Atto II

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Atto I Atto III
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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Pettizz solo.

Prepariamo le sedie. Che possan comodarsi

Questi filosofoni, che vengono a spassarsi, (mette una sedia)
Fra loro le giornate dividonsi da bravi.
Un dì vengono i pazzi, un dì vengono i savi, (un’altra sedia)
Oh, viene monsieur Lass. Capisco, in questo dì (una sedia)
Non sono i pazzi pazzi, ma quei così così.

SCENA II.

Monsieur Lass, monsieur Taus, monsieur Mann, poi monsieur Paff ed il suddetto.

Lass. (Camminando a passo lento, fermandosi di quando in quando, leggendo un foglio; poi si pone a sedere senza dir niente.)
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Pettizz. Non abbada a nessuno. Che faccia da Catone!

Ecco qui monsieur taus. Un altro medaglione.
Taus. (Entra senza parlare, va alla libreria; si prende un libro, poi si pone a sedere, salutandosi con monsieur Lass senza parlare.)
Pettizz. Oh, non s’han le parole da consumar invano.
Questi?.. Sì, è monsieur Mann. Par Seneca romano.
Mann. (Viene anch’esso bel bello; si pone a sedere vicino a monsieur Lass; si salutano al solito. Poi tira fuori la scatola col tabacco. Ne dà una presa a monsieur Lass, e ne prende per sè. Poi tira fuori di tasca un foglio, si pone gli occhiali al naso, e legge piano.)
Pettizz. Che sia qualche ricetta? è medico egli pure,
Ma un medico soffistico, pien di caricature.
Oh, viene monsieur Paff; questi mi dà più noia,
Pare un greco avanzato dall’incendio di Troia.
Paff. (Entra, e va a sedere al tavolino, e si pone a scrivere senza salutar nessuno.)
Pettizz. Oh le belle figure! son elleno, m’impegno,
Quattro statue eccellenti per l’arte del disegno.
Vuole il tè? (a monsieur Lass, quale gli fa cenno di no)
  Signor no. (da se)
  Vuole il tè?
(a monsieur Crem1, che gli accenna che taccia)
  No, non parlo.
Vogliono il tè, signori?
(monsieur Mann, monsieur Taus accennano di sì)
  Zitto; vado a pigliarlo.
Un pover’uom, che fosse mutolo di natura,
Fra questi si vedrebbe a far la sua figura. (parte)
(restano i suddetti nella loro situazione per qualche tempo)

SCENA III.

Monsieur Guden e detti.

Guden. (Madama è ritirata. A restar solo io peno.

Qui son dei galantuomini; potrò parlare almeno). (da sè)

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Servo di lor signori.

(saluta alcuno di loro; rispondono al saluto senza dir niente)
  Che studiasi di buono?
Non sono un letterato, filosofo non sono,
Ma anch’io delle bell’arti prendo qualche diletto.
Signore, a me non sembra mancare al mio rispetto,
(verso uno di loro, che mostra d’inquietarsi)
Onde abbiate a inquietarvi. Fatemi voi ragione.
(ad un altro, che non risponde)
Oh sì, che ho ritrovato buona conversazione!
Ch’io tratti e mi diverta, Bainer mi raccomanda.
Son questi i passatempi che trovansi in Olanda?
Eh, l’avrei ritrovato il passatempo amabile;
Ma un forestier... sì presto... so che non è sperabile.
E se un po’ po’ mi attacco, quel che sarà lo veggio:
Venni in Olanda afflitto, e partirò assai peggio.
Scacciar vorrei di mente le immagini funeste.
(Ma che fan qui costoro? che genti sono queste?)
Hanno ragion? favellano? o son di senso vuote
Macchine, che si muovono per via di suste e ruote?) (da sè)
Lass. Monsieur Taus.
Guden.   (Oh, egli parla). (da sè)
Lass.   Spero averlo trovato.
Guden. Che cercate, signore? (a monsieur Lass)
Lass.   Il circolo quadrato.
Guden. Signor, questa scoperta vi fa un onor sovrano;
L’hanno finor cercata tante Accademie invano.
Lass. S’ha da trovar.
Guden.   In Leiden fiorisce alto sapere.
Vi prego illuminarmi.
Lass.   Vi prego di tacere, (seguita a leggere)
Guden. Siete voi persuaso, signor, di tal scoperta?
(a monsieur Taus)
Taus. Or mi tiene occupato cosa che assai più merta.
Guden. E qual è l’argomento?

