Il risorgimento d'Italia/Parte I/Prospetto generale d'Italia

Prospetto generale d'Italia

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Prospetto generale

D’ITALIA.

UN pensier nasce in mente dal considera- re la infinita distanza, che tra gli antichi tempi, e i nostri si vede, il qual pensiero io non posso lasciare senza qualche riflessione, che della storia è propria più che noi sono i fatti degli antichi da mille dubbietà sempre, e menzogne inviluppati. Ma il seguire filosofando la traccia de’costumi, e le vicende dell’arti, della politica, della religione e cosa degna di uomo saggio. Tanto studio si colloca in ricercare i principj delle piante nei semi, de’ metalli nelle miniere, de’ viventi nell’uovo, ed inseguire ogni passo, ogni sviluppamene, insino a vederne i prodotti frutti, le vaghe forme e le varietà: e chi studia frattanto la storia dell’uomo, e della umana ragione scorrendo per tutti i secoli a vederne l’ incatenamento, e i progressi della primiera barbarie sino alla presente coltura,

e urbanità ? Per quanto nel vero sia [p. 36 modifica]
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tale studio umiliante al vedersi ogni gente

ad un vivere pervenuta più ragionevole per mezzo ad infinite brutalità, e divenuti alquanto umani dopo essere stati peggio che fiere gli uomini tutti, qual vantaggio non e, qual diletto di riconoscere i mezzi, e ie cause, onde ebbero origine i nuovi costumi, perchè cessarono gli usi antichi, come l’industria umana risuscitò, e si avanzò negli studi, nell’ arti, ne’ comodi della vita ? Chi non si stupisce pensando, che in queste Provincie nostre, che un tempo erano una vasta foresta, più di cinquanra città fioriscono piene d’artefici, di scienziati, di saggi, ove regna la pace, l'arti sono in onore colla civil vita, e col commercio, mentre allora i salvatici abitatori non conoscevano altr’ arte che quella di distruggere 1’ umana spezie, né altra ragione, che quella della rapina, e della violenza ? Non è egli vero, che noi siamo diversi da’ nostri progenitori più che non siamo dai tartari, o degl’ indiani. Ma perchè, o come è stato bisogno di molti secoli a far questo strano cambiamento in noi, qual si

V fatto in cinguant’ anni nella Moscovia, [p. 37 modifica]

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guanti ne passano da Pietro il Grande creatore,

a dir così, della nazion russa insino ad oggi? E è bello il seguirne le tracce, e in ristretto venir seguendo le antiche vicende insino a noi, il venire de’ galli nostri antenati lungo il Pò in potere di Roma fu la prima loro emendazione, sicché molto della barbarie lasciando colla romana cittadinanza acquistarono e onori e privilègi, e quindi eziandio e studi ed arti e teatri. Ma ben tosto a languire ricominciarono nella decadenza dell’ imperio. Infine i barbari settentrionali vennero a queste parti j e le occuparono in guisa,: che tra gl’ incendi e le stragi ogni valore smarritosi; parvero gl’italiani divenire anch’essi vandali, e goti, e n’ebbero il nome i lavori di que’ tempi, quantunque in vero’ non avessero i barbari quasi alcuna erudizione, ed usando solo la spada lasciassero ai nativi le opere loro di mano, e d’ ingegno. Ma questo nella barbarie avvilitosi affatto, e nelle calamità non potè impedire la somma, e universale ignoranza, che prese piede in ogni parte, talché la

gente ancor di chiesa mal sapea dilatino, e [p. 38 modifica]
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qualche monaco parve gran dotto per saper

trascrivere l’opere degli antichi, che infatti ne’ monasteri per tal mezzo si conservarono, Cinque secoli durò in questo stato la misera Italia, cioè sino al mille, dopo di cui tor- nossi alquanto alle arti, ch'erano prima sta- te negkrre per una credenza universale, che la fine del decimo secolo dovess’ essere quella anche del mondo. Intanto passate erano agli arabi, ai saraceni, in Grecia, e un poco in Inghilterra alcune maniere di studi, poiché là meno infierirono le barbariche, incursioni. Poco dopo al mille cominciarono a pullulare (mancando alquanto! timori, e i barbari) alcuni studiosi, e si vide nascere la scolastica anche’ tra noi. Poco nulladimeno uscì dai chiostri quasi dalle fazioni civili spaventata; indi ad un secolo si trovan memorie di nostri scrittori assai rozzi però, e grossolani, sinché si giunge ai tempi di Dante, di Boccaccio e di Petrarca, a’ quali si deve il ristoramento della lingua nostra, e degli studj. Intorno al tjoo. fu propagata la bussola da navigare, dalla quale è incredibile quanto sconvolgicelo

nell’ italiana industria, e nel commer[p. 39 modifica]

