Il ventaglio (Goldoni)/Nota storica

Nota storica

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Atto III
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NOTA STORICA.


Gelida era stata l’accoglienza dell’Amor paterno (4 febbraio 1763) Alla quarta recita una farsa dello stesso autore (Arlequin cru mort) dovette puntellare la commedia, e la giunta piacque più della derrata. Un mese dopo il Servitore di due padroni, soggetto già caro a quel pubblico e a quei comici, fa gonfiare un po’ la nuova vela. Ma l’11 altro capitombolo con l’Arlecchino erede ridicolo [Il ricco insidiato]... «eredità», annota il D’Origny «che nessuno avrebbe voluto togliere ai figli dell’autore» (Annales du théatre italien... Paris 1788, vol. III). Si prendeva in giro il buon Goldoni nella prole sua mai nata! Per rialzare le sorti era lecito contare sulla Famiglia in discordia che si allestiva, rifrittura, crediamo, dei poco fortunati Puntigli domestici? No. Bisognava imporsi al pubblico con ben altro. Il Goldoni compie allora uno sforzo d’ingegno, e mette subito a parte di ciò che fa e spera il fido Albergati:

«... ho pensato - gli scrive il 18 aprile - a un nuovo genere di Commedie, per vedere se da questi attori posso ricavare qualche cosa di buono. Essi non imparano le scene studiate: non eseguiscono le scene lunghe, ben disegnate: ed io ho fatto una commedia di molte scene brevi, frizzanti, animate da una perpetua azione, da un movimento continuo, onde i comici non abbiano da far altro che eseguire più coll’azione che colle parole. Vi vorrà una quantità grande di prove sul luogo dell’azione, vi vorrà pazienza e fatica, ma voglio vedere se mi riesce di far colpo con questo metodo nuovo. Il titolo della Commedia e L’Èventail. Un ventaglio da donna principia la commedia, la termina e ne forma tutto l’intrigo. La scena è stabile, e rappresenta una piazza di villa con varie case e botteghe e viali d’alberi. Al primo alzar della tenda tutti i personaggi si vedono m scena, in situazioni, impieghi ed attitudini differenti. Tutti agiscono. Si vuota e si riempie la scena, e termina con tutti i personaggi in situazioni diverse. Vi ho messi dentro, per essere meglio inteso, quattro personaggi francesi. Ho letto la Commedia all’Assemblea dei comici e tutti ne sono restati contenti. Credo che si darà in questo mese, e se sarà con calore rappresentata, mi lusingo che farà buon effetto» (Lettere di C. G. con proemio e note di E. Masi, Bologna, 1880, pp. 206, 207).

L’illusione fu breve. Men di due mesi dopo, il 13 giugno, il Goldoni scrive al Albergati: «Si è data la mia commedia, intitolata il Ventaglio, ma non ha fatto quell’incontro, che io credeva. È troppo inviluppata per l’abilità di questi comici. (ibid., p. 213). Laconico e doloroso epitaffio sulla tomba di tante speranze! La commedia era stata eseguita la sera del 27 maggio.

Brevi cenni vi dedicano i cronisti del tempo. Il Desboulmiers la qualifica «canevas italien», ed aggiunge un tacitiano «sans succès» (Hist. anecd. et raisonnée du Théâtre italien, Paris, MDCCLXIX, T. VII. p. 323). «L’Eventail que M. Goldoni a mis au jour le 27 mai - scrive il D’Origny - n’est pas son plus bel ouvrage; cependant il n’a pas laissé d’amuser» (op. cit., vol. III, [p. 466 modifica]p. 17). E nel Mercure de France si legge: «il y a beaucoup de choses amusantes, qui doivent faire espérer qu’ elle sera suivie» (giugno, 1763, p. 195). Benevolo augurio, a cui non rispose la realtà.

Che cosa sarà stato quest’Eventail? Per il Desboulmiers, già citato, un «canevas italien». «A canevas» si legge nel Catalogue in coda ai Mémoires. Dalle parole del Goldoni invece («ho fatto una commedia di molte scene brevi, frizzanti» ecc.) si potrebbe arguire che fosse scritto, se non tutto, in buona parte. Ma la risposta sicura alla nostra domanda potrà venir solo dalla più che ipotetica scoperta del prezioso copione o soggetto che sia. E del resto la parola canevas indica forse l’indole del lavoro, meglio che non ne precisi la forma.

Carlo Goldoni serviva allora due padroni. Le vecchie commedie gli fornivano scenari per Parigi. Le nuove, composte per il Théâtre Italien, si tramutavano per via in commedie italiane novissime ch’egli, con la premurosa e intelligente mediazione di Stefano Sciugliaga, mandava al Vendramin. Anche senza l’impegno che lo legava al lontano Teatro di San Luca, non par verisimile che il Goldoni volesse lasciare irrugginire nel cassetto, dove insipienza di comici e ignoranza di pubblico l’avevano buttato, un gioiello come il Ventaglio.

Il 27 novembre 1764 lo Sciugliaga riceve dal suo grande e caro Goldoni una commedia nuova, accompagnata da questa nota: «Ecco la quinta [delle sei d'obbligo]: questa è una gran Commedia, e una gran fatica costerà ai Comici per rappresentarla. Fatica d’attenzione, di qualche prova di più; ma queste sono quelle Commedie, che fanno brillare il talento, e l’abilità delli Comici. Voi capirete cosa è in leggendola, ma lo capirete meglio figurandovi di vederla in Scena. N’avete veduto di simili: per esempio il Filosofo Inglese, il Campiello, le Baruffe Chiozzotte, ma questa è la più legata di tutte, ed osservate il legamento de’ personaggi, che da un atto all’altro sono sempre concatenati, nè mai resta un momento la scena vuota. Non ho distinto le scene, secondo il solito, perchè sarebbero tante, che si avrebbe raddoppiato la carta. Il colpo d’occhio della prima scena, la scena muta del terzo atto, e il gioco perpetuo di tutte le parti della scena, e di tutti i personaggi, secondo me, sono cose, che dovrebbero far bene.... Raccomandate che facciano diverse prove. Tutto dipende dall’esecuzione. La Commedia dipende dai Comici, e so che sono in sicuro......» (C. G. e il Teatro di San Luca a Venezia. Carteggio, con pref. di D. Mantovani, Milano, 1885, pp. 224, 225).

Era il Ventaglio che l’autore, punto scoraggiato dall’insuccesso di Parigi, aveva rifatto in veste italiana togliendone i quattro francesi.

Seguiamone ancora le sorti in queste due note del coscienziosissimo mediatore al Vendramin:

[in data 17 dicembre] «Accludo a V. E. la copia di quello, che il Sig. D.r Goldoni m’ha scritto intorno la quinta Commedia nel mandarmela. Da questo si vede la idea, che egli ha della medesima, e ciò che è necessario per parte dei Comici, perchè riesca. Tutti hanno parte, et ogni uno ha parte fatta a suo dosso. Dessa è bella e licenziata [intendi: dalla censura], e quando V. E. la vorrà, basta che con due righe di memoria mandi a prenderla. Il suo titolo è Il Ventaglio». [p. 467 modifica]

[in data 3 gennaio 1764-5] «ora i Comici, per quello che sento dire, sperano molto sul Ventaglio, et io spero, che accompagneranno le loro speranze con replicate prove, con esatta esecuzione» (Mantovani, op. cit., pp. 228, 231).

Se e come gli artisti rispondessero all’attesa del bravo Sciugliaga, la cronaca non dice. I Notatori Gradenigo (Museo Correr) recano solo questa notizia in data 4 febbraio 1765: «Nel Teatro appresso S. Giovanni Grisostomo, il titolo della commedia fu il Ventaglio, venuto da Parigi, composizione novissima del Poeta Carlo Goldoni, che oggi soggiorna in Francia - Erra il codice Gradenigo nel dare il nome del Teatro. Il Diario Veneto, più esatto, annuncia che al S. Salvatore (poi S. Luca) nel 4 febbraio 1765 si diede il Ventaglio «commedia novissima, mai più rappresentata» e si replicò il 6, 7, 8, 9 e 10 dello stesso mese.