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Taus.   Da me trovar si spera

Del flusso e del riflusso del mar la causa vera:
Guden. Se ciò veder mi lice, signor, sarò ben lieto:
Vi supplico di dirmi...
Taus.   Vi supplico star cheto.
(seguita a leggere)
Guden. (Ha ragion: questi studi esigono attenzione). (da sè)
Voi, signor, che studiate, con vostra permissione?
(a monsieur Paff)
Paff. Cerco la divisione del punto indivisibile.
Guden. Oh signor, perdonate: cercate un impossibile.
Paff. Tutto chi cerca trova.
Guden.   Come sperar si può?
Paff. Aspettate che ’l trovi, e poi risponderò. (segue a scrivere)
Guden. (S’egli non parla più pria d’averlo trovato,
Innanzi ch’ei risponda, il mondo è terminato.
Quest’altro ha un foglio in mano; temo aver a pentirmi,
Se chiedo cosa legga; ma serve a divertirmi), (da sè)
Signor.
(a monsieur Mann, il quale si fissa guardandolo cogli occhiali)
  Quel che leggete è qualche poesia?
Mann. (Dopo averlo ancora guardato.)
Quel ch’io leggo, è un trattato sopra l’ipocondria.
Guden. Oh signor, s’io non sono soverchiamente ardito,
Ditemi qualche cosa.
Mann.   Non ho ancora finito, (torna a leggere)
Guden. D’ipocondria che dice? è mal che sia incurabile?
Dirà, ne son sicuro, ch’è un male insopportabile.
Suggerisce il rimedio al pessimo vapore?
Ammette fra i rimedi accendersi d’amore?
Dice che al mal s’accordi un simile sollazzo?
Mann. Sono alla conclusione. L’ipocondriaco è un pazzo.
(queste ultime parole mostra di leggerle)
Guden. In sensi quasi simili Bainer lo definì.
Quando lo dicon tutti, dev’essere così.

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Ma se l’ipocondriaco pazzo vien dichiarato,

Tanto peggio; il mio male adunque è disperato.
Ah, se talor m’accende fiamma vorace e ria,
Saranno i miei deliri effetti di pazzia.
Di risanar, s’è questo, sperar più non mi giova,
Medico per i pazzi al mondo non si trova.
Dubito sia un effetto del senno mio smarrito,
L’essermi di Madama sì subito invaghito.
E lo sperar ch’io possa in lei destar passione,
Fammi temer del tutto smarrita la ragione.
No, non è ver; s’io avessi perduti i sentimenti,
Non tratterrei me stesso con simili argomenti.
Signor, l’ipocondriaco è un misero infelice,
Ma non è pazzo. Un pazzo sarà quel che lo dice.
(a monsieur Mann con isdegno)
Mann. (S’alza bel bello, piega bene il foglio che leggeva, lo mette in mano di monsieur Guden, poi torna a sedere.)
Guden. Che complimento è questo? Lo consegnate a me?

SCENA IV.

Pettizz col tè, e detti.

Pettizz. Ecco per chi ne vuole. Si servino2 del tè.

(tutti i quattro Olandesi lo prendono, e lo bevono senza parlare)
Ella, signor? (a monsieur Quden)
Guden.   Non so; lo prenderei, ma tremo,
D’ogni cosa pavento, ogni bevanda io temo.
Dicon che il tè rilasci lo stomaco. Non voglio;
Bevanlo gli altri; intanto leggerò questo foglio.
Curiosità mi sprona. Ah, temo di far peggio.
Fin la voce mi trema. Eh son follie, lo veggio. (legge piano)

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SCENA V.

Monsieur Bainer e detti.

Bainer. (Saluta tutti. Si pone a sedere; e prende il tè senza dir niente.)

