Il ritorno di Ulisse/Primo atto
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PRIMO ATTO
La scena è in Itaca.
La nebbia si consuma a poco a poco. E la mattina con la sua mano fresca lucida le cose. E le onde scintillano come cristalli netti. E appare la sponda rocciosa d’Itaca, incorniciata dall’infinito azzurro del mare. Da una parte la rozza capanna del pescatore Eumeo, annessa a un recinto malamente coperto, ove grufolano i nitidi verri d’Ulisse. Dall’altra un tempio, coronato dagli ultimi alberi di una foresta. Serpolando sotto la selva, l’Aretusa scivola sino all’onda del mare. L’aurora saluta l’Eroe ridendo sull’utimo orizzonte. Verso il mare si protende una punta ove sorge la città.ATTO I
(Ulisse dopo un momento si rialza di nuovo, svegliato, e travestito da mendicante, con una bisaccia sulle spalle, curvo, bianco e rugato. E guarda con stupefazione e con gioia la sua bella terra).
Itaca, terra mia! Vedo lo speco
e l’opaco di fronde antro ridente
ove sgozzai sui fumiganti altari
capre alle Ninfe; ed ecco l’alto Nérito
monte, e il porto di Fórcine, e il fronzuto
olivo torto che gli sorge in cima.
Soltanto Ulisse è un altro Ulisse, ormai!
Vecchio, canuto ed acciaccato, curvo
sopra un bastone, con gli occhi cerchiati,
torna l’Eroe. Gran trionfo, nei lunghi,
brulli, nebbiosi e desolati inverni
sognato, in mezzo ai taciturni Eroi
giacenti al freddo nelle notti eterne!
(si sente lontana la canzone dei Proci)
«Ulisse, guarda com’è bello il mare,»
«io ti consiglio di gettarti a mare,»
«ci son tante mai cose da guardare!»
«Puoi fare il viaggio dentro una conchiglia!»
ULISSE
(si nasconde dietro gli alberi).
Ho già viaggiato e sono già risorto!
(ride).
LA CANZONE DEI PROCI
(più vicina).
«A te ti piace tanto di viaggiare»
«e l'acque hanno un color crepuscolare»
«ch’è fatto apposta per innamorare.»
«Ma di tornar nessun te lo consiglia!»
(risate più vicine)
UNA VOCE
(lontana).
Un’altra, Femio!
UNA VOCE
(lontana).
Un’altra
canzone, bella come questa!
LA PRIMA VOCE
(lontana)
O Femio!
A me piace l’idea della conchiglia!
Cantiamo in coro! Orsù, Proci, cantiamo!
CORO
(lontano)
«Ulisse, guarda com’è bello il mare»
«io ti consiglio di gettarti a mare!»
«Ci son tante mai cose da guardare.»
«Puoi fare il viaggio dentro una conchiglia!»
(irrompono tre dei Proci — Eurimaco, Ctesippo e Antinoo — insieme al cantore Femio, che porta una lira)
ANTINOO
(forte)
Eumeo!
CTESIPPO
Pastore di maiali!
EURIMACO
Eumeo!
Telemaco è venuto al tuo tugurio?
ANTINOO
Se non c’è ancora non si puó più prendere!
CTESIPPO
C’è già scappato!
FEMIO
E che volete farne?
ANTINOO
(duramente)
Non ci badare! Ci pensiamo noi!
EURIMACO A FEMIO
Femio fa il vecchio rimbambito! Non
capisci niente? Non ascolti mai
dietro le porte? Tu mi fai l’ignaro
mentre sai tutto!
CTESIPPO
Sí, mentre sai tutto!
ANTINOO
Telemaco è già grande e mal ci guarda
e ha sempre l’aria di tramare agguati
e siamo stufi di codesto gallo!
(con un gesto di minaccia a Femio che sobbalza)
Se lo ripeti ti squarciamo il ventre,
bada, e la cetra! All’oracolo è andato
per saper di suo padre; oggi ritorna.
