaiar di questo cane
Dileggiator. Che sì, che all’arrogante
Passò la frega di dar morso ai regi!360
   Mentre questo dicean, levossi in piedi
E collo scettro di parlar fe’ cenno
L’espugnatore di cittadi Ulisse.
In sembianza d’araldo accanto a lui
La fiera Diva dalle luci azzurre365
Silenzio a tutti impose, onde gli estremi
Del par che i primi udirne le parole
Potessero, ed in cor pesarne il senno.
Allora il saggio diè principio: Atride,
Questi Achivi di te vonno far oggi370
Il più infamato de’ mortali. Han posto
Le promesse in obblío fatte al partirsi
D’Argo alla volta d’Ilïon, giurando
Di non tornarsi che Ilïon caduto.
Guardali: a guisa di fanciulli, a guisa375
Di vedovelle sospirar li senti,
E a vicenda plorar per lo desío
Di riveder le patrie mura. E in vero
Tal qui si pate traversía, che scusa
Il desiderio de’ paterni tetti.380

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Se a navigante da vernal procella
Impedito e sbattuto in mar che freme,
Pur di un mese è crudel la lontananza
Dalla consorte, che pensar di noi
Che già vedemmo del nono anno il giro385
Su questo lido? Compatir m’è forza
Dunque agli Achivi, se a mal cor qui stanno.
Ma dopo tanta dimoranza è turpe
Vôti di gloria ritornar. Deh voi,
Deh ancor per poco tollerate, amici,390
Tanto indugiate almen, che si conosca
Se vero o falso profetò Calcante.
In cuor riposte ne teniam noi tutti
Le divine parole, e voi ne foste
Testimoni, voi sì quanti la Parca395
Non aveste crudel. Parmi ancor ieri
Quando le navi achee di lutto a Troia
Apportatrici in Aulide raccolte,
Noi ci stavamo in cerchio ad una fonte
Sagrificando sui devoti altari400
Vittime elette ai Sempiterni, all’ombra
D’un platano al cui piè nascea di pure
Linfe il zampillo. Un gran prodigio apparve
Subitamente. Un drago di sanguigne
Macchie spruzzato le cerulee terga,405
Orribile a vedersi, e dallo stesso
Re d’Olimpo spedito, ecco repente
Sbucar dall’imo altare, e tortuoso
Al platano avvinghiarsi. Avean lor nido
In cima a quello i nati tenerelli410
Di passera feconda, latitanti
Sotto le foglie: otto eran elli, e nona
La madre. Colassù l’angue salito
Gl’implumi divorò, miseramente

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Pigolanti. Plorava i dolci figli415
La madre intanto, e svolazzava intorno
Pietosamente; finchè ratto il serpe
Vibrandosi afferrò la meschinella
All’estremo dell’ala, e lei che l’aure
Empiea di stridi, nella strozza ascose.420
Divorata co’ figli anco la madre,
Del vorator fe’ il Dio che lo mandava
Nuovo prodigio; e lo converse in sasso.
Stupidi e muti ne lasciò del fatto
La meraviglia, e a noi, che dell’orrendo425
Portento fra gli altari intervenuto
Incerti ci stavamo e paventosi,
Calcante profetò: Chiomati Achivi,
Perché muti così? Giove ne manda
Nel veduto prodigio un tardo segno430
Di tardo evento, ma d’eterno onore.
Nove augelli ingoiò l’angue divino,
Nov’anni a Troia ingoierà la guerra,
E la città nel decimo cadrà.
Così disse il profeta, ed ecco omai435
Tutto adempirsi il vaticinio. Or dunque
Perseverate, generosi Achei,
Restatevi di Troia al giorno estremo.
   Levossi a questo dire un alto grido,
A cui le navi con orribil eco440
Rispondean, grido lodator del saggio
Parlamento d’Ulisse. Ed incalzando
Quei detti il vecchio cavalier Nestorre,
Oh vergogna, dicea; sul vostro labbro
Parole intesi di fanciulli a cui445
Nulla cal della guerra. Ove n’andranno
I giuramenti, le promesse e i tanti
Consigli de’ più saggi e i tanti affanni,

