Il ghetto di Firenze/L'interno del ghetto

L'interno del ghetto

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Le strade attorno al ghetto La città di Bagdad
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L’INTERNO DEL GHETTO



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ora, eccoci all’ultima parte di questa illustrazione ed alla più interessante di essa, inquantochè si tratta di visitare le cose più importanti esistenti nell'interno di questo vasto quadrato, di ritrovare le antiche strade, le piazze, i palazzi, le case, i saloni, di evocare le memorie più interessanti relative alle famiglie, agli individui che in questo luogo dimorarono.

E prima d’ogni altra cosa occupiamoci brevemente della topografia della località.

Ultimamente nell'interno del Ghetto si accedeva per tre lati: dalla volta della Via del Ghetto che corrisponde in piazza dell’Olio: dalla volticciola che sboccava sulla Piazza del Mercato Vecchio e dalla continuazione di Via della Nave che giungeva fino a Piazza della Fonte. [p. 50 modifica]

La Via del Ghetto metteva in comunicazione tre piazze: Piazza della Fraternità, Piazza del Ghetto e Piazza della Fonte.

Da Piazza della Fraternità si accedeva al Cortile dei Bagni, un’antico vicolo chiuso.

Da Piazza della Fonte si entrava da un lato nella Corte dell’Acqua e dall’altro nella Piazza del Macello e nelle cosidette Cortacce, le quali altro non erano che antiche strade chiuse ed interrotte dai fabbricati erettivi quando si ridusse la località ad uso degli israeliti.

Tutti i nomi che le piazze, le strade, i cortili avevano in questi ultimi tempi, erano affatto moderni e si riferivano soltanto all'epoca in cui erano stati introdotti colà gli ebrei.

Piazza della Fraternità corrispondeva all’antica Piazza del Chiasso e in parte alla Corte de’ Pecori; il Cortile de’ Bagni era un tratto del Vicolo del Piovano: Via del Ghetto si diceva il Chiasso dei Della Tosa o Chiasso Maggiore e ancora le Volte dei Figli Della Tosa; Piazza del Ghetto era un largo del Chiasso Grande e in questo punto si chiamò un giorno anche Piazza del Postribolo. Piazza della Fonte era l’antica Piazza del Frascato e in parte la Piazzola dei Della Tosa; il Cortile dell’Acqua era il vicolo De Medici; Piazza del Macello era la Piazzola de’ Brunelleschi; le [p. 51 modifica]Cortacce erano i chiassi Grande, di Malacucina, della Lombarda ed altri senza nome proprio.

L’ampio rettangolo, prima che Bernardo Buontalenti lo adattasse a luogo di abitazione per gli israeliti e richiudesse tutte le aperture che vi davano accesso meno tre, era attraversato da una quantità di stradelle, di piazzuole che lo tagliavano in ogni verso.

E di queste stradelle restano ancora molte e visibili tracce, tanto che non sarebbe cosa difficile il poterle interamente ritrovare, abbattendo costruzioni successive molto meno solide e importanti delle antiche.

Fra le stradelle soppresse v’erano: il Vicolo del Piovano che dalla via de’ Naccaioli andava fino alla Via della Macciana oggi dell’Arcivescovado, il Chiasso di Malacucina che aveva Io stesso andamento e traversava la Piazza del Postribolo: anche il Chiasso Grande andava dall’una all’altra delle due strade e il punto in cui entrava in Via de’ Rigattieri si diceva Bocca di Chiasso. Più avanti erano le Volte de’ Brunelleschi l’antica loggia di quell’antica famiglia per mezzo della quale dalla Piazza di S. Leo si accedeva alla Piazzola dei Brunelleschi, La Via del Frascato corrispondeva all’attuale tratto di Via della Nave che da Piazza de’ Succhiellinai metteva nel [p. 52 modifica]Frascato, località oggi in gran parte occupata dalla Piazza della Fonte.

Diversi altri vicoletti passavano tra le fabbriche e mettevano in comunicazione le stradelle già rammentate; ma non avevano un nome speciale o di questi nomi non è giunto fino a noi il ricordo.

Ed ora, entriamo in Ghetto dalla Volta che stava sotto alle antiche case dei Filitieri ed entriamo sulla Piazza della Fraternità.