Ce l’hanno detto i messaggeri.
FEMIO
Ah, voi
volete ucci...
(si ferma)
ANTINOO
Sí, ucciderlo!
(Femio rimane un po’ come stordito e china la testa senza rispondere)
EURIMACO
(gridando)
Porcaro,
Eumeo, vien fuori, o, per gli Dei, ti squasso
la porta e rompo la finestra e il cranio!
CTESIPPO
E’ ancora fuori a pascolare i verri.
Telemaco non c’è.
(vede confusamente il corpo di Ulisse)
Zitti! Guardate;
verso il pruneto è scivolata un’ombra.
(indica col dito un punto della foresta: tutti si avvicinano e guardano)
ULISSE
(vedendosi scoperto entra con l’aria di uno che non si ritrova)
Che c’è? Che vedo? Ah! dove sono?
ANTINOO
In Itaca!
ULISSE
In Itaca? Vuoi ridere, mi pare.
O giusti Numi, dove m’han condotto
i temporali? E la mia nave è in pezzi!
Itaca, dici? E’ l’isola d’Ulisse!
Dov’è la reggia? Vo’ vedere Ulisse!
CTESIPPO
(ridendo)
Ulisse? Ulisse?
(i Proci ridono)
ANTINOO
Sei vecchio, straniero,
Ulisse è morto, e il Re son io!
ULISSE
(meravigliatissimo)
Sei tu?
Dici davvero?
(gli strizza l’occhio)
E la regina... è tua,
come il tuo regno?
ANTINOO
E che stai domandando?
Quello che voglio è tutto mio! Le donne
per aver me si son gettate al fuoco.
Forse non credi? Perchè hai torto il labbro
e hai strabuzzato, come un pesce, gli occhi?
ULISSE
Ho dato un morso alla lingua. Ahi! Che male!
Ah! Mi rintrona, e non so come, al cuore!
Non ci badare.
ANTINOO
Eh, che vecchio bizzarro!
EURIMACO
Hai una lingua molto delicata!
CTESIPPO
E il cuore ancora più!
ANTINOO A EURIMACO
Vieni; è già tardi.
Se no il galletto non si mette in pentola!
(escono tutti, salvo Femio che rimane, turbato e inquieto. Si guarda intorno)
FEMIO
Ulisse! Ancora mi vergogno e tremo!
Se ritornasse!
(tace un momento, poi singhiozza rabbiosamente)
Ah! spezza plettro e corde,
cantore prezzolato, ignobil servo
di tutti i Proci, che cantando vai
contro il tuo Re perchè Antinoo sogghigni,
e ridi delle loro scornacchiate
per farti regalare un posto a tavola!
Ah! Femio! Rompi la tua cetra!
(si ferma e continua con altra voce)
E intanto
tu non la rompi, e te ne vai tranquillamente al Convito diuturno...
(fa una lunga risata ed esce)
(entra dall’altra parte Eumeo, il vecchio pastore, che conduce il gregge dei verri con quattro garzoni. Ha in mano una pelle che cuce. Il gregge entra nello stabbio. I due cani ringhiano sordamente.)
EUMEO
(a un garzone)
Ammazza
un grosso porco e portalo dai Proci,
come ier sera, come l’altra sera,
come domani, come sempre!
(i garzoni entrano nello stabbio)
O Numi!
Perchè lasciate che gl’imbelli Proci
divorin tutte le ricchezze al mio
padrone?
(i cani ringhiando s’avventano contro Ulisse, ma il pastore li trattiene)
Fermi! Allo stabbio, allo stabbio.
(i cani si fermano. Ulisse s’alza e va verso Eumeo)
O straniero, l’hai scampata bella!
Se non giungevo a tempo, ti squarciavano,
chè queste bestie hanno i canini aguzzi!
ULISSE
Grazie, pastore.