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Le libagioni degli Dei, la fede
Delle congiunte destre? Dissipati450
N’andran col fumo dell’altare? Achei,
Noi contendiamo di parole indarno,
E in vane induge il tempo si consuma,
Che dar si debbe a salutar riparo.
Tien fermo, Atride, il tuo coraggio, e fermo455
Su gli Achei nelle pugne alza lo scettro:
Ed in proposte, che d’effetto vote
Cadran mai sempre, marcir lascia i pochi
Che in disparte consultano se in Argo
Redir si debba, pria che falsa o vera460
Si conosca di Giove la promessa.
Io ti fo certo che il saturnio figlio,
Il giorno che di Troia alla ruïna
Sciolser gli Achivi le veloci antenne,
Non dubbio cenno di favor ne fece465
Balenando a diritta. Alcun non sia
Dunque che parli del tornarsi in Argo,
Se prima in braccio di troiana sposa
Non vendica d’Eléna il ratto e i pianti.
Se taluno pur v’ha che voglia a forza470
Di qua partirsi, di toccar si provi
Il suo naviglio, e troverà primiero
La meritata morte. Tu frattanto
Pria ti consiglia con te stesso, o sire,
Indi cogli altri, nè sprezzar l’avviso475
Ch’io ti porgo. Dividi i tuoi guerrieri
Per curie e per tribù, sì che a vicenda
Si porga aita una tribù con l’altra,
L’una con l’altra curia. A questa guisa,
Obbedendo agli Achei, ti fia palese480
De’ capitani a un tempo e de’ soldati
Qual siasi il prode e quale il vil; chè ognuno

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Con emula virtù pel suo fratello
Combatterà. Conoscerai pur anco
Se nume avverso, o codardía de’ tuoi,485
O poca d’armi maestría ti tolga
Delle dardanie mura la conquista.
   Saggio vegliardo, gli rispose Atride,
In tutti della guerra i parlamenti
Nanzi a tutti tu vai. Piacesse a Giove,490
A Minerva piacesse e al santo Apollo,
Ch’altri dieci io m’avessi infra gli Achei
A te pari in consiglio; ed atterrata
Cadría ben tosto la città troiana.
Ma me l’Egíoco Giove in alti affanni495
Sommerse, e incauto mi sospinse in vane
Gare e contese. Di parole avemmo
Gran lite Achille ed io d’una fanciulla,
Ed io fui primo all’ira. Ma se fia
Che in amistà si torni, un sol momento500
Non tarderà di Troia il danno estremo.
Or via, di cibo a ristorar le forze
Itene tutti per la pugna. Ognuno
L’asta raffili, ognun lo scudo assetti,
Di copioso alimento ognun governi505
I corridor veloci, e diligente
Visiti il cocchio, e mediti il conflitto;
Onde questo sia giorno di battaglia
Tutto e di sangue, e senza posa alcuna,
Finchè la notte non estingua l’ire510
De’ combattenti. Di guerrier sudore
Bagnerassi la soga dello scudo
Sui caldi petti, verrà manco il pugno
Sovra il calce dell’asta, e destrier molti
Trarranno il cocchio con infranta lena.515
Qualunque io poscia scorgerò che lungi

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Dalla pugna si resti appo le navi
Neghittoso, non fia chi salvo il mandi
Dalla fame de’ cani e degli augelli.
   Così disse, e al finir di sue parole520
Mandâr gli Achivi un altissimo grido
Somigliante al muggir d’onda spezzata
All’alto lido ove il soffiar la caccia
Di furïoso Noto incontro ai fianchi
Di prominente scoglio, flagellato525
Da tutti i venti e da perpetue spume.
Si levâr frettolosi, si dispersero
Per le navi, destâr per tutto il lido
Globi di fumo, ed imbandîr le mense.
Chi a questo dio sacrifica, chi a quello,530
Al suo ciascun si raccomanda, e il prega
Di camparlo da morte nella pugna.
Ma il re de’ prodi Agamennóne un pingue
Toro quinquenne al più possente nume
Sagrifica, e convita i più prestanti:535
Nestore primamente e Idomenéo,
Quindi entrambi gli Aiaci, e di Tidéo
L’inclito figlio, e sesto il divo Ulisse.
Spontaneo venne Menelao, cui noto
Era il travaglio del fratello. E questi540
Fêr di sè stessi una corona intorno
Alla vittima, e preso il salso farro
Nel mezzo Agamennóne orando disse:
   Glorïoso de’ nembi adunatore
Massimo Giove abitator dell’etra,545
Pria che il sole tramonti e l’aria imbruni,
Fa che fumanti al suol di Priamo io getti
Gli alti palagi, e d’ostil fiamma avvampi
Le regie porte; fa che la mia lancia
Squarci l’usbergo dell’ettoreo petto,550