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cio venisse per la scoperta del nuovo monda

venutane appresso, e per le conquiste de' portoghesi, e degli spagnuoli. Altro grandissimo cambiaaieuto produssero nelle scienze V invenzione della stampa nel secolo decimoquinto, la caduta dell’ imperio d’ Oriente per l’ invasione di Maometto secondo, e la presa di Costantinopoli, per cui vennero fuggitivi tanti dottissimi greci uomini, e risvegliarono in tutta V Italia le arti, e gli studj della lor patria, onde Firenze divenne una Atene. Circa quegli anni fu da tutti messa in uso la polvere da guerra, ed ecco P arte militare, la fortificazione, ed i governi eziandio prendere nuova faccia. Nel secolo trapassato la buona filosofìa levò il capo di sotto alle arabe sofisterie, e per lei siamo giunti, e per le altre sopra narrate scoperte di passo in passo al pensar vero, quanto tra gh uomini trovar si può, ed al vivere socievole, e urbano.

Or procedendo, chi non intende, come possano le arti, e le scienze influire nei comodi della vita, e nei costumi, sappia, che

per lo studio solo della filosofìa perfeziona[p. 40 modifica]
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tasi salvati la vita ogn’ anno migliaia di uomini,

che prima erari vittime della comune ignoranza. Per tacer quanti campano dalla morte per li progressi fatti dagli anatomici e chirurgici studj, e forse per la più cauta, e meno prosontuosa medicina arricchita eziandio d’alcuni certi rimedj dagli antichi non conosciuti; noto è ad ognuno, che in tutta Europa ogn’ anno per sentenza de’ magistrati sotto nome di streghe, e di stregoni non pochi infelici si ardevano, che ora invecchiano innocenti, e sicuri di tanta ma* lizia. Sappiamo, che d’assai navi spedite ogn’ anno dall’ Europa nell’ Indie la metà forse perivane al principio, e oggi son rare le perdite di qualche naviglio per cagione della nautica perfezionatanota. Un esempio ben memorabile dei danni dell’ ignoranza può

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ritrovarsi ai tempo delle Crociate. Ognun sa

quanti milioni d’ uomini vi perirono, ma non tutti sanno che tra le cagioni di ciò dee computarsi l’ignoranza della geografia, e la mancanza delle carte di que’ paesi, ove i Crociati guerreggiavano. Ricorrevano ai greci, agli egiziani, e ad altri abitanti già lor nemici, e il più spesso traditori, e da tal guide eran tratti nelle imboscate de’ nemici, tra le gole dei monti, in mezzo ai deserti, e alle paludi, ove perivano. Quanti perderono le fortune, e la vita tra i fornelli, e le operazioni della pietra filosofica, che ornai più non si cerca ? Quanti andarono in bando dalle lor patrie, ed impazziron per cruccio dalle imposture sospinti degli astrologi, ed indovini, de’ quali era piena ogni città ? Quanti perirono di occulti veleni, che si chiamavano incantazioni, e fattucchierie ? Quanti ne’ duelli, i quali omai son conosciuti per avanzi di stolida barbarie, e confessati da tutti?

Se rivolgiamo lo sguardo alle guerre, qual cangiamento non vi si è fatto a prò del genere

umano, frutto essendo certamente della [p. 42 modifica]
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considerazione, e dello studio il sangue, ch’

oggi risparmiasi per lo regolato guerreggia. mento ? Il pronto ritirarsi, ove contraria sia la fortuna, il contentarsi spesso d’aver ottenuto il campo della battaglia, il perdonare a 5 vinti, il diligente curar de’ feriti anche nemici, e lo stesso usar l’armi da fuoco quanto t; più favorevole alla vita de’ combattenti, giacche per computi fatti tra le scariche delIntruppa, e i morti, ovver feriti, sinota trova, che uno di questi risponde ad ogni mille archibugiate, laddove pressocchè ogni colpo dell’armi antiche feriva, o uccideva, né finivasi spesso di combattere, finche non finissero i nemici ? Aggiungansi a queste guerre senza legge i saccheggi, e gl’incendj., che or sì rari sono, allor continui, le guerre civili, nelle quali una metà de’citradini cac-