EUMEO
Ospite! hai visto: sono
povero e cucio poveri calzari
e di commesse travi è la mia casa.
Io l’ho costrutta e le ho donato un tetto.
Ma ti offriró quel che posso. Avrai fame
e sonno, o vecchio, e rotte l'ossa: siedi
qui sulla porta. E dimmi i tuoi malanni.
(entra nella capanna. E ne esce dopo un momento con una tavola rozza e un piatto di carne e un amistide di vino. Ulisse siede sul tronco d’albero)
Saziati e mangia a tuo piacere e quanto
c’è vino, bevi.
ULISSE
Ah, tu sei caro ai Numi!
(comincia a mangiare)
EUMEO
Sacri per me son mendichi e stranieri.
Ma morto è il Re. Nella sua casa i Proci
voglion avere la Regina e il regno.
Il Re fu ricco e come un Dio donava.
Ma non tornó dalla funesta Troia:
e vive malamente il suo porcaro.
ULISSE
E la sua donna?
EUMEO
Nessuno l’ha tocca.
E’ astuta e pura, e non tradí l’Eroe.
ULISSE
Ed era ricco?
EUMEO
Ascolta: un tempo, aveva
dodici armenti nell’Epiro, e dodici
gregge di pecorelle e di maiali,
dodici chiusi comodi di capre
e in Itaca altrettanti. Ora i pastori
tutte le sere, traggon per i Proci
il più bel capo dell’armento: e i maschi
si fan rari, e i branchi impiccioliscono
e le ricchezze sono come fumo.
ULISSE
Ma qual’è il nome del tuo Re? In un viaggio
l’ho forse visto e ne potró parlare.
EUMEO
Il suo nome corre pel mondo: Ulisse
è il mio signore. Ed è vano parlarne.
Tutti i mendichi dicono d’averlo
visto! E nessuno ha riportato il vero!
Ulisse è morto! Sarà forse sceso
nei gorghi azzurri tra le cristalline
acque, succhiato giù dalle Sirene.
O forse giace in una sponda ignota
preda degli avvoltoi. Forse in un’alta
cima coperta dalla neve, alcune
mani straniere l’avranno sepolto.
ULISSE
Pastore, no! Pastore, no! E ti posso
giurar su Zeus de’ supplici custode
che Ulisse vive e che ho visto il suo volto!
EUMEO
Anche se lo annunziassi alla Regina
e al figlio ansiosi di novelle, ormai
nessuno più ti crederebbe! Oh! tanti
sono i pitocchi e i pellegrini e gli ospiti
che hanno annunciato il suo ritorno! Ed ella
li interrogava ansiosamente, come
traendo vita dalle lor parole.
E singhiozzava, e ricordava, e sempre
li ricolmava d’infiniti doni.
Pure, nessuno aveva detto il vero.
Forse anche tu vuoi solamente un dono.
Basta di questo: mangia, bevi e dormi,
ma non parliamo più d’Ulisse, e non
chiedermi un dono, perch’io sono povero.
ULISSE
Fra un giorno crederai. Ma una sciagura
Telemaco minaccia. Ascolta e corri!
Eri sul monte a pascolare i verri
ed io fingevo di dormir, nascosto
nella giuncaia. E tre Proci passarono,
ed io capii che ordivan morte al figlio.
E un Dio m’ha detto ch’egli sta sbarcando.
Corri, e portalo qui, se vuoi salvarlo.
EUMEO
Bei doni avrai se mi dicesti il vero!
Povero figlio mio! Grazie, e benigni
ti sien gli Dei! Grazie, buon vecchio! Addio!
(corre via presto)
(Ulisse si alza e va lentamente verso il bosco, guardando la sua terra con ansiosa curiosità)
ULISSE
Tutto lo stesso!
(va ad un albero e guarda con attenzione il tronco)
C’è ancora scolpita
quella figura! L’avevo scolpita
un giorno, a caccia, aspettando in agguato.