Se la commedia, data il 4, si ripete ben cinque volte in quel mese, non si vede come si possa parlare d’insuccesso. Ma il Malamani afferma: «dialogata intieramente e spedita a Venezia, ebbe pari sfortuna al San Luca». (Nuovi appunti ecc., Venezia, 1887, p. 100). Anche Ernesto Masi, verisimilmente sulla fede del Malamani, scrive: «ma, neppur Venezia, sempre forse per la scarsa abilità dei comici, gli diede ragione» (Scelta di commedie di C. G., Firenze, 1897, vol. II. p. 351). E l’Allocco-Castellino, forte di questo preteso insuccesso, fantastica che il pubblico si scostava sempre più dal teatro goldoniano (Alberto Nota, Ricerche, Torino, 1912, pag. 6). Se mai, non vi contribuì il Ventaglio.

Le fonti, in ogni tempo copiose per la cronistoria del nostro teatro lirico, sono scarse per quello di prosa negli ultimi decenni del secolo XVIII e ne primissimi del seguente. Non ritroviamo il Ventaglio prima del 1815. Anche l’essersi stampato appena nel 1789 (Venezia, Zatta, e altrove) dovette ritardarne la notorietà pur tra i comici. Arrogi che nel periodo della rivoluzione e napoleonico il nostro repertorio drammatico si nutrì relativamente poco di sana merce goldoniana. Si torno ad attingervi largamente appena dopo il ’15. L’elenco che segue tien conto di recite, per il nome della compagnia, del teatro o per altre ragioni, notevoli. Il Ventaglio, pur vivo in ogni tempo sulle nostre scene, causa la difficoltà d’esecuzione (troppe prove richiede!) resta indietro per numero di recite ad altri lavori goldoniani di pari merito.

Nel 1815, il 13 febbraio, lo recita la Comp. Reale Italiana al servizio della corte di Napoli, al Teatro del Fondo. Figura tra gli esecutori Francesco Augusto Bon (Crespino), allora alle sue prime armi (cfr. Giornale delle due Sicilie e Sette lettere di F. A. Bon, annot. da R. Bratti. Riv. Teatr. ital. 1907, vol. XII, p. 15 (Estr.)).

Nel 1820, stagione d’autunno, al Teatro Re di Milano, la Compagnia Alberti e Rosa (Serie cronol. delle rappres. dei Teatri di Mil., ibid., 1821, p. 117).

Nel 1823, accolto nel repertorio della Compagnia Reale Sarda (Costetti, op. cit., p. 34).

Nel 1828, dicembre, al Teatro Re di Milano, Comp. Ducale di Modena [Bon-Romagnoli-Berlaffa] (I Teatri, Milano, 1828, 30 dic., p. 643).

Nel 1831, 24 ottobre, al S. Benedetto di Venezia, la stessa compagnia (Musatti, Cronistoria delle commedie del Goldoni nei teatri di Venezia, inedita). [p. 468 modifica]

Nel 1833, 11 dicembre, allo stesso teatro, la Reale Sarda. Beneficiata di Rosina Romagnoli. Di tale recita, notevolissima per il nome degli interpreti, ci è caro poter riprodurre l’avviso:

PER IL RINNOVATO TEATRO GALLO

A

S. BENEDETTO

La sera di mercoledì 11 dicembre 1833

A BENEFIZIO DELL'ATTRICE

ROMAGNOLI ROSINA

La Compagnia drammatica

Al servizio di S. M. il Re di Sardegna, ecc.

RAPPRESENTERÀ:

IL

VENTAGLIO

Commedia in tre atti del Goldoni.

INTERLOCUTORI.

Giannina Sigg. Romagnoli Rosina Il bar del Cedro Sigg. Bucciotti Antonio
Candida Fabretti Carolina Coronato Moltini Gaetano
Geltrude Zannoni Adelaide Moracchio Fontana Filippo
Susanna Gabusi Carolina Scavezzo Malfatti Luigi
Il co. Roccamarina. Vestri Luigi Timoteo Bucciotti Giuseppe
Crespino Borghi Giovanni Simoncino Cappelli Dario
Evaristo Zannoni Giuseppe

(Collezione Goldoniana di E. M.)

Il 24 dicembre replica della stessa recita (Musatti, Cronistoria cit.).

Nel 1834, stagione di carnevale, al Teatro Re di Milano, la Compagnia Bon. A questa recita si riferisce il seguente aneddotino che si legge nel Barbiere di Siviglia, giornale di musica, teatri e varietà (Milano, anno 2°, 11 gennaio): «Basta un nonnulla a distruggere l’illusione drammatica... Questa osservazione ci cade sotto la penna a proposito della rappresentazione il Ventaglio. In essa un oste manda a regalare ad un conte, che gli ha promesso la protezione, un barile di vino; vedasi il facchino attraversare la scena col barile sulle spalle, e quello dell’altra sera al Teatro Re non aveva nè zipolo nè cannella. Il Pubblico, com’era naturale, notò subito che quel barile non poteva esser pieno. Ne rise, e ciò contribuì insieme alla freddezza degli attori, a rendere poco interessante la prima metà di quell’ingegnoso lavoro del nostro [p. 469 modifica]Goldoni. L’altra metà andò bene e ci parve più affiatata, per usare un vocabolo da commediante».

Nel 1839, al Teatro Nobile di Zara. Il diligentissimo Sabalich annota: «Fu lo Zerri, celebre caratterista, che nel ’39 diede... il Ventaglio, quel gioiello di commedia d’intrigo...» (Il Dalmata, Zara, 27 febbr. 1907).

Nel 1843, 20 aprile, al Nuovo Teatro Comunale di Modena, la Compagnia di Angelo Lipparini, della quale faceva parte Marietta Lipparini, applauditissima servetta [Giannina] (Tardini, La Drammatica al N. T. C. di Mod., 1898, p. 14).

Nel 1845, 16 aprile, allo stesso teatro, l’ottima Comp. Pisenti e Solmi, alla quale appartenevano Lauretta e Luigia Bon, Angelo Gattinelli, Gaetano e Leopoldo Vestri (Tardini, op. cit., p. 33).

Nel 1845 al Teatro degli Avvalorati di Livorno, in Compagnia G. P. Calloud, il Ventaglio segna la prima tappa nella gloriosa carriera di Ernesto Rossi. Narra egli stesso con gustoso brio questo suo debutto nelle Lettere autobiografiche premesse agli Studi drammatici (Firenze, 1885, pp. 53, 54). Ricordiamo qui per incidenza anche il debutto della celebre Pellandi nel Ventaglio. «Esordì nella parte di Limoncino» scrive il Costetti (Il Teatro italiano nel 1800, Rocca S. Cassiano, 1901, pag. 37), e benchè la parte fosse da nulla, si fece notare.

Nel 1845, 28 novembre, al N. T. Comunale di Modena la Comp. di Luigi Pezzana (Tardini, p. 72). Non sappiamo se il festeggiato capocomico e primo attore vi recitasse, ma certo il bravo caratterista Gian Paolo Calloud fu il Conte.

Nel 1853, 28 giugno, sempre a Modena (Tardini, p. 84), la Comp. Sadowski e Astolfi, della quale faceano parte ancora Giuseppe Peracchi, l’amorosa Celestina De Martini, che gli fu poi moglie, e il brillante Salvatore Rosa.