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E che dintorno a lui molti suoi fidi
Boccon distesi mordano la polve.
   Disse; ed il nume l’olocausto accolse,
Ma non il voto, e a lui più lutto ancora
Preparando venía. Finito il prego555
E sparso il farro, ed incurvato all’ara
Della vittima il collo, la scannaro,
La discuoiaro, ne squartâr le cosce,
Le rivestîr di doppio zirbo, e sopra
Poservi i crudi brani. Indi la fiamma560
D’aride schegge alimentando, a quella
Cocean gli entragni nello spiedo infissi.
Adusti i fianchi, e fatto delle sacre
Viscere il saggio, lo restante in pezzi
Negli schidon confissero, ed acconcia-565
-mente arrostito ne levaro il tutto.
Finita l’opra, apparecchiâr le mense,
E a suo talento vivandò ciascuno.
Di cibo sazi e di bevanda, prese
A così dire il cavalier Nestorre:570
   Re delle genti glorïoso Atride
Agamennón, si tolga ogni dimora
All’impresa che in pugno il Dio ne pone.
Degli araldi la voce alla rassegna
Chiami sul lido i loricati Achei,575
E noi scorriamo le raccolte squadre,
E di Marte destiam l’ira e il desío.
   Assentì pronto il sire, ed al suo cenno
L’acuto grido degli araldi diede
Della pugna agli Achivi il fiero invito.580
Corsero quelli frettolosi; e i regi
Di Giove alunni, che seguían l’Atride,
Li ponean ratti in ordinanza. Errava
Minerva in mezzo, e le splendea sul petto

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Incorrotta, immortal la prezïosa585
Egida da cui cento eran sospese
Frange conteste di finissim’oro,
E valea cento tauri ogni gherone.
In quest’arme la Diva folgorando
Concitava gli Achivi, ed accendea590
L’ardir ne’ petti, e li facea gagliardi
A pugnar fieramente e senza posa.
Allor la guerra si fe’ dolce al core
Più che il volger le vele al patrio nido.
   Siccome quando la vorace vampa595
Sulla montagna una gran selva incende,
Sorge splendor che lungi si propaga;
Così al marciar delle falangi achive
Mandan l’armi un chiaror che tutto intorno
Di tremuli baleni il cielo infiamma.600
E qual d’oche o di gru volanti eserciti
Ovver di cigni che snodati il tenue
Collo van d’Asio ne’ bei verdi a pascere
Lungo il Caïstro, e vagolando esultano
Su le larghe ale, e nel calar s’incalzano605
Con tale un rombo che ne suona il prato;
Così le genti achee da navi e tende
Si diffondono in frotte alla pianura
Del divino Scamandro, e il suol rimbomba
Sotto il piè de’ guerrieri e de’ cavalli610
Terribilmente. Nelle verdi lande
Del fiume s’arrestâr gremíti e spessi
Come le foglie e i fior di primavera.
Conti lo sciame dell’impronte mosche
Che ronzano in april nella capanna,615
Quando di latte sgorgano le secchie,
Chi contar degli Achei desía le torme
Anelanti de’ Teucri alla rovina.

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Ma quale è de’ caprai la maestría
Nel divider le greggie, allor che il pasco620
Le confonde e le mesce, a questa guisa
In ordinate squadre i capitani
Schieravano gli Achivi alla battaglia.
Agamennón qual tauro era nel mezzo,
Che nobile e sovrana alza la fronte625
Sovra tutto l’armento e lo conduce:
E tal fra tanti eroi Giove gl’infonde
E garbo e maestà, che Marte al cinto,
Nettunno al petto, e il Folgorante istesso
Negli sguardi somiglia e nella testa.630
   Muse dell’alto Olimpo abitatrici,
Or voi ne dite (chè voi tutte, o Dive,
Riguardate le cose e le sapete:
A noi nessuna è conta, e ne susurra
Di fuggitiva fama un’aura appena),635
Dite voi degli Achivi i condottieri.
Della turba infinita io nè parole
Farò nè nome, chè bastanti a questo
Non dieci lingue mi sarían nè dieci
Bocche, nè voce pur di ferreo petto.640
Di tutta l’oste ad Ilio navigata
Divisar la memoria altri non puote
Che l’alme figlie dell’Egíoco Giove.
Sol dunque i duci, e sol le navi io canto.
   Erano de’ Beozi i capitani645
Arcesilao, Leíto e Peneléo
E Protenore e Clonio, e traean seco
D’Iria i coloni e d’Aulide petrosa,
Con quei di Scheno e Scolo, e quei dell’erta
Eteono e di Tespia, e quei che manda650
La spazïosa Micalesso e Grea;
E quei che d’Arma la contrada edúca,

[p. 47 modifica]