Sono passati vent’anni! Ed è tutto
come vent’anni fa!
(tace un momento. Poi si china per osservare meglio, lontano, dietro il bosco. E trasale, indietreggia)
Pallade! O mio
povero cuore! Chi vedo? E’ la donna
che mi sorrise dolcemente, un giorno.
O grande cuore, come mi sussulti!
E’ ancora bella. E bagnata di lacrime!
Berle vorrei come a una pura fonte!
Ma capirà se mi vedrà turbato.
(ritorna indietro rapidamente e si nasconde nella capanna)
(entra poco dopo Penelope, seguita dalle ancelle. Ha in mano un peplo meravigliosamente trapunto. E tutte si dirigono a passo lento verso il tempio)
PENELOPE
Atena, tu che hai ben voluto sempre
il grande Ulisse, e la mia triste casa,
dimmi se illeso tornerà mio figlio.
Vergine Dea, dono al tuo tempio il peplo:
fa che ritorni alla terra aspettante
il figlio, Ulisse e la fortuna ignota
da lungo tempo, e sacrificheró
sull’ara tua dieci giovenche bianche.
SEMICORO
Fa core, o Regina, fa core.
Non ti disperare cosí.
Ti scendono dalle pupille
e lacrime, e lacrime, e lacrime!
SEMICORO
Regina, il tuo pianto è bruciante.
E quelle tue lacrime sono
più amare dell’acqua del mare,
dell’acqua del mare che rode...
PENELOPE
E sí, mi rode e mi corrode il pianto!
E non mi resta più che singhiozzare
tutta la vita. Troppi guai mi opprimono.
Anche mio figlio! Ah no! Pallade, il mio
figlio non deve essere morto a questa
donna infelice! Vo’ vedergli ancora
quel suo sorriso e accarezzargli ancora
la chioma bionda e vo’ abbracciarlo ancora
come una volta! Ah! Ch’io non dica: «E’ morto!»
Dimmi dov’è! Dimmi che puó tornare!
SEMICORO
Regina, le gote rosate
che sembran dolcissime pesche
cidonie, ti stan diventando
e roride e pallide e livide.
SEMICORO
Perchè disperarti? Sei giovane,
non pianger, sei bella. Puoi scegliere
un altro consorte, fra i principi
di Samo, di Rodi, di Tracia.
PENELOPE
(sale al Tempio. Si vede un momento la sua figura bianca sui gradini. Le porte si aprono ed ella entra seguita da alcune ancelle. Si sente ancora come l’eco dei suoi lamenti)
E pure tutto è taciturno, e solo
rompe il silenzio il mio amaro singhiozzo.
(le altre ancelle rimangono fuori e guardano ansiosamente le porte richiuse)
LE ANCELLE
- O Dei, qui è cascata una triste sventura
e un fato scosceso e terribile
come il precipizio d’un monte.
Il cielo sereno dell’isola si è ricoperto
di nera cirraglia e si intorbida
l’acqua dell’Aretusa.
- Itaca un tempo era l’isola più fortunata
ed il più bel gioiello incastonato nel mare.
E l’alba sorgeva più presto per lei rivedere,
e a malavoglia, piangendo, partiva dall’isola il sole
- e singhiozzava a lungo e impallidiva il crepuscolo.
E le fanciulle ridevano come fontane.
- Il Re, in mezzo a giovani forti e veloci
cacciava con l’arco divino
i cervi dai rami fronzuti
e le pantere pezzate.
E dalle sue case saliva
il fumigar della pace.
- Ma s’è perduto ormai il nostro signore, e la nostra
Regina consuma i suoi limpidi occhi piangendo.
E i Proci la privano d’ogni ricchezza e minacciano
il figlio - O abitanti del Regno di Pluto ove forse
si sentono i rulli dei carri ed i colpi del vostro
lottare e del vostro giocare, o fanciulli immortali?
