Il fanciullo nascosto/Un uomo e una donna

Un uomo e una donna

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Fiaba Le prime pietre

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Un uomo e una donna.

Si era sparsa la voce, non si sa come, come si spargono tutte le voci, che quella donna vecchia dava denaro ai giovani.

Se ne parlava, quella sera d’autunno, persino nella cantoniera stradale di Santa Marga, distante otto chilometri dal posto ove la donna abitava: è vero, però, che tutte le voci dei dintorni venivano portate alla cantoniera e di là ripartivano, come i topi che viaggiano nei bastimenti, coi carri dei paesani che trasportavano carbone e scorza di lecci al mare, e con la diligenza, e sui cavalli dei semplici viaggiatori.

La moglie del cantoniere teneva laggiù una specie di bettolino: tutti i viandanti vi sostavano, e vi si giocava anche alle carte: e quella sera appunto due uomini giocavano e parla[p. 296 modifica]vano di quella donna vecchia che dava denaro ai giovani.

— E se lo dà vuol dire che ne ha. Lo presterà o lo darà per elemosina, — osservò comare Marga (così tutti chiamavano la moglie del cantoniere, sebbene il suo vero nome fosse un altro); — se denari avessi da dare, io li darei ai giovani, non ai vecchi. I vecchi alla concia, se hanno ancora bisogno di aiuto; vuol dire che non sono stati buoni a niente. I giovani, bisogna aiutare.

I due ridevano, mostrando i denti alle loro carte. Questa comare Marga, aggomitolata lì, nell’angolo della porta, con le vesti lacere di lana nera che il tempo e l’unto avevano ridotto quasi al primitivo stato di vello, era davvero ancora così come una pecora innocente: non capiva nulla del mondo e degli uomini.

— Ebbene, comare Marga, e allora voi che siete vecchia aiutate me che sono giovane. Datemi almeno sessanta scudi, che me ne vado in America a far fortuna. Su, movetevi, tirate fuori questi sessanta scudi.

Ma un colpo di ginocchio del compagno, sotto il tavolo, fece sollevare gli occhi al gio[p. 297 modifica]catore; e nell’angolo opposto della stanzaccia questi vide, steso su una stuoia di giunchi biancheggiante nell’ombra, vestito con dei vecchi pantaloni turchini e con un berretto a visiera, il figlio di comare Marga e del cantoniere.

Dormiva, il figlio di comare Marga, sebbene fosse appena calata la sera, come del resto dormiva sempre, anche di giorno, quando non era costretto ad aiutare suo padre: dormiva, ma era un ragazzo che neppure nel sonno si lasciava offendere nè permetteva si offendesse il più lontano dei suoi parenti.

I due uomini, quindi, finirono la partita continuando a parlare fra di loro, senza più rivolgere maligne allusioni a comare Marga: d’altronde anche lei sonnecchiava e si scosse solo per ricevere i denari che, usciti gli avventori, mise in una pentola sopra la cappa alta del camino.

Allora gli occhi di cristallo nero del figlio brillarono, aprendosi e tosto richiudendosi, giù nell’ombra dell’angolo: ed egli sollevò e subito riabbassò la testa mormorando come in sogno:

— Sarebbe tempo di finire questa storia. [p. 298 modifica]

La madre non ci badò tanto, abituata a sentirlo spesso brontolare in sogno; lasciò la porta socchiusa, e andò a coricarsi, nella cameretta attigua, accanto al marito che dormiva anche lui e russava e anche dal modo di russare si sentiva che era buono e stanco.

Il figlio, di là, riaprì gli occhi: mosse le mani e le incrociò sul petto: era solo: vedeva un tizzo che si spegneva nel camino, in mezzo all’ombra della stanza nera, con le brage che cadevano come i petali da un fiore rosso che si sfoglia; e dalla fessura della porta sentiva entrare l’aria della notte, con un odore misto di stalla e di erba fresca, e un ruminare lì accanto di bue e un mormorio lontano di acqua.

Aveva sentito, nel dormiveglia, tutti i discorsi degli uomini, e li ruminava, adesso, fra sè, come il bue l’erba fuori nel buio della tettoia, mentre il sonno lo cullava ancora con quella voce d’acqua lontana nella dolce notte d’autunno. Sentiva ancora la voce dell’uomo più giovane, piana e calda.