Nel 1854, 27 febbraio, al S. Benedetto di Venezia, la Comp. di Luigi Pezzana, nella quale era allora la Santoni (Musatti, Cronistoria cit.).

Nel 1854, 7 dicembre, al Nuovo Teatro Comunale di Modena, la Comp. di Cesare Dondini, dov’erano la moglie sua Metilde Chiari, il fratello Achille e Clementina Cazzola (Tardini, p. 87). Riportiamo dai Comici italiani del Rasi (vol. I, p. 786): «I personaggi boriosi e stangati del Marchese di Forlimpopoli nella Locandiera e del Conte nel Ventaglio erano, incarnati da lui [Cesare Dondini], altrettanti poemi». Altra recita del Ventaglio con un sì magnifico Conte segnala il nostro Musatti pel 23 gennaio 1867 al suo S. Benedetto. Certo il Dondini aveva questa tra le parti più care.

Nel 1857, carnevale, al Comunale di Cesena, la Comp. di Giovanni Internari, la quale, vediamo, aveva più commedie del Nostro nel suo corredo (Raggi, del T. C. di C., 1906, p. 196).

Nel 1858, 14 maggio, all’Apollo di Venezia, la Comp. di Luigi Domeniconi (Musatti).

Nel 1876, 22 gennaio, al Rossini di Venezia, la Compagnia Pietriboni. Interpreti di questa lodata riproduzione furono Silvia Pietriboni (Giannina), Ersilia Bassi (Susanna), Teresina Chiari (Geltrude), Graziosa Glech (Candida), Domenico Bassi (Crespino), Luigi Rasi (Evaristo), Ermete Novelli (Coronato), Pietro Barsi (Conte).

Nel 1885, il 25 gennaio, al Valle di Roma la Compagnia di Cesare [p. 470 modifica]Rossi in una stagione, in cui ebbe larga e degna parte il teatro goldoniano, riprese anche il Ventaglio. Se ne fecero tre repliche e furono principali interpreti il Rossi stesso (Conte) e Italia Vitaliani. Sommarie (in troppo le relazioni dei principali cotidiani romani. Scrive il Fanfulla [26-27 gennaio, n. 25]: «Al Valle i successi si succedono e si rassomigliano. Dopo il Don Marzio, i Quattro Rusteghi, dopo i Rusteghi, il Ventaglio, che la compagnia Rossi ha rappresentato ieri sera in modo inappuntabile. Pubblico numerosissimo, una quantità non ordinaria di belle signorine disseminate nei palchi, ilarità e applausi continuati dal principio alla fine della commedia, che probabilmente verrà replicata per parecchie sere». Nel numero seguente si legge: «Al Valle, dove si replicava ieri sera la bella commedia di Goldoni Il Ventaglio, c’era un pubblico numerosissimo che ha prodigato le più festose accoglienze a tutti gli artisti della compagnia, e più specialmente al comm. Rossi e alla signorina Vitaliani, la quale ha saputo tagliarsi una parte di protagonista nel personaggio di Giannina. Buon umore continuo. Il Ventaglio replicasi anco questa sera». E ancora nel numero del 28-29: «Il Ventaglio fa fortuna al Valle. Tant’è vero che stasera è già alla quarta rappresentazione». Anche il cronista teatrale del Popolo Romano [Guglielmo Canon] accompagna le recite del Ventaglio con entusiastiche, ma, come allora usava, brevissime rassegne (cfr. i num. 26 e 27 genn.). E noi raccogliamo tali voci a prova del grande consenso sempre trovato dai capolavori del Nostro, se degnamente interpretati.

Nel 1889 a Ravenna recita per la prima volta il Ventaglio Ferruccio Benini (Crespino) con la sua compagnia che alternava allora commedie dialettali a commedie italiane.

Nel 1894 al Rossini di Venezia la Compagnia Zago-Privato.

Nel 1899, 19 febbraio al Nuovo di Firenze il Ventaglio ebbe ottima interpretazione dalla Compagnia di Luigi Rasi. Diamo il nome degli esecutori principali, molti dei quali raggiunsero poi bellissima fama: Teresa Franchini (Giannina), Maria Micheluzzi (Susanna), Rosa Dondini (Geltrude), Tilde Teldi (Candida), Cesare Dondini (Crespino), Ferdinando Nipoti (Evaristo), Ferruccio Garavaglia (Coronato), Francesco Valenti (Conte).

Nel 1900, l’8 febbraio, la compagnia Zago-Privato al Filodrammatico di Trieste. Togliamo al Piccolo (8 febbraio): «La compagnia Zago-Privato recitò iersera questo capolavoro nella stessa riduzione veneziana che veniva recitata parecchi anni addietro dalla compagnia del Moro-Lin. E fu una recitazione assai viva, intonata, affiatata, nella quale si distinsero Zago nella parte del Conte e Drizzi in quella di Crespino. Il pubblico rise e applaudi moltissimo».

Nel 1903, 14 ottobre, di nuovo al Rossini di Venezia la Compagnia Zago, la Dora Baldanello e il Brizzi» (Cesare Musatti, Cronistoria cit.).

Nel 1905, 29 dicembre, al Teatro Argentina, la Drammatica Compagnia di Roma, diretta da Edoardo Boutet. Fu il secondo lavoro recitato dalla Stabile. Domenico Oliva appunta che gli esecutori, contro le istruzioni dell’autore, si sien messi a parlare appena alzata la tela e di essi loda particolarmente il Bertea (Crispino), (Note di uno spettatore. Bologna, [1911], p. 31). L. d’A. [Lucio d'Ambra] loda ancora Vittorio Pieri. (Conte), il Picasso (Evaristo), l’Almirante (Barone) e avverte che la decorazione rappresentava «un paesaggio di villaggio settecentesco veramente grazioso», opera del Cambellotti (cfr. Il Tirso, 1905, n. 1). [p. 471 modifica]

Nel 1909, la Baldanello, in compagnia propria, recita l’11 gennaio il Ventaglio a Trieste per i danneggiati del disastro di Messina. Esecuzione sbiadita, avverte Giulio Piazza, causa la scarsa preparazione. Tuttavia ebbero applausi la Baldanello, Griselda Monti e il Bratti. Poco pubblico (cfr. Il Piccolo, 12 gennaio 1909).

Nel 1913, il 3 gennaio, al Garibaldi di Padova la Comp. Zago. L’avviso di questa recita porta qual motto, attribuendolo erroneamente al Goldoni, un enfatico fervorino relativo al Ventaglio di conio modernissimo.

A un lavoro che senza peculiari esigenze all’abilità di singoli, offre modo a tutti gl’interpreti (ben quattordici!) di farsi valere, le simpatie dei filodrammatici non potevano mancare. C’è sì la difficoltà dell’affiatamento. Ma le prove, tanto ostiche a qualche comico di mestiere, formano uno dei più forti allettamenti per la balda gioventù che del recitare fa il proprio diletto. Se non la prima, una delle prime recite filodrammatiche del Ventaglio fu certo quella dell’Accademia del Teatro Nazionale (già Ducale) di Modena il 1° dicembre del 1798 (Gandini, Cronistoria dei Teatri di M., 1873, voi. II, p. 60). La stessa fonte registra l’8 febbraio 1823 un’altra esecuzione della commedia con la nota «recitata assai bene dai Dilettanti Filodrammatici» (ibid., p. 157).

Giovanni Martinazzi dell’Accademia dei Filo-drammatici di Milano ne ricorda una il 14 marzo del 183 (Cenni storici, ecc., Mil., 1879, p. 134); una per l’anno sociale 1835-1836 l’anonimo cronista [Hermet] della Filarmonico-Drammatica di Trieste (Memorie, ecc., Trieste, 1884, p. 29); ben tre dell’Accademia Filodrammatica Romana per gli anni 1841, 1856, 1861 il Prinzivalli [Memorie ecc. Terni, 1888, pp. 64, 135, 189]. Nelle due ultime recitò Clotilde Vitaliani che fu anche in arte e appartenne prima e poi - scrive il Rasi - «acclamatissima, alle più chiare e signorili filodrammatiche di Roma» (vol. II, p. 689).