- Apollo, Dio dall’occhio profondo
come i gorghi del mare,
Apollo, molo contro le sventure;
e tu, Pallade, dea dall’occhio limpido
come una lacrima di fanciulla
- Siate propizi alla povera casa d’Ulisse
che sta precipitando.
- Siate propizi alla nostra Regina
che da vent’anni piange.
- Siate propizi al giovane Telemaco
e fatelo simile a un Nume.
PENELOPE
(dal Tempio)
Siate propizi al giovane Telemaco
e io vi faró sacrificio sull’are
sacre di dieci candide giovenche!
(Penelope, sola, esce dal Tempio. Le ancelle rimangono a compiere i riti del sacrificio e a supplicare gli Dei)
(entra Ulisse e Penelope cambia subito voce e atteggiamento. Nasconde le lacrime e si volge benevolmente all’Eroe)
PENELOPE
Buon vecchio, dimmi, chi sei tu? Da lungi
vieni, a veder la tua stanca persona.
Qui non ti vidi mai.
ULISSE
Vengo da un mare
che non conosci e dall’estreme terre.
Ma dolci cose ti potró narrare.
CORO DELLE ANCELLE
(dal Tempio)
Atena glaucopide madre del forte e fecondo Eretteo
e del contorto ulivo chioma d’argento, dàcci
la grazia, dàcci la grazia!
ULISSE
Ho scoperto per caso il tradimento
dei Proci contro tuo figlio. La Dea
dagli occhi azzurri m’ha avvertito in sogno
ch’egli approdava. Ed il porcaro è corso
e con tuo figlio arriverà tra poco
alla capanna. Datti pace, o saggia
Penelope, e rasciuga il largo pianto.
PENELOPE
Voglian gli Dei che m’abbi detto il vero,
e ti ricorderai della mia reggia.
Ti doneró una ricca veste, e un manto
di porpora, e calzari alti e di forte
cuoio, e una stanza ti daró, per quanto
vorrai restare. E se hai girato il mondo
buon vecchio, dimmi se hai veduto Ulisse.
Tu non sei come tutti i mendicanti,
hai l’occhio strano e ci risplende il sole.
E forse non m’ingannerai.
ULISSE
Regina,
tu vedi me sotto le vecchie spoglie
d’un mendicante, ma son stato Re
e le gioie dei ricchi ebbi, e dei grandi.
Lo vidi a Troia. E lo rividi a Creta.
Venne alla reggia coi compagni. Ancora
giovane e bello e biondo e saldo, come
quand’eravamo alla guerra di Troia.
PENELOPE
Tu lo vedesti? E com’era? Com’era?
ULISSE
Gli luccicava negli acuti sguardi
glauchi il colore delle mattinate
chiare e dei mari attraversati, e, come
la trasparenza delle tramontane.
Nera la pelle, bruciata dal sole,
che gli vuol bene come a un suo fratello,
ed un sorriso che sfidava il mondo.
LE ANCELLE
E’ come allora! E’ come allora! E’ come
quando cacciava in Itaca! La pelle
sembrava rame vicino a quegli occhi -
E l’iridi sembravano più chiare
su quella pelle! E i capelli più biondi!
O Numi! Fate che ritorni ancora!
EURICLEA
(venendo dal bosco)
Regina accorri! Sono qui!
LE ANCELLE
E’ Telemaco!
E’ il tuo figliolo! L’Ulisside! E’ già
quasi arrivato! E’ come un Nume! Accorri!
(escono fuori anche le ancelle dal Tempio, facendo segni di gioia)
PENELOPE
O figlio mio!
TELEMACO
(entra con Eumeo e abbraccia la madre)
Mamma, ritorno salvo;
come tu vedi!
PENELOPE
(gli bacia gli occhi e lo guarda con amore)
Rassomigli al padre!
Hai gli occhi chiari ed i capelli biondi e il suo coraggio!