«A me lo ha contato lui, quel giovane di Sórgono, che stava là con gli altri muratori a fabbricare la casa. La casa è della donna. [p. 299 modifica]La donna è maritata una seconda volta. Il primo marito era ricco e vecchio e lei giovane e povera: questo marito era geloso come un cane, e avaro, e la tenne chiusa a chiave e a patir quasi la fame per venti anni. Morto lui, ella sposò un giovine povero, lei già quasi vecchia, ma questo giovine non le bastò e subito cominciò a prendersi altri amici. Il marito la bastonava e lei, cosa fare? lo cacciò fuori di casa, e come lui continuava a molestarla e la minacciava di morte, lei cambiò paese e se ne venne qui, da noi, aprì una bottega di panni e si fece fabbricare una casa. Dunque, quando si fece fabbricare questa casa andava tutti i giorni a vedere, quest’estate scorsa; e guardava i muri ma guardava anche i muratori, i più giovani, e questi le cadevano uno dopo l’altro davanti, dall’alto dell’impalcatura, come frutti dall’albero! Dicono, i maligni, che la casa le è costata tant’oro. Il bello è che più invecchia più li vuole giovani, malanno al peccato mortale! Adesso abita in questa casa nuova, che ha tutto un balcone di ferro in giro coi pomi dorati, e la sua bottega di panni, che dà sulla piazza, è come quella delle città grandi: fuori c’è scrit[p. 300 modifica]to il suo nome e cognome, Onofria Dau, in una targa di ferro come quella sopra la croce di Cristo».

*

D’un tratto si alzò, riaccese il lume e guardò dentro la pentola sopra il camino, chinandola un poco per vederne il fondo e odorando i denari come fossero una vivanda: e le monete di rame parevano davvero fave cotte, con rade lire d’argento bianche come fave fresche.

Stette così un poco, immobile e sospeso, contando con gli occhi i denari; poi parve togliere la pentola dal fuoco, prendendola per le anse, aprì col piede la porta, andò fino al prato e piegandosi sulle ginocchia versò le monete in un fazzoletto che si era tolto di tasca: e avvolse e annodò strette le cocche del fazzoletto. Poi si avviò.

Teneva l’involto fra le mani, duro e pesante come una boccia di ferro. Camminava dritto nello stradone chiaro fra i prati neri, sotto le piccole ruote d’oro del Carro dei Sette Fra[p. 301 modifica]telli. Il paese era laggiù: gli pareva di vedere una croce, sull’orizzonte di un nero vaporoso spruzzato di stelle: una croce con sopra la targa scritta: Onofria Dau.

Quel rumore lontano d’acqua, il brucare di qualche cavallo al pascolo, l’odore dell’erba umida della notte lo accompagnavano.

— Se è vero è vero, — pensava; — adesso saranno le otto e mezza, e col mio passo alle dieci son là. Mi prendo venti scudi, ah, non un centesimo di meno, e filo dritto al porto e m’imbarco. Andrò in qualsiasi parte del mondo, in Corsica o in Africa, ma qui non voglio starci più. Il cantoniere non voglio farlo, io; stare tutto il giorno a spandere ghiaia sullo stradone, per il viaggio degli altri, e cambiare i cavalli alla corriera e io sempre lì, sempre lì fermo come un asino intorno alla mola. Ci stia mio padre, finchè vuole: io no. E se non mi riesce ritorno e rimetto i denari dentro la pentola. Va in ora buona, Ghisparru Loddo; cammina, cammina.

Camminava, camminava; faceva buoni propositi e si sentiva quasi allegro cambiando da una mano all’altra l’involto come fosse un’arancia. Se la cosa non gli riusciva non avreb[p. 302 modifica]be toccato un soldo; tutte le monete di nuovo nella pentola, al ritorno, fra tre ore: se invece tutto andava bene, appena arrivato al punto ignoto verso il quale era diretto, avrebbe scritto a sua madre, chiedendole scusa e inviandole i primi denari che guadagnava.

In fondo però aveva piena coscienza di quello che voleva fare, e conosceva la ragione che lo spingeva: sapeva benissimo che era un poltrone e che suo padre non sperava nulla da lui: ma tentava di giustificarsi davanti a sè stesso.

— Sei poltrone e appunto per questo devi cambiar vita; andare dove c’è lavoro adatto per te, Ghisparru Loddo. Cammina.

Camminava, camminava: non c’era da sbagliare strada: un passo dietro l’altro verso la meta, come nella vita un passo dietro l’altro verso la morte; e a misura che avanzava distingueva sempre più netta, d’un nero cupo sul nero liquido dell’orizzonte, la linea delle colline rocciose sopra il paese, e credeva di scorgere persino, in fondo allo stradone, la casa della donna col balcone di ferro in giro.