L’11 maggio 1875 l’Accademia Filodrammatica Bolognese recitò il Ventaglio al Teatro Brunetti a beneficio della sottoscrizione per un monumento a Goldoni [a Venezia]. Dopo il secondo atto Crespino, lasciato «in camerino il martello, la lesina e il grembial», disse un garbatissimo monologo di Enrico Panzacchi (Intermezzo al «Ventaglio», Bologna, Soc. Tip. dei compositori, 1875; ristampato nel Carlo Goldoni dal Perino [Roma 1893] e altrove). Il poeta accenna alla venuta del Nostro a Bologna, ove ambiva di far valere la sua riforma, e la sintetizza ed esalta in questi versi:

     . . . . . . . Misurata d’un guardo
     La via lunga, aspra, dubbia, eccolo con gagliardo
     Proponimento all’opra; e per correr più lesto
     Getta alle prime ortiche la toga ed il digesto.
     Poi, con la turba innumera de’ ciuchi e de’ buffoni.
     Qua renitenti zingari, là dotti bertuccioni,
     Qua Rosaure svenevoli, Florindi puntigliosi.
     Là critici saccenti, e rivali invidiosi.
     Con tutti in una volta, calmo, ardito e beffardo
     Comincerà una zuffa da disgradar Baiardo;
     E l’itala commedia, deposto il saio vile,
     Riprenderà la veste del secolo civile.
     Ritornerà sul palco bella, ringiovanita.
     Specchio giocondo, ingenuo, dei tempi e della vita.

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Il 4, 6, e 10 marzo 1900, nel teatrino del Palazzo Taverna a Roma, dei filodrammatici improvvisati dell’alta società romana recitarono il Ventaglio a scopo benefico. Li istruì Virginia Marini e s’ebbero tutti, in modo speciale la principessa Paterno [Giannina], l’autorevole lode di Adelaide Ristori (vedi fotografie e una lettera della Ristori nelle Cronache Teatrali di Edoardo Boutet, Roma, 25 marzo 1900, pp. 6-10). — Sempre a scopo benefico anche studenti e studentesse dell’università di Bologna, maestro Luigi Rasi, diedero il 19 marzo 1901 a quel Teatro Comunale la nostra commedia e Carlo Zangarini disse allora un suo prologo d’occasione definito dal poeta «una variazione fantastica su motivi del Ventaglio». Del grazioso componimento diamo un breve saggio:

                    «...volendo ricondur la sana
                    eco del riso a queste austere sale,
                    abbiamo chiesto ad una età lontana
                    un ventaglio tutt’ori e tutto gale,
               con un fregio di putti intorno intorno,
                    dame in agguato dietro l’occhialetto,
                    e cavalieri, in bel costume adorno,
                    mutando piede al suon d’un minuetto.
               E messaggio di gioia io son venuto,
                    belle signore, a farvi complimento,
                    grave movendo, a cenno di saluto,
                    il ventaglio gentil del settecento.

Il Ventaglio simboleggia «la felicità»:

                    «ciascun l’insegue, non la giunge alcuno»

(Avanti la diana, Bologna (Beltrami, 1905, pp. 70-74). Negli intermezzi e durante le scene mute si esegui musica settecentesca sotto la direzione di Guido Alberto Fano (Cfr. Ehi! ch’al scusa, 9 marzo 1901, e altri periodici bolognesi di quei giorni). Si stamparono anche cartoline d’occasione. Nello stesso anno [1901] altra recita nel teatrino di Villa Nava a Portici, sotto l’abile guida di Alessandro Nava. G. d. m. [Gaspare Di Martino] ne scrive quest’elogio: «Il Ventaglio, la commedia di Goldoni così ostica alla concertazione, così difficile alla coloritura del dialogo e dell’ambiente, così impicciosa alla messa in iscena d’un piccolo teatro, da quei bravi innamorati dell’arte fu recitata con snellezza, con vivacità incisiva di parole, con colore smagliante di vita, con uno scenario ch’era un saggio di gusto squisito e di pazienza cenobitica» (Il Proscenio, Napoli, 7 novembre 1901). Nel bicentenario della nascita (1907) recitarono, il 13 febbraio, il Ventaglio al Teatro dei Filodrammatici gli studenti del Liceo Parini di Milano. Replica il 27 a scopo di beneficenza (v. Corriere della sera del febbraio). Curiosa fu certo una rappresentazione del Ventaglio, nella stessa occasione (1907), data all’Istituto Margherita di Palermo da quelle allieve. La precedettero una conferenza del prof. Li Greci e un dialogo su Goldoni (v. Il Giornale di Sicilia, Palermo, 26 febbraio 1907). Imitarono il valoroso esempio delle sicule consorelle, incaricandosi di tutte le parti, maschili e femminili, le normaliste della R. Scuola Elena Corner Piscopia di Venezia nel marzo del 1913. Le istruì la direttrice Clelia Falconi, studiosa apprezzata del teatro goldoniano. Vi furono due recite alla scuola e due pubbliche (Teatro Massimo): [p. 473 modifica]particolarmente applaudita Virginia Zolli (Giannina). Anche le parti maschili furono rese con tanto impegno e verità che il relatore della Gazzetta di Venezia (17 marzo 1913) delle animose interpreti fece senz’altro degli interpreti.


Era «una gran commedia», e non soltanto per la fatica durata nel comporla, come modestamente intende l’autore. Di farraginose azioni tessute intorno a cose inanimate la scena aveva esempi anteriori al Goldoni. Ricorda, tra gli altri, il Croce uno scenario del Porta, la Notte, dove questi con un sol sasso fe’ nascere tanti varii successi, che insieme destavano il riso e la meraviglia degli uditori» (I Teatri di Napoli, 1891, p. 79). Ma prima e dopo il Ventaglio, il Teatro non ha altra commedia di puro intreccio dove meno si scorga l’artificio. Meno che in questa. Artificio?... La macchina non stride, non ansa: corre da sè. Gelosie, invidie, curiosità la muovono: le piccole passioni d’un piccolo mondo sperduto nella campagna. Presto i giri si fanno più rari. Il nodo si scioglie in piana, logica maniera.

Commedia non tutta nuova ne’ vari elementi onde s’intesse. Attinge l’autore al rigoglioso suo serbatoio per trarne gelosie e curiosità che aiutarono già ad imbastire, ad arruffare altri intrecci. Altre - tante! - coppie d’innamorati, prima di Evaristo e Candida, si procacciano nel teatro goldoniano pene e fastidi per diffidenze ingiustificate. Candida, come Eugenia, spinta dalla passione, si promette a chi non ama... E il Conte? Questo personaggio che nulla è e tutto vuol essere - gustosa caricatura de’ nobili decaduti, contro i quali il Goldoni moveva con sempre garbata satira - rinnova sott’altre spoglie l’ineffabile marchese di Forlipopoli. L’episodio del ventaglio, diventato nelle mani del Conte un suo munifico dono al Barone, rammenta la boccettina, cui nella Locandiera tocca simile ventura (cfr. Il Ventaglio, ediz. annotata da C. Levi, Napoli, Pironti, 1912, p. 75). Ed è veramente nuova l’idea d’un innocuo ventaglio che turba la quiete di tutto un paese? Nuova nel teatro del Goldoni. Ma egli conosceva Le cerimonie di Scipione Maffei (cfr. vol. I, p. 69; vol. VII, p. 98 della pres. ediz.), dove ha non esigua parte un altro ventaglio di novissima invenzione, quindi ben più prezioso del nostro. Però, come questo, ministro inconscio di umane passioni, genera ripicchi e gelosie e storna un matrimonio già presso a concludersi (cfr. Il Ventaglio, ed. annotata per i tedeschi da E. Maddalena, Berlin, Simion, 1895 [Piccola Biblioteca italiana], prefazione; Commedie scelte di C. G., con pref. di N. Vaccalluzzo, Palermo, 1915, pp. 591-3).