Guden. (Leggendo smania.)
Bainer. Signor, che avete voi? (a monsieur Guden)
Guden.   Ah, in questo foglio ho letto
Quel che per lusingarmi voi non mi avete detto.
Bainer. Che contiene quel foglio?
Guden.   Contiene la fatale
Fondata, fondatissima sentenza del mio male.
Bainer. Chi ve lo diè? (alzandosi)
Guden.   Mel diede quel... ch’io non so chi sia.
(accennando monsieur Mann)
Bainer. Signor, meno galenica, e più filosofia.
(a monsieur Mann, togliendo la carta di mano a monsieur Guden)
Ad uno, il di cui male sta sol nello spavento,
Chi v’insegnò di porgere sì barbaro fomento?
Mann. Qua per curar non venni uom ch’è da voi curato:
Il foglio non è mio, ma il foglio è ben fondato.
Bainer. Lo sarà, non contrasto. Ma che ha che far con lui?
Mann. Legga quel foglio, e tremi. Vegga i perigli sui.
Guden. Oimè! (osservando ora l'uno, ora l'altro, quando parlano)
Bainer. Vi è noto appieno qual siasi il di lui male?
Mann. Lo conosco abbastanza. È orribile, è mortale.
Bainer. V’ingannate.
Mann.   Lo provo.
Bainer.   Non è che ipocondria.
Mann. È un ipocondria nera, che tende alla mania.
Bainer. Quai sintomi vedeste?
Mann.   Furor fuor di ragione.
Bainer. È falso l’argomento.
Mann.   Certa è la conclusione.
Bainer. Il polso è regolare.

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Mann.   Favorite. (gli tasta il polso) È alterato.

Guden. Oimè!
Bainer.   Nol conoscete. È d’un uom spaventato.
(tastando il polso)
Mann. Bainer, anch’io son medico; ne vuò soffrire un torto.
Bainer. Quest’ammalato ho in cura.
Mann.   Quell’ammalato è morto. (parte)
Guden. Signor, per carità.
Bainer.   Figlio, non paventate.
È monsieur Mann il primo fra le teste ostinate.
É tal, che acciò un pronostico non gli andasse fallato,
Vorria, se fosse lecito, uccider l’ammalato.
No, timor non abbiate di morte o di deliro,
Sulla mia fede, amico, sull’onor mio.
Guden.   Respiro.
Bainer. Monsieur Lass colla mente che scrutiniar3 procura?
(a monsieur Lass)
Guden. Del circolo pretende trovar la quadratura.
Bainer. Ben; la trovaste, amico? (a monsieur Lass)
Lass.   Sì, quasi ad evidenza, (alzandosi)
Bainer. E su qual fondamento?
Lass.   Vado a far l’esperienza.
Bainer. Da superar vi resta qualche difficoltà?
Lass. Non la trovai del tutto, ma un dì si troverà.
(Così per me trovassi il cuor di sua nipote,
Che tanto mi par bella, ed ha sì bella dote!) (parte)
Bainer. Malagevole impresa.
Guden.   È una follia visibile,
Qual di chi vuol dividere il punto indivisibile.
Paff. D’algebra e d’analitica insegnan le bell’arti (s’alza)
Che ogni materia ha corpo, e che ogni corpo ha parti;
Che ogni picciola parte, dal corpo suo recisa,
Puol essere in più parti divisa e suddivisa;

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E il punto indivisibile rispetto alla figura,

Dividere pretendo almen per congiettura.
So che l’impegno è grande, ma il fondamento è sodo;
Mancami sol ch’io trovi per eseguirlo il modo.
Taus. Ho ben io ritrovata la causa e il fondamento (s’alza)
Del flusso e del riflusso del liquido elemento.
Bainer. A parte i buoni amici render di ciò conviene.
Taus. Il flusso ed il riflusso del mar dunque proviene
O da una forza elastica, che in fondo al mar s’aduna,
O dai violenti influssi del corso della luna,
O un moto sotterraneo rende quell’onde instabili.
Tutte ragioni vere, o almen tutte probabili. (parte)

SCENA VI.

Monsieur Bainer, monsieur Guden.

Guden. Signor, queste figure in casa vostra unite,

Che s’intende che sieno?
Bainer.   Dirò, non istupite.
Vengono a favorirmi cotai filosofastri,
Che presso il basso volgo vonno passar per mastri,
E par loro che giovi dire al mondo ingannato:
Di Bainer frequentiamo lo studio accreditato.
Li soffro qualche volta, di tutti amico io sono:
Esce dai sciocchi ancora talvolta un pensier buono.
E la filosofia, ch’è il studio a me diletto,
Anche con questo mezzo aprir può l’intelletto.
Le stolidezze altrui fanno studiar di più,
E fan miglior concetto aver della virtù.
Guden. So che quel signor medico con sua caricatura
Mi avea cacciata intorno una bella paura.
Bainer. Non temete niente; son qui tutto per voi:
Oggi restar vi prego a desinar con noi.
Di voi ho buon concetto; per voi ho della stima;
Si dan di quegli incontri, che piacciono alla prima.