Ma a misura che s’avvicinava sentiva qual[p. 303 modifica]che dubbio sulla buona riuscita della sua impresa. Cominciò a pensare alla donna, ch’egli non conosceva, immaginandosela un poco bassotta, robusta, grassa, col gran petto ricadente sul ventre, sopra il laccio del corsetto, con gli occhi neri un po’ torvi, e un po’ di baffi sopra il grosso labbro sporgente; una donna anziana benestante, insomma, com’egli ne conosceva tante, come ne aveva vedute l’ultima domenica di settembre alla festa di Sant’Elia, donne che amano ancora divertirsi sebbene non lo dimostrino, e che, in fondo, non dispiacciono troppo agli uomini. A lui, almeno, non dispiacevano; o, a dire il vero, non dispiacevano nè piacevano, perchè tutte le donne, a pensarci bene, fossero belle o brutte, vecchie o giovani, erano uguali per lui.

Entrò nel paese deserto. Un cane abbaiava, nel silenzio profondo; ad una piccola finestra terrena brillava un lume; egli guardò, nel passarvi davanti, e vide una donna malata, su un lettuccio di legno, e una bambina che la vegliava.

Non seppe perchè i suoi pensieri cambiarono colore: riprendendo la via si sentì un po’ smarrito, come se, dopo quel piccolo chiarore [p. 304 modifica] a cui s’era affacciato, le, tenebre davanti a lui diventassero più folte.

Invece qualche altra finestra e qualche porta illuminata rischiaravano a tratti la via, giù fin dove si slargava la piazza; tanto che arrivato in fondo distinse chiaramente la casa di Onofria Dau. Era lì, davanti a lui, sullo sfondo delle colline, grigiastra, con la collana dei pomi dorati del suo balcone; era lì, chiusa, silenziosa e ferma come la realtà.

Ed egli si sentì battere con angoscia il cuore. Gli pareva come fosse arrivato alla sorgente di un fiume, contro corrente; e stava fermo e forte anche lui, deciso a vincere, ma la corrente gli si sbatteva contro con furore, e in fondo il cuore gli tremava di paura.

Poi attraversò la piazza e picchiò alla porta di Onofria Dau, sotto l’insegna. Dai discorsi dei viandanti sapeva che la donna, per far meglio il comodo suo, non aveva neppure la serva: fu dunque certo d’intraveder lei nella figura scura che si affacciò al balcone domandandogli chi era e cosa voleva.

— Sono Ghisparru Loddo, il figlio del cantoniere di Santa Marga: aprite, ho bisogno di [p. 305 modifica] comprare subito una coperta di lana perchè mia madre ha la polmonite.

E gli venne da ridere, per questa improvvisa bugia infantile; ma si rifece serio nel vedere la figura ritirarsi e nel sentire subito dopo dei passi nell’interno della casa.

— Non deve esser vero che sta sola, — pensò; — non aprirebbe così subito la porta. Potrebbero anche ucciderla. Potrei ucciderla e derubarla io, come è stata uccisa e derubata, l’altra notte, la cognata del dottor Lecis.

Di nuovo si sentì battere il cuore, e una matassa di pensieri truci aggrovigliarsi nella sua mente: un lieve sudore gl’inumidì il cavo delle mani. Ma appena la porta s’aprì e nel vano apparve una donna alta e bella con un viso bianco e lucido di Madonna circondato dall’aureola nera della benda, con gli occhi azzurri a mandorla che riflettevano la fiammella del lume ch’ella teneva in mano, egli sentì sfuggirgli d’intorno, con l’ombra, il terrore del male: sentì subito che non avrebbe ucciso, che non si sarebbe venduto.

Non osò neppure chiedere alla donna se [p. 306 modifica] era lei Onofria Dau: solo vide che il pavimento dell’ingresso era bianco e lucido come il volto di lei, e sbattè i piedi sulla soglia per non portare dentro neppure la polvere della strada percorsa.

La donna si era scostata, senza parlare; quando fu davanti all’uscio della bottega, ai piedi della scala in fondo al corridoio d’ingresso, porse il lume a Ghisparru.

— Non lo porto dentro perchè ci vuol nulla a destare un incendio: fa il piacere di star qui: ti porterò adesso la coperta.

Egli stette lì, col lume in una mano e il suo involto nell’altra; dall’uscio che la donna aveva aperto sentiva venir fuori un odore di tela nuova e di sapone profumato e vedeva lei salire agile sopra una sedia e tirar giù dallo scaffale un pacco turchino; poi la vide ridiscendere, svolgere il pacco sul banco e portar fuori fra le braccia la coperta giallognola listata di rosso.

— Guarda se va bene, questa. Metti il lume sulla scala. E dunque come l’ha presa questa polmonite, tua madre? Eppure il tempo è caldo.