I modi, onde tali evanescenti ricordi di invenzioni proprie ed altrui si tramutano e acquistano ben diversa vita nel geniale crogiuolo goldoniano, son quelli della Commedia dell’arte. Della quale il Ventaglio appare l’estrinsecazione artistica più alta, la trasfigurazione, vorremmo quasi dire.

Aveva già il Goldoni nel suo bagaglio teatrale, fra molte altre, due famosissime commedie d’intreccio, il Servitore di due padroni e il Figlio d’Arlecchino perduto e ritrovato: scritta la prima, scenario l’altra: tipiche ambedue ne’ diversi generi. Del Figlio d’Arlecchino, che a Parigi ebbe immensa fortuna, si sa solo (dal riassunto - altro non resta) come mai fantasia di commediografo concepisse matassa più arruffata. Il Servitore annunzia la prima felice fusione dell’arte goldoniana coi procedimenti del teatro estemporaneo, così come [p. 474 modifica]il Ventaglio a tale contemperamento segna il punto d’arrivo. Ma se già il Servitore, ancora tutto entro l’ambito del teatro improvviso, crea un tipo: l’ineffabile Truffaldino, la cui voracità produce tanti giocondissimi imbrogli - nel Ventaglio, opera di chi al teatro meditato avea già largito i frutti del suo genio più maturo, i personaggi agiscono e parlano come nella realtà. Ed è in mezzo ad essi Giannina, una delle fanciulle più vive e più vere del teatro goldoniano. Perchè il Nostro, pur se la favola posa tutta sull’intreccio, non sa astrarre dalla vita.

Ernesto Masi con la consueta penetrazione addita così la sorgente, donde il nostro derivò questo suo freschissimo Ventaglio: «L’ispirazione gli viene evidentemente dalla commedia dell’arte, messa qui al servizio dell’arte comica più premeditata e più raffinata, dalla commedia dell’arte, di cui questa commedia è quasi l’ultima parola, l’ultima varietà, per dir più esatti, della trasformazione, che il Goldoni ha fatto della commedia dell’arte nella sua commedia popolare. Per convincersene, oltre a tante parti dalla commedia, che si potrebbero indicare, basta l’ultima scena, quando dopo tanto tumulto si scopre l’arcano del ventaglio caduto, ricomprato, spedito, smarrito, ritrovato, trafugato, regalato a chi non lo doveva avere, ricuperato finalmente e consegnato alla fanciulla, a cui era fin da principio destinato. Tuttociò è uno dei cosidetti imbrogli della commedia dell’arte, ma avvolto e svolto dalla potente mano del Goldoni, il quale nella verità poi, nella sobrietà di colorito, nella delicatezza di tutto il quadro e nella mezzanità stessa, in cui ha saputo contenere gli affetti, i caratteri, i difetti, le caricature di tutta quella gentuccia, si rivela artista finissimo, onde ben a ragione si vantava esso, il Goldoni, del suo lavoro...» (Scelta di commedie di C. G., Firenze, 1897, vol. II, p. 352).

Il Ventaglio è compreso nel Catalogue des pièces de théâtre de M. Goldoni dont il est parlé dans ces Mémoires. Ma chi lo stese questo catalogo, errò. Le Memorie ignorano il Ventaglio. Forse perchè a Parigi non ebbe fortuna, nè della sorte toccata alle commedie goldoniane nella lontana Venezia s’occupa mai l’ultima parte della Vita. Tale silenzio trasse seco quello di troppi critici schiavi delle Memorie. Così neppure il nome della bella commedia fanno Gherardo de Rossi, il Meneghezzi, il Gavi, il Carrer, il Klein, il Royer e il Guerzoni. Il solo titolo, senza l’ombra d’un apprezzamento qualsiasi, è nelle opere del Galanti (p. 388). Il De Gubernatis che pur dedica pagine molte al Cavaliere di buon gusto, all’Avventuriere onorato e ad altre commedie mediocri e ben morte, menziona la nostra solo di passata in mezzo ai «capilavori» (C. G., Firenze, 1911, p. 186). Perchè «capolavoro», credemmo s’avesse a tenere conto anche di chi, tra i critici maggiori del Nostro, l’ignora o trascura.

Posto eminente nell’opera del suo autore danno invece al Ventaglio il Brofferio (I miei tempi, Torino 1904. vol. VI, p. 336; vol. VIII, p. 125), il Ciampi (La commedia italiana, Roma, 1880, p. 234), Gaetano Zocchi (Il teatro italiano a’ tempi nostri. Prato, 1885, p. 78), il Giovagnoli (Centenario in onore di C. G., Roma. Ferino, 1893, p. 3), il Molineri (Storia d. lett. ital., Torino, 1898, vol. III. p. 177), Vernon Lee (Il 700 in Italia. Milano, 188; voi. II, p. 287), Giulio Caprin (C. G., Milano, 1907, p. 199). il Pasqualini (C. G., Assisi, 1909, p. 29), il Del Cerro (Nel regno delle maschere, Napoli, 1914, p. 344), il Vaccalluzzo (Carlo Goldoni, Messina, 1914, [p. 475 modifica]p. 35) e il Pellizzaro (La vita e le opere di C. G., Livorno, 1914, p. 61). L’intrigo... d’una aristocrazia senza pari» n’ammira il Bertoni (Modena a C. G., 1907, p. 409). «Modello insuperato... nella commedia d’intreccio» l’esalta Cesare Levi (Letteratura drammatica, Milano, 1900, pp. 163, 164). «Un graziosissimo gioco d’insieme» vi scorge L. Brosch (Carlo Goldoni, Beil. z. Allgemeinen Zeitung, 1907, n. 46). Con altre commedie del Goldoni il Ventaglio mantiene «la giovinezza riservata ai capilavori», secondo Isidoro Del Lungo (Atti della R. Accademia della Crusca, Firenze, 1912, p. 29). Per il Lesca è «tutta vita e giocondità, una delle sue più felici» (Le bourru bienfaisant, Firenze, Sansoni, 1901, p. VI). «Appartiene a quella famiglia di capolavori, in cui il calore della giovanezza ha un alito immortale» scrive G. [Giulio], P. [Piazza]. (Piccolo, Trieste, Il gennaio, 1909). La stessa lode pronuncia e svolge con buona analisi Domenico Oliva: «...commedia sorrisa da una giovinezza, la quale non tramonta mai... giovinezza che giuoca, s’agita, corre, si festeggia follemente, e versa in un quadro che appare a prima vista di piccole proporzioni, ma a chi osserva e medita si rivela vasto come la vita, tutta la sua esuberanza di forza, tutta la gagliardia del suo sangue». Il Goldoni - continua lo stesso critico - «nella costruzione dell’opera scenica superò tutti i suoi antecessori, anche i più grandi, anche coloro che più di lui seppero penetrare nelle profondità, negli abissi del cuore umano: e restò insuperato. Chi saprebbe più architettare tre atti così pieni, così densi, così fertili di trovate, di situazioni, sopra un filo tanto tenue, sopra le avventure d’un piccolo ventaglio...? (Note di uno spettatore, Bologna, [1911], pp. 32-36). Dei pregi di semplicità e verità nell’immaginare e condurre l’intreccio così discorre Ferdinando Martini: «...gli basta un nonnulla, un aneddoto, una passeggiata, uno sguardo insomma intorno a sè, per imporre tutto quanto l’intreccio d’una commedia; e comporlo, badiamo, non già di eventi straordinari, ma di fatti consueti: che s’io non vo errato, ci vuol molta più fantasia a immaginare il Ventaglio (stupenda, inimitabile commedia! ) che un di quei drammoni miracolosi i quali portano sulla scena, per dirla con un improvvisatore fiorentino. Tornei, voli, carriaggi. Cinquantotto personaggi, Trentasei divinità» (Capolavori di C. G., Firenze, Sansoni, 1907, p. 12). «L’abilità scenica del Goldoni a proposito della sua commedia il Ventaglio» fu già argomento d’una conferenza ancora inedita di Charles Dejob alla Sorbonne (Cfr. Societé d’études italiennes, 22° bollettino). Bellissimo saggio di quanto avrà esposto è certo in questa pagina del noto suo libro Les femmes dans la comédie française et italienne au XVIIIe siecle (Paris, 1899, p. 370). Nel Ventaglio — scrive il Dejob - Goldoni atteint le comble de la prestesse dramatique... Goldoni y montre une étonnante habilité a mettre à la fois tous ses personnages sous les yeux du spectateur, en faisant apercevoir le caractère de chacun d’eux... aucun rôle ne languit: chacun ne dit qu’ un mot, mais ce mot amène une replique de l’un, une intervention d’un autre, et chaque personnage se trouve à son tour pour un moment le centra de l’entretien, ce qui n’empéche pas qu’ on devine, outre les sentiments reciproques, l’intrigue principale autour de laquelle tout viendra s’enrouler. La scène muette par laquelle s’ouvre le troisième acte, n’est pas une simple vue de cinématographe représentant des gagne-petit à l’oeuvre dans un carrefour; les sourires ironiques que se décochent le save[p. 476 modifica]tier et le cabaretier nous rappellent que le premier a trouvé le bienheureux éventail et que le second ne sait pas encore l’avoir perdu; et le va-et-vient des autres personnages nous fait souvenir que dans cette pièce les complications naissent a chaque instant de ceux qui s’attend le moins à les produire» (pag. 370).

