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p. 17). E nel Mercure de France si legge: «il y a beaucoup de choses amusantes, qui doivent faire espérer qu’ elle sera suivie» (giugno, 1763, p. 195). Benevolo augurio, a cui non rispose la realtà.

Che cosa sarà stato quest’Eventail? Per il Desboulmiers, già citato, un «canevas italien». «A canevas» si legge nel Catalogue in coda ai Mémoires. Dalle parole del Goldoni invece («ho fatto una commedia di molte scene brevi, frizzanti» ecc.) si potrebbe arguire che fosse scritto, se non tutto, in buona parte. Ma la risposta sicura alla nostra domanda potrà venir solo dalla più che ipotetica scoperta del prezioso copione o soggetto che sia. E del resto la parola canevas indica forse l’indole del lavoro, meglio che non ne precisi la forma.

Carlo Goldoni serviva allora due padroni. Le vecchie commedie gli fornivano scenari per Parigi. Le nuove, composte per il Théâtre Italien, si tramutavano per via in commedie italiane novissime ch’egli, con la premurosa e intelligente mediazione di Stefano Sciugliaga, mandava al Vendramin. Anche senza l’impegno che lo legava al lontano Teatro di San Luca, non par verisimile che il Goldoni volesse lasciare irrugginire nel cassetto, dove insipienza di comici e ignoranza di pubblico l’avevano buttato, un gioiello come il Ventaglio.

Il 27 novembre 1764 lo Sciugliaga riceve dal suo grande e caro Goldoni una commedia nuova, accompagnata da questa nota: «Ecco la quinta [delle sei d'obbligo]: questa è una gran Commedia, e una gran fatica costerà ai Comici per rappresentarla. Fatica d’attenzione, di qualche prova di più; ma queste sono quelle Commedie, che fanno brillare il talento, e l’abilità delli Comici. Voi capirete cosa è in leggendola, ma lo capirete meglio figurandovi di vederla in Scena. N’avete veduto di simili: per esempio il Filosofo Inglese, il Campiello, le Baruffe Chiozzotte, ma questa è la più legata di tutte, ed osservate il legamento de’ personaggi, che da un atto all’altro sono sempre concatenati, nè mai resta un momento la scena vuota. Non ho distinto le scene, secondo il solito, perchè sarebbero tante, che si avrebbe raddoppiato la carta. Il colpo d’occhio della prima scena, la scena muta del terzo atto, e il gioco perpetuo di tutte le parti della scena, e di tutti i personaggi, secondo me, sono cose, che dovrebbero far bene.... Raccomandate che facciano diverse prove. Tutto dipende dall’esecuzione. La Commedia dipende dai Comici, e so che sono in sicuro......» (C. G. e il Teatro di San Luca a Venezia. Carteggio, con pref. di D. Mantovani, Milano, 1885, pp. 224, 225).

Era il Ventaglio che l’autore, punto scoraggiato dall’insuccesso di Parigi, aveva rifatto in veste italiana togliendone i quattro francesi.

Seguiamone ancora le sorti in queste due note del coscienziosissimo mediatore al Vendramin:

[in data 17 dicembre] «Accludo a V. E. la copia di quello, che il Sig. D.r Goldoni m’ha scritto intorno la quinta Commedia nel mandarmela. Da questo si vede la idea, che egli ha della medesima, e ciò che è necessario per parte dei Comici, perchè riesca. Tutti hanno parte, et ogni uno ha parte fatta a suo dosso. Dessa è bella e licenziata [intendi: dalla censura], e quando V. E. la vorrà, basta che con due righe di memoria mandi a prenderla. Il suo titolo è Il Ventaglio».