EUMEO
Sono ruzzolato
sino al mare, e l’ho intravisto scendere
dalla sua nave, e l’ho condotto via
su pietreggiate sconosciute, e i Proci
sono rimasti gabbati, per Giove!
E il mio figliolo non me l’hanno preso!
Ed ora l’hanno a far con me, quegli empi!
PENELOPE
Tutta la notte ho lagrimato. I Proci
hanno tramato contro te. La morte
ti stava sopra e non sapevi! Ormai
non t’hanno preso, e dimmi tutto il fato:
dimmi che cosa ha dettato l’oracolo
sopra il destino di tuo padre! E invita
questo buon vecchio a casa tua - ricorda
che t’ha salvato.
TELEMACO
(a Penelope)
Ti diró l’oracolo
a casa. Prima rendi grazia ai Numi.
E te, buon vecchio, ricetto con gioia
nelle mie case. La mia reggia è sempre
stata ospitale per i forestieri.
FEMIO
Bada che i Proci ti ingiurïeranno!
TELEMACO
Avranno allora a far con me. Non sono
un bambinello.
(rivolto alla madre)
E tu, che vedo sei
cinta dei veli per il sacrifizio,
entra nel tempio e rendi grazie a Pallade,
e dàlle pure le giovenche; e poi
torna alle case, ove potró narrarti
tutto il mio viaggio.
EUMEO
Hai detto bene
PENELOPE
Addio!
(entra nel Tempio seguíta da tutte le ancelle e da Eumeo. Rimangono sulla scena Ulisse e Telemaco)
ULISSE
Ascolta.
TELEMACO
Parla.
ULISSE
(con una voce infinitamente affettuosa)
Vieni qui, o mio figlio.
(i due uomini traversano lentamente la scena e vanno fino alla capanna. Ulisse fa sedere Telemaco sul tronco d’albero. Egli si erge vicino al figlio e lo guarda con occhio pensoso e profondo. E a poco a poco la sua persona curva e tremante si raddrizza, e l’occhio spento riluccica, e riappare su quella faccia scabra il sublime riso di sfida. Mentre si svolge la silenziosa trasfigurazione, viene dal Tempio, velatamente, la supplica delle ancelle)
CORO DELLE ANCELLE
Dea pensosa che non volesti sedere al nuziale]
[convivio
e non volesti udire i flauti d’Imene, cui godono
pensare, con molle dolcezza, nel vespero,
tutte le ninfe vergini
- il cuore ti si svió dietro cose misteriose -
Ricevi le dieci giovenche con volto benigno,
accogli il nostro amore, e le nostre
lagrime di allegrezza
e il nostro riso, ed il nostro
batter di palme
e il fumo dei turiboli!
ULISSE
Guardami, figlio. E che la Dea t’accenda
luce nel cuore. Io sono il padre, Ulisse!
TELEMACO
O babbo! Tu sei che mi guardi? O pure
un’ombra vana? O padre mio! Non posso
crederci. Un dio sei che m’inganna! Hai preso
la sua figura per martoriarmi
ancor più!
ULISSE
Son Odisseo, quel padre,
per cui soffristi tanto in quella dolce
età.
TELEMACO
Mio padre!
(si abbracciano)
Io non ci posso ancora
credere! E’ tanto che t’aspetto! Ormai
sono abituato ad aspettarti sempre!
E aspetto sempre! Ancora adesso! Aspetto
non so che cosa! Ma non è possibile
che nella notte possa dire: «E’ qui
vicino! Dorme! E son finiti i guai!
E’ inutile che supplichi gli Dei
perchè ritorni! E’ già tornato! E’ già
tornato!» O Dei! Ma se non fosse vero?
Se ripartissi? Se tu fossi un mio
deliramento! Oh! Non potrei più vivere!
Non so godere, o padre mio! Son troppo
triste. Singhiozzo! Perchè ho cosí poca
forza? Io non posso contenere tutta
la mia letizia e non posso abbracciare
tutta la gioia! Vorrei essere grande
come un gigante per poter godere
tutta la gioia fino in fondo e bevere
il caratello fino alla sua feccia!