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ciava fuor l’altra quasi continuo, ed i tra-

dimenti, i capestri, gli esili, che ad ogni tratto s’incontrano nelle guerre de’ Guelfi, e de’ Ghibellini, de’ Bianchi, e de’ Neri, e d’ altre fazioni, che in ogni città, o in ogni terra infuriavano, ma soprattutto gli orrendi flagelli di peste, la qual dopo il mille era tanto famigliare in Italia, quanto è tra Turchi, essendo peggio de’ Turchi trascurati in guardarsene i nostri antichi, e per le intestine discordie non potendosi chiudere il passo alla comunicazione di tanto morbo. Se finalmente pensiamo, come ogni via pubblica, ed ogni città era un bosco di malandrini, che le superstizioni, e l’ignoranza contaminavano insino le sacre persone, e che Ja violenza ancor tra queste a tanto era giunta, che i successori degli apostoli vestivano elmo, e corazza alla testa degli eserciti; chi non godrà di trovarsi in tempi così diversi, chi non vedrà quanto giovi l’avanzamento dei pacifici studj, i quali ammansando a poco a poco gli animi inferociti, e dalla vita tumultuosa distogliendoli al saggio, e moderato

viver presente li ricondusse? Diletta [p. 44 modifica]
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nel vero rivolgere il guardo da quella antica

oscurità, e fierezza a questa tranquillità, e corrispondenza di tutte le genti europee, la qual oggi è più libera, ed intima, che già non fu tra le città d’ una stessa provincia, o tra le famiglie d’ una stessa città. Le vie purgare dai ladronecci, i pubblici alberghi aperti e sicuri a’passaggeri,- le poste fìsse, e regolate j il corso spedito delle lettere,- e quindi trasporti di merci, viaggi, navigazioni, pubbliche feste, e pompe, e concorso di popoli potrebbero far credere, che 1’ Europa sia divenuta una sola provincia, e dove pnràa i cittadini eran nemici, or gli stranieri si sieno fatti concittadini.

Che se a questi utili avanzamenti dell’ ingegno, e dell’industria si congiungano i di- lettevoli conosceremo, che non pure il necessario, ma il superfluo ancor del vivere n’ è provenuto, e che le delizie son succedute alla pace,’ ed alle ricchezze, siccome avvenir suole, per mezzo delle arti. Il secolo d’ oro della Grecia, cioè di Filippo, e d’ Alessandro, di Demosrene, d’Aristotele,

d’ Apelle, di Fidia: il secolo d’ oro di [p. 45 modifica]

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Roma, cioè quel di Cesare, e d’ Augusto 5 di Cicerone, di Livio, di Virgilio, di Varrone, di Vitruvio, i quali sono stati due gloriose epoche nel corso di quattro mille anni al genere umano furono superati dalla gloria del secolo XVI. italiano, cioè quello di Leon X. di Paolo III. dei Medici, degli Estensi, dei Veneti giunti al colmo della loro grandezza, il secolo, dico, de’ Trissini, de’ Sigonj, de’ Panvinj, dei Davila, degli Ariosti, dei Tassi, dei Rafaeli, de’ MichelAngioli, de’ Tiziani, de’ Correggi, de' Palladi, e di cent’ altri, dopo i quali non potendo piti "alto salire si son distese per tutto le arti liberali, e non solo tra noi, ma iti tutta l’ Europa per noi sonosi fatte famigliari. Chi avrebbe prognosticato dal tempo de’ galli, o de’ goti, che P architettura, la scoltura, e la pittura sarebbono a tanto venute, che si vedessero 1’ intere città, come Firenze, Venezia, Vicenza, ed altre per gusto eccellente, per marmi, e lavori quasi come teatro ridotte, oppur come fu Mantova per festeggiare le nozze del suo

principe da’ migliori pennelli dipinta a guisa [p. 46 modifica]
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di una scena ? E finalmente qual mirabile

cambiamento non è il vedersi oggi i finissimi pannilini, le sete, i broccati d’oro, i vasellami d’ argento, gli addobbi, i cristalli, i cocchi superbi sì comuni fatti, e sì magnifici, che considerando nelle storie, come due secoli innanzi i re massimi dell’Europa vedeanoappena sulle lor mense argenti, avean carrozza, calzavan di seta, e i Veneziani in argento serviti alle lor tavole ne furono accusati, come di fasto intollerabile a que’ giorni, convien dire, che ogni nobile donna è condotta oggi più superbamente de’ romani trionfatori, e die ogni privato sia giunto alla condizione dei monarchi d’ allora ?