Essa ha un aspetto moderno come il nome che le fu dato all’epoca della emancipazione degli israeliti. Fu difatti ampliata per dar aria è luce a questo quartiere, quando gl’israeliti che vi abitavano ne fecero ripetute istanze. Parte della Piazza comprendeva l’antica Piazza del Chiasso e delle antiche e solide fabbriche che la fiancheggiavano si vedono ancora gli avanzi consistenti in grandiosi archi a bozze esistenti al pianterreno di uno stabile.

Attorno alla piazza sorgevano le case dei Pecori, dei Filitieri Da Castiglione, dei Della Tosa e di altre famiglie di minore importanza.

A destra di chi entra sulla Piazza, è il Cortile de’ Bagni formato da un tratto rinchiuso del Vicolo del Piovano, così chiamato dalle case appartenenti certo ad una delle Pievi dei dintorni di Firenze, [p. 53 modifica]

Di qui penetreremo per mezzo di scale relativamente moderne nell’interno del fabbricato che percorreremo nelle sue parti principali.

La scala conduce nello stabile che fa angolo tra la Via della Vacca e Via de’ Naccaioli.

È una delle case appartenute un giorno alla potente ed antica famiglia dei Fighineldi che aveva su quest’angolo un alta e massiccia torre.

Qui sono delle sale ampie, luminose, comode e decorate di affreschi non ispregievoli del XVII secolo fattevi certo eseguire da qualche ricca famiglia israelita che vi abitava. Del resto, tutto il lato che corrisponde in Via della Vacca forma un seguito di sale, un vasto quartiere che ricorda la struttura degli antichi palagi che sorgevano in questo luogo.

I Fighineldi appartenevano ad una delle famiglie più antiche di Firenze, ad una di quelle del primo cerchio ed erano consorti dei Ferrantini e dei Figiovanni, anch’essi molto illustri e molto potenti.

Dipoi, queste case passarono ai Boni che nell’arte della seta eransi arricchiti fino a diventare una delle famiglie più facoltose della città. E i Boni ebbero, oltre la torre e le case poste in queste località anche un palazzo contiguo alle primitive case dei Panciatichi, abbattuto dipoi insieme [p. 54 modifica]a quelle per il già citato allargamento della via e la costruzione del giardino Orlandini, oggi birreria. I Boni si estinsero nel 1644 lasciando il nome e gli averi ai Michelozzi.

Prossime a quelle dei Fighineldi furono le case dei Filitieri e Catellini Da Castiglioni e della loro torre restano visibilmente le tracce tanto all’esterno dove si distingue l’antico portone coll’arco a bozze rilevate, quanto all’interno dove non sfugge la grossezza delle pareti di una sala quadrata.

Venendo verso il Duomo, si passa in alcune case dei Pecori, famiglia di origine popolare e che deve il suo cognome al soprannome di Pecora dato a Dino che essendo fra i popolani i più arditi e più influenti nei tempi delle fazioni, cominciò a far la fortuna della propria casa. I Pecori furono nei primi tempi assai numerosi ed ebbero le loro abitazioni tanto in Piazza del Duomo al disopra dell’arco che tuttora da loro prende nome, quanto su questo angolo del Ghetto tanto dal lato di Via della Vacca che da quello di Via dell’Arcivescovado. Nel governo della repubblica ebbero i Pecori parte importantissima, disimpegnarono cariche di molto rilievo, tanto che 7 di loro ebbero il supremo ufficio di gonfalonieri di giustizia e 32 quello di priori. Sono tra le [p. 55 modifica]poche famiglie del primo cerchio che esistono tuttora.

Dalle case de’ Pecori si passava, proseguendo in via dell’Arcivescovado in altre case dei Della Tosa, che in questo quadrato erano allora moltissime, nei palazzi dei Della Pressa, famiglia antichissima della celebre consorteria di Galigai e de’ Buonaguisi ed alla quale appartenne quell’Uguccione che fu cittadino di grande autorità. Le loro case, come dicono gli antichi storici, erano trai Chiavaioli, appunto perchè in questo tratto della via erano le botteghe di questa che fu una delle Arti Minori.