Ed Ilesio ed Erítre ed Eleone
E Peteone ed Ila ed Ocaléa.
Seguono i prodi della ben costrutta655
Medeone e di Cope, e gli abitanti
D’Eutresi e Tisbe di colombe altrice.
Di Coronéa vien dopo e dell’erbosa
Alïarto e di Glissa e di Platéa
E d’Ipotebe dalle salde mura660
Una gran torma: ed altri abbandonaro
Le sacrate a Nettunno inclite selve
D’Onchesto, e d’Arne i pampinosi colli;
Altri il pian di Midéa; altri di Nisa
Gli almi boschetti, e gli ultimi confini665
D’Antédone. Di questi eran cinquanta
Le navi, e ognuna cento prodi e venti,
Fior di beozia gioventù, portava.
Dell’Orcoméno Minïéo gli eletti,
Misti a quei d’Aspledóne, hanno a lor duci670
Ascalafo e Ialmeno, ambo di Marte
Egregia prole. Ne’ secreti alberghi
D’Attore Azíde partorilli Astioche
Vereconda fanciulla, alle superne
Stanze salita, e al forte iddio commista675
In amplesso furtivo. Eran di questi
Trenta le navi che schierârsi al lido.
   Regge la squadra de’ Focensi il cenno
Di Schedio e d’Epistrófo, incliti figli
Del generoso Naubolíde Ifíto.680
Invía questi guerrier la discoscesa
Balza di Pito, e Ciparisso e Crissa,
Gentil paese, e Daulide e Panope.
D’Anemoria e di Jampoli van seco
Gli abitatori, e quei che del Cefiso685
Beon l’onde sacre, e quei che di Liléa

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Domano i gioghi alle cefisie fonti.
Son quaranta le prore al mar fidate
Da questi prodi, e tutte in ordinanza
De’ Beozî disposte al manco lato.690
   Di Locride guidava i valorosi
Aiace d’Oïléo, veloce al corso.
Di tutta la persona egli è minore
Del Telamonio, nè minor di poco;
Ma picciolo quantunque e non coperto695
Che di lino torace, ei tutti avanza
E Greci e Achivi nel vibrar dell’asta.
Di Cino, di Callïaro e d’Opunte
Lo seguono i deletti, e quei di Bessa,
E quei che i colti dell’amena Augée700
E di Scarfe lasciâr, misti di Tarfa
Ai duri agresti, e quei di Tronio a cui
Il Boagrio torrente i campi allaga.
Venti e venti il seguían preste carene
Della locrese gioventù venuta705
Di là dai fini della sacra Eubéa.
   Ma gl’incoli d’Eubéa gli arditi Abanti,
Eretrïensi, Calcidensi, e quelli
Dell’aprica vitifera Istïea,
E di Cerinto in una i marinari,710
E i montanari dell’alpestre Dio,
E quei di Stira e di Caristo han duce
Il bellicoso Elefenór, figliuolo
Di Calcodonte, e sir de’ prodi Abanti.
Snellissimi di piè portan costoro715
Fiocchi di chiome su la nuca, egregi
Combattitori, a maraviglia sperti
Nell’abbassar la lancia, e sul nemico
Petto smagliati fracassar gli usberghi.
E quaranta di questi eran le vele.720

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   Della splendida Atene ecco gli eroi,
Popolo del magnanimo Erettéo
Cui l’alma terra partorì. Nudrillo
Ed in Atene il collocò Minerva
Alla sant’ombra de’ suoi pingui altari,725
Ove l’attica gente a statuïto
Giro di soli con agnelli e tauri
Placa la Diva. Guidator di questi
Era il Petíde Menestéo. Non vede
Pari il mondo a costui nella scïenza730
Di squadronar cavalli e fanti. Il solo
Nestor l’eguaglia, perchè d’anni il vince.
Cinquanta navi ha seco. Unîrsi a queste
Sei altre e sei di Salamina uscite,
Al Telamonio Aiace obbedïenti.735
   Seguìa l’eletta de’ guerrier, cui d’Argo
Mandava la pianura e la superba
D’ardue mura Tirinto e le di cupo
Golfo custodi Ermïone ed Asíne.
Con essi di Trezene e della lieta740
Di pampini Epidauro e d’Eïone
Venía la squadra; e dopo questa un fiero
Di giovani drappello che d’Egina
Lasciò gli scogli e di Masete. A questi
Tre sono i duci, il marzio Dïomede,745
Sténelo dell’altero Capanéo
Diletta prole, e il somigliante a nume
Eurïalo figliuol di Mecistéo
Talaionide. Ma del corpo tutto
Condottiero supremo è Dïomede.750
E sono ottanta di costor le antenne.
   Ma ben cento son quelle a cui comanda
Il regnatore Agamennóne Atride.
Sua seguace è la gente che gl’invía