O madre madre, è ritornà...
ULISSE
(afferrandolo)
Sta zitto!
Atena m’ha mutato in un mendico
perchè nessuno mi conosca. E tu
devi tacere il mio ritorno a tutti!
Anche alla madre, anche alla mia nutrice,
anche a Laerte. E intesseremo intanto
la morte ai Proci. Tu mi aiuterai
dandomi l’arco. E vo’ indagare i cuori
dei morituri, mendicando il pane
ad uno ad uno, per veder se il marcio
è in tutti i cuori o se potró graziarne
uno fra tanti.
TELEMACO
Oh! non pensare, padre,
che noi da soli li si possa uccidere.
Son più che rane dopo un temporale!
Li affronteremo tutti insieme, immane
turba, noi due? Temo abbia ad essere
una vendetta molto poco allegra.
ULISSE
Oh! non temere: ci protegge Atena
ed il suo aiuto ci darà vittoria.
Ora scendiamo: tornerà Odisseo
nella sua casa come un mendicante,
curva la schiena e con lo sguardo spento
e con la mano tremolante e il fare
d’un che mendica il pane a tozzo a tozzo
ed il suo cuore soffrirà in silenzio,
ed il suo sguardo guarderà in silenzio.
Mi batteranno. Mi faranno oltraggio
e rideranno sconciamente, e il mio
groppone stanco chineró alla frusta,
e mi difenderó col braccio alzato,
come un fanciullo: e tu non fare niente,
o figlio mio. Chè poi vedranno i Proci
che quegli insulti si pagan col sangue!
(si sente venire dal bosco un confuso clamore di ubriachi accorrenti)
VOCI CONFUSE
Bravo pitocco! Ubriacone! Un sorso
ancora! Bevi! E fa di nuovo il Re!
Imita Ulisse un’altra volta! Datemi
bere! Son’io... l’eroe. Datemi bere!
(risate grasse e rotolanti)
TELEMACO
(piano al padre)
I Proci! Attento! Sono già ubriachi!
(entra una banda di Proci ubriachi, con enormi guastalde in mano, e calici di vino traboccanti. In mezzo ai Proci c’è Iro il pitocco, che sghignazza coronato d’alloro, e traballa balbettando. Ha in mano un grande arco)
I PROCI A IRO
L’arco, pitocco! Tendi l’arco!
IRO
E’ troppo
duro!
I PROCI
Macchè sei briaco! Fa il Re!
Imita Ulisse! E ti daró da bere!
IRO
(si mette in solenne posizione e cerca vanamente di tirare l’arco)
Io sono Ulisse, il grand’Eroe di Troia,
e questo... e questo... e que...sto è l’arco!
I PROCI
Il figlio!...
E’ ritornato. Ah!... Giovinetto! E Antineo
che ti voleva!... Ah! ti voleva!... Un vecchio!
(guardando Ulisse)
Chi sei? Sta zitto! Ah! vuoi da bere? Andremo
a banchettare! Iro, qua! Bevi ancora!
(volgendosi a Iro)
Anche tu vecchio! Andiamo giù, Telemaco!
(prendono in mezzo Telemaco e Ulisse e li trascinano via rumoreggiando)
LA VOCE DEI PROCI
Iro, fa Ulisse!
LA VOCE DI IRO
Ecco. Ti tendo l’arco!
Io sono... sono... sono Ulisse!
LA VOCE DEI PROCI
Ha teso
l’arco! Cantiamo ora che scaglia il dardo:
«Ulisse guarda com’è bello il mare!
«Io ti consiglio di gettarti a mare
«Ci son ta...
LA VOCE DI IRO
(dominando il tumulto stridula e vinosa)
Ahi! Chi m’ha strappato l’arco?
FINE DEL PRIMO ATTO