Dalle case dei Della Pressa si torna in altre dei Della Tosa che corrispondevano tanto sul Chiasso di Malacucina, quanto sul chiasso Grande e nel Frascato.

In queste antiche case ed in questa località era situato il maggior tempio degli israeliti, un ampia, bene areata e comoda sala che però non aveva, almeno in questi ultimi tempi, nulla di artistico nelle sue decorazioni.

Annessi al tempio erano altri locali destinati al culto ed alla istruzione; v’erano difatti un altra sala ad uso di confraternità dove si celebravano le funzioni quotidiane, le scuole pei giovanetti, i locali di residenza all’Universitá [p. 56 modifica]israelitica, della Misericordia funebre e di quella di soccorso per gli ammalati ecc.

Ultimamente questi locali destinati al culto israelitico erano come un oasi in mezzo ad un ammasso di quartierucci, di alberghi d’infima specie, di luride catapecchie, dove alloggiavano centinaia di persone. Sono difatti quì attorno alcuni quartieri più sudici e più tristi di questa località.

Non è facile scordare il buio completo, la tristezza degli ambienti, il sudiciume di quella specie di antro che popolarmente si diceva il quartiere del calzolaio e che è situato proprio al di sotto della confraternità, come non si può dimenticare l'orrore ed il sudiciume del cosiddetto Androne un lunghissimo corridoio fiancheggiato da stanzucce, da sottoscala, da altri anditi più piccoli dove nottetempo si rintanavano centinaia e centinaia di esseri umani per averne un asilo, un riposo.... che doveva esser molto relativo. Era in fondo a questo androne una stanzetta, una specie di cappella, che serviva ad alcune cerimonie funebri e siccome quando fu abbandonata vi rimasero delle panche lungo le pareti così anche coteste furono utilizzate come giacigli e in cotesto ambiente cupo, ristetto, basso si accoglievano fino otto e dieci persone. E nemmeno [p. 57 modifica]si potrà scordare un certo quartierino lillipuziano col soffitto così basso che nessuna persona di statura benché modesta può starvi in piedi, famoso asilo di ladri e dì vagabondi ch’era posto dalla parte di Via della Nave.

Per rovescio di medaglia, in questo ceppo di case posto fra Via della Nave e l’Arcivescovado erano quartieri eleganti e decorati con lusso non comune. Tuttora si veggono difatti sale adorne di buone pitture e fra le altre è degna di considerazione un’ampia sala da ballo con orchestra e colle pareti adorne di ricche cartelle dove sono dipinti fatti del vecchio testamento.

E appunto questa vicinanza di quartieri eleganti e di luride stamberghe, questa comunanza di scale che servivano a dare accesso tanto a quelli che a questi, che costringevano la gente a modo a trovarsi faccia a faccia coi malanni e col rigetto della società, formano una delle cose più strane e più singolari nei ricordi di questi ultimi tempi.

Nel ceppo di case che abbiamo percorso, poche o punte tracce si hanno, almeno nell’interno, dell’antica struttura. All’esterno invece, ed in particolare dal lato di Via della Nave si veggono archi antichi di botteghe, di porte, di case e di torri e voltoni di una solidità rilevantissima. [p. 58 modifica]Nell’entratura di una piccola porta appunto corrispondente su questa via è anche un pezzo di pavimento antichissimo con mattoni disposti a spina-pesce.

Tra Via della Nave e la piazza del Mercato dal lato di S. Tommaso, furono insieme ad altre case dei Della Tosa alcune delle più antiche fra le abitazioni della famiglia Medici, la quale arricchita col commercio, da modestissima fortuna s’inalzò fino a divenire sovrana della patria.

Quì vengono alla mente le prime memorie di questa famiglia, che originaria del Mugello venne a Firenze e si pose ad abitare nella parte più centrale, vicino alla chiesa di S. Tommaso della quale acquistò poi il patronato dai Sizi. La fortuna, l’ingegno l’attività, fecero rapidamente salire in fama ed in potenza la famiglia, e quando nelle lotte tra i grandi ed i popolani apertamente si schierò dalla parte del popolo, mettendosi alla testa delle schiere di artigiani per dar l’assalto ai palazzi dove i nobili s’erano afforzati, essa si acquistò una popolarità superiore ad ogni altra famiglia della città.