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Duolmi dall’ipocondria vedervi un po’ avvilito;

Sarete, in me fidando, prestissimo guarito.
Voglio che superiate il mal colla virtù.
Guden. Son nelle vostre mani, che ho da bramar di più?
Bainer. So che un banchier voi siete; piacemi il parlar schietto,
Senza affettar grandezze.
Guden.   Signor, chi ve l’ha detto?
Bainer. Disselo mia nipote. So che con lei parlaste.
Guden. Signor, fu un accidente; non vorrei mi tacciaste...
Bainer. Di che? Non è interdetto il praticare onesto.
Che vi par di Marianna?
Guden.   Signore, io vi protesto,
Che giovin più gentile non ho veduta mai.
(In questo suo discorso vi è da sperare assai). (da sè)
Bainer. Ha del talento.
Guden.   È vero.
Bainer.   È giovane prudente.
Guden. Dal conversar si vede, dal suo parlar si sente.
(Or la ragion capisco del suggerito amore). (da sè)
Bainer. Io non ho figli al mondo, ella è tutto il mio cuore.
Offerti alla fanciulla fur più ricchi partiti;
Ma certo, infin ch’io viva, non vuò che si mariti.
Guden. (Prima si andava consolando, ora si turba.)
Bainer. Che e’è, che vi cambiate?
Guden.   Niente. I miei vapori.
Bainer. Si calmeranno i spiriti, si sederan gli umori.
Presto risanerete. Vuò vedervi contento.
Guden. (Perduta ho la speranza del mio medicamento). (da sè)

SCENA VII.

Pettizz e suddetti.

Pettizz. Signor, un forestiere che ha titol di Eccellenza,

Venuto è per le poste, e vuol subito udienza.
Bainer. Bene; sarà servito. (Pettizz parte)

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Guden.   Andrò con permissione...

Bainer. Servitevi, signore, qui non vi è soggezione.
Di Leiden vi saranno ancor le strade ignote;
Potete trattenervi per or con mia nipote.
Oggi, secondo l’uso di nostre cittadine,
A lei tocca ricevere le amiche e le vicine.
Vi servirà frattanto per sollevarvi un poco.
Guden. (Mi servirà, io dubito, per crescere il mio foco), (parte)

SCENA VIII.

Monsieur Bainer, poi il Marchese di Croccante.

Bainer. Fra quante sono al mondo pessime infermità,

Sono gl’ipocondriaci quei che mi fan pietà.
Questo giovin dabbene sì di lontan venuto,
Merta ben ch’io gli porga ogni più caldo aiuto.
Nè via miglior di questa per risanarlo io veggio;
Cura, medicamenti, l’opprimerian di peggio.
Marchese. Bainer, mi conoscete?
Bainer.   Signor, mi par di no.
Marchese. Or saprete chi sono; sediam, ve lo dirò. (siedono)
Bainer. (Un pessimo negozio; lo veggo nel sembiante), (da sè)
Marchese. Io sono il colonnello, marchese di Croccante.
Bainer. Oh signor... (complimentandolo)
Marchese.   Io son quello, medico mio garbato,
Che scrivere vi fece per esser curato.
Voi venir non voleste in Fiandra a medicarmi,
E per parlarvi alfine dovuto ho incomodarmi.
Sembra, che più rispetto si debba a un cavaliere.
Bainer. Leiden è la mia patria; qui faccio il mio mestiere.
I cavalier rispetto con ogni umil tributo;
Bainer non è, signore, un medico venduto.
Marchese. Conoscete il mio male?
Bainer.   Astrologo non sono.
Marchese. Il color del mio volto parvi cattivo o buono?

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Bainer. Parmi il rosso eccedente.