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La regale Micene e l’opulenta755
Corinto, e quella della ben costrutta
Cleone e quella che d’Ornee discende,
E dall’amena Aretiréa. Nè scarsa
Fu de’ suoi Sicïon, seggio primiero
D’Adrasto. Anco Iperesia, anco l’eccelsa760
Gonoessa e Pellene ed Egio e tutte
Le marittime prode, e tutta intorno
D’Elice la campagna impoverîrsi
D’abitatori. E questa truppa è fiore
Di gagliardi, e la più di quante allora765
Schierârsi in campo. D’arme rilucenti
Iva il duce vestito, ed esultava
In suo segreto del vedersi il primo
Fra tanti eroi; e veramente egli era
Il maggior di que’ regi, e conducea770
Il maggior nerbo delle forze achive.
  Il concavo di balze incoronato
Lacedemonio suol Sparta e Brisée,
E Fari e Messa di colombe altrice,
E Augíe la lieta e l’amicléa contrada,775
Etila ed Elo al mar giacente e Laa,
Queste tutte spedîr sovra sessanta
Prore i lor figli; e Menelao li guida
Aïtante guerrier. Disgiunta ei tiene
Dalla fraterna la sua schiera, e forte780
Del suo proprio valor la sprona all’armi,
Di vendicar su i Teucri impazïente
L’onta e i sospir della rapita Eléna.
   Di novanta navigli capitano
Veniva il veglio cavalier Nestorre.785
Di Pilo ei guida e dell’aprica Arene
Gli abitanti e di Trio, guado d’Alféo,
E della ben fondata Epi, con quelli

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A cui Ciparissente e Anfigenía
Sono stanza, e Pteléo ed Elo e Dorio,790
Dorio famosa per l’acerbo scontro
Che col tracio Tamiri ebber le Muse
Il giorno che d’Ecalia e dagli alberghi
Dell’ecaliese Euríto ei fea ritorno.
Millantava costui che vinte avría795
Al paragon del canto anco le Muse,
Le Muse figlie dell’Egíoco Giove.
Adirate le dive al burbanzoso
Tolser la luce e il dolce canto e l’arte
Delle corde dilette animatrice.800
   Seguìa l’arcade schiera dalle falde
Del Cillene discesa e dai contorni
Del tumulo d’Epíto, esperta gente
Nel ferir da vicino. Uscía con essa
Di campestri garzoni una caterva,805
Che del Fenéo li paschi e il pecoroso
Orcomeno lasciâr. V’eran di Ripe
E di Strazia i coloni e di Tegéa,
E quei d’Enispe tempestosa, e quelli
Cui dell’amena Mantinéa nutrisce810
L’opima gleba e la stinfalia valle
E la parrasia selva. Avean costoro
Spiegate al vento di cinquanta e dieci
Navi le vele, che a varcar le negre
Onde lor diè lo stesso rege Atride815
Agamennóne; perocchè di studi
Marinareschi all’Arcade non cale.
D’intrepidi nell’arme e sperti petti
Iva carca ciascuna, e la reggea
D’Ancéo figliuolo il rege Agapenorre.820
   La squadra che consegue, e si divide
Quadripartita, ha quattro duci, e ognuno

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A dieci navi accenna. Le montaro
Molti Epéi valorosi, e gli abitanti
Di Buprasio e del sacro eléo paese,825
E di tutto il terren che tra il confine
Di Mirsino ed Irmino si racchiude,
E tra l’Olenia rupe e l’erto Alísio.
Di Cteato figliuol l’illustre Anfímaco
Guida il primo squadron, Talpio il secondo,830
Egregio seme dell’Euríto Attóride;
Dïore il terzo, generosa prole
D’Amarincéo. Del quarto è correttore
Il simigliante a nume Polisseno,
Germe dell’Augeïade Agastene.835
   Ai forti di Dulichio e delle sacre
Echinadi isolette, che rimpetto
Alle contrade elée rompon l’opposto
Pelago, a questi è condottier Megete,
Di sembiante guerrier pari a Gradivo.840
Il generò Filéo diletto a Giove,
Buon cavalier che dai paterni un giorno
Odii sospinto alla dulichia terra
Migrò fuggendo, e v’ebbe impero. Il figlio
Quaranta prore ad Ilïon guidava.845
Dei prodi Cefaleni, abitatori
D’Itaca alpestre e di Nerito ombroso,
Di Crociléa, di Samo e di Zacinto
E dell’aspra Egelípe e dell’opposto
Continente, di tutti è duce Ulisse850
Vero senno di Giove; e lo seguiéno
Dodici navi di vermiglio pinte.
   Ne spinge in mar quaranta il capitano
Degli Etoli Toante, a cui fu padre
Andrémone; e traea seco le torme855
Di Pleurone, d’Oleno e di Pilene,