Una stradella ed una piazzetta corrispondente oggi al cosiddetto Cortile dell’Acqua, passavano attraverso a questo gruppo di case ed i nomi [p. 59 modifica]di Piazzola de’ Medici e di chiasso de’ Medici si trovano ricordati in più di un documento.

Il Cortile dell’Acqua è fra le più orride località del Ghetto ed il sudiciume agglomerato da secoli addosso alle pareti, agli archi, sulle sporgenze dei muri, è la più solenne ironia del nome col quale questo vero antro è distinto.

In questo ceppo di case era un altro tempiao isdraelico, più piccolo e più modesto dell’altro e serviva al culto di rito levantino.

Fra S. Tommaso e S. Maria in Campidoglio, tanto all’esterno che all’interno furono le case di quella insigne e potente consorteria dei Della Tosa e dei Tosinghi, i quali si può dire che fossero nei tempi antichi i padroni di questa località.

Discendevano coteste famiglie insieme a quelle degli Aliotti e dei Cortigiani dal ceppo antica dei Bisdomini o Visdomini padroni e difensori del vescovado fiorentino che amministravano a modo loro in tempo di sede vacante, tanto che l’Alighieri ebbe a dire nel suo poema:

Così facean i padri di coloro
Che sempre che la chiesa nostra vaca
Si fan grassi stando a concistoro
.

I Tosinghi, che ebbero gran potenza nel partito guelfo, vanno ricordati con onore come [p. 60 modifica]cittadini illustri, come guerrieri valorosi che in ogni guerra combattuta in difesa della patria ebbero parte gloriose. Combatterono nelle crociate, cinque di loro si trovarono a Montaperti, combatterono le guerre di Pisa, difesero Firenze negli ultimi sforzi vigorosissimi per conservarle la libertà e tanto si mostrarono caldi di affetto patrio e tanto vigorosamente nemici di coloro che da cittadini vollero farsi sovrani di Firenze, che, spenta la repubblica, dovettero subìre come vendetta dei vincitori, confische, esilii, persecuzioni. I Tosinghi ebbero tra loro personaggi illustri e basterà ricordare tra gli altri Baschiera guerriero valoroso, Pier Francesco che come ambasciatore e come soldato vigorosamente sostenne gli interessi e l’onore della patria e Ceccotto egli pure valoroso soldato che nel 1508 cadde prigione dei pisani.

I Tosinghi come i Bisdomini, i Cortigiani e gli altri della loro consorteria erano i protettori e padroni del vescovado di Firenze e nel giorno in cui il Vescovo faceva l’ingresso in Firenze, lo accompagnavano e desinavano con lui nel monastero di S. Pier Maggiore, dopo che era stata compiuta la singolare e caratteristica cerimonia del mistico sposalizio del vescovo coll’Abbadessa di quell’antico monastero. [p. 61 modifica]

Avevano i Tosinghi sulla Piazza del Mercato Vecchio un celebre palazzo, una meraviglia di ricchezza che gli storici antichi ricordavano con parole d’entusiasmo. Una stampa antichissima riportata nel libro Delle eccellente e grandezze della Nazione fiorentina ce ne dà una idea tale da far ritenere giustificata l'ammirazione espressa dal Malispini e dal Villani. Il palazzo era fatto tutto di macigno, era alto 90 braccia, si componeva di tre piani, ognuno con arcate sostenute da colonne di marmo: gli era vicina una torre alta 130 braccia, eguale nell’architettura e che si vuole da taluno riconoscere come raffigurata in un affresco antichissimo esistente nel portico della Misericordia Vecchia, oggi sala terrena nella residenza del Bigallo.