Giust’è però volgere addietro il guardo a considerare come si trapassò da un’estrema ignoranza, fierezza, e sozzura di vivere a tanra umanità, e grandezza, meditando frattanto quanta parte in ciò ebbe la religione, quanta i principi, e gli uomini grandi, e quanta la fortuna, cioè il concorso di circostanze non prevvedute. Per qual ragione non siam noi più né galli, Ine romani, ne

ostrogotti ? Perchè non si veggono più né i [p. 47 modifica]

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Curii, né ì Fabrizj, i Cesari, e i Ciceroni, ma nemmeno i Messenzj, gli Attila, gli Ezelini ? Tornerem noi alle barbe, alle toghe, e si rivedranno gli astrologi, i buffoni ài corte, gli Aretini? Si giugnerà di nuovo a non sapere né leggere, né scrivere ? Ma se ciò sembra impossibile, ben sembravalo piìt il passare dalla nudità, e salyatichezza gallica alla sapienza, e dignità romana, e da questa il precipitare nella barbarie, ed ignoranza longobardica; quindi il risorgere nuovamente sino alla luce, e alla gloria del secolo decimosesto. Da tutto ciò ben chiara apparisce la nostra miseria, incostanza, e contraddizione perpetua. Imperciocché nel mezzo agli avanzamenti, che noi ammiriamo, da ammirare ci restano tuttavia molti vestigi di barbarie ancor tra noi, e tra tanta coltura.

L’Italia prima inventrice di quasi tutte l’ arti ornai non ne vede fiorire alcuna eoa gloria: ella maestra, e signora un tempo di tutti i popoli, ora seguace adulatrice, e tributaria di tutti: con vario commercio,

ma esangue, e ristretto, con moltj governi, [p. 48 modifica]
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ma poco regolamento, con fertili terre, ma

povera, con mille stud;, ma pochi dotti riconosciuti, e ricompensati, tutta unita, e racchiusa dall’alpi, e dal mare, eppur diversissima, e discorde nel linguaggio, nel gè* nio, negli usi, nelle monete, pesi, misure, leggi, e costumi de’ popoli suoi, come se fosser disgiunti tra loro da mari, e da monti insuperabili il Piemonte, la Lombardia, lo Stato Veneto, la Toscana, lo Stato Ecclesiastico, ed il re^no di Napoli. Non si direbb’ egli, che vi sono de’ galli tutt’ oggi in Italia, o che gli uomini sono di una specie in una città, e d’ un’ altra altrove al vedere fiumi reali, che bagnano grosse terre, e metropoli senza navigazione, mentre si sforza altrove la natura per aprire un canale, e far navigabile un fiume, e al vedere impoverir gì’ italiani tra 1’ abbondanza di tutti i prodotti della terra x quando altri si fan potenti colla pesca delle aringhe ? Di qua si lascia l’oro in terra, e le miniere oziose, dì là si, corre a cercarne sino a’ confini del mondo. Non si comprende, come si faccian pram_

inatiche sopra gli abiti, e si promovano in[p. 49 modifica]

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sieme i giochi più funesti d'ogni lusso; co-

me si lascino rovinare le grandi famiglie che sono il nerbo degli stati; come certe primogeniture s’ approvino, che fanno tanti miseri, e tanti malvagi, come abolire le pompe funerali già tanto dispesdiose, pur si consentano le nuziali ancor pia profuse; come qua e là si lascino le città mal fabbricate, ed immonde, ed oscure senza archivi, senza arti necessarie alla vita, ed alle fortune come le leggi sconvolte, e confuse, le liti eterne, e le patenti superchierie si soffrano; come si lascino a migliaia i mendici senza ren-» dergli utili al pubblico, siccome potrebbesi, e lasciandoli perir d’ inopia, o divenir malandrini di stradanota; come si fabbrica senz'