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Quelle dell’aspra Calidone e quelle
Di Calcide. E raccolta era in Toante
Degli Etóli la somma signoría
Da che la Parca i figli ebbe percosso860
Del magnanimo Enéo, posto col biondo
Meleagro infelice ei pur sotterra.
   Il gran mastro di lancia Idomenéo
Guida i Cretesi che di Gnosso usciro,
Di Litto, di Mileto e della forte865
Gortina e dalla candida Licasto
E di Festo e di Rizio, inclite tutte
Popolose contrade, ed altri molti
Dell’alma Creta abitator, di Creta
Che di cento città porta ghirlanda.870
Di questi tutti Idomenéo divide
Col marzio Merïon la glorïosa
Capitananza; e ottanta navi han seco.
   Nove da Rodi ne varâr gli alteri
Rodïani per l’isola partiti875
In triplice tribù: Lindo, Jaliso,
E il biancheggiante di terren Camiro.
L’Eraclide Tlepólemo è lor duce,
Grande e robusto battaglier che al forte
Ercole un giorno Astïochéa produsse,880
Cui d’Efira e dal fiume Selleente
Seco addusse l’eroe, poiché distrutto
V’ebbe molte cittadi e molta insieme
Gioventù generosa. Entro i paterni
Fidi alberghi Tlepólemo cresciuto885
Di subitaneo colpo a morte mise
Licinnio, al padre avuncolo diletto,
E canuto guerrier. Ratto costrusse
Alquante navi l’uccisore, e accolti
Molti compagni, si fuggì per l’onde,890

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L’ira vitando e il minacciar degli altri
Figli e nipoti dell’erculeo seme.
Dopo error molti e stenti i fuggitivi
Toccâr di Rodi il lido, e qui divisi
Tutti in tre parti posero la stanza:895
E il gran re de’ mortali e degli Dei
Li dilesse, e su lor piovve la piena
D’infinita mirabile ricchezza.
   Niréo tre navi conducea da Sima,
Niréo d’Aglaia figlio e di Caropo,900
Niréo di quanti navigaro a Troia
Il più vago, il più bel, dopo il Pelíde
Beltà perfetta. Ma un imbelle egli era;
E turba lo seguía di pochi oscuri.
   Quei che tenean Nisiro e Caso e Crápato905
E Coo seggio d’Euripilo, e le prode
Dell’isole Calidne, il cenno regge
D’Antifo e di Fidippo, ambo figliuoli
Di Tessalo Eraclíde. E trenta navi
Aravano a costor l’onda marina.910
   Ditene adesso, o Dive, i valorosi
D’Alo e d’Alope e del pelasgic’Argo
E di Trachine; nè di Ftia nè d’Ellade,
Di bellissime donne educatrice,
Gli eroi tacete, Mirmidon chiamati,915
Ed Elleni ed Achei. Sopra cinquanta
Prore a costoro è capitano Achille.
Ma di guerra in que’ cor tace il pensiero,
Ch’ei più non hanno chi a pugnar li guidi.
Il divino Pelíde appo le navi920
Neghittoso si giace, e della tolta
Briseide l’ira si smaltisce in petto,
Bella di belle chiome alma fanciulla
Che in Lirnesso ei s’avea con molto affanno

[p. 55 modifica]

Conquistata per mezzo alla ruïna925
Di Lirnesso e di Tebe, a morte spinti
Del bellicoso Eveno ambo i figliuoli
Epistrofo e Minete. Per costei
Languía nell’ozio il mesto eroe; ma il giorno
Del suo destarsi all’armi era vicino.930
   Quei che Filáce e la fiorita Pírraso,
Terra a Cerere sacra, e la feconda
Di molto gregge Itóne, e quei che manda
La marittima Antrone e di Pteléo
L’erboso suol, reggea, mentre che visse,935
Il marzïal Protesilao. Ma lui
La negra terra allor chiudea nel seno,
E la moglie in Filáce derelitta
Le belle gote lacerava, e tutta
Vedova del suo re piangea la casa.940
Primo ei balzossi dalle navi, e primo
Trafitto cadde dal dardanio ferro:
Ma senza duce non restò sua schiera,
Chè Podarce or la guida, esimio figlio
Del Filacide Ificlo, che di pingui945
Lanose torme avea molta ricchezza.
Del magnanimo ucciso era Podarce
Minor germano; ma perchè quel grande
Non pur d’anni il vincea, ma di prodezza,
L’egregio estinto duce era pur sempre950
Di sua schiera il desío. Di questa squadra
Son quaranta le navi in ordinanza.
   Gli abitator di Fere, appo il bebéo
Stagno, e quelli di Bebe e di Glafira
E dell’alta Jaolco avean salpato955
Con undici navigli. Eumelo è duce,
Germe caro d’Admeto, e la divina