Nella prima delle distruzioni operate dai Ghibellini, quella del 1248, il palagio e la torre dei Tosinghi furono tra le case abbattute e la distruzione dev’essere stata sì completa da non lasciare nemmeno le tracce del celebre palagio. Anzi in questi ultimi tempi non mancai di far delle ricerche per vedere se alcuna traccia di questo edificio, ed anche della torre che era rotonda esistesse tanto nelle muraglie delle fabbriche attuali, come nei fondamenti, ma non mi venne fatto di scoprire nulla d’importante. [p. 62 modifica]

Accanto alle case dei Tosinghi, erano quelle dei Della Tosa loro consorti e loro compagni per potenza e per ricchezza. Si dice che una certa donna entrata in casa Bisdomini e che si diceva la Tosa, fosse l’origine del nome di questa famiglia; e ad avvalorare questa affermazione contribuisce il fatto che per molto tempo essi si dicevano non i Della Tosa, ma i figliuoli della Tosa e nei documenti degli archivi si trovano ancora ricordate le Piazze dei Figli della Tosa e le Volte dei figli della Tosa.

Come i Tosinghi ebbero gran numero di cittadini illustri e di guerrieri valorosi.

Però il periodo di grandezza e di potenza fu per questa famiglia quello in cui le fazioni dei Bianchi e de’ Neri si contendevano il primato. Ascritti al secondo di questi partiti, si può dire che ne costituissero la parte più forte, in grazia delle aderenze e alle ricchezze loro. Messer Rosso era il cittadino capace di comandare a tutta la città e Corso Donati, capo riconosciuto del partito, nella sua smania ambiziosa di signoria, sapeva tanto bene quanto fossero potenti i Della Tosa, che con ogni mezzo procurò di tenerseli amici. E per riuscirvi nulla lasciò intentato, nulla lo spaventò.

Non sentì nemmeno gli affetti della famiglia, [p. 63 modifica]non ebbe timore di sacrificare alla sua superbia la sorella sua.

L’episodio di Piccarda Donati ha dato argomento a racconti pieni di mestizia ed è a lei che dedicò uno dei canti più soavemente gentili il Divino Poeta

La mia sorella, che tra bella e buona
Non so qual fosse più.....


così fa dire l’Alighieri a Forese Donati fratello di Corso che narra le sciagure e i dolori della povera fanciulla. Corso aiutato dai suoi scherani la rapiva dal monastero di S. Maria a Monticelli fuori di Porta Romana, per darla in moglie a Rosellino consorte di quel Rosso che gli premeva di tenersi amico.

E fu appunto quì, in queste antiche case dei Della Tosa che Piccarda fu condotta dal fratello, quì che giunse vestita degli abiti nuziali. Giù nella corte si riunì il corteggio splendido di parenti e di amici che andò alla casa de’ Donati sul Corso per prender la sposa ed accompagnarla poi nelle sale di questi palagi fortissimi dominati e protetti da eccelse torri. E fu quì, in queste case, che Piccarda fu colta da quel male terribile che la prese subito dopo la cerimonia nuziale e che la trasse ancor fanciulla al sepolcro. [p. 64 modifica]

Le case dei Della Tosa erano moltissime perchè moltissimi erano i rami in cui la famiglia era divisa ed erano sparse in tutto questo quadrato, trovandosene comprese nelle parrocchie di S. Maria in Campidoglio, di S. Tommaso, di S. Leo e di S. Salvatore.

Nell’estimo dei danni arrecati nel 1260 dai Ghibellini alle case dei Guelfi, troviamo fra gli edifizi distrutti i seguenti dei Della Tosa: due case in Mercato Vecchio e un terzo di torre dei figli Della Tosa; mezzo palazzo e torre di Ciampo e Giovanni di Napoleone Della Tosa; mezzo palazzo di Fastello della Tosa, tutti nel popolo di S. Maria in Campidoglio; nel popolo di S. Salvadore: torre di Odaldo Della Tosa, casa di Sinibaldo di Baschiera Della Tosa, casa di Marzoppino di Azzo Della Tosa, casa di Rosso Della Tosa, casa di Rosso e Fratelli di Bernardo del Sasso Della Tosa; nel popolo di S. Tommaso, parte di torre di Guido Rosso della Tosa; oltre a queste altre case in diversi punti della città ed un gran numero di case da signore e da lavoratore nei dintorni di Firenze.

Valga questo a dimostrare non solo la ricchezza, ma la quantità dei rami in cui la famiglia Della Tosa era divisa nel XIII secolo. Nel 1600 però tanto i Della Tosa che i Tosinghi si estinsero e [p. 65 modifica]di tanta grandezza antica non restò più nemmeno il nome.