Parecchi richiami al Ventaglio sono negli spersi studi del Momigliano. «Commedia di chiacchiere e di imbrogli» la definisce, «dove [il Goldoni] ha saputo vedere la linea artistica» (I limiti dell’arte goldoniana, Miscellanea Renier, Torino, 1913, p. 85). Come in tutte quelle che «han per tema lo svolgimento d’un fatto ben determinato, la comicità generale è il pregio maggiore» (La comicità e l’ilarità del Goldoni, Giorn. stor. d. lett., 1913, vol. 16, p. 33 [estr.]). Altrove appunta gli accenti melodrammatici, fuori di tono e di verità, in cui esce Evaristo quando Candida lo respinge: «improvvise raffiche di mal gusto», ch’egli non riesce a spiegarsi (Il mondo poetico del Goldoni, L’Italia moderna, 15 marzo 1907, pp. 476, 477). Tra le Opere di Carlo Goldoni, scelte da lui e illustrate (Napoli, Perrella, [1914]), il Ventaglio è ristampato intero accanto ai Rusteghi, e alla Locandiera: testimonianza del significato che il valoroso critico riconosce a quest’opera. Le sobrie e acute note alla commedia son condensate da ultimo in questa che ci piace di riportare intera: «Il Ventaglio è fra le cose migliori del Goldoni per l’agilità inesauribile delle complicazioni, per la densità e per la rapidità dell’azione. Mancano quasi affatto le chiacchiere, come mancano nella vita quando si agisce. L’azione dura poche ore, ed è piena, vana come un azione reale a cui sia stato tolto quasi sempre ciò che non contribuisce alla sua fisonomia. La ridicolezza della caccia al ventaglio cresce col proceder dell’azione. Il Goldoni mostra benissimo il contrasto fra l’accanimento della ricerca e la futilità dell’oggetto cercato. L’interesse è tutto in questa ricerca, che svela la piccineria d’un ambiente. Dato quest’indirizzo si capisce che in generale i personaggi presi a sè abbiano poco rilievo: i più notevoli sono Giannina e il conte; ma sono tutt’altro che creazioni. Non è un difetto: chi guarda al complesso di un’azione, non può conoscere a fondo nessuno degli attori, ma può rilevare il significato psicologico di quell’azione. Così ha fatto il Goldoni; e per questo il Ventaglio è un capolavoro».

Adolfo Padovan, anch’esso editore di Commedie scelte del Nostro (Milano, Hoepli, 1912), tra le quali è il Ventaglio, riassume un suo giudizio così: «non... studio di caratteri, non singolarità di tipi, nè dei personaggi studiati di sul vero e vivi, ma dei brani di vita messi insieme con dirittura di giudizio e aromati di comicità. Una commedia dunque d’artificio, che piace per il modo come è svolta, per il brio del dialogo, le sorprese degli episodi, ma nella quale il Goldoni non crea, ma combina; non dimostra una geniale spontaneità operante, ma solo della abilità e della destrezza». Apprezzamento ingiusto se mai altro. L’abilità e la destrezza non bastano a crear capolavori. Nè s’intende come senza «personaggi studiati di sul vero e vivi» si possano metter insieme «brani di vita». Sì, figure sbozzale alla braca, piuttosto che ritratti, nota anche il Chatfield-Taylor (Goldoni, a biograph), New-York, 1913, p. 512), ma intorno a singoli personaggi, a Giannina p. e., l’arte del Goldoni, ci sembra, indugia con particolare cura, e n’esce - nell’atteggiamento e nella parola - una figura [p. 477 modifica]che rivela tutta sè stessa. «Architettata con maestria, vivace nel dialogo, questa commedia abilissimamente tessuta - scrive ancora il critico americano - mostra meglio le attitudini del Goldoni quale artefice drammatico che il geniale dipintore della vita,. Il Conte di Rocca Marina, il carattere più divertente, ripete soltanto gli elementi di comicità che fanno del Marchese di Forlipopoli e di Don Marzio così interessanti studi di nobili decaduti» (l. cit.). Non sembra al Chatfield-Taylor che dal Ventaglio si debba giudicare l’ingegno dell’autore. Ma perchè no, se la critica è unanime nel comprenderlo tra i capolavori, anzi tra i «massimi capolavori» (E. Masi, Scelta cit., vol. II, p. 352) dell’autore?


La fortuna ch’ebbe il Ventaglio fuori d’Italia non è certo pari al suo valore. Fu noto solo quando la voga goldoniana era quasi del tutto cessata. Ma se nel settecento questa commedia non fece neppur un debole tentativo di mettersi in gara con tante altre sorelle, avventuratissime oltr’alpe per copia di versioni e di recite, nel secolo decimonono un po’ di buon cammino lo fece.

Diamo in ordine di tempo le traduzioni [riduzioni] da noi potute esaminare o conosciute per via indiretta. Sono undici: tre tedesche, cinque inglesi, una catalcma e due russe.

Der Fächer. | Lustspiel in drei Aufzügen | und in Alexandrinern | von | Cari Blum (Nach der Idee des Goldoni). Leipzig, 1832, bei Friedrich August Leo; 8°, pp. 79. Cfr. su questa riduzione, infelice nella forma e nelle pretese innovazioni, il Sulger-Gebing in Zeitschrift f. vergl. Literaturgeschichte, Weimar, 1897, p. 498 e Maddalena, Le traduzioni del Ventaglio, Rivista teatrale italiana, Firenze, 1911, anno X, vol. 15, pp. 65-67. Fu recitata quattro volte a Berlino fra il 2 maggio e il 12 giugno del 183 1 (Scheffer u. Hartmann, Die Kön. Theater in Berlin, Berlin, 1886, p. 27).