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architetti, si lasciano derelitti gli spedali,

le città intere senza veri chirurghi, si maltrattano i forestieri con villani alloggi, o con importabili imposizioni; s’impoveriscononota i sudditi,. ed i commerci, e quindi pure i principati per arricchire i pubblicani; s’avvilisce la letteratura con risse plebee, e

Co' la protezione de’ nobili data a questi, per la quale più cresce la violenza, e l’audacia de’sicarj. Mi citavano fatti recenti, innegabili, impuniti con orrore j tra noi, sOggiagnendo, sono rarissimi, son ^perseguitati senza posa dal governo, senza speranza di salute per molt’ oro, per gran patrocini, per fuga in altro stato, ogni principe a gara cedendo «11’ altro i colpevoli. E poi pretendete, voi altri italiani d’insegnarci la coltura, e il viver socievo^ le?... Che poteva io rispondere?

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calunniose; si fanno infine indegnissime azidni

dalle persone, die predicano il loro ono- re, e vantano autorità di militare comando, e di civile, veggéndo ad occhj aperti di dover esser fatti su cento fogli i lor peccati pubblici, e nella storia eterni.

Queste considerazioni, ed altre assai sono utili per coloro, che nobilmente nati debbono ottenere i primi luoghi nel mondo. Pepche mi lusingo di non aver fatta inutil cosa stendendomi intorno a ciò più hmgamente, che la presente materia non comportava, poiché oltre al lor desiderio ho posto mente al frutto, che quindi ponno ritrarre pitiche dalle storie de* tempi andati. Mille battaglie, e trattati di pace, mille eroi celebrati in mille storie di mille, e mille anni sono in vero gran suppellettile alla memoria, come io dicea, ma per l’ uso, e per lo profitto presentano per ordinario gli stessi esempli di virtù, o di sapienza, e solo diversi di luogo, e di persone; sicché risguardando alla loro’ incertezza, e lontananza vagliono al pari della favola, pascendo in vero la curiosità,

ma non nudrendo l’ animo, ed i costa, [p. 52 modifica]
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numi. Laddove l’esaminare come si siano

qua spopolati, là arricchiti i paesi; come, e per quali segrete vie passarono da un luogo all’ altro le arti, gli stud;, i lavori. dond’ ebbero origine le pubbliche calamità;qual venga utilità dalle guerre, qual ne verrebbe dalla pace permanente, e sicura; l’ investigare in somma il genio l’ industria la forza le vicende delle nazioni, questo è di pratica instruzione studio fecondo, e può essere sorgente di gloria, e di virtù per coloro che sono destinati a dover consigliare i principi, governar le città, maneggiare i pubblici affari, e rendere le loro patrie ricche e felici, come voi siete, cui parlo e scrivo.

Ma per ritornare più da vicino alla mia storia, e dispiegarne tutta la mira, e V intento conchiuderò, che oggetto di questa fatica si è mostrar più chiaramente la miseria de’ tempi andati in ogni genere di costume, o di studio, affinchè le sciocchezze de’ padri nostri non sian perdute pei figli, come sinora è avvenuto. Ogni uomo si disinganna d' assai coll’ età, e sempre a lui vien nuovo,

e tardo il disinganno, che ottenne sol dopo [p. 53 modifica]

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gii errori suoi. Dov>rà dunque trovarsi sem-

pre ogni uomo a tal condizione infelice, senza che giovin punto gli esempli altrui, la vicinanza, e la pratica, o almen la storica cognizione di tanti pentiti, e troppo tardi illuminati, onde sempre siamo da capo, e gli uomini sienò gli uni inutili agli altri, ciascuno isolato, e solitario per tal bisogno ? Non ci sarà mai una scuola ragionevole, studi pratici, libri efficaci, e mai non si brucieran tanti metodi perniziosi, e servili, tutti sol atti a ritardar la ragione, e propagare l'inganno?

