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p. 35) e il Pellizzaro (La vita e le opere di C. G., Livorno, 1914, p. 61). L’intrigo... d’una aristocrazia senza pari» n’ammira il Bertoni (Modena a C. G., 1907, p. 409). «Modello insuperato... nella commedia d’intreccio» l’esalta Cesare Levi (Letteratura drammatica, Milano, 1900, pp. 163, 164). «Un graziosissimo gioco d’insieme» vi scorge L. Brosch (Carlo Goldoni, Beil. z. Allgemeinen Zeitung, 1907, n. 46). Con altre commedie del Goldoni il Ventaglio mantiene «la giovinezza riservata ai capilavori», secondo Isidoro Del Lungo (Atti della R. Accademia della Crusca, Firenze, 1912, p. 29). Per il Lesca è «tutta vita e giocondità, una delle sue più felici» (Le bourru bienfaisant, Firenze, Sansoni, 1901, p. VI). «Appartiene a quella famiglia di capolavori, in cui il calore della giovanezza ha un alito immortale» scrive G. [Giulio], P. [Piazza]. (Piccolo, Trieste, Il gennaio, 1909). La stessa lode pronuncia e svolge con buona analisi Domenico Oliva: «...commedia sorrisa da una giovinezza, la quale non tramonta mai... giovinezza che giuoca, s’agita, corre, si festeggia follemente, e versa in un quadro che appare a prima vista di piccole proporzioni, ma a chi osserva e medita si rivela vasto come la vita, tutta la sua esuberanza di forza, tutta la gagliardia del suo sangue». Il Goldoni - continua lo stesso critico - «nella costruzione dell’opera scenica superò tutti i suoi antecessori, anche i più grandi, anche coloro che più di lui seppero penetrare nelle profondità, negli abissi del cuore umano: e restò insuperato. Chi saprebbe più architettare tre atti così pieni, così densi, così fertili di trovate, di situazioni, sopra un filo tanto tenue, sopra le avventure d’un piccolo ventaglio...? (Note di uno spettatore, Bologna, [1911], pp. 32-36). Dei pregi di semplicità e verità nell’immaginare e condurre l’intreccio così discorre Ferdinando Martini: «...gli basta un nonnulla, un aneddoto, una passeggiata, uno sguardo insomma intorno a sè, per imporre tutto quanto l’intreccio d’una commedia; e comporlo, badiamo, non già di eventi straordinari, ma di fatti consueti: che s’io non vo errato, ci vuol molta più fantasia a immaginare il Ventaglio (stupenda, inimitabile commedia! ) che un di quei drammoni miracolosi i quali portano sulla scena, per dirla con un improvvisatore fiorentino. Tornei, voli, carriaggi. Cinquantotto personaggi, Trentasei divinità» (Capolavori di C. G., Firenze, Sansoni, 1907, p. 12). «L’abilità scenica del Goldoni a proposito della sua commedia il Ventaglio» fu già argomento d’una conferenza ancora inedita di Charles Dejob alla Sorbonne (Cfr. Societé d’études italiennes, 22° bollettino). Bellissimo saggio di quanto avrà esposto è certo in questa pagina del noto suo libro Les femmes dans la comédie française et italienne au XVIIIe siecle (Paris, 1899, p. 370). Nel Ventaglio — scrive il Dejob - Goldoni atteint le comble de la prestesse dramatique... Goldoni y montre une étonnante habilité a mettre à la fois tous ses personnages sous les yeux du spectateur, en faisant apercevoir le caractère de chacun d’eux... aucun rôle ne languit: chacun ne dit qu’ un mot, mais ce mot amène une replique de l’un, une intervention d’un autre, et chaque personnage se trouve à son tour pour un moment le centra de l’entretien, ce qui n’empéche pas qu’ on devine, outre les sentiments reciproques, l’intrigue principale autour de laquelle tout viendra s’enrouler. La scène muette par laquelle s’ouvre le troisième acte, n’est pas une simple vue de cinématographe représentant des gagne-petit à l’oeuvre dans un carrefour; les sourires ironiques que se décochent le save-