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Infra le donne Alcesti il partorío,
Delle figlie di Pelia la più bella.
   Di Metone, Taumacia e Melibéa960
E dell’aspra Olizone era venuto
Con sette prore un fier drappello, e carca
Di cinquanta gagliardi era ciascuna,
Sperti di remo e d’arco e di battaglia.
Famoso arciero li reggea da prima965
Filottete; ma questi egro d’acuti
Spasmi ora giace nella sacra Lenno,
Ove da tetra di pestifer angue
Piaga offeso gli Achei l’abbandonaro.
Ma dell’afflitto eroe gl’ingrati Argivi970
Ricorderansi, e in breve. Intanto il fido
Suo stuol si strugge del desío di lui,
Ma non va senza duce. Lo governa
Medon cui spurio figlio ad Oïléo
Eversor di città Rena produsse.975
   Que’ poi che Tricca e la scoscesa Itome
Ed Ecalia tenean seggio d’Eurito,
Han capitani d’Esculapio i figli,
Della paterna medic’arte entrambi
Sperti assai, Podalirio e Macaone.980
Fan trenta navi di costor la schiera.
   Ormenio, Asterio e l’iperée fontane,
E del Titano le candenti cime
I lor prodi mandâr sotto il comando
Del chiaro figlio d’Evemone Eurípilo985
Da quaranta carene accompagnato.
   D’Argissa e di Girton, d’Orte e d’Elona
E della bianca Oloossona i figli
Procedono suggetti al fermo e forte
Polipete, figliuol di Piritóo,990
Del sempiterno Giove inclito seme;

[p. 57 modifica]

E generollo a Piritóo l’illustre
Ippodamía quel dì che dei bimembri
Irti Centauri ei fe’ l’alta vendetta,
E li cacciò dal Pelio, e agli Eticesi995
Li confinò. Nè solo è Polipete,
Ma seco è Leontéo, marzio germoglio
Del Ceníde magnanimo Corone.
E questa è squadra di quaranta antenne.
   Venti da Cifo e due Gunéo ne guida1000
D’Enïeni onerose e di Perebi,
Franchi soldati, e di color che intorno
Alla fredda Dodona avean la stanza,
E di quelli che solcano gli ameni
Campi cui l’onda titaresia irriga,1005
Rivo gentil che nel Penéo devolve
Le sue bell’acque, nè però le mesce
Con gli argenti penéi, ma vi galleggia
Come liquida oliva; chè di Stige
(Giuramento tremendo) egli è ruscello.1010
   Ultimo vien di Tentredone il figlio
Il veloce Protóo, duce ai Magneti
Dal bel Penéo mandati e dal frondoso
Pelio. Il seguían quaranta navi. E questi
Fur dell’achiva armata i capitani.1015
   Dimmi or, Musa, chi fosse il più valente
Di tanti duci e de’ cavalli insieme
Che gli Atridi seguîr. Prestanti assai
Eran le ferezïadi puledre
Ch’Eumelo maneggiava, agili e ratte1020
Come penna d’augello, ambe d’un pelo,
D’età pari e di dosso a dritto filo.
Il vibrator del curvo arco d’argento
Febo educolle ne’ pïerii prati,
E portavan di Marte la paura1025

[p. 58 modifica]

Nelle battaglie. Degli eroi primiero
Era l’Aiace Telamonio, mentre
Perseverò nell’ira il grande Achille,
Il più forte di tutti; e innanzi a tutti
Ivan di pregio i corridor portanti1030
L’incomparabil Tessalo. Ma questi
Nelle ricurve navi si giacea
Inoperoso, e sempre spirante ira
Contro l’Atride Agamennóne. Intanto
Lunghesso il mare al disco, all’asta, all’arco1035
I suoi guerrieri si prendean diletto.
Ozïosi i cavalli appo i lor cocchi
Pasceano l’apio paludoso e il loto,
E i cocchi si giacean coperti e muti
Nelle tende dei duci, e i duci istessi,1040
Del bellicoso eroe desiderosi,
Givan pel campo vagabondi e inerti.
   Movean le schiere intanto in vista eguali
A un mar di foco inondator, che tutta
Divorasse la terra; ed alla pesta1045
De’ trascorrenti piedi il suol s’udía
Rimbombar. Come quando il fulminante
Irato Giove Inarime flagella
Duro letto a Tiféo, siccome è grido;
Così de’ passi al suon gemea la terra.1050
   Mentre il campo traversano veloci
Gli Achei, col piè che i venti adegua, ai Teucri
Iri discese di feral novella
Apportatrice, e la spedía di Giove
Un comando. Tenean questi consiglio1055
Giovani e vecchi, congregati tutti
Ne’ regali vestiboli. Mischiossi
Tra lor la Diva, di Políte assunta
L’apparenza e la voce. Era Políte

[p. 59 modifica]