Ma basti di questo. Prima d’ aprire la strada alla storia, devo soggiugnere ripetendo, ch’ ella non è de’ fatti, e della politica, come l'altre, intesa solo a narrare gli avvenimenti, e quindi occupata principalmente a piacer collo stile, e eolla sorpresa al lettore. Noi cerchiamo a farlo filosofo. Perciò lasceremo in dimenticanza epoche militari, o politiche, illustri battaglie, vicende di gran monarchi 3 se non quanto è necessario accennarle pel legamento, che hanno colle vicende

letterarie. Ma farem caso di qualche inos[p. 54 modifica]
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servato avvenimento, del nome d’ un uom

privato, dell’opera d’un solitario, perchè vi scopriremo un anello, da cui pende occulta catena, un raggio di prima lucè, onde insensibilmente vien giorno, un seme di larga messe per istruzione. Altri storici non ne, curarono, ma noi storici qui dell’uomo più che del mondo, degl’italiani più che dell’Italia seguiremo le tracce più lievi attentamente, e tanto più, che in mezzo alle tenebre, ed al diserto de* secoli barbari ogni lume, ogni erbetta son preziosi. Tai minime circostanze son dal filosofo preferite non men, che dai pochi lettori, che pensar sanno alle scene magnifiche, all’ epoche strepitose, le quali dimanda per se la moltitudine per dilettarsi. A questa no non iscriviamo. Un accidente, un incontro fortuito fa talor discoprir tutto il carattere d* una persona, e d’ una nazione; da ciò i suoi pregi, o difetti palesansi; da ciò prendesi norma a trattar seco ad unirsi, o allontanarsi, Così gran |iti private, o pubbliche guerre or nacquero, or si sopirono.

Studiando così l’ indole, ed il bisogno dei [p. 55 modifica]

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popoli, con qual vantaggio non il governa

chi lor presiede? Il genio delle canzoni, dice un regio scrittore, produsse una rivoluzione in Francia. A quel popolo dunque si diano poesie, o ciarlatani, come in fatti sino ab antico i suoi Trobadori tanto influirono ne’ costumi francesi, che anch’oggi ne serban vestigio ben osservato dagli storici dotti, e più attenti di quella industriosa nazione. Tra noi la poesia bernesca, e faceta, che là infonde gioja, e concilia i cuori, produce spesso effetto contrario. Non fa rider, ma punge co’ morsi suoi. Siam più serj, e stizzosi. I siciliani più simili a loro, che non i lombardi, e i toscani a noi la diedero, ma non era per noi.

Finiamo. Egli è il grande scopo degli uomini ancor leggendo, o studiando fuggir l’ozio noioso, cercar sollievo piacevole. Così ognuno scrive a tal fine, e volgesi ad intertenere la inquieta curiosità con altro ozio meno ignobile. Noi ci proponiamo un bisogno più importante. Siam mossi dal rimirare ancor dopo tante storie, e dottrine sì mal

intesa la scienza degli umani costumi, la ri[p. 56 modifica]
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cerca del vero, l’amor della patria, la concordia

de’ cittadini, l'urbanità, la coltura, la letteratura, senza le quali non sarem mai tranquilli, e sarem sempre in rischio di veder tornare il regno dell’ignoranza, del fanatismo, della ferocia inimica, e discorde tra noi, sommi mali de’ tempi anteriori.


  1. Di cento quattordici navi, che s’erano messe a quel cammino (dell’Indie), dal mille quattrocento e novanta sette sino al milie cinquecento sei, sole clnquantacinque erano ritornate, e cìnquanUnove perdute « Foscarini Letteratura Veneziana pag. 443.
  2. Alla battaglia di Czaslau 1’ Infanteria Prussiana tirò un milione e settecento mila colpi di fucile, e vi furono appena due mila Austriaci morti o feriti, dice il Marchese di Breze nelle sue Riflessioni sui pregiudizj militasi stampate in Torico.
  3. Quante volte in Francia, e in Germania m^ stata rimproverata 1’ impunità degli omicidj in Italia, e massime in qualche Provincia, omicidj proditori, frequenti di giorno, e di notte, in città, e fuori, ( e non per mano d’ assassini di strada ) come se noa ci fossero leggi, e governo ! Cosi l’esecuzione della giustizia commessa a gente vilissi» rna, e spesso rea, spesso complice-dei delitti ^ co«t
  4. Diceami un Francese osservatore, che non si vedono in Francia, e in Germania città di second’ ordine sì magnifiche di circuito, di fabbricato, di gran monumenti come sono Pavia, Piacenza, Ferrar*, Cremona, Mantova ed altre con territori sì pingui, ed ubertosi, onde potrebbon per poco farsi empori d’ogn’ industria, e ricchezza, quali furono tanto tempo, come pruovan le stori.-, e questa loto decaduta magnificenza.