Accanto alle case dei Della Tosa, proprio sull’angolo che prospetta l'antica chiesa di S. Maria in Campidoglio, soppressa nel passato secolo e ridotta a modesto albergo, era una antica loggia, una loggia grandiosa, elegante, sostenuta da graziosi pilastri ottagoni coi capitelli a foglie di loto adorni di stemmi. Era la loggia dei Tosinghi. All’esterno, dove furono due dei pilastri, si vede tuttora lo stemma dei Tosinghi, il leone rampante seminato di lune; nell’interno poi erano ai capitelli gli stemmi delle famiglie imparentate con quella che possedeva la loggia e, proprio in questi giorni, nel fare certe indagini, mi venne fatto di ritrovare in un capitello uno stemma con tre stelle accostate da due fregi in banda.

La loggia dei Tosinghi è fra le meno note di Firenze; però quel che resta tuttora di essa, vale a dimostrare com’essa fosse per costruzione abbastanza ampia ed elegante.

E le logge avevano nell’antica Firenze una importanza speciale, non servendo unicamente per adornamento dei palagi e di rifugio contro le intemperie; le logge erano segno di altissima nobiltà e potenza per le famiglie che le possedevano, erano luogo di ritrovo, di convegno e servivano [p. 66 modifica]ancora a feste ed a conviti. Là si festeggiava Calendimaggio, si celebravano le solennità di famiglia, si discutevano interessi pubblici e privati.

Nelle quiete sere d’estate, numerose comitive si raccoglievano colà a godere il fresco e fra i canti armoniosi e il suono dei liuti, si trascorrevano le ore tranquille.

Queste riunioni serali nelle logge, ce lo ricordano quasi tutti gli antichi storici, servivano a fissare non pochi matrimonj fra le più cospicue famiglie e va rammentato come restasse il nome di Loggia del parentado a quella degli Agolanti dove eransi combinati sposalizi in gran numero.

La Piazza della Fonte, che si apriva in mezzo alle case dei Della Tosa, era occupata in parte dal cosidetto Frascato che corrispondeva poi sulla piccola piazza detta del Ghetto che era attraversata dal Chiasso di Malacucina.

Perchè a questo luogo si dasse il nome di Frascato non si può dire con certezza. Forse v’erano delle frasche che adornavano una delle più antiche osterie di Firenze; fatto sta che il nome era così comune, che a quasi tutta la località che venne in seguito convertita in Ghetto, cotesto nome di Frascato era comune. L’osteria del Frascato era frequentatissima fino dai tempi più lontani, ed era il convegno di gente [p. 67 modifica]spensierata che trovava colà modo di passare le sue giornate in chiassi e bagordi. L’osteria corrispondeva tanto sulla Via che si diceva del Frascato quanto sotto le volte del Chiasso Maggiore e sul chiasso di Malacucina. Il luogo apparteneva in antico ai Della Tosa: nel XVI secolo troviamo che il possesso dell’osteria era comune allo Spedale di Bonifazio ad una donna di casa Peruzzi e ad alcuni dei Della Tosa, Nerli, Ruspoli, Manovelli. Era affittata allora ad un Matteo di Niccolò detto Rocchio soprannome appartenuto ad altri osti del Frascato, che pagava all’anno 633 lire di pigione, pigione per quei tempi elevatissima e che dimostra chiaramente come cotesto luogo offrisse all’oste dei lauti guadagni. Nel Frascato poi, c’era un po’ di tutto. Nelle antiche case dei Della Tosa e dei Medici s’erano installati due luoghi di mal affare; v’erano diversi magazzini di pollaioli, v’era una scuola di ballare, v’era un alberguccio d’infima specie e tuttociò doveva far di cotesto Frascato un vero pandemonio, un luogo rumoroso e frequentatissimo.

Anche il chiasso di Malacucina che dalla Piazza de’ Succhiellinai andava a sboccare in Piazza dei Brunelleschi traversando la piazzetta interna, era nelle stesse condizioni del Frascato. Anche là era un’osteria antichissima e che nonostante il suo [p. 68 modifica]nome poco attraente era famosa pei buoni manicaretti.