Di Priamo un figlio che, del piè fidando1060
Nella prestezza, stavasi de’ Teucri
Esploratore al monumento in cima
Dell’antico Esïeta, e vi spïava
Degli Achivi la mossa. In queste forme
Trasse innanzi la Diva, e al re conversa,1065
Padre, disse, che fai? Sempre a te piace
Il molto sermonar come ne’ giorni
Della pace; nè pensi alla ruina
Che ne sovrasta. Molte pugne io vidi,
Ma tali e tante non vid’io giammai1070
Ordinate falangi. Numerose
Al pari delle foglie e dell’arene
Procedono nel campo a dar battaglia
Sotto Troia. Tu dunque primamente,
Ettore, ascolta un mio consiglio, e il poni1075
Ad effetto. Nel sen di questa grande
Città diversi di diverse lingue
Abbiam guerrieri di soccorso. Ognuno
De’ lor duci si ponga alla lor testa,
E tutti in punto di pugnar li metta.1080
   Conobbe Ettorre della Dea la voce,
E di subito sciolse il parlamento.
Corresi all’armi, si spalancan tutte
Le porte, e folti sboccano in tumulto
Fanti e cavalli. Alla città rimpetto1085
Solitario nel piano ergesi un colle
A cui s’ascende d’ogni parte. È detto
Da’ mortai Batïéa, dagl’immortali
Tomba dell’agilissima Mirinna;
Ivi i Teucri schierârsi e i collegati.1090
   Capitan de’ Troiani è il grande Ettorre,
D’eccelso elmetto agitator. Lo segue

[p. 60 modifica]

De’ più forti guerrier schiera infinita
Coll’aste in pugno di ferir bramose.
   Ai Dardani comanda il valoroso1095
Figliuol d’Anchise Enea cui la divina
Venere in Ida partorì, commista
Diva immortale ad un mortal; ned egli
Solo comanda, ma ben anco i due
Antenóridi Archiloco e Acamante1100
In tutte guise di battaglia esperti.
   Quei che dell’Ida alle radici estreme
Hanno stanza in Zeléa ricchi Troiani
La profonda beventi acqua d’Asepo,
Pandaro guida, licaonio figlio,1105
Cui fe’ dono dell’arco Apollo istesso.
   Della città d’Apesio e d’Adrastéa,
Di Pitïéa la gente e dell’eccelsa
Feréa montagna han duci Adrasto ed Anfio
Corazzato di lino, ambo rampolli1110
Di Merope Percosio. Era costui
Divinator famoso, ed a’ suoi figli
Non consentía l’andata all’omicida
Guerra. Ma i figli non l’udîr; chè nero
A morir li traea fato crudele.1115
   Mandâr Percote e Prazio e Sesto e Abido
E la nobile Arisba i lor guerrieri,
Ed Asio li conduce, Asio figliuolo
D’Irtaco, e prence che d’Arisba venne
Da fervidi portato alti cavalli1120
Alla riviera sellentéa nudriti.
   Dalla pingue Larissa i furibondi
Lanciatori pelasghi Ippótoo mena
Con Piléo, bellicosi ambo germogli
Del pelasgico Leto Teutamíde.1125
Acamante e l’eroe duce Piróo

[p. 61 modifica]

I Traci conducean quanti ne serra
L’estuoso Ellesponto; ed i Cicóni
Del giavellotto vibratori, Eufemo
Del Ceade Trezeno alto nipote;1130
Poi Pirecme i Peóni a cui sul tergo
Suonan gli archi ricurvi, e gli spedisce
La rimota Amidone, e l’Assio, fiume
Di larga correntía, l’Assio di cui
Non si spande ne’ campi onda più bella.1135
   Dall’èneto paese ov’è la razza
Dell’indomite mule, conducea
Di Pilemene l’animoso petto
I Paflagoni, di Citoro e Sésamo
E di splendide case abitatori1140
Lungo le rive del Partenio fiume,
E d’Egiálo e di Cromna e dell’eccelse
Balze eritine. Li seguía la squadra
Degli Alizoni d’Alibe discesi,
D’Alibe ricca dell’argentea vena.1145
Duci a questi eran Hodio ed Epistrófo,
E Cromi ai Misii e l’indovino Ennómo.
Ma con gli augurii il misero non seppe
Schivar la Parca. Sotto l’asta ei cadde
Del Pelíde, quel dì che di nemica1150
Strage vermiglio lo Scamandro ei fece.
   Forci ed Ascanio dëiforme al campo
Dall’Ascania traean le frigie torme
Di commetter battaglia impazïenti.
   Di Pilemene i figli Antifo e Mestle,1155
Alla gigéa palude partoriti,
Ai Meonii eran duci, a quelli ancora
Che alla falda del Tmolo ebber la vita.
   Quindi i Carii di barbara favella
Di Mileto abitanti e del frondoso1160

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Monte de’ Ftiri e del meandrio fiume
E dell’erte di Mícale pendici.
Anfimaco a costor con Naste impera,
Figli di Nomïon, Naste un prudente,
Anfimaco un insano. Iva alla pugna1165
Carco d’oro costui come fanciulla:
Stolto! chè l’oro allontanar non seppe
L’atra morte che il giunse allo Scamandro.
Ivi il ferro achilleo lo stese, e l’oro
Preda del forte vincitor rimase.1170
   Venían di Licia alfine, e dai rimoti
Gorghi del Xanto i Licii, e li guidava
L’incolpabile Glauco e Sarpedonte.