Der Fächer. | Lustspiel in drei Aufzügen | von | Carlo Goldoni: | Deutsch von | G. Riiter. | Leipzig. Druck von Philipp Reclam jun. 16°, pp. 70. E il n. 674 dell’Universal-Bibliothek, pubblicato nel 1875. Troppo poco il traduttore sapeva d’italiano per risolvere la non ardua impresa. Copia di grossi e allegri sfarfalloni raccoglie chi riveda quest’imparaticcio sull’originale (Cfr. Maddalena, art. cit., pp. 67, 68).

The fan | (Il Ventaglio) | A comedy in three acts. Fa parte del volume The comedies of Carlo Goldoni, edited with introduction by Helen Zimmern, London, D. Stott, 1892. La nostra è a pp. 147-277. Traduzione anonima, condotta sulla scelleratissima tedesca del Ritter, della quale ripete coscienziosamente i troppi errori (cfr. Maddalena, art. cit.’ pp. 68, 69). Del tutto immeritati gli elogi profusi da Paolo Gazza sia alle versioni di questo volumetto, ch’egli erroneamente attribuisce tutte alla Zimmern stessa, sia all’insignificante introduzione (Modena a Carlo Goldoni, Modena 1907, p. 396). L’«inferior translation» del Ventaglio che fa parte di questa scelta fu recitata da una «drammatic school» a New York City l’anno 1899. Così il Chatfield-Taylor a pag. 511 del suo volume.

The fan, traduzione inedita di Henri B. Fuller, recitata dagli allievi di Anna Morgan al Grand Opera House di Chicago nel 1898, e di nuovo l’anno 1909 dal Dramatic Club di quell’Università (Chatfield-Taylor, a pp. 511 e 635). [p. 478 modifica]

Der Fächer | Lustspiel in drei Aufzügen | von | Carlo Goldoni. In deutschen Versen frei bearbeitet | von | Julius R. Haarhaus. | Soufflier-und Regiebuch mit einem Dekorationsplan und dem | vollständigen Scenarium. | Leipzig | Verlag von Philipp Reclam jun. Pagg. 92. Fa parte dell’Universal-Bibliotek (n. 674), nella quale dal 1906 sostituisce la brutta versione del Ritter. Riduzione libera, come il titolo avverte, e, dove traduzione, non sempre esatta. L’Haarhaus che già ridusse in versi la Locandiera fu meno avventurato facendo lo stesso del Ventaglio. «A tradurre semplicemente in prosa» giudicò rettamente Diego Garoglio, egli «avrebbe faticato meno, e il Goldoni ci avrebbe guadagnato un tanto» (Il 5000° numero di una «Biblioteca universale», Il Marzocco, 26 luglio 1908). Ma con tutti i difetti, dei tre tentativi di dar veste tedesca al Ventaglio questo, a parer nostro, resta il meno infelice.

Goldoni | El vano | Comedia en tres actes | Traduccio de Narcis Oller | Libreria «L’Avenç» Rambla de Catalunya, 24, pp. 113. E il num. 86 della «Biblioteca popolar de L’Avenç». Traduzione catalana, quasi letterale (cfr. Maddalena, art. cit., pp. 70, 71).

Il Ventaglio | (The fan) | A comedy in three acts | by Carlo Goldoni | translated for | The Yale University Dramatic Association | (Incorporated) | By Kenneth M. Kenzie. | Assistand Professor of Italian in Yale University | With an introduction | New Haven, Conn. | Published under the supervision of | Allen Skinner Hubbard, 1911. 8°, pp. XXII 92. L’ottima introduzione abbraccia la vita e l’opera di Goldoni, rifà la storia del Ventaglio e offre ancora buone notizie intorno alla fortuna del Nostro sul suolo angloamericano. In merito alla traduzione si veda un fine e minuzioso articolo di Arthur Livingston in Modern language notes. (March, 1913; Baltimore), nonchè Maddalena (art. cit., pp. 71-73). A questa traduzione i bravi dilettanti della Yale University fecero assai onore, recitandola tra il dicembre e il gennaio 1910-1911 in ben undici città americane e fu quello, per ragioni d’arte e di borsa, uno dei più bei successi riportati dalla Yale Association (Eve, New York City, 3 genn. 1911). Anche le parti femminili vennero eseguite da maschi. Le graziose fotografie che adornano il volume attestano della provocante avvenenza di Giannina (Arthur Movry Hartwell) e di Candida (Rufus Frederick King)... La commedia era preceduta sempre da un garbato prologo di T. Beer, rimasto inedito.

The fan, traduzione inedita di Stark Young dell’Università di Texas. Recitata dal Curtain Club della stessa Università il 19 febbraio 1912 (Chatfield-Taylor, p. 636).

The fan, tradotta con altre due commedie del Nostro da Charles Lloyd. Fa parte di The Literature of Italy, 1265-1907, collezione di sedici volumi. Dalla stessa fonte (p. 635).

Di una traduzione russa del Ventaglio, segnalataci gentilmente dal dott. Fritsche dell’Università di Mosca, sappiamo soltanto ch’è opera di Petr Dmitrijevic Boborykin, notissimo romanziere e drammaturgo vivente. Si pubblicò nella rivista Belle Lettere, edita da P. Weinberg. Ma prima di questa il Ventaglio era stato eseguito a Pietrogrado, tradotto da altri. Così ci comunica gentilmente lo stesso Boborykin. Ma date le odierne condizioni d’Europa [luglio 1915], non fu possibile avere ragguagli precisi.

Assai prima della riduzione veneziana del Ventaglio, usata dalle [p. 479 modifica]Compagnie Moro-Lin e Zago, ebbe fortuna un rifacimento di Alessandro Zanchi, che altro ancora ideò e ridusse per la scena veneziana (cfr. Giacinta Gallina, Dal Goldoni al Gallina, Cividale, 1904, pp. 25 sgg.). E nel cod. Cicogna 685 del Museo Correr, con questa indicazione: «Il Ventaglio, commedia del Sig. C. Goldoni di 3 atti in prosa, ridotta dalla lingua Toscana nella Veneziana da A. Zanchi veneto intitolandola La Ventola». Dopo alcuni cenni sulla commedia del Goldoni scritta per Parigi, lo Zanchi scrive: «Conosciuta in Italia la si vide sui teatri di questa Penisola già in Dialetto Toscano. La Comp. Mascherpa e Velli trovandosi in Venezia occupando il Teatro di S. Giovanni Grisostomo mi pregò di ridurla in dialetto veneziano: la compiacqui. Scelsi il luogo nella Villa di Zero, avendo questa Villa fabbricato unito, e conformante una piazzetta contornata di botteghe e fra queste una di caffè, e eravi pure un’Osteria. Si vide in Venezia su di detto Teatro nell’anno 1820 declamata dalla detta Compagnia: piacque, se ne fecero più repliche. Nella Primavera 1820 la stessa Compagnia la rappresentò in Vicenza, nell’estate 1823 in Trieste, ed in Mantova nell’autunno di tale anno, e mi fu riferito che sempre ha piaciuto. Non fu lieve fatica la mia per far ritenere che potesse essere composta in veneziano dialetto, sostenendo caratteri veneziani, quando originarono toscani: fui però costretto, e senza somma difficoltà di ritenerne uno toscano. È difficile trovare compagnia comica italiana composta di artisti che possedino (sic) tutti il veneto dialetto, ed è perciò che le Comiche Compagnie la fanno comparire sul teatro in dialetto toscano. La Commedia è lodevolissima, e degna che si noveri fra una delle migliori commedie di detto autore». Ci sono anche i permessi delle recite: a Venezia, 15 dicembre 1822, Trieste 11 giugno 1823, Vicenza 2 agosto (?) 1825 (1823?), Mantova 29 e 30 ottobre 1823, Treviso 28 dicembre 1825 (?).