— Eh, così, come i mali si prendono, — [p. 307 modifica] egli disse serio, guardando la coperta convinto che la madre, a letto malata, aveva bisogno di sudare per scacciar via la polmonite.

La donna lasciava cader giù la coperta spiegandola a braccia aperte per mostrargliela bene; e lo guardava negli occhi per vedere se era contento; ed egli ebbe l’impressione ch’ella gli sorridesse, coi denti bianchi e forti fra le labbra rosse; che lo guardasse e gli sorridesse per piacergli.

— Toccala, pesala, è lana fina. Metti giù quel lume.

Egli mise giù, sul terzo gradino della scala, il lume e l’involto; e prese per un lembo la coperta, la pesò con la mano, infine aiutò a ripiegarla, in silenzio.

L’ombra sua e quella della donna, sulla parete, li imitavano grottescamente.

— Va bene, allora?

— Va bene. Quanto è?

— Sarebbe ventidue lire, ma per te, poichè si tratta di questa occasione, te la dò per venti. Il dottore lo avete chiamato? Te la riavvolgo, adesso.

Le ultime parole venivano di dentro la bottega: ella aveva già rimesso la coperta sul [p. 308 modifica] grande foglio turchino sul banco, e rifaceva destramente il pacco. L’uomo riprese il suo involto; nel chinarsi gli sembrò che tutto il sangue gli andasse alla testa; allo stordimento di prima sentì seguire una rabbia cupa; non voleva esser giocato così, lui; non voleva perdere così, idiotamente, i denari guadagnati soldo a soldo da sua madre; aveva promesso a sè stesso di non sciuparli, no, perdio, e non li avrebbe sciupati. Poi si sentì triste: gli parve di essere tradito dalla sorte, dalla donna che non era vecchia e non comprava gli uomini, anzi vendeva loro il suo sorriso, dalla gente che la calunniava: e infine fu spinto dal desiderio di precipitarsi contro di lei, prenderla o almeno percuoterla col suo involto; ma appena fu dentro la bottega vide un uomo, senza dubbio un servo, coricato lungo la parete fra l’uscio e il banco. Subito si ritrasse indietreggiando come un ladro. La rabbia gli sbollì sotto la paura. Avrebbe voluto almeno fuggire, salvare il suo denaro, ma la vergogna a sua volta vinceva la paura. La donna era già di nuovo davanti a lui e gli offriva il pacco turchino.

Allora egli volle difendere almeno quello [p. 309 modifica] che poteva difendere di diritto, e anche di più, se poteva.

— Tu me la darai per dodici lire; non vale di più. (Si pentì subito di non aver detto dieci).

Ella lo guardò corrucciata, d’improvviso invecchiata.

— Tu sei pazzo, figlio mio: una coperta che mi costa venti lire dartela per dodici?

Egli la fissava bene in viso, da vicino, separati solo dal muro dei loro involti; sì, era vecchia. E tentò lui, adesso, di sorriderle, di lusingarla con gli occhi; d’un balzo tutti i suoi mali progetti gli tornarono in mente.

— Se puoi, bene, Onofria Dau, se no, pazienza. Mi dispiace che ti ho disturbata a quest’ora.... ma mi avevano detto.... mi avevano detto....

La fissava nelle pupille, voleva insinuarle la sua idea col suo sguardo. Non aveva più vergogna, nè paura dell’uomo là dentro: bastava che Onofria capisse.

Ma Onofria non capiva o non voleva capire. Capiva solamente che doveva vendere la sua coperta e contentarsi di un onesto guadagno: chinò un po’ la testa pensierosa, fino [p. 310 modifica]ad appoggiare la guancia all’involto, e tentò un ultimo sguardo lusingatore, ma già senza speranza.

— Tu mi darai almeno sedici lire: credi, ci rimetto quattro lire, ma poichè sei venuto a quest’ora, per tua madre malata.... prendi, va!

— Non posso, — gli disse scostandosi; e gli sembrava di salvarsi, col suo involto; ma lei lo seguiva, col suo pacco, e glielo metteva fra le braccia, per forza.

— Ebbene, prendi, come vuoi tu, poichè è per tua madre malata.

Ed egli ebbe voglia di gridare; non lo fece per paura dell’uomo là dentro. Dopo tutto non li buttava, i denari di sua madre; una coperta di lana è sempre una coperta di lana.

Si piegò dunque sul pavimento bianco come s’era piegato sull’erba nera del prato, snodò il suo involto, scelse le lire di argento: erano proprio dodici. E le porse corrucciato alla donna, nel cavo della mano, senza guardarla; e anche lei mise per terra il suo parco, per contare il denaro, mentr’egli riannodava il fazzoletto.