Marchese.   Sapete onde provenga?
Bainer. Esaminiam gli effetti, pria che alla causa io venga.
Dorme la notte?
Marchese.   Poco.
Bainer.   Gli serve l’appetito?
Marchese. Pochissimo.
Bainer.   Gran sete?
Marchese.   Son sempre inaridito.
Bainer. Bevere è necessario.
Marchese.   Bevo quel che bisogna:
Quattro bottiglie al giorno di vino di Borgogna,
Canarie tutti i giorni per confortare il petto,
E un peccher la mattina di rosolin perfetto.
Bainer. E poi mi domandate da che provenga il rosso?
Marchese. Ho un foco nelle viscere, cui tollerar non posso. (s’alza)
Bainer. Siete a digiuno ancora? (si alza)
Marchese.   Scesi alla Posta un poco;
Mi sentia per le membra ed alla testa il foco:
Presi un pezzo di pane con del botir salato,
E con del vin del Reno mi sono rinfrescato.
Bainer. Ecco la cagion vera del color porporino.
Marchese. Spropositi! nel volto ha da passare il vino?
Bainer. Oh sì signor; il sangue, d’atro color ripieno,
Ora v’infiamma il volto, e infiammeravvi il seno.
Marchese. Come ho da fare adunque a spegner la mia sete?
Bainer. Acqua, signor...
Marchese.   Io acqua? Acqua mi proponete?
Questa è di tutti i medici l’usata medicina:
Non mi credea che foste medico da dozzina.
Dell’acqua ad un par mio! acqua non assaggiai
Saran più di vent’anni, e non ne berrò mai.
E se miglior ricordo darmi voi non sapete,
Bainer, io non vi stimo quel medico che siete.
Bainer. Signor, vo’ soddisfarvi; ho un cantinin ripieno

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Di vino di Sciampagna, che avrà sett’anni almeno.

Ho del Toccai4 perfetto.
Marchese.   Bravo.
Bainer.   Del vin di Spagna,
Del vino d’Ungheria, del vino di Bretagna.
Marchese. Bravo, così mi piace: del vin che mi conforti.
Bainer. E poi poco lontano abbiamo il beccamorti.
Marchese. È il cantinier costui?
Bainer.   È quel che favorisce
Gli uomini quando crepano, è quel che seppellisce.
Beviamo allegramente, e poi presto a drittura
In men di quattro giorni si passa in sepoltura.
Marchese. Piano, piano di grazia; ho da morir per questo?
Bainer. O tralasciare il vino, o andarsene ben presto.
Marchese. Bainer, che non vi sia nella medica scuola
Qualche espediente? Almeno una bottiglia sola.
Bainer. Impiegherò ogni studio per consolarvi appieno.
Tralasciate di bere per un sol giorno almeno.
Marchese. Ho una sete terribile. Solo il ber mi consola.
Bainer. Acqua, signor.
Marchese.   Non posso.
Bainer.   Una giornata sola.
Via, per piacer vel chiedo. Il vino ha tal virtù,
Se un dì ve ne astenete, doman vi piace più.
Dopo d’aver bevuto dell’acqua in quantità,
Oh quanto saporito il vin vi riuscirà!
Marchese. Bainer, questa ragione par che mi persuada.
Bainer. (Convien con questi pazzi andar per ogni strada), (da sè)
Dunque si è stabilito.
Marchese.   Una giornata sola.
Bainer. Ma, signor, non mancate.
Marchese.   Vi do la mia parola.
Bainer. Un cavalier non manca.
Marchese.   Ditemi, non potrei

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Porne così nell’acqua due, quattro dita, o sei?

Bainer. Signor, mi maraviglio. Se cavalier voi siete,
Mi deste la parola, vo’ che la mantenete.
Marchese. Bainer, un uomo grande siete a comun giudizio.
Alla virtù sia fatto l’enorme sagrifizio.
Potrete al merto vostro vantar per un tributo:
Il marchese Croccante un dì non ha bevuto. (parte)
Bainer. Ma a che siam noi soggetti? Quale destin maledico
Ammalati ci manda per impazzire il medico?
Ecco di noi meschini, ecco il delirio usato:
Dover colle ragioni cozzar coll’ammalato;
E chi non ha quell’arte ch’è necessario avere,
Per secondar l’infermo, tradisce il suo mestiere.
Lungi la soggezione, lungi i rispetti umani;
Franco si parli e schietto coi spiriti più strani.
Sia volgar l’ammalato, sia prence o cavaliero,
L’arte è una sola, e sempre dee prevalere il vero.

Fine dell’Atto Secondo.

Note

  1. Distrazione goldoniana. Questo personaggio non si sa chi sia.
  2. Così il testo.
  3. Così il testo.
  4. Così è stampato nel testo.