Teniamo conto ancora d’una riduzione in dialetto napoletano di Filippo Cammarano per il San Carlino, dove intorno al 1820 recitava la famosa Compagnia di Silvio Maria Luzi. N’era il titolo L’acqua zurfegna [zulfurea] e «tutti i deliziosi equivoci goldoniani, originati dall’ormai celebre ventaglio scaturivano invece da una pettenessa [pettine]» (Scarpetta, Da S. Carlino ai Fiorentini, Napoli, 1900, p. 77; cfr. anche di Giacomo, Cronaca del Teatro San Carlino, Trani, 1895, p. 383). E per debito di annotatori pedanti ricordiamo ancora che A. Sagredo nell’anonimo suo scritto Di Pietro Metastasio e di Carlo Goldoni, per qualche tiro birbone della difettosa sua informazione goldoniana, affermò avere l’autore trasportato il Ventaglio in prosa da una redazione originale in versi martelliani (Venezia, Lampato, 1834, p. 41)!

La felice trovata del Ventaglio ebbe tra noi imitatori che al notissimo modello attinsero più o meno liberamente, ma di rado così da farne perdere la traccia. Nell’Anello della nonna di Augusto Bon un anonimo cronista della Rivista Europea riconosceva «una variante del Ventaglio di Goldoni, poichè quest’anello gira e rigira come quel ventaglio dall’una mano nell’altra, producendo dispetti, rancori e gelosie, fino a che collo svilupparsi del nodo si chiarisce ogni cosa, e si compongono le nozze e le paci» (1841, p. 356). Dal Ventaglio scaturì la prima idea della fortunatissima Bolla di sapone del Bersezio. «Avevo quattordici anni: - scriv’egli - quel viluppo di azioni mi piacque tanto che vidi in esso il non plus ultra della comicità dell’arte [p. 480 modifica]scenica, del diletto teatrale. Scrissi li per li cinque atti che per fortuna stettero a dormire nel fondo d’un cassetto dieci anni. Un bel giorno, il caso me li fece trovare: tagliai, accomodai: i cinque atti divennero tre, e la commedia divenne la favorita di tutti i brillanti cominciando dal povero Belletti» (Il Libro delle confessioni, raccolte da G. Costetti, Ediz. del Cap. Fracassa). Il ventaglio, tramutato già in pettine e anello, diventa grillo in una fortunata commedia di Augusto Novelli, ma di quel ventaglio resta «parente stretto anzi consanguineo». Così un altro anonimo [Giovanni Pozza?] nel Corriere della sera (4 settembre 1909). Di Giacinto Gallina non una, ma parecchie commedie ripetono, secondo Alberto Boccardi, il motivo goldoniano. «Com’egli avesse sempre dinanzi agli occhi quell’insuperabile modello del suo maestro, ove un ventaglio, caduto alla seconda scena del primo atto per isbadataggine d’una bella donnina da un poggiuolo sulla strada sottostante, è origine innocente di infiniti garbugli, il Gallina pare non sappia staccarsi che con isforzo da un consimile procedimento: sarà così, semplicemente, il nocciolo della commedia un portafoglio nel Moroso della nonna, una pezza di stoffa nella Famegia in rovina, una chitarra nella Chitarra del papà, un ventaglio nella Zente refada, un orologio in Serenissima, un anello falso nella Base de tuto» (Boccardi, Teatro e vita, Trieste, 1905, p. 185).

Quali dei commediografi stranieri che intorno a un oggetto smarrito o trafugato architettarono una commedia d’intreccio conobbero il Ventaglio? Eugenio Labiche che spinge tutto un corteo nuziale - come una muta di cani - a caccia d’un cappello di paglia (C. Levi, Una esumazione. Il Marzocco, 8 novembre 1914)? Il Meilhac, nel cui Attaché, come nella commedia goldoniana, un ventaglio avvia l’azione, l’imbroglia, la risolve (Urban, Das Welt- Theater cit., p. 91)? Caillavet e De Piers che di un ventaglio nell’omonima commedia loro fanno il simbolo della civetteria femminile ( Wiener Journal, 19 gennaio 1908)? Forse il solo Sardou lesse il capolavoro goldoniano per trarne ispirazione alle sue Pattes de mouche (P. Bettoli, Il mago Sardou, La Scena illustrata, 15 agosto 1906). L’imitazione non confessata, ma palese, della Casa nova lo tradisce buon conoscitore del Teatro del Nostro (cfr. Nota stor., vol. XVIII) Vogliamo ricordare ancora il Lady Windermere’s Fan d’Oscar Wilde, dove il ventaglio, poverino, dopo aver favorito altrove tante comiche peripezie, si fa complice d’adulteri amori?

Questa festevolissima commedia goldoniana svegliò l’estro musicale di due compositori di grido. Non sappiamo che fortuna sia toccata al Ventaglio allestito dal noto poeta melodrammatico Gaetano Rossi per Giuseppe Farinelli e rappresentato nel 1803 al Nuovo di Padova (e altrove?). Ma un altro briosissimo libretto, opera di Domenico Gilardoni, trovò favore immenso nella musica del romano Pietro Raimondi. Fu dato la prima volta al Nuovo di Napoli nel carnevale del 1831 ed «applaudito con vero fanatismo» (Florimo, La Scuola musicale di Napoli, ecc., Napoli, 1882, vol. III, p. 97). Il successo enorme - scrive Salvatore di Giacomo - prende le proporzioni di un avvenimento: il Nuovo è pieno zeppo ogni sera, le vie circostanti sono affollate di carrozze signorili, la sala è sempre gremita del pubblico più fine e intelligente. Una vera festa d’arte...» (Cronaca del Teatro San Carlino, Trani, 1895, p. 396). Famoso e popolare diventa subito il terzetto del Conte, Crespino [p. 481 modifica]e Coronato (Colombani, L’opera italiana nel secolo XIX, Milano, 1900, p. 154): e la scena dove all’oste e al calzolaio, a ciascuno in segreto, il gonfio titolato promette la mano di Palmetella [Giannina]. All’immenso successo non manca la consacrazione di un seguito: Palmetella maritata (cfr. Catalogo della collezione Rasi, p. 473) dello stesso Raimondi, e di una parodia: Li appassionati de lo Ventaglio di Filippo Cammarano, pure applauditissima (Di Giacomo, op. cit., p. 396). Del fortunato libretto abbiamo sott’occhio due versioni: in una (Napoli, Severino, 1831), tolto il conte e i personaggi borghesi, tutti parlano il dialetto napoletano e al posto dei recitativi è tutta prosa: nell’altra versione (Milano, Pirola, 1834), ognuno parla in lingua e la prosa è sostituita dal tradizionale recitativo (cfr. anche Musatti, Drammi musicali di C. G. e d’altri tratti delle sue commedie. Seconda ediz., Bassano, 1900, pp. 7, 8).

La voce diffusa da giornali tedeschi (tra gli altri la Münchener Zeitung, 28 marzo 1906) e raccolta dal Welttheater di Erich Urban (Berlin, Merkur, s. a., p. 72) che Ermanno Wolf-Ferrari abbia messo in musica anche il Ventaglio, restò senza conferma di fatti.

E. M.


Il Ventaglio fu stampato la prima volta a Venezia, nel 1789, nell’edizione Zatta (cl. 1, t. IV); e di qui fu ristampato lo stesso anno a Livorno (Masi, IX) e a Lucca (Bonsignorì, XIV). Uscì poi a Bologna (stamp. di S. Tomaso d’Aquino, 1791) e di nuovo a Venezia (Garbo, 1794) e forse altrove nel Settecento. — La presente ristampa seguì di necessità l’edizione Zatta, il cui testo pur troppo non sempre è corretto e sicuro.