Era prossima alle case dei Brunelleschi e nel XVI secolo apparteneva alla Compagnia della Carità di S. Lorenzo, ai Mormorai, ad un certo Rosso tessitore di drappi, agli Ammirati ed agli Strozzi. L’oste, Biagio di Michelangiolo pagava allora 468 lire l’anno di pigione. Vicino all’osteria era un luogo di mal affare, forse il più antico di Firenze che aveva dato alla piazzetta vicina il nome di Piazza del Postribolo. Sulle pareti esterne di cotesto luogo, in segno di onta e di altissimo disprezzo, la Signoria di Firenze faceva dipingere l’effige dei traditori che erano generalmente condottieri di milizie al soldo della repubblica. Da un documento, risulta che nel 1424 erano stati raffigurati costà: Cristofano di Piero da Lavello, Giovanni Piccinino da Lavello, Donato da Lavello e Agnolo da Camerata tutti capitani di ventura.

Dal lato di Via degli Stracciaioli, oggi Naccaioli, accanto alla loggia dei Tosinghi erano alcune case degli Ubaldini e degli Arrigucci, case però di poca importanza, perchè coteste due celebri famiglie ebbero altrove i loro palazzi: gli Ubaldini cioè da S. Andrea e gli Arrigucci dal lato opposto, sulla Piazza di S. Leo, fino alla Piazza degli [p. 69 modifica]Agli. Però gli edifizi veramente grandiosi ed importanti che occupavano quasi tutto il lato della via, appartennero ai Brunelleschi. Sorgevano colà torri, palagi, case e loggia e di queste costruzioni si veggono tuttora facilmente le tracce maestose ed imponenti.

I Brunelleschi furono tra le più antiche famiglie di Firenze, fra quelle che ebbero potenza quasi principesca e che nei tempi delle fazioni furono alla testa dei partiti. Ghibellini in gran parte si trovarono anche a combattere in famiglia giacche una parte di essi si schierò dal partito opposto. Dipoi militarono quasi tutti nella fazione dei Neri, guidati da uno di loro, Betto che insieme a Corso Donati e a Rosso Della Tosa fu uno dei capi di cotesto partito che in Firenze aveva il sopravvento.

Singolare figura era questo Betto Brunelleschi!

Fiero difensore della libertà di Firenze, arditamente rispose a Luigi di Savoia ambasciatore dell’Imperatore Arrigo che: Mai per niuno signore i fiorentini inchinarono le corna. Oratore facile ed elegante, astuto, fu adoperato per importanti ambascerie; egoista quant’era ricco, chiuse in tempo di carestia i suoi granai al popolo dicendo che non avrebbe venduto il grano altro che al prezzo da lui desiderato. Ambizioso di potere, da [p. 70 modifica]amico e compagno, divenne nemico di Corso Donati, tanto che fu tra coloro che ne procurarono la morte. Ma Betto non isfuggì alla vendetta dei Donati e un giorno, due giovani di questa famiglia insieme ad altri compagni, l’assaltarono presso le sue case e lo coprirono di ferite, sicchè pochi giorni dopo se ne morì.

Una pagina gloriosa pei Brunelleschi, è la difesa che essi fecero del loro castello della Petraja, oggi villa Reale. Il celebre condottiero inglese Giovanni Aguto, allora al soldo dei Pisani, assalì ripetutamente e con gran numero di soldati quel castello; ma i figli di Boccaccio Brunelleschi coi loro famigli ed i contadini così vigorosamente resistettero al nemico, da indurlo ad abbandonare l’impresa.

Però tanta potenza, tanta ricchezza andò rapidamente decadendo e tal decadenza comincia anche pei Brunelleschi nel secolo XV. I loro palagi furono suddivisi, appigionati, venduti, tanto che alla fine di quel secolo i pochi superstiti li vediamo abitare delle casupole modeste ed alcuni anche son ridotti a stare nella vecchia loggia della famiglia, trasformata in abituro.

La denunzia fatta alle Decime nel 1498 da Carlo di Piero Brunelleschi dice abbastanza in [p. 71 modifica]quali condizioni fosse ridotta quella famiglia un giorno così ricca.

Dopo aver denunziato il possesso. …di nome di un poderetto nel popolo di S. Stefano in Pane, aggiunge queste osservazioni: «Dopo la morte di Piero nostro padre, per forza e con certe ragioni non vere, mi furono tolti da Alderotto di Luigi Pitti e da Lorenzo figliuolo di Tommaso Pitti et di poi non istimando loro poterlo tenere a ragione, lo messero nelle mani di Giovanni Corriere. El quale Giovanni per forza tiene la metà. E l'altra metà l’ha M. Agnoletta mia donna figlia di Raffaello da Tavarnelle per lo piato della inopia di sua dote.»

Più tardi, gli ultimi discendenti della gloriosa prosapia si perdono framezzo alla parte più modesta del popolo, si trova che una donna di cotesta famiglia, Margherita, ridotta alla condizione più abietta, viene arrestata dai famigli del Magistrato dell’Onestà (1594) perchè trovata vestita da uomo insieme a dei giovani libertini...

Ed è proprio il caso di ripeter qui il sic transit gloria mundi.

Dei palazzi e delle torri dei Brunelleschi restano visibili tracce tanto dall'esterno, che dall’interno. Quasi intatta, almeno nelle sue linee [p. 72 modifica]organiche, è la loggia, una delle più belle e più cospicue logge della nobiltà fiorentina. Metteva in comunicazione la piazzuola interna dei Brunelleschi colla Via degli Stracciaioli (oggi Naccaioli) e servendo anche di pubblico passaggio era chiamata la volta dei Brunelleschi. Aveva archi a sesto acuto di diversa grandezza, dei massicci pilastroni ed era addossata ad una antica ed alta torre.

Spenta la famiglia che fino agli ultimi anni tenne quasi come sacro ricordo di una potenza scomparsa la sua antica loggia, rassegnandosi ad abitare nelle poche stanze che vi erano annesse, la loggia fu ridotta ad abituro, divisa in due piani che costituivano delle botteghe e un quartierino basso, cupo, triste dove ultimamente abitavano diverse poverissime famiglie.

Però, prima delle demolizioni, sarà ottima cosa veder di liberare la loggia dalle più recenti sopracostruzioni, per avere un esatto ricordo della sua antica struttura.

Due torri ebbero qui vicino i Brunelleschi: una dal lato della cosiddetta Piazza del Macello, anticamente Piazzuola dei Brunelleschi, addossata alla loggia e della quale si veggono tuttora le porte, i mensoloni ecc; l’altra dalla parte della [p. 73 modifica]Via degli Stracciaioli, in faccia alle antiche case degli Alfieri Strinati.

Era cotesta una delle più alte torri di Firenze e fu scelta per una delle residenze della Guardia del Fuoco, appena venne riformata in Firenze questa istituzione, ossia nel 1415. La Guardia del fuoco veniva scelta in ogni quartiere dai Gonfalonieri di Compagnia i quali nominavano un Capodieci, quattro maestri e cinque manovali. Ogni picchetto aveva una casa o torre di residenza dove tutta la squadra doveva trovarsi durante la notte. Dall’alto delle torri uno di guardia doveva segnalare gl’incendi, per mezzo di fuochi durante la notte o di altri segnali nel giorno. Al suono delle campane a fuoco, tutte le varie schiere si riunivano e correvano coi loro attrezzi a portar soccorso nelle località incendiate.

Le case de’ Brunelleschi, come abbiamo già detto, occupavano quasi tutta la Via dei Naccaioli dal lato di levante e s’internavano lungo i diversi vicoli che sboccavano in questa via fin quasi al Frascato.

Anche di tali vicoli che da questo lato non erano meno di cinque o sei, si veggono tuttora le tracce visibilissime nelle cosiddette Corticine, [p. 74 modifica]località quanto mai singolari e pittoresche. Costì anche gli avanzi di palagi e di case costruite in pietra con tutta la solidità e la maestosità degli antichi tempi, si possono esaminare con maggior comodità perchè vennero meno che altrove ridotti.

Colla breve visita alla parte di ponente abbiamo così terminato questa rapida escursione attraverso a questo quartiere così antico, così soggetto a vicende variatissime e così singolare delle sue parti orride e pittoresche.